Io e Adrián
di
Cecy
genere
tradimenti
Non mi sarei mai abituata a quel freddo umido. Ai lati della strada i ciuffetti d'erba brinati mi fanno agognare il clima mite e l'inverno tiepido di casa mia. Mi stringo di più nella sciarpa morbida.
Scatta il verde, prendo fiato e ricomincio lo slalom, a passo svelto, tra le strade del centro trafficato.
Sono in ritardo. Naturalmente.
Zainetto in spalla, passeggino in una mano, l'altra a frugare nelle tasche del cappotto in cerca delle chiavi della macchina.
Per non farmi mancare nulla il telefono vibra senza sosta, lo tiro rapidamente fuori e do una sbirciata al display: Mamma.
Lo ricaccio nella tasca, alzo gli occhi al cielo, devo rispondere. È la decima chiamata e sono appena le otto, se la faccio aspettare troppo inizierà a tormentare Massimo.
Mi fermo giusto il tempo di mettere alla bene e meglio un auricolare aggrovigliato e la richiamo per tranquillizzarla. Dopo essersi assicurata che va tutto bene, si lancia con entusiasmo a parlarmi della fioritura delle camelie e di un panciuto pettirosso a cui lascia le briciole sul davanzale.
Mia madre è fatta così, ha raggiunto un equilibrio che invidio e la sua quotidianità è fatta di piccole gioie semplici. Mi manca. È un'altra di quelle cose a cui non mi abituerò mai.
Giunta in prossimità della vettura sblocco le portiere, richiudo il passeggino e, dopo aver riposto tutto maldestramente nel baule, monto in auto.
Odio guidare e odio il traffico. Motivo per cui mio marito ha scelto con cura un'auto super accessoriata, completa di sistemi di assistenza alla guida e gabbia di sicurezza se mai dovessi schiantarmi. Cosa alquanto improbabile, considerando la mia velocità abituale. Rido.
Accendo il riscaldamento e parto. Il calore che si diffonde nell'abitacolo mi avvolge. Durante il tragitto organizzo mentalmente la giornata mentre ascolto, distratta, le notizie alla radio.
Quando finalmente spengo il motore mi concedo di sprofondare un attimo nel sedile, ce l'abbiamo fatta anche stamattina!
Prendo la borsa enorme al lato passeggero, ci pesco dentro il burro cacao. Ne stendo una quantità generosa sulle labbra e ne traggo un sollievo immediato.
Controllo l'orologio, devo proprio darmi una mossa.
Arrivo in laboratorio trafelata, è vuoto ma le luci sono già accese. Accatasto tutte le borse sulla scrivania, levo la sciarpa e il cappotto e imbocco il camice. Velocemente tiro indietro i capelli in una bionda treccia morbida che ricade sulle spalle.
Do un'occhiata ai timer. Ho il tempo di rifocillarmi prima di verificare che i miei enzimi abbiano fatto il loro dovere.
Mi avvio verso il bar, al piano di sotto, bevo un caffè amaro e ordino un macchiato e un croissant da portare via.
Quando risalgo su trovo il mio nuovo collega già a lavoro.
Appena mi vede entrare sfodera il suo miglior sorriso e, beffardo, inizia a punzecchiarmi per via del caos sulla scrivania. Non gli da seriamente fastidio, ma gode nel torturarmi.
Però stavolta gioco d'anticipo, portando in dono caffè e cornetto in segno di pace.
Adrián è un colosso e ha costantemente fame.
Il mio piano sembra funzionare, quindi si azzittisce, si avventa sulla brioche e con un morso ne azzanna quasi la metà.
Osservo quel gesto come a rallentatore, ho sempre trovato un non so che di erotico nell'atto del cibarsi. Non riesco a fare a meno di perdermi negli angoli della sua bocca e sono quasi certa che lui se ne sia accorto.
Quando la punta della sua lingua sfiora le labbra inevitabilmente... No!!
Cerco di scacciare dalla mia mente ogni pensiero immorale che coinvolga lui, le sue appendici e me.
Per mia fortuna arrivano gli altri compagni di lavoro ad occupare le loro postazioni, dirimpetto alle nostre. Ci separa solo uno stretto e lungo ripiano centrale, sovrastato da scaffalature.
Ma tanto basta per mettere un freno alle mie fantasie ed è sufficiente a interrompere quella nostra pericolosa intimità.
Così, dopo i convenevoli, smetto di procrastinare e mi metto all’opera anche io.
Le ore si susseguono: momenti di silenzio, in cui siamo totalmente concentrati, intervallati da momenti di chiacchiere distensive.
Nelle ultime settimane Adrián ha fatto miglioramenti notevoli, il suo italiano è quasi perfetto. E, incredibilmente, é migliorata anche la comprensione del mio spagnolo.
Durante le nostre pause mi fa notare come stanno cambiando le sue abitudini, prima la colazione per lui era sempre stata esclusivamente salata. Poi mi mostra, con un po’ di nostalgia, la foto di Emilio, il suo enorme pappagallo dal piumaggio variopinto.
Insieme ipotizziamo diversi itinerari d’arte, tra gallerie ed esposizioni. Chissà, forse prima o poi avremo il piacere di concretizzarne qualcuno.
È di nuovo calato il silenzio. Si sentono solo i rumori delle strumentazioni in sottofondo. Io, seduta sul bordo di uno sgabello, sto allestendo con cura una dozzina di campioni.
Mi sento gli occhi di lui puntati addosso. Lo sento avvicinarsi, poi fermarsi dietro di me. Quel contatto mi acutizza tutti i sensi. Quando si affaccia sulle mie spalle mi irrigidisco.
"Posso rubarti alcune eppendorf?" mi chiede a voce bassa, con la bocca a pochi centimetri dalle mie orecchie. Mentre allunga il braccio sul ripiano, sfiorandomi il fianco, riesco a stento a rispondere "Sì, prendile pure".
La mia pipetta titubante riesce a riempire la provetta per un soffio. Maledizione! Ho sempre vantato la mano ferma di un cecchino. Ma quando lui é nei paraggi anche quei gesti quotidiani, ripetuti migliaia di volte, diventano esitanti.
Non abbastanza contento di avermi messa in difficoltà rincara la dose, facendomelo notare.
Di tutta risposta mi giro verso di lui stizzita, gli mimo con le labbra un “vaffanculo” silenzioso e lui scoppia in una risata fragorosa.
Quindi si allontana con il suo bottino.
Mi rendo conto di come io ne percepisca ogni movimento.
Subisco la sua presenza nella stanza e, anche se non lo sto guardando, so sempre, esattamente, dove si trova.
Vivo uno stato di eccitazione costante.
Anche professionalmente è una sfida e uno stimolo continuo, sembra che entrambi diamo il meglio per essere all'altezza uno dell'altra.
Persa nelle mie riflessioni, con molta calma, termino la mia ripartizione.
I saluti dei colleghi mi ricordano che la giornata lavorativa è quasi giunta al termine.
Come spesso accade, io e Adrián siamo gli ultimi ad andare via.
Mi piace credere che anche lui, come me, rimanga per godere di quegli attimi in cui siamo soli.
Tra una chiacchiera e l’altra riordiniamo tutto, sterilizziamo i ripiani, poi ci spogliamo del camice.
Le luci nell'edificio sono ormai quasi tutte spente, è ora di andare.
Mi copro per bene con gli indumenti pesanti e sciolgo la treccia.
Lui scandaglia ogni mio movimento, poi lentamente si prepara.
Deglutisco, reprimendo un bisogno ancestrale azzerare la distanza tra noi e di toccarlo, di sistemargli il collo della camicia, di lisciargli il soprabito.. gesti intimi, familiari.
Mi attraversa un senso di colpa, non è il mio uomo e mi rabbuio.
Lo saluto, raccatto frettolosamente tutte le mie cose e mi precipito nel corridoio, rifuggendo ciò che desidero.
Raggiunto il piazzale semi deserto, una sferzata di aria gelida mi colpisce in pieno volto. Riacquisto lucidità.
Faccio appena qualche passo, quando mi sento tirare via le borse dalle mani.
"Grazie Adri" gli dico mentre lui mi accenna un sorriso. Mi accompagna fino all'auto, in silenzio. Con movimenti impacciati riesco a trovare le chiavi e riporre tutto sui sedili.
Quando chiudo lo sportello lui è lì davanti a me.
Siamo soli in un parcheggio poco illuminato. Incapaci di staccarci gli occhi da dosso.
I nostri corpi si chiamano, quasi involontariamente ci avviciniamo, finché le sue mani mi cingono la vita e il suo odore mi assale. "Me das morbo, capisci?"
Annuisco. So esattamente cosa intende.
Mi sfiora la guancia, respira i miei capelli.
Senza capire quando l’ho deciso, appoggio i palmi delle mani sul suo petto. Di rimando mi preme su di sé. E mi ruba un bacio.
Le nostre bocche si conoscono. Inerme, mi lascio assaporare dalla sua lingua. Si muove lenta e delicata sulle mie labbra, incontra la mia. Ricambio il bacio e le nostre lingue si avviluppano. Nell’attimo stesso in cui anche i nostri corpi mostrano la necessità di partecipare a quell’effusione, mi stringe, mi succhia le labbra e si stacca.
“A domani” mi dice fissandomi intensamente negli occhi.
Abbacinata e incredula lo guardo allontanarsi nel buio.
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