Gioco segreto
di
Olof Rekkolong
genere
prime esperienze
GIOCO SEGRETO
Qui nelle nostre campagne, una volta c’erano, lungo un sentiero, molti cespugli di Rosa Canina. In Settembre, davano frutti rossi, oblunghi, duri, poco buoni da mangiare perchè contengono molti semi. Questi frutti si chiamano cinorrodi, ma qui nel dialetto locale si chiamano tappaculi.
Questa mattina al bar ho trovato l’amico Harry e abbiamo parlato del nuovo villaggio residenziale in costruzione alla periferia del paese.
“Stanno fabbricando proprio dove un tempo c’era il sentiero rosso, te lo ricordi?”
“Certo! Da ragazzi andavamo là a mangiare le more...”
“Sì, e c’erano anche i cespugli di... non ricordo il nome, ma noi li chiamavamo Tappaculi...”
Questa conversazione casuale ha richiamato alla mia memoria un episodio sbiadito, accaduto tanto tempo fa. Ci ho pensato tutta la mattina e stasera ho deciso di scriverlo.
Ero adolescente, tanti, tanti anni fa.
È un pomeriggio di sole, caldo, in Settembre. Indosso pantaloni corti e pedalo in bici fra un gruppo di coetanei.
Raggiungiamo il sentiero rosso; era chiamato così perchè i ragazzi più vecchi, di sera, andavano là per sverginare le fidanzate.
Il sentiero è lungo, sinuoso, fiancheggiato da vecchi cespugli di rovo, con more dolci, buonissime; cespugli di rosa canina o selvatica; e piante di elianto con le foglie puzzolenti.
Stacchiamo e mangiamo more a sazietà. Bisogna raggiungere quelle più alte, visto che quelle basse sono state già staccate. Adoperiamo bastoni di elianto per tirare giù i rametti senza ferirci con le spine.
Quando siamo sazi, stanchi e graffiati, proviamo a mangiare i frutti della rosa selvatica, anche questa piena di spine. Danno frutti rossi, insipidi e pieni di semi. Ci stufiamo subito dopo.
Un ragazzo più anziano del gruppo dice, strizzando l’occhio ai compagni: “Questi servono per un’altra cosa.”
Tutti sorridono. Io ingenuamente chiedo: “Che cosa?”
“Adesso ti facciamo vedere...”
Tutti insieme, in silenzio, i ragazzi si abbassano i pantaloni corti e si piegano in avanti per far sporgere il sederino. (In quei tempi di miseria, nessun ragazzo aveva le mutande). Un ragazzo stacca alcuni frutti rossi e lucidi, oblunghi, li pulisce, li lecca e poi li infila nel sederino dei compagni. Il frutto sparisce dentro il buchino e subito dopo esce, spinto fuori. Un altro frutto; un altro... A turno se li mettono dentro; qualcuno anche due o tre...
Io protesto: “Cosa fate? E’ peccato! Bisognerà confessarlo al prete...”
Ma un ragazzo più robusto mi afferra le braccia mentre un altro da dietro con un colpo mi tira giù le braghette. Rimango immobile, con il sederino esposto agli sguardi di tutti.
Poi mi infilano un frutto su per il culetto e provo un piacere nuovo, sottile, eccitante. Spingo subito fuori il frutto, ma me ne infilano un altro, poi un altro... Io godo e sento calore e benessere.
Dopo quella volta abbiamo trascorso altri pomeriggi autunnali a infilarci quei frutti rossi, duri e lucidi, su per il culetto. Era divertente. I più coraggiosi prendevano i frutti in bocca, dopo uscito dal culo. Poi, così bagnato, lo infilavano dentro un altro culo.
Lunghi pomeriggi ci tenevano occupati con questo gioco. Una volta abbiamo sentito un rumore e allora ci siamo tirati su in fretta i pantaloncini mentre arrivava un vecchietto che passava in bici. Ci guardò mentre noi fingevamo di mangiare le more. Forse, 50 anni prima, anche lui aveva praticato questo gioco.
Appena fu lontano, giù i pantaloni, sederini spinti in fuori e il compagno di turno mi spingeva dentro un frutto, accompagnandolo anche con il dito. Un dito infilato nel culo dà una sensazione meravigliosa. Erano i miei primi brividi di voluttà.
Dall’inizio dell’anno mi erano spuntati i peli sul pube e sotto alle ascelle. Incominciavo ad avere le prime erezioni quando spiavo le bambine che facevano pipì.
In Ottobre arrivarono le piogge, i frutti marcirono e il nostro gioco finì.
FINE
Traduzione Giugno 2012
Qui nelle nostre campagne, una volta c’erano, lungo un sentiero, molti cespugli di Rosa Canina. In Settembre, davano frutti rossi, oblunghi, duri, poco buoni da mangiare perchè contengono molti semi. Questi frutti si chiamano cinorrodi, ma qui nel dialetto locale si chiamano tappaculi.
Questa mattina al bar ho trovato l’amico Harry e abbiamo parlato del nuovo villaggio residenziale in costruzione alla periferia del paese.
“Stanno fabbricando proprio dove un tempo c’era il sentiero rosso, te lo ricordi?”
“Certo! Da ragazzi andavamo là a mangiare le more...”
“Sì, e c’erano anche i cespugli di... non ricordo il nome, ma noi li chiamavamo Tappaculi...”
Questa conversazione casuale ha richiamato alla mia memoria un episodio sbiadito, accaduto tanto tempo fa. Ci ho pensato tutta la mattina e stasera ho deciso di scriverlo.
Ero adolescente, tanti, tanti anni fa.
È un pomeriggio di sole, caldo, in Settembre. Indosso pantaloni corti e pedalo in bici fra un gruppo di coetanei.
Raggiungiamo il sentiero rosso; era chiamato così perchè i ragazzi più vecchi, di sera, andavano là per sverginare le fidanzate.
Il sentiero è lungo, sinuoso, fiancheggiato da vecchi cespugli di rovo, con more dolci, buonissime; cespugli di rosa canina o selvatica; e piante di elianto con le foglie puzzolenti.
Stacchiamo e mangiamo more a sazietà. Bisogna raggiungere quelle più alte, visto che quelle basse sono state già staccate. Adoperiamo bastoni di elianto per tirare giù i rametti senza ferirci con le spine.
Quando siamo sazi, stanchi e graffiati, proviamo a mangiare i frutti della rosa selvatica, anche questa piena di spine. Danno frutti rossi, insipidi e pieni di semi. Ci stufiamo subito dopo.
Un ragazzo più anziano del gruppo dice, strizzando l’occhio ai compagni: “Questi servono per un’altra cosa.”
Tutti sorridono. Io ingenuamente chiedo: “Che cosa?”
“Adesso ti facciamo vedere...”
Tutti insieme, in silenzio, i ragazzi si abbassano i pantaloni corti e si piegano in avanti per far sporgere il sederino. (In quei tempi di miseria, nessun ragazzo aveva le mutande). Un ragazzo stacca alcuni frutti rossi e lucidi, oblunghi, li pulisce, li lecca e poi li infila nel sederino dei compagni. Il frutto sparisce dentro il buchino e subito dopo esce, spinto fuori. Un altro frutto; un altro... A turno se li mettono dentro; qualcuno anche due o tre...
Io protesto: “Cosa fate? E’ peccato! Bisognerà confessarlo al prete...”
Ma un ragazzo più robusto mi afferra le braccia mentre un altro da dietro con un colpo mi tira giù le braghette. Rimango immobile, con il sederino esposto agli sguardi di tutti.
Poi mi infilano un frutto su per il culetto e provo un piacere nuovo, sottile, eccitante. Spingo subito fuori il frutto, ma me ne infilano un altro, poi un altro... Io godo e sento calore e benessere.
Dopo quella volta abbiamo trascorso altri pomeriggi autunnali a infilarci quei frutti rossi, duri e lucidi, su per il culetto. Era divertente. I più coraggiosi prendevano i frutti in bocca, dopo uscito dal culo. Poi, così bagnato, lo infilavano dentro un altro culo.
Lunghi pomeriggi ci tenevano occupati con questo gioco. Una volta abbiamo sentito un rumore e allora ci siamo tirati su in fretta i pantaloncini mentre arrivava un vecchietto che passava in bici. Ci guardò mentre noi fingevamo di mangiare le more. Forse, 50 anni prima, anche lui aveva praticato questo gioco.
Appena fu lontano, giù i pantaloni, sederini spinti in fuori e il compagno di turno mi spingeva dentro un frutto, accompagnandolo anche con il dito. Un dito infilato nel culo dà una sensazione meravigliosa. Erano i miei primi brividi di voluttà.
Dall’inizio dell’anno mi erano spuntati i peli sul pube e sotto alle ascelle. Incominciavo ad avere le prime erezioni quando spiavo le bambine che facevano pipì.
In Ottobre arrivarono le piogge, i frutti marcirono e il nostro gioco finì.
FINE
Traduzione Giugno 2012
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