L'ascensore

di
genere
prime esperienze

L’ASCENSORE

Entro nel palazzo con valigetta e borsa dei documenti per l’avvocato. Che orrore questi condomini moderni: citofoni, porte automatiche, vetrate, marmi, fiori artificiali.
Arrivo all’ascensore che è occupato. Premo più volte il pulsante. Niente, l’ascensore non arriva. Dalla tromba delle scale sento le grida di ragazzini che giocano. Probabilmente saranno loro a tenere occupato l’ascensore. Guardo le scale: c’è da salire 12 rampe di scale per arivare al sesto piano. Meglio aspettare ancora un po’.
Finalmente luce verde. Apro la porta. una ragazza appare nell’androne e mi guarda.”Vuole salire?” chiedo.
“Grazie. Ottavo piano.”
“Io il sesto.”
La ragazza entra dentro, io premo il 6 e l’ascensore parte. Nella stretta cabina la ragazza sta distanziata da me. Appare dura e frettolosa. Il tipo di segretaria di assicuratore, banca o ufficio. Indossa maglietta, giacca, pantaloni attillati e tiene in mano la borsetta. Nessuno parla. Siamo due estranei casualmente rinchiusi in una cabina e aspettiamo di separarci per prendere le nostre strade, molto divergenti.
Secondo piano. Nel silenzio si ode il ronzio monotono dell’ascensore. La ragazza guarda la parete. Io guardo lo specchio dietro di lei dove si vede il culetto sporgente sotto i pantaloni stretti.
Terzo piano. Ancora nessuno parla. Il ronzio è interrotto da uno scatto e la cabina ha un sussulto.
Quarto piano. Un altro scatto, più forte questa volta, e la cabina si arresta. La ragazza mi guarda come se fosse colpa mia.
Io schiaccio il sesto pulsante per vedere se riparte. Poi provo tutti gli altri. Premo lo stop e il bottone dell’allarme. Non succede niente. Allora finalmente comprendo. Siamo prigionieri del’ascensore e dobbiamo aspettare che arrivi qualcuno a liberarci. La ragazza mi guarda seccata e avvilita, senza parlare.
Parlo io: “Non parte. Provi lei...”
La ragazza si avvicina a me e prova a schiacciare nervosamente i pulsanti. Le sue manine si sbiancano nello sforzo. I seni puntuti saltellano sotto alla maglietta. Alla fine smette, si allontana da me e si appoggia alla parete.
Allora provo ad aprire la porta, do pugni sul metallo rimbombante. È bloccata e non si muove.
Passa il tempo. Io guardo l’orologio. Lei guarda il suo orologino da polso. Sono quasi le dieci. Dunque, vediamo, quando sono arrivato qui erano le otto e mezza, forse le nove...
Fa caldo qui. La ragazza ha caldo, si toglie la giacca e la tiene sul braccio. Appoggia sul pavimento la borsetta, però tiene in mano un fazzoletto e si asciuga il viso.
“Io mi chiamo Tom” dico per iniziare la conversazione e mi sento uno stupido.
“Io Hanna.”
Il dialogo finisce qui.
Poi riprendo: “Va dall’avvocato?”
“No. Dal notaio.”
Un’altra lunga pausa. Quando mi viene in mente, dico qualche frase, faccio qualche domanda, rassicuro che presto arriverà qualcuno a sbloccare il meccanismo.
Hanna mi chiede: “Lei sa come funzionano gli ascensori?”
“No.”
“Chi ha la manutenzione in questo palazzo?”
“Non so. È la prima volta che vengo qui.”
Un’altra pausa lunghissima.
Qui dentro fa caldo, fa troppo caldo. Hanna è tutta sudata ed io pure. La maglietta bianca della ragazza è tutta bagnata di sudore, un alone di sudore si vede sotto alle ascelle. Le tette si vedono sotto la stoffa diventata trasparente.
“Hai un bel seno.” Le dico.
“Grazie.”
Non ci siamo mai visti prima, ma sono bastate due ore rinchiusi qui insieme per acquisire la confidenza di due persone insieme da venti anni.
“Togliti la maglietta,” suggerisco io. “E’ tutta bagnata, ti verrà una polmonite.”
“Ma ho il reggipetto trasparente.”
“Non importa; non ti guardo.”
Dopo un attimo di esitazione Hanna si sfila la maglietta e la butta sul pavimento. Rimane col reggiseno anch’esso bagnato.
Io mi tolgo la camicia inzuppata di sudore.
“Mi sento svenire...Quando arriveranno i soccorsi?” chiede Hanna.
“Tra poco. Tu intanto togliti il reggipetto. Ho un asciugamano nella valigia e ti puoi asciugare.”
“Ma...”
“Non vedi come sei ridotta?” le dico porgendole l’asciugamano.
Lei si gira e si sgancia il reggipetto. Le tettte saltano fuori selvagge e dure. Le vedo benissimo, anche se è voltata, perchè dietro c’è il grande specchio.
Hanna piange.
“No, no,” la consolo. E intanto le accarezzo le spalle nude, scendo lungo le braccia morbide e con la punta delle dita, involontariamente le tocco le tette. Dio che paradiso! Già che ci sono le metto le mani a coppa sopra.
“No... No...” fa lei.
I capezzoli si ergono duri fra le mie mani e restiamo così, immobili, a godere e a sognare.
“Cara... Cara...” le sussurro piano.
Le tette intanto si drizzano, si induriscono, i capezzoli si allungano.
Anche il mio cazzo non sta fermo e spinge contro i pantaloni.
Adesso la ragazza si tira su il mio asciugamano sul seno. Io smetto di palparla e rimango lì, di fronte, immobile.
Improvvisamente vedo la faccia di Hanna che diventa rossa come un papavero e nello stesso tempo una macchia si forma davanti, sui pantaloni.
Capisco. Hanna si sta pisciando addosso, in piedi. La pipì sgocciola dai suoi pantaloni attillati e già inzuppati. Hanna trema e sta per piangere.
Io la consolo come posso: “Non ti preoccupare se devi fare pipì. Io mi volto, così.”
Dopo un attimo di esitazione odo il fruscio dei pantaloni che vengono tirati giù. Odo il rumore dell’elastico dei suoi slip. Odo un getto trattenuto di pipì e vedo un rivoletto giallo sul pavimento. Odo il pianto di Hanna: “Non volevo...non volevo...”
“Non ti preoccupare” le dico mentre mi giro e vedo il suo bel visino disperato. “Metti sotto questa” le dico spingendo sul pavimento la mia valigetta aperta.
“No... No...”
“Coraggio, ci sono solo dei fazzoletti dentro. Quando hai finito rinchiudi la valigetta.”con il piede spingo la valigetta dietro di lei e le dico: “Coraggio. Io mi volto.”
“No... No... mi vergogno...”
“Lavoravo dentro un bagno pubblico e ho visto tante ragazze fare pipì.” Mentisco per farle coraggio.
Il getto di pipì riprende violento... poi una scoreggia... un puzzo di merda. Hanna sta cagando forsennatamente e piange e si scusa fra le lacrime: “Non volevo... Non volevo... Ho preso il purgante ieri sera...”
“Non piangere, è una cosa naturale,” la incoraggio io.
Sento che rinchiude la valigia e continua a piangere e a singhiozzare.
“Non serve piangere.”
“Adesso cosa penserai di me?”
“Che eri e che sei una bella ragazza.”
Hanna apre la borsetta, tira fuori una sigaretta e sta per accenderla.
“No! Non farlo.” Le ordino. “Brucia l’ossigeno che c’è qui.”
“Ma c’è cattivo odore.” Fa lei.
“Non tanto.” La rassicuro.
In realtà c’è un puzzo di merda terribile qui dentro, ma è meglio questa aria che la mancanza di aria.
Hanna si alza in piedi. Ha ancora i pantaloni abbassati e anche gli slip rosa. Vedo il pelo nero del pube, prima che riesca a coprirsi con l’asciugamano. Ma la stoffa è corta, così da sopra salta fuori una tettina. Hanna fa uno strillo.
“Toh, ti aiuto a coprirti.” Le dico e con il pretesto di avvolgerla meglio nell’asciugamano le do una bella palpata di tette e culo. Sotto le mie mani il suo culetto morbido saltella.
“Coraggio, tra poco arriveranno i soccorritori. A proposito, ho bisogno di fare pipì anch’io. Tocca a te voltarti adesso.”
La ragazza si mette nell’angolo dell’ascensore e io apro la valigia e provo a pisciarci dentro. Niente da fare. Mi è venuto il cazzo duro e sarebbe più facile fare un sborrata.
In queste condizioni non riuscirò mai a pisciare. Prima devo sborrare. In un angolo incomincio a menarmi il cazzo, ma mi sfugge un sospiro e Hanna mormora: “Che cosa fai?”
Allora mi volto con il cazzo ritto: “Ecco cosa hai provocato.”
Hanna spalanca gli occhi, sorpresa e incantata.
“Sei sposata?” chiedo.
“N...No.”
“Beh, toccalo, così farai un po’ di pratica...” dico mentre le prendo il polso e metto la sua manina sopra al cazzo.
“Io non ho mai avuto rapporti con sconosciuti... non ho mai avuto malattie...io...”
Ecco la donna, una creatura pratica anche nelle situazioni più intime; dove l’uomo perde la testa, lei, la femmina, conserva la sua razionalità.
“Nemmeno io.” La rassicuro
Le prendo la manina e gliela avvolgo sul cazzo. Hanna tenta di liberare la mano, ma io stringo la sua mano posata sul cazzo. Alla fine li lascio soli: il mio cazzo e la sua mano. Che paradiso!
Hanna muove la sua manina con colpetti troppo lenti, nervosi, senza continuità... E’ una sega fatta male, anzi malissimo, ma è una sega fatta dalla mano di una donna...
Sbuffo sempre di più, mi trattengo dal gridare di piacere... Sto per venire...
Un clank... Un altro clank più forte... Hanna lascia il mio cazzo e si preoccupa di coprirsi il più possibile. Io non ho ancora sborrato ma devo tirarmi su in fretta i pantaloni.
L’ascensore si muove... risale... Sentiamo delle voci... Nella porta si apre uno spiraglio... Vediamo facce di persone....
Ci hanno liberati. Maledetti! Se avessero aspettato solamente un altro minuto!

Traduzione aprile 2012
FINE








scritto il
2012-10-06
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