L’s story. Capitolo 43. Anzoategui
di
Laras
genere
dominazione
Mi risveglio con il sole già alto: son dentro a un sacco a pelo, tra pareti di roccia. Vedo Leòn all’uscita di quella rientranza, che guarda fuori col binocolo. Ci sono i tre cavalli e ora anche un grande e spaventoso cane bianco, ma sta buono accanto a Leòn.
Io: “Leòn, amore… cioè… mi scusi… mio signore, buon giorno”. Si volta, sorride, si rialza.
Leòn: “Buongiorno amore mio... hai dormito 14 ore, come ti senti?”.
Io: “I dolori nelle parti basse sono sopportabili. Intontita, ma meno dei giorni scorsi… sto connettendo: ha fame? Come posso servirla?”.
Leòn: “Puoi servirmi così, aspetta”, mi si avvicina e mi bacia in modo dolcissimo, prima sfiorandomi le labbra, poi lingua in bocca: mi sento svenire, mi sciolgo, subito miagolo.
Lui: “Calmati… Adesso proprio non possiamo, come prevedevo due della comunità sono sulle nostre tracce. Tra poco saranno qui. Ci siamo allontanati di circa 50 km dalla fortezza. Siamo in un sopralzo della prateria. Con il buio ci sposteremo e, dovrai provare ad andare a cavallo da sola. A proposito, ti presento i nostri compagni: il grande cavallo nero è Trueno, il mio cavallo: ti proteggerà da serpenti e altre bestie velenose. La cavallina bianca doveva essere uno dei miei regali di nozze per te, ma me l’hanno impedito… e io l’ho ripresa! Si chiama Sumisa, è molto mansueta e vedrai che ti sarà facile imparare a cavalcare. L’altro cavallo è Burro, è un cavallo da trasporto. Adesso, importante, il cane: questo cane si chiama Ase, che sta per assassino (asesino). È un cane pericoloso, ha già lottato con un puma ed è rimasto vivo. Vive solo, non obbedisce a nessuno e non ha mai legato con altri che con me: mi raccomando non guardarlo negli occhi, non accarezzarlo né dargli cibo. Ignoralo, fai come se non ci fosse: deciderà lui se fare amicizia e quando. Ultima avvertenza: quando uscirai dal sacco a pelo scoprirai che ti ho vestita: devi restare vestita e, anzi, mettere i guanti grossi come i miei: Anzoategui non è un posto per turisti ed è pieno di pericoli: ubbidiscimi! Ora devo andare, non guardare cosa farò: se hai fame c’è carne essiccata e pagnotelle nello zaino. Torno prima possibile”.
Il mio amore cambia espressione… si concentra, adesso fa paura, alza la sinistra col pugno chiuso al cielo. Si toglie la casacca della mimetica: il corpo è coperto dal suo pelo nero, lungo, ovunque: mamma quanto mi piace quel pelo! Glielo leccherei tutto!
Esce dalla fenditura dove siamo: fucile, revolver, pugnale e il terribile dogo Ase che trotta al suo fianco. Col cavolo che non lo guardo! Afferro il binocolo e mi sdraio dove era lui prima. Il mio amore è quasi invisibile: il suo folto pelame nero lo confonde con la vegetazione bassa della prateria. Trotta in silenzio… si ferma un attimo, imbraccia il fucile e... baam! Si rialza, non trotta più ma corre velocissimo, ha solo un gran pugnale in mano... fa un grande salto, sembra volare… e atterra sulla gola di uno che, fino a poche era prima, considerava un fratello.
È tutto finito. Anzi no. Perché ora vedo l’orrore: il mio dolce Leòn… taglia la testa ai due suoi ex fratelli, ne carica i cadaveri sui loro cavalli, appende le due teste alle selle e, con un forte ceffone, li rimanda indietro alla fortezza. Trema, da solo, tra le erbe della prateria. Si butta faccia a terra nel terriccio sabbioso, lo spaventoso dogo gli sale sulla schiena e vigila ogni cosa guardandosi attorno. Dopo qualche minuto, si calma, ha smesso di piangere e singhiozzare, si rialza, guarda nella mia direzione, poi china il capo.
Con movimenti lenti raccoglie le proprie armi e le altre cose: sembra stanchissimo. Si avvia verso di me, pian piano riprende quel modo di correre al trotto.
Leòn: “Ho visto che mi guardavi, non dovevi farlo, ora avrai paura di me. Posso solo dire che quel che ho fatto è stato per te e solo per te. Adesso capiranno cosa succede a seguirci e avranno paura anche solo di toccarti. Ma, se vuoi lasciarmi, ti consiglio di aspettare che il mio piano abbia successo, basteranno 4-5 giorni”.
Ha detto: per me. Tutto per me. Solo ora capisco che ha rotto con tutto il suo passato, con i genitori, con la sua stessa vita… per me.
Ho dubitato del suo amore solo per un attimo, ma ho dubitato. E non so come chiedergli il perdono. Mi distendo a terra davanti a lui, piango in silenzio. Finalmente con la mia vocina da bimba buona, riesco a sussurrargli: “Mio signore, la schiava più stupida e cattiva del mondo le chiede di essere punita”.
Lui rialza lo sguardo, sembra sorpreso, il suo viso si distende... “Guardando hai disubbidito, ma non basta per punirti. Io ti assicuro che non c’era altro modo, se mi vuoi un po’ bene devi credermi… le leggi della nostra fratellanza sono durissime per chi ha fatto quel che io ho fatto per te”.
Io: “Puniscimi mio signore, non mi merito il tuo amore”. Avanzo strisciando nella sabbia fino a stare tra le sue gambe lunghe e forti. Il grosso dogo ringhia, sottovoce. Me ne frego, ho dubitato e merito di morire, resto immobile e distesa al suo cospetto, affondo il viso nella sabbia, riesco solo a ripetere: “Perdono… perdono…”.
Leòn: “Ti devo far capire, perché tu hai visto solo castigliani e catalani. Il nostro socialismo è antico, perché viene da molto lontano: alcuni dicono dalla Bulgaria di mille anni fa. Altri sostengono che le nostre comunità sono state fondate molto prima, dal profeta Mani. Nella storia, ogni nostra comunità, appena veniva identificata dall’autorità, veniva attaccata. Il gruppo catalano che hai visto nella fortezza deriva dalla Provenza francese. Mio padre viene da quel gruppo e si chiama semplicemente Gonzalo: Bogumil è un titolo onorifico. Non so nemmeno se sia davvero mio padre: hai visto che solo a una donna all’anno è permesso di procreare e viene fecondata da tutti i membri. Il nostro modo di vivere provoca sempre l’attacco dell’autorità, perché rifiutiamo ogni legge e autorità, condividiamo mogli e cose, mettiamo tutto in comune”.
Io ho capito poco, ma qualcosa sto capendo: tante tessere del mosaico vanno a posto. E, dal giorno in cui mi hanno accettata, tanti piccoli particolari acquistano significato. Lui fa per continuare: “Il piano è semplice: se manco dal tableu de bord per cinque giorni, tutti gli affari e attività di tutte le comunità del mondo andranno a catafascio... solo qui, ad Anzoategui, abbiamo 400.000 capi di bestiame ma, se non sono io a venderli saranno venduti sottocosto e così via. Al quinto giorno torneremo e se…”.
Lo interrompo, come mai dovrebbe fare una come me: “Leòn, mio signore, il tuo amore. Non mi importa più di vivere, mi importa solo del tuo amore”.
Lui tace. Respira profondamente, si calma. Due grandi manone mi sollevano per le ascelle, sono in braccio a lui: “Elle, ma io cosa ho fatto per meritarti?”.
Io piango in silenzio contro la sua spalla, felice del perdono, pentita d’aver disubbito e dubitato.
Leòn: “Sono sfinito… devo dormire prima del buio… ma guarda come mi hai ridotto... guarda cosa mi succede quando ti avvicini a me” [è di nuovo in erezione].
Io: “Sto sentendo mio signore, capisco che lei soffre e che ha... ha bisogno. La più somara delle schiave ha il permesso di spogliarsi?”.
Leòn: “No, non puoi: ci sono serpenti, te l’ho detto”. Resto in silenzio, poi:
Io: “Il mio signore può concedere alla schiava più ribelle di provare a dargli piacere con la bocca e le mani?”.
Leòn: “Tu... mi farai impazzire… Sì, la mia schiava può provare… ma solo se poi starà di guardia, con il binocolo, accanto ad Ase, fino al mio risveglio”. Si abbassa i pantaloni dei jeans: il suo uccellone fa paura per quanto è gonfio, ma è anche superbamente bello.
Io: “Io... ti... amo…”. Mi sollevo, mi pulisco il viso dalla sabbia con le manine e la manica della camicia da cow boy (cow girl).
Avvicino svelta il viso, provo a leccarlo... ma è troppo lungo e largo e non ho abbastanza saliva. Apro le labbra più che posso, cerco di avvolgere la cappella, grande come una pesca. È impossibile fargli un bocchino come si deve. Lecco dall’interno, deve inumidirsi altrimenti non riuscirò a far niente di utile. Non dovrei, ma mi aiuto con le mani: avvolgo delicata il tronco, con due mani riesco a muoverglielo su e giù. Lui geme, dolcemente. Riprovo con la bocca e ... ce la faccio! La cappella del mio padrone è nella mia bocca e mi deforma il viso, ma io cerco i suoi occhi: i miei sono verdissimi e sprizzano gioia. Lui geme di nuovo e io... miagolo. Succhio solo la punta, di più non riesco ad accoglierne, e muovo le mani lentamente, facendo su e giù con il suo tronco. Geme ancora, più forte. E io miagolo più a lungo… Succhio con più passione accelero il movimento delle mani… e sento che la puntona dà i colpetti che precedono lo spruzzo…. e godo, vengo con un orgasmo potente, l’orgasmo della schiava somara e pentita. E lui spruzza, una quantità di seme importante, che mando giù svelta, pena il soffocare.
Io: “Grazie, mio signore”, e lui sta già chiudendo gli occhi, stremato, ma con un dolcissimo sorriso.
Sono le 18, il sole comincia a tramontare e Leòn ha messo una elegante sella da signora a Sumisa, la cavallina bianca. A me sembra gigantesca perché sono piccola: ma paragonata a Trueno, anche la cavallina è piccola! È tanto carina e buona, Leòn mi ha dato degli zuccherini per fare amicizia e mi ha raccomandato tanto di parlarle. Salgo e son seduta con le gambe che cadono sulla sinistra. La patata e il sedere mi fanno ancora un po’ male, ma – secondo Leòn – questa sella è speciale e mi aiuterà a non sentire i contraccolpi. Mangiamo carne secca e pastelle essiccate, acqua ne abbiamo, anche per i cavalli e il cane. È buio e…
si va!
Mi spiega che faremo un lungo giro in tondo, per tornare vicino alla fortezza: le saline di La Galera, la Estancia del Puma, poi torneremo al fiume. Due ore di piccolo trotto, una sosta di 10 minuti e poi di nuovo al trotto.
È l’alba di domenica 9 dicembre: ecco il Rio Colorado! Andiamo al passo finché vediamo davanti un’isola al centro del fiume, Leòn scruta le acque, poi: “Di qua, proviamo a passare di qua!”. Attraversiamo sul guado che ha trovato e siamo nell’isoletta: è abbastanza grande e ha persino degli alberi, così da nasconderci tutti. Leòn ispeziona tutto e ci accampiamo, si dorme anche se è giorno: Ase fa la guardia e vedrà e avvertirà subito se qualcuno arriva. Ci risvegliamo verso l’una: mi sento bene, lo dico a Leòn, lui mi sorride e mi fa: “Hai visto Trueno? Sta corteggiando la tua cavallina… sembriamo tu ed io, anche Sumisa è bellissima”.
Guardo nella direzione che mi indica, ed effettivamente è come ha detto. C’è da aggiungere che anche Trueno è molto gentile, pur essendo quasi due volte Sumisa.
Leòn: “Se non hai mai visto come fanno l’amore i cavalli preparati, fa impressione e, di solito, le ragazze rimangono turbate. Ma se non vuoi vederlo, spostiamoci”.
Io: “Ma le farà male? Farà piangere Sumisa?”
Leòn: “No, non è come per gli umani. Le farà bene... vedi che lei sta accettando Trueno?”
Io: “Mio signore, posso starle vicino?”. Mi accoccolo vicino a lui.
Consiglio alle lettrici di NON cercare su youtube i video dell’accoppiamento di cavalli perché turbano moltissimo. Ecco cosa succede: dapprima Sumisa scalcia un pochino, ma Trueno le si struscia contro… le gira attorno e lei si calma. Trueno va quindi ad annusarla dietro, tra le gambe: lei si ferma, come per offrirsi e… in pochissimi secondi da sotto la pancia di Trueno, dove c’era un uccellotto moscio, spunta un uccellone enorme, molto più grande di quello del mio Leòn. A quel punto, Trueno si alza sulle gambe posteriori e posa le anteriori sul dorso di Sumisa, come tenerla ferma. Lei nitrisce un po’, quasi avesse paura, ma resta immobile. Trueno si mette a spingere, sbagliando la mira. Ma quando trova il posto giusto, spinge dentro con forza tutto, entra TUTTO! e fa 7/8 affondi. Poi esce. È tutto già finito. Dalla vagina di Sumisa esce uno scroscio di seme equino.
Mi sono bagnata a descriverlo, vi lascio immaginare come stavo quando l’ho visto dal vero: rossa in viso, mi mordo un labbro, sono bagnatissima: “Mio signore, io… cioè…”, mi blocco, non riesco a dirglielo, una schiava pudica non chiede. Ma anche a Leòn ha fatto effetto lo spettacolo e ha un’erezione importante che, come al solito, gli esce dai jeans e finisce sopra l’ombelico: lui capisce quanto mi ha turbata e sa che non sta bene che sia io a chiederglielo.
Leòn: “Non giudicarti, la tua reazione è normale, succede quasi tutte… è successo anche a me, lo vedi?” faccio di sì con la testa, è così bello il suo cosone… poi trovo la soluzione!
Io: “Mio signore, il flusso mensile della sua schiava è al penultimo giorno… e credo che si sia un po’... abituata alle sue dimensioni e non ha più i dolorini interni …”.
Lui ride e spiega: “Il tuo pudore è meraviglioso, sei dolcissima… e io…farò come Trueno!”
Siamo accampati in uno spazio tre le piante dell’isolotto, lui si sta già spogliando e mette in mostra il suo vello nero che mi attrae così tanto. Io sveltissima, mi tolgo maglioni, camicia e mi abbasso i jeans fino alle ginocchia mettendomi a quattro zampe e gli chiedo: “E io sono carina quanto Sumisa? Il mio signore mi gradisce anche mezza vestita?”.
Leòn: “Con i jeans abbassati non ti avevo ancora vista… sei da urlo!”. Lo guardo con la coda dell’occhio: mamma quanto lo ha grande e grosso!
Resto ferma come la mia cavallina e il grande gorilla mi viene dietro, mi controlla la lubrificazione subito mette le manone sulle spalle, spingendomi il viso verso il basso. Ne sento la puntona che si appoggia: è bollente. Spinge piano, pianissimo: “Se ti faccio male dillo subito, non fare l’eroina…”. Rispondo solo: “Io... ti... amo…”.
Spinge ancora, entra senza problemi. E ancora. Ancora e… godo! Mamma mia, che orgasmoni mi provoca il mio padrone!
A vedermi godere subito come sempre, cerca di resistere. Vuole provare a vedere se riesco ad accoglierlo anche così, oppure se ho detto bugie. Mi sento dilatata, i muscoli vaginali interni tesi, mi sento piena… ma non sento i dolori di prima. E lui spinge. Stringe i denti per non godere, muggisce per contenersi. E spinge ancora un po’ dentro, finché… ne sento la cappellona che preme senza più riuscire ad avanzare: ne ho accolto tutto quello che potevo! Ce l’abbiamo fatta! Godo di nuovo, anche per la gioia di essere riuscita a servire il mio padrone come merita!
Lui sta fermo, forse si gode la prima volta che possiede una donna così profondamente e senza farle male. Si calma, riprende il suo lento avanti e dietro. Solo un altro “Sei meravigliosa… è bellissimo…” prima che mi spruzzi tutto e di più, dentro, fino in fondo.
Mi affloscio per terra, un sorriso sul viso… dopo un attimo dormo.
Trascorriamo così i 5 giorni che mancano: torneremo venerdì 14. Facciamo l’amore spesso, come minimo mi cerca tre volte ogni giorno, ma è sempre delicatissimo, ha come il terrore di lacerarmi: mai sazi l’uno dell’altra, mi abituo sempre più.
Mi parla di questa terra, del mare che è “solo” a 150 km – “devi assolutamente vederlo!” -, delle spiagge di nudisti vicino a Bahia Blanca, di animali selvaggi.
Si sta avvicinando il giorno del suo attacco alla Fortezza e fa il bilancio del mio trasferimento in Argentina: sono lì da domenica 2 dicembre ed è martedì 11: sono in Argentina da 9 giorni, mi hanno posseduta 20 uomini, ho visitato una fortezza, la prateria di notte e ora sono 3 giorni che sono nascosta su un isolotto: nient’altro. “Mi dispiace tanto Elle, avevo immaginato una luna di miele con tante cose da farti vedere, tanti posti bellissimi e selvaggi… e invece abbiamo fatto una luna di miele di m…!”.
Io: “Mio signore, ma io, adesso, sono tua moglie… e, mi tieni a servirti. Mi hai detto ‘per sempre’ e presentato a tua mamma e a tuo papà. Sono la prima che possiedi a fondo. Mi ami con passione, tante volte ogni giorno… non potrei essere più felice. I miei giorni qui sono stati quelli in cui si sono avverati i miei sogni”.
Continua
Io: “Leòn, amore… cioè… mi scusi… mio signore, buon giorno”. Si volta, sorride, si rialza.
Leòn: “Buongiorno amore mio... hai dormito 14 ore, come ti senti?”.
Io: “I dolori nelle parti basse sono sopportabili. Intontita, ma meno dei giorni scorsi… sto connettendo: ha fame? Come posso servirla?”.
Leòn: “Puoi servirmi così, aspetta”, mi si avvicina e mi bacia in modo dolcissimo, prima sfiorandomi le labbra, poi lingua in bocca: mi sento svenire, mi sciolgo, subito miagolo.
Lui: “Calmati… Adesso proprio non possiamo, come prevedevo due della comunità sono sulle nostre tracce. Tra poco saranno qui. Ci siamo allontanati di circa 50 km dalla fortezza. Siamo in un sopralzo della prateria. Con il buio ci sposteremo e, dovrai provare ad andare a cavallo da sola. A proposito, ti presento i nostri compagni: il grande cavallo nero è Trueno, il mio cavallo: ti proteggerà da serpenti e altre bestie velenose. La cavallina bianca doveva essere uno dei miei regali di nozze per te, ma me l’hanno impedito… e io l’ho ripresa! Si chiama Sumisa, è molto mansueta e vedrai che ti sarà facile imparare a cavalcare. L’altro cavallo è Burro, è un cavallo da trasporto. Adesso, importante, il cane: questo cane si chiama Ase, che sta per assassino (asesino). È un cane pericoloso, ha già lottato con un puma ed è rimasto vivo. Vive solo, non obbedisce a nessuno e non ha mai legato con altri che con me: mi raccomando non guardarlo negli occhi, non accarezzarlo né dargli cibo. Ignoralo, fai come se non ci fosse: deciderà lui se fare amicizia e quando. Ultima avvertenza: quando uscirai dal sacco a pelo scoprirai che ti ho vestita: devi restare vestita e, anzi, mettere i guanti grossi come i miei: Anzoategui non è un posto per turisti ed è pieno di pericoli: ubbidiscimi! Ora devo andare, non guardare cosa farò: se hai fame c’è carne essiccata e pagnotelle nello zaino. Torno prima possibile”.
Il mio amore cambia espressione… si concentra, adesso fa paura, alza la sinistra col pugno chiuso al cielo. Si toglie la casacca della mimetica: il corpo è coperto dal suo pelo nero, lungo, ovunque: mamma quanto mi piace quel pelo! Glielo leccherei tutto!
Esce dalla fenditura dove siamo: fucile, revolver, pugnale e il terribile dogo Ase che trotta al suo fianco. Col cavolo che non lo guardo! Afferro il binocolo e mi sdraio dove era lui prima. Il mio amore è quasi invisibile: il suo folto pelame nero lo confonde con la vegetazione bassa della prateria. Trotta in silenzio… si ferma un attimo, imbraccia il fucile e... baam! Si rialza, non trotta più ma corre velocissimo, ha solo un gran pugnale in mano... fa un grande salto, sembra volare… e atterra sulla gola di uno che, fino a poche era prima, considerava un fratello.
È tutto finito. Anzi no. Perché ora vedo l’orrore: il mio dolce Leòn… taglia la testa ai due suoi ex fratelli, ne carica i cadaveri sui loro cavalli, appende le due teste alle selle e, con un forte ceffone, li rimanda indietro alla fortezza. Trema, da solo, tra le erbe della prateria. Si butta faccia a terra nel terriccio sabbioso, lo spaventoso dogo gli sale sulla schiena e vigila ogni cosa guardandosi attorno. Dopo qualche minuto, si calma, ha smesso di piangere e singhiozzare, si rialza, guarda nella mia direzione, poi china il capo.
Con movimenti lenti raccoglie le proprie armi e le altre cose: sembra stanchissimo. Si avvia verso di me, pian piano riprende quel modo di correre al trotto.
Leòn: “Ho visto che mi guardavi, non dovevi farlo, ora avrai paura di me. Posso solo dire che quel che ho fatto è stato per te e solo per te. Adesso capiranno cosa succede a seguirci e avranno paura anche solo di toccarti. Ma, se vuoi lasciarmi, ti consiglio di aspettare che il mio piano abbia successo, basteranno 4-5 giorni”.
Ha detto: per me. Tutto per me. Solo ora capisco che ha rotto con tutto il suo passato, con i genitori, con la sua stessa vita… per me.
Ho dubitato del suo amore solo per un attimo, ma ho dubitato. E non so come chiedergli il perdono. Mi distendo a terra davanti a lui, piango in silenzio. Finalmente con la mia vocina da bimba buona, riesco a sussurrargli: “Mio signore, la schiava più stupida e cattiva del mondo le chiede di essere punita”.
Lui rialza lo sguardo, sembra sorpreso, il suo viso si distende... “Guardando hai disubbidito, ma non basta per punirti. Io ti assicuro che non c’era altro modo, se mi vuoi un po’ bene devi credermi… le leggi della nostra fratellanza sono durissime per chi ha fatto quel che io ho fatto per te”.
Io: “Puniscimi mio signore, non mi merito il tuo amore”. Avanzo strisciando nella sabbia fino a stare tra le sue gambe lunghe e forti. Il grosso dogo ringhia, sottovoce. Me ne frego, ho dubitato e merito di morire, resto immobile e distesa al suo cospetto, affondo il viso nella sabbia, riesco solo a ripetere: “Perdono… perdono…”.
Leòn: “Ti devo far capire, perché tu hai visto solo castigliani e catalani. Il nostro socialismo è antico, perché viene da molto lontano: alcuni dicono dalla Bulgaria di mille anni fa. Altri sostengono che le nostre comunità sono state fondate molto prima, dal profeta Mani. Nella storia, ogni nostra comunità, appena veniva identificata dall’autorità, veniva attaccata. Il gruppo catalano che hai visto nella fortezza deriva dalla Provenza francese. Mio padre viene da quel gruppo e si chiama semplicemente Gonzalo: Bogumil è un titolo onorifico. Non so nemmeno se sia davvero mio padre: hai visto che solo a una donna all’anno è permesso di procreare e viene fecondata da tutti i membri. Il nostro modo di vivere provoca sempre l’attacco dell’autorità, perché rifiutiamo ogni legge e autorità, condividiamo mogli e cose, mettiamo tutto in comune”.
Io ho capito poco, ma qualcosa sto capendo: tante tessere del mosaico vanno a posto. E, dal giorno in cui mi hanno accettata, tanti piccoli particolari acquistano significato. Lui fa per continuare: “Il piano è semplice: se manco dal tableu de bord per cinque giorni, tutti gli affari e attività di tutte le comunità del mondo andranno a catafascio... solo qui, ad Anzoategui, abbiamo 400.000 capi di bestiame ma, se non sono io a venderli saranno venduti sottocosto e così via. Al quinto giorno torneremo e se…”.
Lo interrompo, come mai dovrebbe fare una come me: “Leòn, mio signore, il tuo amore. Non mi importa più di vivere, mi importa solo del tuo amore”.
Lui tace. Respira profondamente, si calma. Due grandi manone mi sollevano per le ascelle, sono in braccio a lui: “Elle, ma io cosa ho fatto per meritarti?”.
Io piango in silenzio contro la sua spalla, felice del perdono, pentita d’aver disubbito e dubitato.
Leòn: “Sono sfinito… devo dormire prima del buio… ma guarda come mi hai ridotto... guarda cosa mi succede quando ti avvicini a me” [è di nuovo in erezione].
Io: “Sto sentendo mio signore, capisco che lei soffre e che ha... ha bisogno. La più somara delle schiave ha il permesso di spogliarsi?”.
Leòn: “No, non puoi: ci sono serpenti, te l’ho detto”. Resto in silenzio, poi:
Io: “Il mio signore può concedere alla schiava più ribelle di provare a dargli piacere con la bocca e le mani?”.
Leòn: “Tu... mi farai impazzire… Sì, la mia schiava può provare… ma solo se poi starà di guardia, con il binocolo, accanto ad Ase, fino al mio risveglio”. Si abbassa i pantaloni dei jeans: il suo uccellone fa paura per quanto è gonfio, ma è anche superbamente bello.
Io: “Io... ti... amo…”. Mi sollevo, mi pulisco il viso dalla sabbia con le manine e la manica della camicia da cow boy (cow girl).
Avvicino svelta il viso, provo a leccarlo... ma è troppo lungo e largo e non ho abbastanza saliva. Apro le labbra più che posso, cerco di avvolgere la cappella, grande come una pesca. È impossibile fargli un bocchino come si deve. Lecco dall’interno, deve inumidirsi altrimenti non riuscirò a far niente di utile. Non dovrei, ma mi aiuto con le mani: avvolgo delicata il tronco, con due mani riesco a muoverglielo su e giù. Lui geme, dolcemente. Riprovo con la bocca e ... ce la faccio! La cappella del mio padrone è nella mia bocca e mi deforma il viso, ma io cerco i suoi occhi: i miei sono verdissimi e sprizzano gioia. Lui geme di nuovo e io... miagolo. Succhio solo la punta, di più non riesco ad accoglierne, e muovo le mani lentamente, facendo su e giù con il suo tronco. Geme ancora, più forte. E io miagolo più a lungo… Succhio con più passione accelero il movimento delle mani… e sento che la puntona dà i colpetti che precedono lo spruzzo…. e godo, vengo con un orgasmo potente, l’orgasmo della schiava somara e pentita. E lui spruzza, una quantità di seme importante, che mando giù svelta, pena il soffocare.
Io: “Grazie, mio signore”, e lui sta già chiudendo gli occhi, stremato, ma con un dolcissimo sorriso.
Sono le 18, il sole comincia a tramontare e Leòn ha messo una elegante sella da signora a Sumisa, la cavallina bianca. A me sembra gigantesca perché sono piccola: ma paragonata a Trueno, anche la cavallina è piccola! È tanto carina e buona, Leòn mi ha dato degli zuccherini per fare amicizia e mi ha raccomandato tanto di parlarle. Salgo e son seduta con le gambe che cadono sulla sinistra. La patata e il sedere mi fanno ancora un po’ male, ma – secondo Leòn – questa sella è speciale e mi aiuterà a non sentire i contraccolpi. Mangiamo carne secca e pastelle essiccate, acqua ne abbiamo, anche per i cavalli e il cane. È buio e…
si va!
Mi spiega che faremo un lungo giro in tondo, per tornare vicino alla fortezza: le saline di La Galera, la Estancia del Puma, poi torneremo al fiume. Due ore di piccolo trotto, una sosta di 10 minuti e poi di nuovo al trotto.
È l’alba di domenica 9 dicembre: ecco il Rio Colorado! Andiamo al passo finché vediamo davanti un’isola al centro del fiume, Leòn scruta le acque, poi: “Di qua, proviamo a passare di qua!”. Attraversiamo sul guado che ha trovato e siamo nell’isoletta: è abbastanza grande e ha persino degli alberi, così da nasconderci tutti. Leòn ispeziona tutto e ci accampiamo, si dorme anche se è giorno: Ase fa la guardia e vedrà e avvertirà subito se qualcuno arriva. Ci risvegliamo verso l’una: mi sento bene, lo dico a Leòn, lui mi sorride e mi fa: “Hai visto Trueno? Sta corteggiando la tua cavallina… sembriamo tu ed io, anche Sumisa è bellissima”.
Guardo nella direzione che mi indica, ed effettivamente è come ha detto. C’è da aggiungere che anche Trueno è molto gentile, pur essendo quasi due volte Sumisa.
Leòn: “Se non hai mai visto come fanno l’amore i cavalli preparati, fa impressione e, di solito, le ragazze rimangono turbate. Ma se non vuoi vederlo, spostiamoci”.
Io: “Ma le farà male? Farà piangere Sumisa?”
Leòn: “No, non è come per gli umani. Le farà bene... vedi che lei sta accettando Trueno?”
Io: “Mio signore, posso starle vicino?”. Mi accoccolo vicino a lui.
Consiglio alle lettrici di NON cercare su youtube i video dell’accoppiamento di cavalli perché turbano moltissimo. Ecco cosa succede: dapprima Sumisa scalcia un pochino, ma Trueno le si struscia contro… le gira attorno e lei si calma. Trueno va quindi ad annusarla dietro, tra le gambe: lei si ferma, come per offrirsi e… in pochissimi secondi da sotto la pancia di Trueno, dove c’era un uccellotto moscio, spunta un uccellone enorme, molto più grande di quello del mio Leòn. A quel punto, Trueno si alza sulle gambe posteriori e posa le anteriori sul dorso di Sumisa, come tenerla ferma. Lei nitrisce un po’, quasi avesse paura, ma resta immobile. Trueno si mette a spingere, sbagliando la mira. Ma quando trova il posto giusto, spinge dentro con forza tutto, entra TUTTO! e fa 7/8 affondi. Poi esce. È tutto già finito. Dalla vagina di Sumisa esce uno scroscio di seme equino.
Mi sono bagnata a descriverlo, vi lascio immaginare come stavo quando l’ho visto dal vero: rossa in viso, mi mordo un labbro, sono bagnatissima: “Mio signore, io… cioè…”, mi blocco, non riesco a dirglielo, una schiava pudica non chiede. Ma anche a Leòn ha fatto effetto lo spettacolo e ha un’erezione importante che, come al solito, gli esce dai jeans e finisce sopra l’ombelico: lui capisce quanto mi ha turbata e sa che non sta bene che sia io a chiederglielo.
Leòn: “Non giudicarti, la tua reazione è normale, succede quasi tutte… è successo anche a me, lo vedi?” faccio di sì con la testa, è così bello il suo cosone… poi trovo la soluzione!
Io: “Mio signore, il flusso mensile della sua schiava è al penultimo giorno… e credo che si sia un po’... abituata alle sue dimensioni e non ha più i dolorini interni …”.
Lui ride e spiega: “Il tuo pudore è meraviglioso, sei dolcissima… e io…farò come Trueno!”
Siamo accampati in uno spazio tre le piante dell’isolotto, lui si sta già spogliando e mette in mostra il suo vello nero che mi attrae così tanto. Io sveltissima, mi tolgo maglioni, camicia e mi abbasso i jeans fino alle ginocchia mettendomi a quattro zampe e gli chiedo: “E io sono carina quanto Sumisa? Il mio signore mi gradisce anche mezza vestita?”.
Leòn: “Con i jeans abbassati non ti avevo ancora vista… sei da urlo!”. Lo guardo con la coda dell’occhio: mamma quanto lo ha grande e grosso!
Resto ferma come la mia cavallina e il grande gorilla mi viene dietro, mi controlla la lubrificazione subito mette le manone sulle spalle, spingendomi il viso verso il basso. Ne sento la puntona che si appoggia: è bollente. Spinge piano, pianissimo: “Se ti faccio male dillo subito, non fare l’eroina…”. Rispondo solo: “Io... ti... amo…”.
Spinge ancora, entra senza problemi. E ancora. Ancora e… godo! Mamma mia, che orgasmoni mi provoca il mio padrone!
A vedermi godere subito come sempre, cerca di resistere. Vuole provare a vedere se riesco ad accoglierlo anche così, oppure se ho detto bugie. Mi sento dilatata, i muscoli vaginali interni tesi, mi sento piena… ma non sento i dolori di prima. E lui spinge. Stringe i denti per non godere, muggisce per contenersi. E spinge ancora un po’ dentro, finché… ne sento la cappellona che preme senza più riuscire ad avanzare: ne ho accolto tutto quello che potevo! Ce l’abbiamo fatta! Godo di nuovo, anche per la gioia di essere riuscita a servire il mio padrone come merita!
Lui sta fermo, forse si gode la prima volta che possiede una donna così profondamente e senza farle male. Si calma, riprende il suo lento avanti e dietro. Solo un altro “Sei meravigliosa… è bellissimo…” prima che mi spruzzi tutto e di più, dentro, fino in fondo.
Mi affloscio per terra, un sorriso sul viso… dopo un attimo dormo.
Trascorriamo così i 5 giorni che mancano: torneremo venerdì 14. Facciamo l’amore spesso, come minimo mi cerca tre volte ogni giorno, ma è sempre delicatissimo, ha come il terrore di lacerarmi: mai sazi l’uno dell’altra, mi abituo sempre più.
Mi parla di questa terra, del mare che è “solo” a 150 km – “devi assolutamente vederlo!” -, delle spiagge di nudisti vicino a Bahia Blanca, di animali selvaggi.
Si sta avvicinando il giorno del suo attacco alla Fortezza e fa il bilancio del mio trasferimento in Argentina: sono lì da domenica 2 dicembre ed è martedì 11: sono in Argentina da 9 giorni, mi hanno posseduta 20 uomini, ho visitato una fortezza, la prateria di notte e ora sono 3 giorni che sono nascosta su un isolotto: nient’altro. “Mi dispiace tanto Elle, avevo immaginato una luna di miele con tante cose da farti vedere, tanti posti bellissimi e selvaggi… e invece abbiamo fatto una luna di miele di m…!”.
Io: “Mio signore, ma io, adesso, sono tua moglie… e, mi tieni a servirti. Mi hai detto ‘per sempre’ e presentato a tua mamma e a tuo papà. Sono la prima che possiedi a fondo. Mi ami con passione, tante volte ogni giorno… non potrei essere più felice. I miei giorni qui sono stati quelli in cui si sono avverati i miei sogni”.
Continua
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
L’s story. Capitolo 42. Nuvole nere all’orizzonteracconto sucessivo
L’s story. Capitolo 44. Resa
Commenti dei lettori al racconto erotico