La terribile Famiglia 4 - La Favorita
di
Fenice
genere
incesti
Il risveglio di Amerigo, il mio bisnonno, fu da solo nel grande letto padronale, Evelina sua moglie si era già alzata. Camino spento e tendaggi ancora tirati, la camera conservava ancora gli odori della notte, i ricordi divennero sempre più chiari e piacevoli. Evelina, dopo pochi minuti lo raggiunse accompagnata da una serva che reggeva il vassoio della abbondante colazione. Questa provvide ad aprire le tende e la finestra, il sole era tiepido e subito l’aria della grande camera si rinfrescò di vita e di colori. Il pensiero di Elenuccia e del sogno che aveva fatto, momento di dejavu con una donna del passato molto somigliante a Elenuccia, lo tormentavano.
« Evelina, la ragazza di questa notte, Elenuccia, da dove viene?»
« Elenuccia proviene dal podere che confina con il nostro.»
« Come è finita qui?»
« Anni fa, una serva rimasta gravida di un Signore della zona, venne da me e mi chiese di prendere la sua bastarda appena fosse cresciuta abbastanza da esserci utile a servizio. Lei l’avrebbe addestrata a modo per diventare un vero aiuto nella casa. Io le promisi che se fosse stata di bell’aspetto lo avrei fatto. Eccola qui.» Amerigo teneva gli occhi fissi sulla moglie per studiare le sue espressioni. Quello che lei diceva, poteva spiegare molte cose.
« Perché mai il proprietario del podere avrebbe dovuto sobbarcarsi i costi di una bocca bastarda da sfamare per anni… mi domando?»
« La serva sua madre disse al Padrone che la gravidanza era di lui, che era rimasta incinta del suo seme. La donna è la Favorita, la serva amante del Signore del podere qui accanto. Le sue terre confinano con le tue. Così la bastardina sarebbe stata protetta da lei e dal suo illegittimo padre dalle attenzioni dei servi maschi. Sarebbe cresciuta istruita e sana per consegnarla a noi, il padre presunto era felice di allontanarla dalle grinfie della moglie legittima e chiese di avere in cambio il puledro bianco che era stato svezzato e che ora è suo.»
Amerigo si fece cupo.
Piano piano i ricordi di quell’incontro anni prima, con una donna, una donna che aveva superato il confine tra le due proprietà e che aveva detto di essere la serva personale del Padrone, divenne sempre più chiaro. Ricordava di averla vista camminare e raccogliere erbe e radici e di essersi incuriosito perché sapeva che non era una serva della sua casa. Ricordava la sua avvenenza, sottile ma tornita, pelle bianca ma in salute. Capelli lunghi a treccia raccolta sulla testa e sotto un grande cappello campestre. Ricordava di averle chiesto cosa facesse lì e che lei, dopo averlo ammirato nel suo vigore giovanile vestito con la sua tenuta di caccia, avesse risposto che non si era accorta di aver superato il confine. Lui si era avvicinato a grandi passi verso di lei e la aveva afferrata spiegando che adesso, sul suo terreno, era lui il Padrone e che le avrebbe mostrato come si trattano le serve distratte. L’aveva presa lì, sull’erba pensando a un diversivo piacevole e inaspettato aspetto della giornata. Lei aveva lottato un po per liberarsi poi con qualche colpo ben assestato lui l’aveva domata. La donna lo aveva accolto dentro di lei e aveva cominciato a partecipare all’amplesso in un modo che Amerigo non avrebbe facilmente dimenticato. I muscoli della vagina stringevano il suo membro così forte da farlo sentire imprigionato. Li contraeva e li rilassava. Amerigo era fermo, immobile, da cacciatore a preda di quella palude, strizzato dalle sabbie mobili che esigenti lo succhiavano senza dargli modo di difendersi. La donna era messa a carponi e muoveva leggermente il bacino accompagnando le contrazioni dei suoi forti muscoli pelvici. L’orgasmo arrivò lento e potente, gli arrivò dalle caviglie e lo face svuotando dentro la donna tutto il seme che poteva. Alla fine la donna sparì agile come una gazzella, senza una parola, senza un gesto. Amerigo impoverito si accasciò a terra e si addormentò per qualche minuto prima di ricomporsi e tornare a casa.
« Quindi Elenuccia è figlia di un Signore della zona?»
« Sì», disse Evelina che stava per riportare il vassoio della colazione e che si era alzata per uscire dalla stanza, « di un Signore della zona che, guarda caso, ha il tuo stesso colore di occhi.»
Le ultime parole lo colpirono come un vento gelido. Evelina sua moglie aveva capito che la servetta che la notte prima gli aveva messo nel letto era stata generata da lui. Che era frutto del suo seme come Giovanni, Anna e Maria, i loro tre figli.
Evelina era appena uscita dalla camera quando Amerigo abbassò le coperte per alzarsi. Vide le macchie di sangue sul lenzuolo a testimoniare che la verginità di Elenuccia era costata dolore e forza. Ricordò di come lei lo avesse succhiato con i muscoli della sua vagina, arte evidentemente tramandata dalla madre e di come lui avesse goduto, frastornato da quella pratica che tanto piacere gli procurava. Evelina sapeva che lui era il genitore e lo aveva indotto all’incesto. Pensò ad Anna e a Maria, a Giovanni che quel giorno avrebbe condotto al capanno di caccia accompagnato da padre Luigi. Sentì che molta vita e molto sangue avrebbe ancora visto su quel letto. Pensò che era tempo di alzarsi e cominciare quel nuovo promettente giorno. Decise di fare un regalo a sua moglie Evelina che si era mostrata, se non la migliore amante, ma la migliore delle mogli. Si lavò rapido, inforcò le braghe, vi infilò a fatica la sua erezione mattutina dentro e uscì.
Giovanni era già pronto quando, nel pomeriggio, il Amerigo e don Luigi lo accompagnarono al capanno. Lungo la strada lui ascoltava i loro discorsi che sembravano ignorarlo. Parlavano di pratiche confessate a don Luigi durante la confessione e di come lui provvedesse a diffondere assoluzioni e penitenze. Giovanni sapeva di cosa parlassero perché alcune di quelle pratiche le conosceva bene. Non aveva mai avuto una donna ma ne desiderava ardentemente una in particolare. Una servetta delle cucine, una nuova arrivata da poco, si chiamava Elenuccia. Era lei che lui nell’immaginario possedeva mentre tormentato dal richiamo del suo pene, si scappellava e di toccava nel privato della sua camera. Quella pratica gli era stata proibita e mai suo padre avrebbe dovuto sapere che lui gli disobbediva.
Giovanni provava inquietudine intravedendo il capanno a distanza. La presenza di don Luigi e il ricordo di come questi, durante le sedute di «la lettura dei meriti e la correzione dei demeriti», spesse usare gli strumenti per la punizione carnale con dovizia, era ben chiaro nella sua mente.
Abbondanti volte li aveva sperimentati. In genere era suo padre che dopo averlo fatto posizionare ben aperto e ripiegato sulla poltrona, cominciava a leggere quanti colpi dovesse ricevere e con quale strumento. In base ai demeriti accumulati veniva emessa la sentenza, lui avrebbe detto che accettava la correzione e avrebbe atteso il primo, sempre molto doloroso colpo. Don Luigi, alla fine aggiungeva sempre ulteriori colpi di giunco al fine di purificare le anime, e li mirava tra la fessura dei due globi tumefatti e sui suoi testicoli. Giovanni che sapeva di avere commesso più peccati di quelli che gli venivano attribuiti, divaricava sempre bene le gambe per permettere al giunco di sferzare liberamente quelle parti così frequentate dalla sua mano. Una erezione crescente faceva spinta sul tessuto damascato della poltrona e in genere, lui ne era certo, don Luigi la se ne accorgeva e colpiva con ancora migliore mira le parti più sensibili.
Mai il padre Amerigo o la madre Evelina che assistevano in prima fila sono intervenuti a suo favore. Neanche quando da più giovane gemeva e piangeva chiedendo aiuto. Il padre a volte si avvicinava e passava la pesante mano sulla pelle dei glutei arrossata, magari assestando qualche sculaccione, ma mai per fermare l’aguzzino. Giovanni era certo, quelle sedute correttive eccitavano tutti i presenti ed erano intrattenimento erotico per tutta la sua terribile Famiglia. La sola cosa che lo consolava era che per certo, un giorno dopo sposato, sarebbe stato lui ad assistere e a elargire la giusta punizione a chi la meritasse. Si sarebbe tramandato tutto di padre in figlio.
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