Eppure è mio figlio
di
Aldobrando
genere
etero
Chiude gli occhi e ansima solo leggermente, non è una che gridi e faccia scene; sento che stringe le chiappe, mi avvolge con le cosce atletiche, quasi mi blocca. Sta per venire, sicuro. Non mi vanto di essere uno stallone, su questo troppi illusi ci sono in giro. Però ho saputo dalle sue amiche cosa fa quando viene davvero e adesso sono certo che fa sul serio. Infatti viene, poi apre gli occhi e mi guarda:
- Dai, fammi vedere l'idrante, mi dice.
Accelero i colpi, poi mi sollevo, lo tiro fuori e le sborro addosso. Di solito faccio almeno sette-otto getti, stavolta è una settimana che non scopiamo e non mi sego e arrivo a dodici. Coi primi fortissimi, dalla figa le arrivo facilmente in faccia. Potrei anche andare oltre, fin sulla testiera del letto: una volta l'ho fatto, si è incazzata moltissimo perché è di stoffa e restano le macchie. Così mi controllo e le centro la faccia più volte, poi scendo sulle tette e sulla pancia, gli ultimi schizzi sul pelo della figa.
Prende la pillola, potrei restare dentro. E infatti le altre due o tre che farò adesso le resterò dentro; lo tiro fuori per lei, le piace molto sentirsi schizzare addosso la tantissima sborra che faccio. Se la spalma sul viso, sulle tette, sulla pancia, fin sulle cosce. La lascia seccare, poi la lava via con una doccia quando abbiamo finito. Dice che è come una crema di bellezza.
- Ci vorresti per Stefania, mi dice seria mentre lo prende in mano e comincia a segarmelo per ricominciare.
Stefania è sua sorella, ha due anni più di lei quindi la mia età esatta. Eravamo compagni alle elementari, alle medie e i primi due anni all'istituto tecnico. Unica ragazza in una classe di ventotto maschi quattordicenni, ragazzi ignoranti di paese, segaioli pieni di ormoni quando la figa la vedevi solo ogni tanto sui giornali porno. Le palpate a Stefania erano quotidiane. Soprattutto giù nell'officina: quando entrava nello spogliatoio a mettere il grembiule da meccanico nell'armadietto c'era sempre qualcuno che spegneva la luce e poi le si buttavano addosso in quattro o cinque. Se avessimo avuto vent'anni, sarebbe stata violentata ogni settimana; ne avevamo quattordici ed era un'altra epoca: ci bastava una palpata di tette e una mano sulla figa per segarci un mese. Ogni tanto ci provava anche Scrauso, il tecnico dell'officina. Una scimmia semianalfabeta trentacinquenne, che aveva comprato il diploma a forza di caciotte e salami regalati ai professori in qualche scuola privata giù in Calabria. La inseguiva fra i tavoli da lavoro, mentre noi ridevamo e lei fuggiva impaurita. Poi, più per disprezzo verso di lui che per compassione per lei, c'era sempre qualcuno che gli faceva lo sgambetto da dietro o gli buttava fra i piedi uno straccio fradicio d'olio di macchina. Lui volava per terra fra le nostre risate e lei si metteva in salvo su in aula. La scuola di allora faceva alla svelta a ripulire le classi dagli animali: a giugno un terzo della classe venne bocciato e l'anno dopo gli assalti e le palpate si fecero meno frequenti.
Io non la toccai mai, ma sinceramente non fu per rispetto: ero un ragazzo ciccione e brufoloso, timido e complessato. Semplicemente non mi azzardavo, tutto qui. Comunque ero uno dei pochi ai quali dava un po' di confidenza e di fiducia. In seconda venne bocciata e ci perdemmo di vista: seppi che lasciò la scuola, trovò lavoro e qualche anno fa si sposò.
Qui veniamo al motivo del commento di sua sorella: Stefania non riesce ad avere figli, perché lo sperma di suo marito praticamente non contiene spermatozoi. E' un po' di volte che quando scopiamo mi tira fuori questa faccenda; finora l'ho presa un po' come una battuta, un po' come un complimento. Diventa però sempre più seria ogni volta e comincia anche a fare dei discorsi un po' strani. Adesso mi è tornato duro, le salgo sopra e la scopo di nuovo. Stavolta non viene, non mi do particolarmente da fare, mi impegnerò di più alla terza. Quando smonto si solleva su un gomito e mi dice serissima:
- Con 'sta faccenda del figlio mia sorella sta andando in depressione. Devi metterla incinta. Gliene ho già parlato, ci sta.
Questo racconto è già troppo lungo, perciò non narrerò delle settimane successive, del mio sbalordimento e del rifiuto immediato a questa pazzia e su come alla fine venni sconfitto da un martellamento feroce ed estenuante. Confesso che forse avrei resistito lo stesso se dentro di me non ci fosse stato ancora, in qualche angolo, quel quattordicenne complessato che si segava ogni giorno al pensiero delle tette di Stefania, ma non aveva il coraggio di toccarle.
Stefania venne da me un sabato pomeriggio, il marito era in trasferta. Era dimagrita da quei tempi, ma le tette erano sempre belle grosse. Chiacchierammo un po', ma l'imbarazzo era come quando ti trovi con degli sconosciuti in un ascensore molto lento. Dopo pochi minuti, quasi non credendo a quello che stavo facendo, posai la tazza del caffè sul tavolino e le misi le mani sulle tette. Gliele accarezzai, stringendole un poco e facendo scorrere i pollici sui capezzoli che sentivo sotto la camicetta e il reggiseno. Lei era paonazza, ma non si ritrasse; anzi, si accostò per facilitarmi il compito. Le slacciai la camicetta e le alzai il reggiseno: erano proprio sode; le succhiai i capezzoli mentre lei finiva di togliersi la camicetta.
- Vuoi andare di là? Mi disse.
Andammo in camera, si sfilò i pantaloni e gli slip e restò nuda sul letto mentre mi spogliavo anch'io. Mi sdraiai al suo fianco, la baciai un po', la carezzai e poi le misi una mano sulla figa. Le stimolai un po' il clitoride, poi scesi a leccargliela. Aveva una figa molto bella, le grandi labbra erano morbide ma compatte, solo leggermente schiuse. Dopo aver giocato un po', risalii lungo il suo corpo, quando fui con la mia bocca sulla sua il mio cazzo era in posizione e glielo spinsi dentro. Sospirò leggermente, ma mi accolse subito; era stretta e avvolgente e dopo un poco la sentii bagnarsi. Non molto, niente a confronto di sua sorella, ma abbastanza da farmi capire che c'era anche lei. Cercai di fare del mio meglio per farla godere, si capiva che un po' le piaceva, però mi disse:
- Dai, non trattenerti. Sono qui per questo.
Chiusi gli occhi e per un istante ci immaginai quattordicenni, nudi giù nell'officina dell'Istituto. Mi bastò per sborrare in pochi colpi, spingendoglielo a fondo e tenendolo lì mentre si ammosciava, come un tappo che impedisse alla sborra di uscire.
Quando lo sfilai, lei si tirò le ginocchia contro il seno e rimase un po' in questa posizione.
- E' per facilitare la risalita dello sperma, mi disse. E poi:
- Senti, io ho capito che tu scopi bene e che vuoi farmi godere. Se fossi in un'altra situazione probabilmente me la godrei. Ma io amo mio marito, mi dà tutto quello di cui ho bisogno, tranne un figlio. Non voglio fare l'inseminazione artificiale, perché devo sapere chi sarà il padre di mio figlio. Poi tu vai bene, hai il suo stesso colore di capelli e di occhi, gli assomigli anche, non ci saranno imbarazzi quando nascerà. Perciò sono qui per farmi mettere incinta. Fammi quello che vuoi, sono pronta a eccitarti come preferisci. Vuoi mettermelo nel culo? Non l'ho mai fatto, ma lo farò se ti serve. Non farmi godere; so che saresti capace, mia sorella mi racconta. Ma non mi serve, io godo già con mio marito. Pensa a godere tu e mettimi incinta. Voglio solo quello.
Le risalii sopra, stavolta non mi feci problemi: pensavo solo a scoparla, a sentire la sua figa stretta attorno al mio cazzo, al suo corpo sotto di me. Venni ancora, lei si rimise in quella posizione.
- Adesso devo andare, ma tornerò. Questo è il periodo fertile, verrò tutti i giorni fino a mercoledì.
Così fu, quel mese e quello successivo: arrivava, facevamo due chiacchiere ma giusto per il tempo di arrivare in camera e spogliarsi. Non riuscii mai a portarla all'orgasmo, dopo due o tre volte smisi di provare. Me la godevo semplicemente, come mai avevo goduto una donna in vita mia.
Il terzo mese la aspettavo, ormai calcolavo anch'io i giorni, ma lei non venne. Mi mandò un messaggio: era la foto di un test di gravidanza: sulla piccola striscia candida spiccavano nitide due righe rosse. La foto era accompagnata solo da poche parole: "Grazie. Grazie davvero. Non potrai toccarmi mai più, ma ti sarò grata per sempre".
A tempo debito nacque un maschietto, uguale a lei tranne gli occhi azzurri come i miei. E quelli di suo marito, per fortuna. Non so cosa gli raccontò, ma la amava moltissimo e credo che avrebbe accettato qualunque cosa.
Tutto bene dunque? In realtà no. Con la sorella di Stefania è finita, e non so perché. Eppure è stata lei a impormelo. Ho avuto altre donne, ma ogni tanto la sera, che sia a letto da solo o in compagnia, mi viene in mente lei, Stefania; con le gambe tirate sul seno, la mia sborra che cola fuori e il suo sguardo che vede qualcosa attraverso me. Mi manca. E poi, lui è mio figlio.
- Dai, fammi vedere l'idrante, mi dice.
Accelero i colpi, poi mi sollevo, lo tiro fuori e le sborro addosso. Di solito faccio almeno sette-otto getti, stavolta è una settimana che non scopiamo e non mi sego e arrivo a dodici. Coi primi fortissimi, dalla figa le arrivo facilmente in faccia. Potrei anche andare oltre, fin sulla testiera del letto: una volta l'ho fatto, si è incazzata moltissimo perché è di stoffa e restano le macchie. Così mi controllo e le centro la faccia più volte, poi scendo sulle tette e sulla pancia, gli ultimi schizzi sul pelo della figa.
Prende la pillola, potrei restare dentro. E infatti le altre due o tre che farò adesso le resterò dentro; lo tiro fuori per lei, le piace molto sentirsi schizzare addosso la tantissima sborra che faccio. Se la spalma sul viso, sulle tette, sulla pancia, fin sulle cosce. La lascia seccare, poi la lava via con una doccia quando abbiamo finito. Dice che è come una crema di bellezza.
- Ci vorresti per Stefania, mi dice seria mentre lo prende in mano e comincia a segarmelo per ricominciare.
Stefania è sua sorella, ha due anni più di lei quindi la mia età esatta. Eravamo compagni alle elementari, alle medie e i primi due anni all'istituto tecnico. Unica ragazza in una classe di ventotto maschi quattordicenni, ragazzi ignoranti di paese, segaioli pieni di ormoni quando la figa la vedevi solo ogni tanto sui giornali porno. Le palpate a Stefania erano quotidiane. Soprattutto giù nell'officina: quando entrava nello spogliatoio a mettere il grembiule da meccanico nell'armadietto c'era sempre qualcuno che spegneva la luce e poi le si buttavano addosso in quattro o cinque. Se avessimo avuto vent'anni, sarebbe stata violentata ogni settimana; ne avevamo quattordici ed era un'altra epoca: ci bastava una palpata di tette e una mano sulla figa per segarci un mese. Ogni tanto ci provava anche Scrauso, il tecnico dell'officina. Una scimmia semianalfabeta trentacinquenne, che aveva comprato il diploma a forza di caciotte e salami regalati ai professori in qualche scuola privata giù in Calabria. La inseguiva fra i tavoli da lavoro, mentre noi ridevamo e lei fuggiva impaurita. Poi, più per disprezzo verso di lui che per compassione per lei, c'era sempre qualcuno che gli faceva lo sgambetto da dietro o gli buttava fra i piedi uno straccio fradicio d'olio di macchina. Lui volava per terra fra le nostre risate e lei si metteva in salvo su in aula. La scuola di allora faceva alla svelta a ripulire le classi dagli animali: a giugno un terzo della classe venne bocciato e l'anno dopo gli assalti e le palpate si fecero meno frequenti.
Io non la toccai mai, ma sinceramente non fu per rispetto: ero un ragazzo ciccione e brufoloso, timido e complessato. Semplicemente non mi azzardavo, tutto qui. Comunque ero uno dei pochi ai quali dava un po' di confidenza e di fiducia. In seconda venne bocciata e ci perdemmo di vista: seppi che lasciò la scuola, trovò lavoro e qualche anno fa si sposò.
Qui veniamo al motivo del commento di sua sorella: Stefania non riesce ad avere figli, perché lo sperma di suo marito praticamente non contiene spermatozoi. E' un po' di volte che quando scopiamo mi tira fuori questa faccenda; finora l'ho presa un po' come una battuta, un po' come un complimento. Diventa però sempre più seria ogni volta e comincia anche a fare dei discorsi un po' strani. Adesso mi è tornato duro, le salgo sopra e la scopo di nuovo. Stavolta non viene, non mi do particolarmente da fare, mi impegnerò di più alla terza. Quando smonto si solleva su un gomito e mi dice serissima:
- Con 'sta faccenda del figlio mia sorella sta andando in depressione. Devi metterla incinta. Gliene ho già parlato, ci sta.
Questo racconto è già troppo lungo, perciò non narrerò delle settimane successive, del mio sbalordimento e del rifiuto immediato a questa pazzia e su come alla fine venni sconfitto da un martellamento feroce ed estenuante. Confesso che forse avrei resistito lo stesso se dentro di me non ci fosse stato ancora, in qualche angolo, quel quattordicenne complessato che si segava ogni giorno al pensiero delle tette di Stefania, ma non aveva il coraggio di toccarle.
Stefania venne da me un sabato pomeriggio, il marito era in trasferta. Era dimagrita da quei tempi, ma le tette erano sempre belle grosse. Chiacchierammo un po', ma l'imbarazzo era come quando ti trovi con degli sconosciuti in un ascensore molto lento. Dopo pochi minuti, quasi non credendo a quello che stavo facendo, posai la tazza del caffè sul tavolino e le misi le mani sulle tette. Gliele accarezzai, stringendole un poco e facendo scorrere i pollici sui capezzoli che sentivo sotto la camicetta e il reggiseno. Lei era paonazza, ma non si ritrasse; anzi, si accostò per facilitarmi il compito. Le slacciai la camicetta e le alzai il reggiseno: erano proprio sode; le succhiai i capezzoli mentre lei finiva di togliersi la camicetta.
- Vuoi andare di là? Mi disse.
Andammo in camera, si sfilò i pantaloni e gli slip e restò nuda sul letto mentre mi spogliavo anch'io. Mi sdraiai al suo fianco, la baciai un po', la carezzai e poi le misi una mano sulla figa. Le stimolai un po' il clitoride, poi scesi a leccargliela. Aveva una figa molto bella, le grandi labbra erano morbide ma compatte, solo leggermente schiuse. Dopo aver giocato un po', risalii lungo il suo corpo, quando fui con la mia bocca sulla sua il mio cazzo era in posizione e glielo spinsi dentro. Sospirò leggermente, ma mi accolse subito; era stretta e avvolgente e dopo un poco la sentii bagnarsi. Non molto, niente a confronto di sua sorella, ma abbastanza da farmi capire che c'era anche lei. Cercai di fare del mio meglio per farla godere, si capiva che un po' le piaceva, però mi disse:
- Dai, non trattenerti. Sono qui per questo.
Chiusi gli occhi e per un istante ci immaginai quattordicenni, nudi giù nell'officina dell'Istituto. Mi bastò per sborrare in pochi colpi, spingendoglielo a fondo e tenendolo lì mentre si ammosciava, come un tappo che impedisse alla sborra di uscire.
Quando lo sfilai, lei si tirò le ginocchia contro il seno e rimase un po' in questa posizione.
- E' per facilitare la risalita dello sperma, mi disse. E poi:
- Senti, io ho capito che tu scopi bene e che vuoi farmi godere. Se fossi in un'altra situazione probabilmente me la godrei. Ma io amo mio marito, mi dà tutto quello di cui ho bisogno, tranne un figlio. Non voglio fare l'inseminazione artificiale, perché devo sapere chi sarà il padre di mio figlio. Poi tu vai bene, hai il suo stesso colore di capelli e di occhi, gli assomigli anche, non ci saranno imbarazzi quando nascerà. Perciò sono qui per farmi mettere incinta. Fammi quello che vuoi, sono pronta a eccitarti come preferisci. Vuoi mettermelo nel culo? Non l'ho mai fatto, ma lo farò se ti serve. Non farmi godere; so che saresti capace, mia sorella mi racconta. Ma non mi serve, io godo già con mio marito. Pensa a godere tu e mettimi incinta. Voglio solo quello.
Le risalii sopra, stavolta non mi feci problemi: pensavo solo a scoparla, a sentire la sua figa stretta attorno al mio cazzo, al suo corpo sotto di me. Venni ancora, lei si rimise in quella posizione.
- Adesso devo andare, ma tornerò. Questo è il periodo fertile, verrò tutti i giorni fino a mercoledì.
Così fu, quel mese e quello successivo: arrivava, facevamo due chiacchiere ma giusto per il tempo di arrivare in camera e spogliarsi. Non riuscii mai a portarla all'orgasmo, dopo due o tre volte smisi di provare. Me la godevo semplicemente, come mai avevo goduto una donna in vita mia.
Il terzo mese la aspettavo, ormai calcolavo anch'io i giorni, ma lei non venne. Mi mandò un messaggio: era la foto di un test di gravidanza: sulla piccola striscia candida spiccavano nitide due righe rosse. La foto era accompagnata solo da poche parole: "Grazie. Grazie davvero. Non potrai toccarmi mai più, ma ti sarò grata per sempre".
A tempo debito nacque un maschietto, uguale a lei tranne gli occhi azzurri come i miei. E quelli di suo marito, per fortuna. Non so cosa gli raccontò, ma la amava moltissimo e credo che avrebbe accettato qualunque cosa.
Tutto bene dunque? In realtà no. Con la sorella di Stefania è finita, e non so perché. Eppure è stata lei a impormelo. Ho avuto altre donne, ma ogni tanto la sera, che sia a letto da solo o in compagnia, mi viene in mente lei, Stefania; con le gambe tirate sul seno, la mia sborra che cola fuori e il suo sguardo che vede qualcosa attraverso me. Mi manca. E poi, lui è mio figlio.
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