Lo studio dell'avvocato M*** - Seconda parte

di
genere
prime esperienze

Come vi raccontavo, i primi due anni di lavoro come segretaria dell'avvocato M*** furono bellissimi dal punto di vista erotico. Quando quel periodo giunse al culmine e poi finì, io avevo diciassette anni e lui ventisette: scopate quasi quotidiane ci avevano dato un piacere e un'armonia sessuali che allora mi sembravano naturali e adesso, a 55 anni, vedo invece che sono patrimonio prezioso di poche coppie.
Lo studio però andava male; in realtà non malissimo, qualcosa guadagnava e i clienti aumentavano. Troppo pochi però per M*** e soprattutto poco importanti: qualche eredità, qualche lite fra confinanti, qualche disputa fra commercianti e fornitori. L'avvocato M*** era ambiziosissimo e si dannava nel vedere che le cause grosse e gli incarichi importanti andavano sempre a una decina di studi, tutti ammanicati fra di loro. Mi trattava con gentilezza immutabile, scopavamo sempre con la stessa voglia, ma lo vedevo nervoso e pensieroso. Cominciai a soprenderlo ogni tanto che mi fissava e distoglieva lo sguardo quando me ne accorgevo.
Una mattina arrivai in ufficio per prima e vidi che sulla mia scrivania c'era un foglio che la sera precedente era sul divano della sala d'aspetto. Ne ero sicurissima, l'aveva lasciato un cliente e io l'avevo visto uscendo; non l'avevo riposto solo perché mia madre non stava bene e avevo fretta di andare a casa. A quell'ora M*** era già andato via: chi poteva averlo spostato? Da quel momento cominciai a fare caso ai dettagli e ben presto mi convinsi che ogni tanto veniva qualcuno in ufficio dopo la chiusura. Non so perché, ma non ne parlai a M***, quasi che un istinto segreto mi dicesse di tacere. Dopo due mesi di attente osservazioni arrivai alla conclusione che quelle visite avvenivano al mercoledì sera; dalla portinaia seppi casualmente che a volte M*** tornava in ufficio la sera. Non sapevo cosa pensare e non volevo nemmeno parlarne con lui. Un mercoledì mi decisi: dopo cena dissi ai miei che andavo al cinema con le solite amiche, e mi appostai in uno sgabuzzino sulle scale dell'ufficio. Passarono varie persone, inquilini credo; a un certo momento passò una coppia e poco dopo mi sembrò di sentire aprire la nostra porta. Aspettai qualche minuto, poi salii silenziosamente e aprii la porta con la mia chiave mettendoci una cautela infinita, senza accendere la luce delle scale. Non ebbi bisogno di entrare per sapere: dalla porta si vedeva il divano dell'anticamera e lì c'era l'avvocato M*** che stava scopando una ragazza. Mi sentii morire. Restai immobile e in silenzio solo grazie a quei due anni di disciplina mentale, di allenamento all'impassibilità e alla dissimulazione che avevano tenuta segreta la nostra relazione. La stava scopando alla pecorina, la ragazza era bionda e cicciottella e sembrava gradire molto quel cazzo che credevo solo mio. Aveva il volto nascosto dai capelli, ma a un certo momento si voltò per dirgli "Piano, mi fai male!" e io la riconobbi: era la figlia del notaio S***. Richiusi in silenzio, avevo capito tutto: io ero solo la sua segretaria, figlia di povera gente; quella era di famiglia importante, era la scala che lo avrebbe fatto salire in alto. Andai a casa e piansi in silenzio, la testa sotto il cuscino. La mattina dopo andai in ufficio per licenziarmi, ma rimasi sbalordita nel trovare un biglietto sulla porta: "L'avvocato M*** è ammalato, lo studio resterà chiuso fino a giovedì prossimo". La sera prima non sembrava ammalato per niente, mentre pompava la figa della signorina S***. Rimasi ancor più sbalordita quando la portinaia mi raggiunse mentre uscivo, dandomi una lettera che l'avvocato le aveva consegnato quella mattina prestissimo. La lettera diceva solo: "Mercoledì pomeriggio alle 17 nello studio". Lo cercai a casa, ma non c'era; i suoi mi dissero che era via per certe cure, ma capii che mentivano.
La settimana mi sembrò lunghissima, ma alla fine il tempo passò come fa sempre e il mercoledì arrivai puntuale nello studio. Lui era lì raggiante, mi venne incontro a braccia aperte. Io avrei voluto farmi abbracciare, ma avevo sempre davanti agli occhi la figlia del notaio a quattro zampe, mentre lui le teneva i fianchi e la scopava avidamente. Perciò mi ritrassi; lui ebbe un moto di sopresa, ma durò un istante.
- Vedo che lo sai, mi disse. Comunque è andato tutto alla perfezione: è incinta.
Non saprei dire nemmeno adesso se fu più duro questo colpo, che me lo toglieva definitivamente, o la scena del divano. I miei occhi si riempirono di lacrime.
- Va bene, prendo le mie cose. Magari quando avrai la nuova segretaria verrò un'oretta per farle vedere l'archivio e spiegarle le pratiche aperte.
Lui si mise a ridere.
- Nuova segretaria? Ma sei tu la mia segretaria, sarai sempre tu.
- Adesso avrai una moglie importante; è carina, magari resterà così anche dopo la gravidanza. Io non ti servo più.
Venne verso di me, mi prese delicatamente per un braccio e mi fece sedere sul divano accanto a lui.
- Hai capito molto, ma non tutto. Tu sei povera, io sono povero: se ci fossimo sposati, dove potevamo andare? In questa città, come in tutte le città, non fai strada se non sei del giro giusto. Io, noi, saremmo sempre stati fuori. Adesso invece io entro, e tu verrai con me. Al notaio è quasi venuto un colpo quando gliel'abbiamo detto, ma è in mille affari con la Curia, la moglie vive più in chiesa che in casa. Ha dovuto inghiottire il rospo; ci sposeremo fra una settimana, se no come fa a nascere settimino? Ma non se ne pentirà, ho già in mente un po' di affari che gli piaceranno.
- Ti sei venduto per soldi? Va bene, adesso guadagnateli. Ma me non mi compri.
Lui sorrise, poi si fece serio.
- Senti: io non voglio fare la vita di mio padre, ogni volta a contare i soldi alla fine del mese, risparmiare tre anni per fare una settimana al mare in una stamberga. Non è per i soldi, è per le umiliazioni che ha dovuto subire. Quando studiavo mi dicevo: o sfondo, o crepo. Adesso sfondo, e ti voglio con me. Da fuori sarai solo la segretaria, da dentro sarai la mia metà. Pensaci tre giorni: sabato ci troviamo qui.
Fu il suo sguardo a convincermi. Chi se ne importa cos'ero? Se mia madre voleva il vestito bianco e la cerimonia in chiesa, un pollo l'avrei trovato facilmente. L'importante era avere lui.
- Tre giorni? Cosa ne dici di tre minuti? Intanto che passano, fammi un po' vedere cos'hai qui.
Gli misi una mano fra le gambe e lo sentii indurirsi in un attimo, le sue mani mi furono sulle tette, poi sotto la gonna a sfilarmi le mutandine. Mi fu sopra, mi fu dentro, il suo cazzo era quello di sempre, lo volevo, volevo che mi facesse godere, che mi sbattesse, che mi fottesse furiosamente. Quando mi sembrò che fossero passati i tre minuti, mi sfilai da lui e mi misi seduta:
- E' meglio incinta una alla volta, no?
Glielo presi in bocca e lo spompinai: pochi secondi e venne, ingoiai tutto sentendo che si irrigidiva dentro la mia mano. Rialzai la testa e ci guardammo sorridendo.

Ecco, sono passati quarant'anni da allora: lo studio è diventato grande e importante, entrambi siamo sposati con figli, siamo riusciti con infinite precauzioni a deviare ogni sospetto. Abbiamo dovuto diradare i nostri incontri, poi il tempo passa, lui ha avuto problemi al cuore e non può più scoparmi quattro o cinque volte in un pomeriggio come un tempo. Ma forse la clandestinità, forse il piacere tremendo che ci diamo ogni volta, forse qualcosa di primordiale dentro di noi, ci ha sempre tenuti legati. O forse, ma io non ci credo tanto, è quella cosa che chiamano amore.
scritto il
2020-05-12
6 . 4 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto sucessivo

L'allegro condominio
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.