Temporale
di
Joword
genere
gay
Non è un buon periodo questo per il professor Emme (professore perché alcuni anni prima aveva insegnato lingua inglese al liceo scientifico ed Emme è un cognome di fantasia derivato da M, l'iniziale del suo vero cognome). Tra tante altre grane gli è capitata anche quella di fondere il motore della sua vecchia automobile.
Nonostante tutti i pareri contrari, anche quello del suo meccanico di fiducia, ha deciso di far rifare la testata della vettura anziché sostituirla con una nuova. Non è solo per una questione affettiva, come ha voluto far credere, ma anche, anzi soprattutto per una questione economica: non è il benestante che molti credono.
Viaggia in autobus da circa dieci giorni e continuerà a farlo fino a quando il meccanico non gli riconsegnerà la vettura riparata.
Ogni mattina prende lo stesso autobus, sempre alla stessa ora, alla fermata sotto casa, una delle prime dopo la partenza dal capolinea. Quando sale lui non ci sono molte persone a bordo. Tre, quattro, al massimo cinque passeggeri, non di più. Uno però c'è sempre, tutte le mattine. E' un ragazzo giovane, ventenne o poco più, scuro di carnagione e di capelli ricci e folti, portati abbastanza lunghi e arruffati. Siede abitualmente in uno degli ultimi sedili, in maniera vagamente scomposta, con almeno una gamba (a volte entrambe) fuori dall'allineamento dei sedili, distesa (o distese) in tutta la loro esagerata lunghezza ad occupare parte dello spazio per i viaggiatori senza posto (che comunque quando il professor Emme sale, non ci sono ancora). Forse non lo fa per ineducazione, ma semplicemente perché sono così lunghe quelle gambe che non stanno (o ci stanno scomode) nel ristretto spazio tra due sedili.
Il professore, persona attenta anche alla forma ed alle maniere, ha notato questo ragazzo fin dal primo giorno proprio per la posizione scomposta che assume da seduto.
Strano tipo il professore che, pur avendo lasciato da alcuni anni l'attività di insegnante, ancora ritiene che solo con uno sguardo si possa richiamare all'ordine i giovani, come gli riusciva in passato con i suoi studenti. Per questo, già il primo giorno, ha fissato il giovane, quasi a volerne deprecare la postura.
Il giovane dapprima ha ignorato lui ed il suo sguardo, poi un poco infastidito dall'insistenza del professore nel guardarlo, gli fece una smorfia strana come a voler chiedere gestualmente, con la mimica facciale e lo sguardo, qualcosa come:-Che cerchi? Che vuoi?
Solo allora il professor Emme, criticando mentalmente le nuove generazioni, s'era messo a sedere. Veramente fu costretto a farlo, a causa di una improvvisa frenata del conducente. Lui che non si stava sostenendo da nessuna parte con le mani, prima aveva vacillato poi con una gran prontezza di spirito, per non finire a terra, aveva spostato il baricentro del suo corpo finendo, un poco rovinosamente su un sedile, uno di quelli posizionati alla rovescio rispetto alla direzione di marcia, cioè in posizione illogica secondo il metodico e lineare professore. Però in quell'occasione l'illogico posizionamento del sedile gli era tornato utile ed aveva evitato la caduta e la figuraccia.
La sua involontaria danza oscillante con precipitazione sgraziata sul sedile non era però sfuggita al giovane riccioluto che non aveva trattenuto un moderato sorrisetto di sadico compiacimento.
Venutisi a trovare in posizione favorevole a tenersi d'occhio, avevano persistito entrambi nel reciproco scambio di sguardi, ognuno in maniera critica verso l'altro.
Caso volle che i due scendessero alla stessa fermata, quella di piazza Risorgimento.
Una volta a terra si erano scambiati un ulteriore sguardo, non di simpatia, e poi s'erano avviati per direzioni opposte.
O meglio: il giovane si era avviato verso corso Garibaldi, e prima di immettersi sotto i portici si era ulteriormente girato, forse pensando d'essere stato seguito dal professore.
Costui invece aveva semplicemente percorso pochissimi metri sul marciapiede e si era infilato nel portone del vecchio palazzo. Al primo piano c'era il suo studio, proprio sopra il bar davanti al quale fermava l'autobus.
Da quel primo mattino, da dieci giorni, tutte le mattine, escluso il sabato e la domenica, i due si sono incontrati sullo stesso autobus, si sono guardati spesso, sono scesi in piazza Risorgimento e poi uno è salito nel suo ufficio e l'altro si è avviato verso i portici di corso Garibaldi.
L'antipatia è andata man mano scemando, il tempo li sta abituando l'uno alla vista dell'altro.
Lunedì il più giovane, appena sceso dall'autobus, prima di allontanarsi s'è girato verso il professore e sorridendogli gli ha augurato il buon giorno. Sorpreso di questo, ma nel contempo felice, il professore ha risposto al saluto con un caloroso “buona giornata anche a lei”.
Da allora, cioè da tre giorni, quando il professore Emme sale sull'autobus cerca subito con lo sguardo il giovane riccioluto, sempre scompostamente seduto verso le ultime file, si sorridono a mo di saluto, il giovane ha anche agitato la mano un paio di volte. Nonostante sia critico nei confronti dei sedili posizionati alla rovescio rispetto al senso di marcia, il professor Emme continua ad utilizzare proprio quello, per poter guardare il giovane riccioluto.
Chissà se lavora o studia, non porta libri, forse lavora. Indossa sempre dei jeans, ma mai gli stessi. Il professore ha l'occhio attento e da piccoli particolari nota che i jeans sono simili ma non sono mai gli stessi del giorno prima.
Anche il più giovane ha osservato il professore, anche lui si è chiesto che lavoro farà questo tipo vestito alla moda d'altri tempi, in giacca e cravatta, scarpe sempre lucide, calzini perfettamente intonati alla camicia ed alla cravatta. Ha anche notato che entra nel portone accanto all'ultima vetrina del bar, quello con numerose targhe apposte ai due lati. Chissà se una di quelle riguarda l'uomo.
Un giorno, mentre aspettava l'autobus per il ritorno, le aveva lette tutte. Erano targhe di uno studio legale, uno studio dentistico, una agenzia di assicurazioni, un commercialista e poi una non meglio specificata “ Associazione M.& M.”.
Affacciandosi per puro caso dalla finestra del suo studio, giovedì scorso , poco dopo le diciotto, Emme ha visto il giovane dalle lunghe gambe attraversare la piazza, provenendo dai portici di corso Garibaldi e venire verso il bar. Lo ha riconosciuto e lo ha osservato. Il giovane ha atteso il passaggio dell'autobus, quelle delle diciotto e dodici, ci è salito sopra ed è partito. Venerdì si è affacciato apposta alle diciotto, ha aspettato e, come aveva sperato, ha visto arrivare il giovane come la sera precedente e come la sera precedente, ma dopo una corsa per riuscire nell'impresa, era riuscito a prendere lo stesso autobus.
Per il professore il fare le stesse cose allo stesso modo ed alla stessa ora non è ripetitività ma metodicità, cioè una qualità. “Metodico” è stato infatti il primo giudizio non negativo che ha emesso nei confronti del ragazzo. Quando, poi, al lunedì quello addirittura lo ha salutato augurandogli buongiorno, nelle sue considerazioni è subito diventato “un gran bravo ragazzo”.
Anche oggi, mercoledì, i due hanno viaggiato insieme questa mattina, si sono sorrisi a mo di saluto e il giovane si è alzato dal posto prima del solito, per poter scendere. Per un attimo il professore Emme ha temuto che scendesse ad una fermata diversa, quasi provandone dispiacere; ha gioito invece quando il ragazzo gli ha insolitamente rivolto la parola. Non gli ha detto nulla di speciale solo “giornata afosa oggi”, ma per il professore è stato come se gli avesse narrato tutta la sua storia, gli aveva parlato, come se fossero amici e questo lo ha reso felice, soprattutto ha accresciuto l'ammirazione per quel bravo ragazzo. Come a volerlo confortare e dirgli che l'afa non sarebbe durata a lungo; gli ha detto di aver sentito le previsioni meteorologiche alla radio, prima di uscire, e che in giornata dovrebbe rinfrescare, anzi piovere.
Si sono salutati più calorosamente del solito prima di prendere strade diverse, dopo essere scesi dall'autobus.
L'afa ha caratterizzato la giornata almeno fino alle quattro del pomeriggio, forse oltre. Poi grossi nuvoli neri avanzando da occidente hanno pian piano coperto tutto il cielo, Alle cinque e mezza lampi e tuoni hanno spaventato tutti, terrorizzato qualche bambino.
Tutti i pochi utenti della biblioteca comunale si sono affrettati ad uscire, per evitare di trovarsi in strada al momento dell'ormai certo temporale. Solo Gill, ligio al dovere nonostante la giovane età, ha atteso le ore diciotto per spegnere le luci e chiudere i locali. Veramente, verificata l'assenza di utenti, ha anticipato di qualche minuto la chiusura del server, disconnettendo tutti i cinque computer a disposizione degli utenti per la ricerca dei volumi o per l'individuazione della loro collocazione. Poi ha spento le luci e, alle diciotto in punto, ora in cui avrebbe dovuto cominciare ad effettuare le operazioni di chiusura, era invece già pronto per uscire e chiudere la porta. Cose che fece prima di scendere le scale e, camminando sotto i portici, avviarsi verso piazza Risorgimento. Non era necessario correre, era uscito con un leggero anticipo e ce l'avrebbe fatta tranquillamente a prendere l'autobus delle diciotto e dodici. Forse ce l'avrebbe fatta, già perché con la pioggia torrenziale che stava imperversando sulla città molti, troppi, s'erano accalcati sotto i portici di corso Garibaldi, alla ricerca di un riparo. Avanzare in quella calca non è facile, ma Gill non si arrende, sposta qualche persona, s'infila tra altre ed avanza verso piazza Risorgimento. Riesce ad arrivare in fondo a corso Garibaldi, la dove finiscono i portici, alle diciotto e dieci. Ha due minuti di tempo per attraversare la piazza e raggiungere la pensilina della fermata degli autobus, quella davanti al bar sul lato opposto della piazza. Due minuti sono tanti per un percorso così breve. L'acqua vien giù dal cielo a catinelle e il vento sferzante le conferisce ulteriore velocità. Non può durare così, vale la pena aspettare qualche attimo sperando che qualcosa diminuisca, o l'intensità della pioggia o la spinta dl vento! Contro ogni speranza le avversità atmosferiche aumentano. I tombini non riescono ad assorbire la gran massa d'acqua che comincia a stazionare sulla piazza; appena oltre i portici c'è già uno strato d'acqua di qualche centimetro di altezza. Non si può più attendere, manca solo un minuto al passaggio dell'autobus...mancherebbe solo un minuto ma evidentemente qualcosa non è andata come previsto e l'autobus della linea 7, quello che Gill deve prendere, sta già sbucando da via Mazzini, questione di un attimo e sarà già alla fermata. Ecco che Gill scatta come un centometrista, incurante dell'acqua sull'asfalto, di quella che cade dal cielo e di quella che il vento gli sbatte in faccia. Corre Gill, corre, verso la pensilina, i suoi piedi ricadendo nelle pozzanghere dalle lunghe falcate fa schizzare ulteriore acqua che in parte si riversa anche contro di lui. Ma non importa, lui deve prendere l'autobus, deve, dovrebbe, avrebbe dovuto... perché quand'è solo a pochi metri, sei o sette, non di più, l'autobus riparte. Il conducente non vede il suo braccio che si agita e procede verso altre fermate sull'itinerario prestabilito.
Gill, per inerzia, procede correndo ancora, anche se negli ultimissimi istanti è consapevolissimo di aver fatto una corsa inutile, di dover aspettare almeno un altra mezz'ora il passaggio di un ulteriore mezzo della linea 7. Arriva sotto la pensilina con gli abiti, i capelli, le scarpe intasate d'acqua e non può fare nient'altro che esclamare “ma vaffanculo, va”. Non sa neppure lui a chi lo sta dicendo.
Emme dalla finestra ha visto il suo “sconosciuto-amico” attraversare la piazza correndo alla disperata sotto il diluvio imperversante, ha tifato per lui, sofferto per lui, esclamato prima di lui “ma vaffanculo, va” all'indirizzo del conducente l'autobus della linea 7 che non ha visto il ragazzo correre, che è partito nonostante fosse in anticipo di quasi trenta secondi sull'orario.
“Ma vaffanculo, va”, ripete ancora, questa volta non sa all'indirizzo di chi, scendendo precipitosamente le scale, con il grande ombrello da pastore, mai usato, souvenir di una vacanza in maremma, tenuto nello studio come un cimelio, sotto il braccio e un plaid racimolato per istinto sul divano. Se ne frega pure lui della pioggia quando arriva a piano terra, apre il grandissimo ombrello incurante del vento che cerca di distruggerglielo e corre verso la pensilina. Vede Gill, e non sa che si chiama Gilberto e dagli amici è chiamato Gill, ma sa che è bagnato fradicio. Gli butta addosso il plaid dicendogli “asciugati se puoi e vieni, vieni al riparo con me”.
Gill non capisce, ma il vento sferzante gli sbatte contro ulteriori schizzi d'acqua e capisce...che non c'è molto da capire. Si avvolge il plaid tra il capo e le spalle e si lascia tirare dal tipo che lo tira per un braccio e che tenta di non farsi portare via un grande ombrello dall'impetuoso vento. Corrono insieme verso il portone, lo oltrepassano. L'uomo sulla cinquantina, il professore, richiude prima l'ombrello poi il portone; Gilberto detto Gill, ragazzo sui vent'anni, si libera del plaid che si era avvolto sulle spalle, scuote il capo facendo schizzare acqua dalla sua chioma senza più riccioli vaporosi, ma con i capelli appiccicati come fossero cosparsi di gelatina, guarda l'uomo che lo ha tirato, gli sorride, gli dice “grazie”. Il professore perde la testa davanti a quel sorriso, lascia cadere l'ombrello, si slancia verso il giovane, lo abbraccia forte, forte, forte.
-Ehi!- esclama il giovane- ...'cazzo ti succede?
L'uomo maturo afferra la faccia del più giovane con entrambe le mani, lo guarda fisso negli occhi, a lungo, prima di dire:-non lo so, ma sono contento che mi stia succedendo- e detto questo porta la sua bocca su quella del giovane e lo bacia, appassionatamente lo bacia.
Uno che ha letto tutta la storia, ha appena esclamato:- ma che razza di storia è questa?
Quello che la storia l'ha scritta, gli afferra la faccia con entrambe le mani, lo tira a se, prima lo bacia, poi gli dice:-non lo so, comunque volevo scrivere una storia erotica, non pornografica.
Come già, per altri motivi, poco prima hanno fatto sia Gill che il professore, anche il lettore appena citato ora dice: ma vaffanculo, va- e lo dice sicuramente a chi ha scritto la storia.
Vuoi sapere se questa è una storia vera o inventata?
Tu lo sai: ce l'ho mandi o no, a quel paese chi l'ha scritta? Da quello che fai la storia potrà essere vera o meno...fai tu.
Nonostante tutti i pareri contrari, anche quello del suo meccanico di fiducia, ha deciso di far rifare la testata della vettura anziché sostituirla con una nuova. Non è solo per una questione affettiva, come ha voluto far credere, ma anche, anzi soprattutto per una questione economica: non è il benestante che molti credono.
Viaggia in autobus da circa dieci giorni e continuerà a farlo fino a quando il meccanico non gli riconsegnerà la vettura riparata.
Ogni mattina prende lo stesso autobus, sempre alla stessa ora, alla fermata sotto casa, una delle prime dopo la partenza dal capolinea. Quando sale lui non ci sono molte persone a bordo. Tre, quattro, al massimo cinque passeggeri, non di più. Uno però c'è sempre, tutte le mattine. E' un ragazzo giovane, ventenne o poco più, scuro di carnagione e di capelli ricci e folti, portati abbastanza lunghi e arruffati. Siede abitualmente in uno degli ultimi sedili, in maniera vagamente scomposta, con almeno una gamba (a volte entrambe) fuori dall'allineamento dei sedili, distesa (o distese) in tutta la loro esagerata lunghezza ad occupare parte dello spazio per i viaggiatori senza posto (che comunque quando il professor Emme sale, non ci sono ancora). Forse non lo fa per ineducazione, ma semplicemente perché sono così lunghe quelle gambe che non stanno (o ci stanno scomode) nel ristretto spazio tra due sedili.
Il professore, persona attenta anche alla forma ed alle maniere, ha notato questo ragazzo fin dal primo giorno proprio per la posizione scomposta che assume da seduto.
Strano tipo il professore che, pur avendo lasciato da alcuni anni l'attività di insegnante, ancora ritiene che solo con uno sguardo si possa richiamare all'ordine i giovani, come gli riusciva in passato con i suoi studenti. Per questo, già il primo giorno, ha fissato il giovane, quasi a volerne deprecare la postura.
Il giovane dapprima ha ignorato lui ed il suo sguardo, poi un poco infastidito dall'insistenza del professore nel guardarlo, gli fece una smorfia strana come a voler chiedere gestualmente, con la mimica facciale e lo sguardo, qualcosa come:-Che cerchi? Che vuoi?
Solo allora il professor Emme, criticando mentalmente le nuove generazioni, s'era messo a sedere. Veramente fu costretto a farlo, a causa di una improvvisa frenata del conducente. Lui che non si stava sostenendo da nessuna parte con le mani, prima aveva vacillato poi con una gran prontezza di spirito, per non finire a terra, aveva spostato il baricentro del suo corpo finendo, un poco rovinosamente su un sedile, uno di quelli posizionati alla rovescio rispetto alla direzione di marcia, cioè in posizione illogica secondo il metodico e lineare professore. Però in quell'occasione l'illogico posizionamento del sedile gli era tornato utile ed aveva evitato la caduta e la figuraccia.
La sua involontaria danza oscillante con precipitazione sgraziata sul sedile non era però sfuggita al giovane riccioluto che non aveva trattenuto un moderato sorrisetto di sadico compiacimento.
Venutisi a trovare in posizione favorevole a tenersi d'occhio, avevano persistito entrambi nel reciproco scambio di sguardi, ognuno in maniera critica verso l'altro.
Caso volle che i due scendessero alla stessa fermata, quella di piazza Risorgimento.
Una volta a terra si erano scambiati un ulteriore sguardo, non di simpatia, e poi s'erano avviati per direzioni opposte.
O meglio: il giovane si era avviato verso corso Garibaldi, e prima di immettersi sotto i portici si era ulteriormente girato, forse pensando d'essere stato seguito dal professore.
Costui invece aveva semplicemente percorso pochissimi metri sul marciapiede e si era infilato nel portone del vecchio palazzo. Al primo piano c'era il suo studio, proprio sopra il bar davanti al quale fermava l'autobus.
Da quel primo mattino, da dieci giorni, tutte le mattine, escluso il sabato e la domenica, i due si sono incontrati sullo stesso autobus, si sono guardati spesso, sono scesi in piazza Risorgimento e poi uno è salito nel suo ufficio e l'altro si è avviato verso i portici di corso Garibaldi.
L'antipatia è andata man mano scemando, il tempo li sta abituando l'uno alla vista dell'altro.
Lunedì il più giovane, appena sceso dall'autobus, prima di allontanarsi s'è girato verso il professore e sorridendogli gli ha augurato il buon giorno. Sorpreso di questo, ma nel contempo felice, il professore ha risposto al saluto con un caloroso “buona giornata anche a lei”.
Da allora, cioè da tre giorni, quando il professore Emme sale sull'autobus cerca subito con lo sguardo il giovane riccioluto, sempre scompostamente seduto verso le ultime file, si sorridono a mo di saluto, il giovane ha anche agitato la mano un paio di volte. Nonostante sia critico nei confronti dei sedili posizionati alla rovescio rispetto al senso di marcia, il professor Emme continua ad utilizzare proprio quello, per poter guardare il giovane riccioluto.
Chissà se lavora o studia, non porta libri, forse lavora. Indossa sempre dei jeans, ma mai gli stessi. Il professore ha l'occhio attento e da piccoli particolari nota che i jeans sono simili ma non sono mai gli stessi del giorno prima.
Anche il più giovane ha osservato il professore, anche lui si è chiesto che lavoro farà questo tipo vestito alla moda d'altri tempi, in giacca e cravatta, scarpe sempre lucide, calzini perfettamente intonati alla camicia ed alla cravatta. Ha anche notato che entra nel portone accanto all'ultima vetrina del bar, quello con numerose targhe apposte ai due lati. Chissà se una di quelle riguarda l'uomo.
Un giorno, mentre aspettava l'autobus per il ritorno, le aveva lette tutte. Erano targhe di uno studio legale, uno studio dentistico, una agenzia di assicurazioni, un commercialista e poi una non meglio specificata “ Associazione M.& M.”.
Affacciandosi per puro caso dalla finestra del suo studio, giovedì scorso , poco dopo le diciotto, Emme ha visto il giovane dalle lunghe gambe attraversare la piazza, provenendo dai portici di corso Garibaldi e venire verso il bar. Lo ha riconosciuto e lo ha osservato. Il giovane ha atteso il passaggio dell'autobus, quelle delle diciotto e dodici, ci è salito sopra ed è partito. Venerdì si è affacciato apposta alle diciotto, ha aspettato e, come aveva sperato, ha visto arrivare il giovane come la sera precedente e come la sera precedente, ma dopo una corsa per riuscire nell'impresa, era riuscito a prendere lo stesso autobus.
Per il professore il fare le stesse cose allo stesso modo ed alla stessa ora non è ripetitività ma metodicità, cioè una qualità. “Metodico” è stato infatti il primo giudizio non negativo che ha emesso nei confronti del ragazzo. Quando, poi, al lunedì quello addirittura lo ha salutato augurandogli buongiorno, nelle sue considerazioni è subito diventato “un gran bravo ragazzo”.
Anche oggi, mercoledì, i due hanno viaggiato insieme questa mattina, si sono sorrisi a mo di saluto e il giovane si è alzato dal posto prima del solito, per poter scendere. Per un attimo il professore Emme ha temuto che scendesse ad una fermata diversa, quasi provandone dispiacere; ha gioito invece quando il ragazzo gli ha insolitamente rivolto la parola. Non gli ha detto nulla di speciale solo “giornata afosa oggi”, ma per il professore è stato come se gli avesse narrato tutta la sua storia, gli aveva parlato, come se fossero amici e questo lo ha reso felice, soprattutto ha accresciuto l'ammirazione per quel bravo ragazzo. Come a volerlo confortare e dirgli che l'afa non sarebbe durata a lungo; gli ha detto di aver sentito le previsioni meteorologiche alla radio, prima di uscire, e che in giornata dovrebbe rinfrescare, anzi piovere.
Si sono salutati più calorosamente del solito prima di prendere strade diverse, dopo essere scesi dall'autobus.
L'afa ha caratterizzato la giornata almeno fino alle quattro del pomeriggio, forse oltre. Poi grossi nuvoli neri avanzando da occidente hanno pian piano coperto tutto il cielo, Alle cinque e mezza lampi e tuoni hanno spaventato tutti, terrorizzato qualche bambino.
Tutti i pochi utenti della biblioteca comunale si sono affrettati ad uscire, per evitare di trovarsi in strada al momento dell'ormai certo temporale. Solo Gill, ligio al dovere nonostante la giovane età, ha atteso le ore diciotto per spegnere le luci e chiudere i locali. Veramente, verificata l'assenza di utenti, ha anticipato di qualche minuto la chiusura del server, disconnettendo tutti i cinque computer a disposizione degli utenti per la ricerca dei volumi o per l'individuazione della loro collocazione. Poi ha spento le luci e, alle diciotto in punto, ora in cui avrebbe dovuto cominciare ad effettuare le operazioni di chiusura, era invece già pronto per uscire e chiudere la porta. Cose che fece prima di scendere le scale e, camminando sotto i portici, avviarsi verso piazza Risorgimento. Non era necessario correre, era uscito con un leggero anticipo e ce l'avrebbe fatta tranquillamente a prendere l'autobus delle diciotto e dodici. Forse ce l'avrebbe fatta, già perché con la pioggia torrenziale che stava imperversando sulla città molti, troppi, s'erano accalcati sotto i portici di corso Garibaldi, alla ricerca di un riparo. Avanzare in quella calca non è facile, ma Gill non si arrende, sposta qualche persona, s'infila tra altre ed avanza verso piazza Risorgimento. Riesce ad arrivare in fondo a corso Garibaldi, la dove finiscono i portici, alle diciotto e dieci. Ha due minuti di tempo per attraversare la piazza e raggiungere la pensilina della fermata degli autobus, quella davanti al bar sul lato opposto della piazza. Due minuti sono tanti per un percorso così breve. L'acqua vien giù dal cielo a catinelle e il vento sferzante le conferisce ulteriore velocità. Non può durare così, vale la pena aspettare qualche attimo sperando che qualcosa diminuisca, o l'intensità della pioggia o la spinta dl vento! Contro ogni speranza le avversità atmosferiche aumentano. I tombini non riescono ad assorbire la gran massa d'acqua che comincia a stazionare sulla piazza; appena oltre i portici c'è già uno strato d'acqua di qualche centimetro di altezza. Non si può più attendere, manca solo un minuto al passaggio dell'autobus...mancherebbe solo un minuto ma evidentemente qualcosa non è andata come previsto e l'autobus della linea 7, quello che Gill deve prendere, sta già sbucando da via Mazzini, questione di un attimo e sarà già alla fermata. Ecco che Gill scatta come un centometrista, incurante dell'acqua sull'asfalto, di quella che cade dal cielo e di quella che il vento gli sbatte in faccia. Corre Gill, corre, verso la pensilina, i suoi piedi ricadendo nelle pozzanghere dalle lunghe falcate fa schizzare ulteriore acqua che in parte si riversa anche contro di lui. Ma non importa, lui deve prendere l'autobus, deve, dovrebbe, avrebbe dovuto... perché quand'è solo a pochi metri, sei o sette, non di più, l'autobus riparte. Il conducente non vede il suo braccio che si agita e procede verso altre fermate sull'itinerario prestabilito.
Gill, per inerzia, procede correndo ancora, anche se negli ultimissimi istanti è consapevolissimo di aver fatto una corsa inutile, di dover aspettare almeno un altra mezz'ora il passaggio di un ulteriore mezzo della linea 7. Arriva sotto la pensilina con gli abiti, i capelli, le scarpe intasate d'acqua e non può fare nient'altro che esclamare “ma vaffanculo, va”. Non sa neppure lui a chi lo sta dicendo.
Emme dalla finestra ha visto il suo “sconosciuto-amico” attraversare la piazza correndo alla disperata sotto il diluvio imperversante, ha tifato per lui, sofferto per lui, esclamato prima di lui “ma vaffanculo, va” all'indirizzo del conducente l'autobus della linea 7 che non ha visto il ragazzo correre, che è partito nonostante fosse in anticipo di quasi trenta secondi sull'orario.
“Ma vaffanculo, va”, ripete ancora, questa volta non sa all'indirizzo di chi, scendendo precipitosamente le scale, con il grande ombrello da pastore, mai usato, souvenir di una vacanza in maremma, tenuto nello studio come un cimelio, sotto il braccio e un plaid racimolato per istinto sul divano. Se ne frega pure lui della pioggia quando arriva a piano terra, apre il grandissimo ombrello incurante del vento che cerca di distruggerglielo e corre verso la pensilina. Vede Gill, e non sa che si chiama Gilberto e dagli amici è chiamato Gill, ma sa che è bagnato fradicio. Gli butta addosso il plaid dicendogli “asciugati se puoi e vieni, vieni al riparo con me”.
Gill non capisce, ma il vento sferzante gli sbatte contro ulteriori schizzi d'acqua e capisce...che non c'è molto da capire. Si avvolge il plaid tra il capo e le spalle e si lascia tirare dal tipo che lo tira per un braccio e che tenta di non farsi portare via un grande ombrello dall'impetuoso vento. Corrono insieme verso il portone, lo oltrepassano. L'uomo sulla cinquantina, il professore, richiude prima l'ombrello poi il portone; Gilberto detto Gill, ragazzo sui vent'anni, si libera del plaid che si era avvolto sulle spalle, scuote il capo facendo schizzare acqua dalla sua chioma senza più riccioli vaporosi, ma con i capelli appiccicati come fossero cosparsi di gelatina, guarda l'uomo che lo ha tirato, gli sorride, gli dice “grazie”. Il professore perde la testa davanti a quel sorriso, lascia cadere l'ombrello, si slancia verso il giovane, lo abbraccia forte, forte, forte.
-Ehi!- esclama il giovane- ...'cazzo ti succede?
L'uomo maturo afferra la faccia del più giovane con entrambe le mani, lo guarda fisso negli occhi, a lungo, prima di dire:-non lo so, ma sono contento che mi stia succedendo- e detto questo porta la sua bocca su quella del giovane e lo bacia, appassionatamente lo bacia.
Uno che ha letto tutta la storia, ha appena esclamato:- ma che razza di storia è questa?
Quello che la storia l'ha scritta, gli afferra la faccia con entrambe le mani, lo tira a se, prima lo bacia, poi gli dice:-non lo so, comunque volevo scrivere una storia erotica, non pornografica.
Come già, per altri motivi, poco prima hanno fatto sia Gill che il professore, anche il lettore appena citato ora dice: ma vaffanculo, va- e lo dice sicuramente a chi ha scritto la storia.
Vuoi sapere se questa è una storia vera o inventata?
Tu lo sai: ce l'ho mandi o no, a quel paese chi l'ha scritta? Da quello che fai la storia potrà essere vera o meno...fai tu.
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