Stranamore al bar

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prime esperienze

STRANAMORE AL BAR

Sono Alba.
E adoro le storie romantiche. Se potessi scegliere cosa nascere nella prossima vita, sceglierei Cupido, il Dio dell’amore.

Diciamo che vivo nel mondo dei sogni e sono sempre stata presa in giro per questa mia caratteristica, già da quando andavo alle superiori.
Poi con l’età si cambia ma l’indole è sempre quella. Il carattere viene fuori appena trova un po’ di terreno fertile.

Nella mia vita, oltre che studiare (mi piaceva tanto e mi piace ancora, ma ho dovuto interrompere l’università per problemi familiari) ho sempre fatto la barista, prima come dipendente, poi da titolare.

Come carattere sono schietta, diretta, ahimè mi manca la diplomazia, sono piena di difetti, ma nascondo dentro un cuore d’oro e un senso elevato di giustizia.

Ora arrivo al dunque. Scusate se ho divagato…
La storia che vorrei raccontarvi oggi, è successa un po’ di anni fa.
Avevamo aperto, da un anno o poco più, il bar insieme a mio marito. Assumemmo un paio di ragazze e un ragazzo (lo chiamerò Alvise, per tutela della sua privacy), anche lui con la testa tra le nuvole ma, a differenza mia, sognatrice ma attenta, lui anche molto distratto.

Oltre questo, era di un’ingenuità che quasi lo faceva sembrare stupido. Ad esempio, una volta si era sbucciato le ginocchia mentre veniva al lavoro; quando gli chiesi di farmi vedere le ferite (avevo mio marito vicino), Alvise, al banco, iniziò a slacciarsi la cintura dei pantaloni.
Allarmata gli chiesi cosa stesse facendo. Mi rispose che si sarebbe tolto i pantaloni per mostrarmi dove si era fatto male.
“Qui? Al banco? Davanti a tutti? Ma non puoi solo tirare su le gambe dei pantaloni visto che sono larghi? Vai vai…” e chiusi lì il discorso.
Mi guardò con perplessità per la mia reazione, secondo lui, spropositata.

Un giorno entrò nel bar una bella ragazza: aveva un viso dolce, incorniciato da capelli lunghi castano scuro, occhi grandi azzurri come se avesse rubato due pezzi di cielo per metterli al posto delle iridi. L’avevo già vista altre volte, ma non avevamo tanta confidenza.

Si guardò intorno, come se cercasse qualcuno, poi, timida, si rivolse a me: “Poca gente oggi, eh?”
Annuii.
Dopo un po’ mi disse: “Possiamo prendere un caffè assieme?” Esitò un attimo e aggiunse “…se non ha da fare.”
Pensai che fosse in cerca di lavoro e volesse proporsi, quindi mi sedetti.
Mi chiese se volessi prendere anch’io qualcosa, chiarendo che avrebbe offerto lei. Accettai un caffè. Lei invece, siccome non aveva fatto colazione, ordinò cappuccino e brioche, che ci furono serviti da uno dei ragazzi che lavorava in sala.
Appena il giovane si allontanò, lei si rivolse a me e, sforzandosi di vincere un po’ l’imbarazzo, mi chiese:
“Alvise lavora per te?”
“Sì, perché? Lo conosci?” le dissi, sorpresa da questa sua domanda inaspettata.
“Lo conosco da un po’. Non so tanto di lui, solo che frequenta lo stesso corso mio all’università. Mi piace tanto, ma non ho coraggio di dirglielo. Lui non credo mi abbia notata… vorrei che gli dessi questa lettera. Mi manca il coraggio di esprimere i miei sentimenti a lui di persona… Per favore, gliela puoi dare tu?”
Con mani tremanti mi consegnò una lettera piegata ma non chiusa.
“Puoi leggerla, se vuoi. Non ho segreti.”
“Assolutamente, no!” Le risposi decisa. “Apprezzo la tua fiducia, ma sono affari privati tuoi e suoi. Comunque sta’ tranquilla, la lettera gliela consegnerò e lo farò con molto piacere.”

***
Man mano il bar iniziò ad affollarsi di gente.
“Scusa, ma adesso devo andare!” Le dissi “Ah… oggi offre la casa.”
All’inizio protestò, ma io insistetti.
“Guarda che non capita tutti i giorni che qualcuno si fidi di te fino al punto di darti una lettera d’amore da consegnare al suo collaboratore, quindi non ammetto discussioni. Grazie di avermi fatta sognare.”
Un piacevole imbarazzo le tinse il viso di rosa. Uscì dal bar camminando leggera, come il vento in primavera che ti accarezza con il suo soffio lieve.

Alvise era di turno quella sera stessa; lo presi un attimo in disparte e gli consegnai la lettera, dicendogli: “Tieni! È per te, e… stai attento! Se la fai soffrire te la vedrai con me!”

La prese un po’ interdetto, dubbioso. La lesse e, man mano si faceva attento, mi sembrò che stesse uscendo dal suo torpore. Giusto qualche attimo, poi ritornò nella sua casetta, lassù, tra le nuvole.
“Ah…” dissi tra me e me. “Questo non c’è santo che lo svegli… Non so cosa ci abbia trovato lei.”
Dopo un po’ mi venne vicino e mi disse “Gliel’ hai detto che sono fidanzato?”
“Hum… no, non credo fosse compito mio! Spetta a te dirglielo.”
“La lettera era aperta… la hai letta?”
“Certo che no, ma conosco il contenuto. Me l’ha detto lei.”
“Ha lasciato pure il numero di telefono… la chiamerò domani mattina… mi dispiace non poter ricambiare, anche se ammetto di essere contento che lei provi un sentimento così grande e che me lo esprima in questo modo sincero e originale.”
La reazione di Alvise fu inaspettata. Rimasi piacevolmente colpita dal suo discorso.

Si erano visti. Dopo due giorni. Fu proprio lei a dirmelo. Entrò nel bar, timidamente, come la prima volta. Chiamai una delle ragazze per farmi sostituire al banco. Mi sedetti al suo tavolo con un allegro “Buongiorno!”
Non rispose al mio saluto. Cominciò a parlare, sussurrando: “È fidanzato. Nonostante questo è stato molto carino con me. Mi ha portato una rosa bianca. Mi ha ringraziata del mio sentimento… mi ha detto che gli dispiaceva moltissimo di non poterlo ricambiare… mi ha raccontato i suoi progetti. Con la sua ragazza si trasferiranno in Inghilterra, destino di molti della nostra generazione. Dobbiamo cercare di creare un futuro altrove perché la nostra cara Italia ha ben poche prospettive da offrire ai giovani. Mi ha detto che avrebbe portato con sé la lettera, che l’avrebbe conservata come un bel ricordo… poi mi ha baciata sulla fronte, mi ha abbracciata e se n’è andato.”

Man mano che raccontava, la sua voce tremava sempre di più; due lacrime uscirono dai suoi occhi celesti, le rigarono le guance e si fermarono sul mento. Le asciugò velocemente con la mano sinistra. Ingoiò le altre che volevano uscire e si alzò:
“È meglio che vada! Il tuo locale si sta riempiendo di gente.”
Annuii e mi alzai anch’io. La seguii con lo sguardo finché non si perse in lontananza.
Pensai ad Alvise. Quello che avevo ascoltato cambiò la mia considerazione di lui; la sua immagine assunse un’altra dimensione ai miei occhi. Stima, rispetto e ammirazione occuparono il posto della sufficienza con cui lo guardavo prima. Forse i distratti, riflettei, quelli con la testa sempre per aria, quelli che sembra che stiano dormendo, chiudono gli occhi davanti alle cose banali di tutti i giorni perché lassù, tra le nuvole, hanno creato un altro mondo, il loro, dove a noi comuni mortali non è permesso entrare, perché non lo capiremmo e rischieremmo di ferirli.

Dopo due mesi Alvise, insieme alla sua ragazza, andarono in Inghilterra. Adesso lui fa l’insegnante di italiano in una scuola. È tra i pochi ragazzi (se non l’unico) che hanno lavorato per me che, ogni volta che torna in Italia, non manca mai di passare a salutarci.

FINE
di
scritto il
2024-04-20
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