Valeria, irresistibile per me

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saffico

Arriviamo sabato a metà mattina in questo luogo meraviglioso, immerso nello scenario incantevole della Liguria di Ponente, dove Valeria ha ristrutturato lo scorso anno un piccolo rustico in pietra: isolato, arrampicato sul culmine di un monte che si raggiunge al termine di una strada tortuosa, all’origine era una costruzione agricola al servizio dell’uliveto a balze che ancora oggi lo cinge.
Lei ci accoglie sulla strada: è qui da tre giorni di fine primavera e le sue gambe sono già abbronzate. Ci indica di parcheggiare l’auto dietro alla sua Mini e fa strada scendendo alcuni gradini, quindi neanche due metri di vialetto ed entriamo nella casa.
L’ingresso è direttamente nella “zona living”, per dirla con il suo vocabolario: un tutt’uno soggiorno e cucina ricavato dall’unione di due locali. L’arredamento essenziale, quasi minimalista, elegante senza essere lussuoso, adorna un ambiente da rivista di interior design. Tradizionale il pavimento ligure (il “bullettonato”, ci insegna Valeria) in ardesia e marmo bianco che si alternano in una geometria regolare; di marmo è anche l’antico piano di lavoro con lavabo della cucina. Tonalità di bianco e di grigio per il lino di tende, cuscini e divano: sono abbinamenti tra colori pallidi che, penso fra me e me, forse solo noi donne riusciamo immaginare.
La luce entra solo dalle tre porte finestre esposte a Sud, opposte alla porta dalla quale siamo entrati e attraverso le quali si vedono accostati, grazie all’inganno della prospettiva, il verde del fazzoletto di prato antistante la casa e il blu del mare lontano.
Illustrando ogni dettaglio della ristrutturazione, con il suo lessico da architetto e orgogliosa del lavoro fatto, Valeria ci guida su per le strette scale. Mentre saliamo non posso non ammirare le sue lunghe gambe, il sedere neanche troppo nascosto dagli shorts denim a vita alta, strappati e certamente corti, le spalle atletiche, scoperte dalla canottiera leggera. E’ proprio bella la mia amica, penso.
La scala conduce a uno stretto corridoio, “ingrandito” da numerosi specchi di forme, misure, epoche, cornici e inclinazioni differenti appoggiati o appesi lungo le pareti a formare un gioco di luce e riflessi semplicemente straniante. Valeria ci mostra le due camere da letto, speculari e separate dal bagno. Ciascuno dei tre ambienti ha una sola finestra: guarda verso il mare. Lo stile dell’arredamento replica quello del piano inferiore.
“La casa è tutta qui, piccolina: 88 mq, intimità! Però seguitemi -dice elettrizzata uscendo dalla camera che ci affida- che vi devo mostrare ancora una cosa.”
Torniamo in soggiorno, usciamo sul piccolo prato arredato con tavolo e un paio di sdraio, lo attraversiamo, scendiamo nella prima balza dell’uliveto: a differenza delle altre, per una dozzina di metri non ha alberi ed è adornata da due file di cespugli di lavanda separate da un camminamento in pietra che conduce a un’ampia tinozza in legno. E’ di quelle rotonde per esterni: alte e dentro le quali si sta seduti su una panca circolare adesa al bordo. Ma, ancora più stupefacente, alle spalle di questa c’è una struttura in ferro battuto e vetro. “Era la vecchia serra: neanche 16 metri quadrati, ma ne ho ricavato -dice con pausa di suspance- lo spazio giochi!” Avvicinandoci, effettivamente, vediamo due bici da spinning affiancate l’una all’altra, un tappetino da yoga e una -ci dice- “wellnes ball a seduta attiva”.
“Spettacolo!”, le dico cingendola con un braccio. Entriamo: non c’è caldo per via delle vetrate aperte. Michele è colpito e manifesta la sua ammirazione per la vista del mare che si ammira sopra gli ulivi stando sulle biciclette, su una delle quali è subito salito: “Che spettacolo! Anche se io -afferma, con fare da quello che la sa lunga- preferisco andar sulle ruote. Ho la bici in macchina e dopo vorrei fare un giro: ci sono strade bellissime qui intorno”. Egoista: da quando s’è iscritto a una maratona ciclistica che si terrà a settembre a Montecatini (week-end termale per me, almeno) l’allenamento in bici è una mania.
Torniamo in casa, beviamo un infuso fresco realizzato “con la menta del giardino”, poi con calma apparecchiamo il tavolo sul prato: “Solo per tre -istruisce Valeria- perché Giovanni è ancora in città: sostituisce un collega in sala operatoria, ma conta di raggiungerci questa sera”.
Michele ha la testa solo per il suo giro in bici, aveva già studiato il territorio e programmato il percorso: conosce nomi di paesi e monti che la padrona di casa non ha neppure idea dove si trovino. “Non pensare di essere l’unico sportivo, qui. Io e Valeria -dico guardando propositiva la mia amica- dopo facciamo una sessione di spinning”. “Eh si -risponde subito lei- è un allenamento molto completo: aerobico, anaerobico e non devi fare attenzione a buche e automobili.”
Pranzo salutare e leggero, relax sul prato per un’oretta abbondante con il suono della natura, poi sento il rumore delle tacchette delle scarpe da bici di Michele in casa: è pronto. Enumera km e metri di “dislivello attivo” che si traducono, ci spiega, in circa tre ore di fatica. Saluta ed esce per la sua pedalata.
“Allora bike e poi nella tinozza?”, dice Valeria. “Fantastico! Ho avuto -le dico- una settimana pesante in Facoltà e non ho mai fatto sport: ne ho proprio bisogno”.
Saliamo nelle rispettive stanze a cambiarci; Valeria, più veloce, e mi dice dopo poco che inizia ad andare. La raggiungo nello “spazio dei giochi”, vedendo intanto che la tinozza si sta riempiendo.
“Audace!”, affermo guardando la sua tenuta: è già seduta sulla bici, busto eretto, si sta legando i lunghi capelli: Indossa una sorta di costume da bagno intero, bianco, parecchio sgambato. “E’ un body da yoga comodissimo, in una fibra ipernaturale”, mi dice. “In palestra non lo potrei mai usare, ma qui visto che siamo solo noi…”.
Inizia a pedalare piano. Mentre cerca online sul suo iPhone un programma di allenamento con musica abbinata. Io, girando dietro la sua bici, non posso non guardare quanto stretta sia la striscia di tessuto che scompare tra le sue natiche.
Valeria mi indica la fascia cardio sul suo manubrio e mi chiede se posso mettergliela. Continuando la sua ricerca sullo smartphone, con l’altra mano abbassa quindi prima una, poi l’altra spallina sottile. Sono pressoché alle sue spalle, ma cingerla per farle indossare la fascia scura mi dà una scossa: non so se per averle toccato il seno, per la situazione o solo per il suo profumo dolce ed estivo che sa di crema abbronzante e che mi invade le narici, ma …è proprio una scossa.
Il suo “Bello questo l’allenamento!” mi richiama all’ordine. Lei ringrazia, appoggia l’iPhone, rialza contemporaneamente le spalline. Salgo in bici proprio mentre parte la musica e prendo a pedalare.
Iniziamo con una fase tranquilla, di riscaldamento, stando sedute. Dopo qualche minuto, dalla cassa bluetooth, cambia il ritmo della musica e “l’allenatore” virtuale ci incalza con le istruzioni in seconda persona singolare: “Dai, aumenta la resistenza, mettiti in posizione due e affronta la prima salita”. Andando avanti il gioco si fa duro: è tutto un “aumenta ancora la resistenza”, “rimani con le mani in posizione due, ma ora in piedi sui pedali e spingi, di più, di più”. Insomma, tra salite brevi e ripide, “mani in tre”, “sali”, “giù”, “vai”, “più forte”, “contrarre gli addominali bene”, “ora piano”, ecc… il ritmo della musica e la voce dell’istruttore ci guidano per quasi un’ora di attività.
Quando finiamo siamo stravolte e una doccia di sudore. Il body di Valeria, fradicio, è diventato quasi trasparente. Sarà anche “piatta”, come dice lei, ma i suoi capezzoli scuri svettano in bella vista. Altra scossa. E’ la terza volta oggi, penso, che non posso non guardarla. Cosa mi sta succedendo? Ho il cuore a mille.
Usciamo dalla stanza, mi siedo sui talloni guardando il mare in lontananza. “Che meraviglia, Vale. Mi ci voleva proprio”, dico, mentre il respiro torna regolare.
In quel mentre un getto di acqua mi inonda: è Valeria con la canna per innaffiare; non ho scampo. “Doccia fatta -afferma ridendo delle mie proteste -puoi entrare nella tinozza”.
Così dicendo si sfila le sneakers, poi il body in un niente, si sciacqua rapidamente con la canna ed entra salendo due gradini. “Ah! -dico io- così, nature?”. “Ma non ci può veder nessuno qui. Entra, siediti sulla panca e guarda che panorama”, risponde indicando il mare.
Eseguo imitandola: ora siamo sedute entrambe con lo sguardo rivolto al mare lontano; l’acqua è a una temperatura fresca il giusto per i nostri corpi accaldati dall’attività. Cerca la mia mano, la prende e la stringe nella sua. “Sono molto contenta che siate venuti”, dice appoggiando la testa al bordo della tinozza e facendosi baciare dal sole. Mi metto nella sua stessa posizione, l’acqua mi copre appena il seno. “Anch’io, hai creato un paradiso qui. Un tempio dello stare bene. Sei stata bravissima”. Lei, sempre tenendo la mia mano, sposta la testa, si protende verso di me, avvicina il suo volto al mio e mi da un bacio forte sulla guancia. “Brava, amica mia. Hai buon gusto!”, dice, e torna nella posizione di prima.
Il contrasto tra il calore del sole e la temperatura dell’acqua si fa via via più evidente, mentre con la coda dell’occhio osservo il seno di Valeria: è piccolo, ma in armonia con la sua magrezza; quei capezzoli rosa scuro sono stupendi e sporgenti ancor più di prima; la temperatura dell’acqua deve averne il merito.
Cosa mi sta accadendo? Fatico a trattenere l’impulso di mollare la sua mano e palparle le tette e baciarle. Non ho mai avuto pulsioni lesbiche, ma da quando alcune settimane fa l’ho vista masturbarsi, non penso che a quell’immagine.
“Forse è troppo fredda ora? Ti va se aggiungo acqua calda?”, chiede. Al mio segno di assenso, molla la mia mano, si alza dalla panca, si spinge un metro e mezzo avanti a me e piega il busto per armeggiare con dei comandi.
“Davvero un bel panorama da qui”, dico io. Lei, girando il volto e guardandomi: “Spero tu ti stia riferendo al mio sedere”, afferma con quella che vivo come malizia e che apre una diga in me: “Beh, allora - rispondo guardando sfacciatamente lì - anche ciò che si vede subito sotto.”
Ridiamo entrambe. Torna a sedersi, questa volta proprio attaccata: sento il calore della sua coscia, del suo braccio a contatto con la mia pelle. Volto il busto verso di lei. Mi sorride con gli occhi fissi nei miei. Avvicino sempre più le mie labbra alle sue; si toccano. Le bocche si aprono in un bacio timido, affettuosissimo; poi in uno più focoso, quindi le lingue scavano l’una nella bocca dell’altra e le mani si spostano a cercare reciprocamente i seni, così diversi i miei dai suoi. Mi sposto dalla panca, vado di fronte a lei che è seduta, mi siedo a cavallo delle sue gambe piegate, quasi inginocchiandomi sulla panca. I nostri seni si strusciano mentre le mani si spostano sul volto, sul collo, sulla nuca, sulla schiena dell’altra.
“Sono settimane che penso a quando ti ho visto godere”, le dico baciandole le orecchie e poi la fossa tra il collo e la clavicola. “Mi hai stregato. Anche mentre faccio l’amore con Michele, pensare a quell’immagine mi fa godere. Sei la mia strega del piacere.”
Continuiamo a baciarci, a strusciartici. Le nostre mani cercano ora un seno, ora un capezzolo, ora in mezzo alle gambe.
Passando un dito sulla sua morbida fenditura, poi lo porto alla mia; una sua mano si aggiunge. Mi alzo in piedi, tenendo la sua mano dove lei mi sta toccando. Quella stessa mano che avevo visto addentrarsi in lei e darle piacere. Ora la voglio per me.
Mi rialzo, allargo le gambe di Valeria e, girandomi di spalle, mi siedo tra loro sul bordo della panca. Lei da dietro mi massaggia il seno. “Hai delle tette stupende”, dice palpandole. Prendo la sua mano destra e la guido sotto il mio pube a dar sollievo al mio desiderio. Ora lei la muove piano: le grandi labbra, il clitoride, poi giù alle piccole labbra: le divarica delicatamente con indice e medio, poi proprio questo scivola in me. Gemo. Sento i suoi capezzoli schiacciati sulla mia schiena. Prendo l’altra sua mano dal mio seno e la avvicino alle mie labbra e prendo un suo dito in bocca: lo succhio. Poi due e due lei ne infila nelle altre labbra: la sua mano sa darmi piacere. Succhio le sue dita nella mia bocca mentre con l’altra mano torturo i miei capezzoli. Alzo la gamba sinistra e, scavalcando la sua coscia, appoggio il piede sulla panca: voglio spalancare le gambe il più possibile per agevolare la sua mano le cui dita entrano ed escono, poi mi sollecitano la membrana anteriore, quindi mi torturano a più riprese, veloci, il mio bottoncino. Sto impazzendo di piacere.
Ansimo sempre più, la invoco di non smettere; ora le dita sono tre e il loro movimento frenetico dentro e fuori le pareti vaginali mi sta portando al culmine. Quando con il pollice inizia a stimolare anche il mio clitoride capisco che non è possibile trattenersi oltre.
Mi libero in un orgasmo infinito. La mia schiena, il mio ventre: tutto è attraversato da ondate di scosse. Ho uno spasmo. Poi ancora, un altro. Mi lascio andare, godendomi tutto, adagiando la mia schiena su di lei che mi bacia dietro a un orecchio tacendo e che mi abbraccia quasi a sorreggermi, a impedirmi di lasciarmi scivolare.
Non so quanto tempo dura. Tanto.

Quando tutto finisce, mi rialzo e mi giro; prendo le mani di Valeria per invitarla a raggiungermi nel mezzo di quella tinozza, ci abbracciamo, baciamo, accarezziamo. Poi, in un momento in cui la mia bocca è vicino a un suo orecchio, pronuncio il “grazie” più sentito della mia vita.
“Siediti sul bordo”, le intimo poi con gentilezza. Lo fa: sale, divarica le lunghe gambe abbronzate che appoggia sulla punta dei piedi, inarca la schiena per farsi guardare, quindi protende il suo pube in avanti. Mi chino a baciare il collo, il seno, l’ombelico, poi scendo ancora a baciare l’attacco di una coscia e quello dell’altra. E poi al centro, sotto quella netta striscia curata: con un gioco di baci alternati a colpi di lingua. Non ho mai fatto nulla di simile, ma so come baciare quel clitoride gonfio, so dove far guizzare la mia lingua.
Valeria ansima presto, tenendo la mia nuca, costringendola. Con una mano ora mi sostengo per reggere la posizione che ho. Con l’altra, inizio ad aiutare il lavoro della mia bocca introducendo due dita nella morbida e calda apertura di Valeria, potendo dedicare la mia lingua al solo clitoride. Le mie dita entrano ed escono da lei che inizia quasi a contorcersi; poi spingono, quando in lei, verso la parete anteriore. Continuo a sollecitare il suo clitoride umido con la mia lingua, tolgo le dita da lei e le porto a sollecitare la rosellina più sotto. Percepisco chiaramente un fremito in Valeria mentre la mia lingua lecca sempre più velocemente. Lo interpreto come un invito e spingo, quindi, delicatamente il dito medio in quel muscolo elastico che presto si rilassa. Il suo respiro è fantastico e rivelatore di piacere. Dopo poco, forzando progressivamente, inserisco piano anche l’indice. Avanti e indietro, prima piano e ora più velocemente. Sento che sta per venire e, sempre continuando in tutto quello che sto facendo con le mani e con la bocca, alzo gli occhi e la guardo anticipare con l’espressione del volto il gemito di piacere che poi lei quasi grida.
Eccola l’espressione del suo volto mentre gode, la stessa che aveva l’atra volta. Mi fa impazzire di eccitazione e di affetto.
La guido a risedersi nell’acqua divenuta tiepida. Ci abbracciamo, le nostre mani accarezzano il corpo dell’altra, le nostre bocche si scambiano baci. Poi ci guardiamo negli occhi: ridiamo e mi dice: “Grazie a te”!
Restiamo lì a mollo ancora, scambiandoci baci e carezze, guardando il paesaggio, immerse in una condizione bucolica che profuma di lavanda. Mi sento appagata. La bacio ancora, e ancora.
Parliamo di cose leggere, poi mi dice: “Ho goduto in una maniera meravigliosa e intensa. Oddio! Già il fatto che io abbia goduto senza dover far tutto da sola è una notizia: il disinteressamento di Giovanni per il sesso è diventato ormai quasi repulsione. Le ho provate tutte -sottolinea il tutte- ma non c’è verso. Da più di un anno sfugge e non facciamo l’amore. Da tempo oramai pensavo di avere io qualcosa di sbagliato: non attraente abbastanza, incapace di metterlo a suo agio, di stimolarne il desiderio, cose così. Tu mi hai appena dimostrato che forse non sono io il problema. Grazie!”, mi dice appoggiando ancora le sue labbra alle mie.
In lontananza sentiamo Michele chiamare: “Simo? Valeria?”
“Siamo qui” rispondo allontanandomi da Valeria. Dopo poco si affaccia dal prato. Gli dico che lo raggiungo subito. Esco dalla vasca, mi copro e asciugo con una spugna, prendo le mie cose, sorrido a Valeria raggiungo mio marito. Mi racconta del suo giro mentre saliamo in camera. E’ anche lui scalzo e vestito con solo una spugna legata in vita. Siamo davanti al bagno e gli chiedo se posso fare per prima la doccia. “Vai tu. Io ho già fatto”, dice.
Entro, apro l’acqua subito tiepida, bagno la testa, metto lo shampoo e inizio a massaggiare i capelli. Sento un fremito tra le gambe: mi pare incredibile, ma ora ho voglia di Michele.
La reprimo, per adesso, con inaspettata forza di volontà. Mi sciacquo, esco dalla doccia e spalanco bene la finestra: da là in alto si vede la tinozza. E’ vuota. Valeria, avvolta nella spugna, sgambetta leggera a piedi nudi sul prato.

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scritto il
2024-09-05
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