Valeria, irresistibile per me. (QUATTRO, Quanto è bella)

di
genere
saffico

(seguito)
Al molo fuori dalla stazione ci attende un motoscafo messo a nostra disposizione dalla fondazione per tutto il nostro soggiorno. E’ una sorpresa per Valeria, che reagisce entusiasta. L’uomo che lo conduce lungo il Canal Grande riferisce che gli organizzatori della mostra ci attenderebbero in un ristorante, ma chiede se preferiamo invece andare subito all’hotel.
Valeria si rimette a me per la decisione, ma è la prima a suggerire che un briefing con gli altri relatori può essermi comodo.
Sedute sul divanetto a poppa del motoscafo, ci scattiamo un selfie subito dopo che siamo passate sotto il più famoso dei ponti di Venezia: il risultato è una fotografia che restituisce perfettamente la nostra gioia in questa notte di inizio luglio.
Veniamo lasciate abbastanza vicino al ristorante e dopo qualche minuto entriamo nella piccola trattoria; condotte attraverso due piccole sale con una folla di quadri alle pareti, accediamo a un giardino incantevole. Riconosco subito alcuni dei commensali al tavolo in fondo. "Occhio a quello più a sinistra, PBM", dico a Valeria. "Cioè?", chiede lei. " Porco Bavoso Maledetto, come lo chiamano nella sua università”, rispondo. "Beh, 'le fisic du role’ lo ha", osserva lei.
Arriviamo al tavolo, il curatore della mostra si presenta con modi ossequiosi e, dopo gli scambi di convenevoli fra tutti, ci fa accomodare. Valeria e io siamo lontane: mentre lei siede vicino a una copia di collezionisti americani agé, a una giornalista e alla moglie del curatore, io sono accanto agli altri relatori, incluso il porco con sigaro toscano che impuzza l’ambiente. Prendo un solo piatto, buono ma talmente tipico della cucina veneziana da sentirmi banale per la scelta; un ottimo Soave fresco sprigiona nel mio palato il suo gusto di minerali. Durante il dessert, Valeria mi guarda con faccia preoccupata chiedendomi, con il solo movimento delle labbra, se va tutto bene. Annuisco e facio con una mano il gesto del "dopo", scandendo un labiale "poi ti spiego".
Si fa tardi ed è tempo di andare in albergo. Dopo aver salutato, lei ed io ci incamminiamo verso il molo. "Sono delle merde, soprattutto il porco!", impreco. Valeria mi chiede cosa sia successo e le spiego che quel viscido presuntuoso ha fatto considerazioni misogine e offensive sulla scelta della fondazione di aggiungere una donna al panel dei relatori. "Nulla di personale -aveva detto- anzi, figurati, una bella donna al mio fianco è sempre gradita. Ma coinvolgerti, cara collega, è stato scortese soprattutto nei tuoi confronti: ti ritrovi a fare la statuina. Per carità: una bellissima statuina", aveva aggiunto convinto di essere stato galante.
"Sono incazzatissima", le dico. "Quel maiale gonfio e saccente, poi, è pura prosopopea: sono almeno quindici anni che ha smesso di dire cose interessanti in tema di storia e di critica dell’arte. Riconduce ogni cosa a se stesso: ‘come ho scritto nel mio libro’, ‘quando ho conosciuto Tizio’, ‘questa cosa l'ho detta anche alla lezione che ho tenuto in quell’università in America’. Tutto autocelebrativo. Contenuti zero, ma siccome è comunque un nome, continuano a invitarlo. E stai sicura che hanno pure pagato parecchio le banalità che racconterà domani".
Vale mi lascia sfogare. Poi, mentre il nostro motoscafo scivola verso la Giudecca, mi dice: "Domani, il tuo intervento dovrà essere che resterà l'unico nella testa dei presenti. Non hai niente in meno degli altri quando descrivi un'opera d'arte. Meglio degli altri, però, stai sicura che sai trasmettere la tua grande passione. Perché quella tu la metti prima del voler far vedere che sai e chi sei."
Sedute una a fianco all’altra, nel fresco della notte, allungo un braccio intorno alle sue spalle e la stringo a me mentre superiamo la Basilica della Salute; le onde sembrano diradarsi e la prua del motoscafo vira placida verso sud, nel buio. Valeria, fingendosi preoccupata, mi chiede: "Ma dove ci sta portando? ". Il pilota non può averci sentito, ma subito dopo si volta e ci indica in lontananza delle luci: "Ecco l'hotel”. Tempo un paio di minuti, attracca ad un molo elegante, dal quale una lunga passerella conduce fino all'ingresso dell'albergo: bellissimo.
Un notturno di Chopin risuona in sottofondo nella hall, alla reception ci accolgono per check-in, poi seguiamo un ragazzo con le nostre valige per andare alla camera. La musica ci segue prima in ascensore e quindi lungo tutto il corridoio del piano. La stanza è spaziosa e affaccia a nord, permettendoci di vedere le luci di Venezia da una prospettiva assolutamente insolita. Valeria è entusiasta: "Avevi detto una albergo, non un'isola intera", esclama consultando un dépliant, "Parco, piscina, SPA e … ". Mi avvicino per sbirciare, ma lei nasconde il pieghevole e con fare perentorio dice: "Prendi il tuo computer, tu adesso devi pensare solo a conquistare lo scettro di regina della conferenza! Se posso permettermi un consiglio, poca accademia e tanta vita reale.”
Che amica. Prendo ciò che mi serve e mi metto alla scrivania a lavorare. Stravolgo tutta la relazione che avevo preparato. Non so quanto tempo impiego, so solo che ragiono bene e ora ho chiaro cosa dirò.
Dormo, forse, quattro ore e mezza: prima delle 8.00 suona la sveglia, Valeria dice che non si è accorta neppure che io fossi venuta a letto.
Ci prepariamo rapidamente e scendiamo per la prima colazione. PBM, in un Panama che lo rende ancora più tozzo, e gli altri stanno finendo e ci diamo appuntamento alle 9.00 per l’imbarco. La colazione è servita in uno dei cortili; guardando i tavoli vicini constatiamo che non è un albergo per giovani.
Puntuali siamo al molo, Vale si propone di venirmi ad ascoltare, ma le intimo di proseguire per la Biennale: la raggiungerò appena finito. Approfittiamo della navigazione per, ciascuna, una videochiamata a chi ci attende a casa: vogliamo condividere la meravigliosa scenografia nella quale siamo immerse.

La conferenza è finita e sto camminando felice verso i giardini della Biennale. Nella mia testa Tina Turner sta cantando The Best e sorrido pensando che, in questo stesso momento, in quella di PBM ci sarà, al massimo, l’eco di un lugubre canto gregoriano.
Valeria mi sta venendo incontro e ci troviamo sul Ponte di San Biasio. Mi vede raggiante: “Saluta la regina della conferenza!”, le dico. Ci abbracciamo e incamminiamo verso l’Arsenale, cercando un posto per pranzo. Con fortuna troviamo un bacaro che ci sazia con stuzzichini (piattini? tapas? non so come definirli) tipici e golosi. Ci concediamo un bicchiere di pinot grigio. Mi chiede dettagli della conferenza e le spiego che ho solo parlato di donne, libertà, piacere e … polipi! Porta le mani alla bocca in un’espressione di stupore, sgranando gli occhi. Scoppia a ridere. Brindiamo.
Le chiedo di raccontarmi della Biennale: la ascolto, ma mi accorgo che in verità sto solo scrutando il suo volto: delicato e forte allo stesso tempo. Lo scansiono centimetro per centimetro come penso di non aver mai fatto con nessun viso. E allungato, con lineamenti simmetrici e ben definiti; gli occhi sono grandi, espressivi e leggermente a mandorla, di colore marrone con venature di verde e di giallo, sono sovrastati da arcuate e folte sopracciglia che danno al viso un aspetto marcato e armonico; il naso è dritto e sottile, leggermente tondo sulla punta; la bocca ha una forma elegante e naturale, il labbro inferiore è forse più pieno del superiore; ha una mascella forte e definita che dà un’aria sofisticata al suo viso incorniciato nei lunghi capelli neri. E’ bellissima.
Sarà per il venir meno della tensione, per il poco sonno o per il vino, ma la stanchezza si fa sentire. Valeria propone, genialmente, di andare a rilassarci in piscina, all’hotel. Il motoscafo ci viene a prendere e ci porta in albergo: abbiamo buona parte del pomeriggio a disposizione!
Saliamo in camera, ci cambiamo rapidamente e scendiamo; ci sono poche persone e ci sdraiamo su due lettini sotto un ombrellone che attenua il calore del sole. Cullata dai rumori di qualche motoscafo in lontananza, sento il sonno conquistarmi lentamente. Mi sveglio dopo mezz’ora, Vale ha spostato il suo lettino e sta prendendo il sole a bordo piscina: occhiali neri e airpod sembrano estraniarla dal mondo. La osservo, di nuovo: il costume intero nero è di assoluta eleganza sul suo fisico longilineo. Da sdraiata, il seno sembra forse meno minuto, mentre il ventre piatto fa risaltare le ossa delle anche e il pube; le cosce lunghe e i piedi affusolati ribadiscono quanto sia slanciata. E’ proprio bellissima.
Mi alzo e le vado vicino. Non sembra avere gli occhi aperti sotto gli occhiali scuri, ma il lieve movimento ritmico dei suoi piedi indica che certo non sta dormendo. Mi sporgo verso il suo viso, le sue labbra sono una calamita. La bacio furtivamente sulla bocca.
Mi siedo sul suo lettino, dove mi lascia spazio. “Hai dormito profondamente, eh? -dice- Sappi che quel signore russo, passandoti vicino, ha palesemente apprezzato le tue tette. Ed è passato anche il tuo amico professore: per poco non ti sbavava addosso. Io ho fatto finta di essere al telefono, così non ha attaccato bottone. Secondo me -scherza- è nascosto con un binocolo da qualche parte a guardarti: quel bikini che indossi è istigazione.”
“Ah! Dici che è nascosto a guardare?”, affermo in un sorriso mentre riavvicino la mia bocca alla sua, “Allora diamogli qualcosa da vedere”. Le nostre labbra nuovamente si incollano, le lingue si cercano. Dopo poco però si ritrae: “Oggi ti piace dare scandalo, eh? Guarda che qui sei solo tu quella che ha una reputazione da difendere, io sono una sconosciuta”, ride.
C’è come elettricità a scorrere tra noi e non sono certo l’unica a provare desiderio. Le mie mani passano leggere sulle sue cosce, lei con la mano destra mi accarezza sul volto, sul collo, sulle spalle.
La voglia, quella voglia, cresce in entrambe. “E se andassimo in camera?”, mi propone maliziosa. Non le do il tempo di ripensarci che ho già preso l’accappatoio.
Attraversiamo il giardino e arriviamo nella hall. Siamo in attesa dell’ascensore, ma ci distrae un “Eccola!” con voce squillante.
Si para davanti a noi una bionda signora dentro un vestito a spalline rosa pallido. “Sono Jenna Peck”, dice allungando la mano e misurando la velocità con la quale realizzo chi ho davanti. “Piacere -le dico- Simona…”, “So chi è: ero questa mattina alla conferenza e la ho ammirata per il suo intervento pieno di passione”, risponde con forte inflessione americana. Le presento Valeria.
Con simpatica perentorietà ci invita, quasi intima, di prendere un aperitivo assieme perché, dice, ha un’idea di cui deve assolutamente parlarmi. Spedisce la sua assistente a farsi indicare un luogo riservato sull’isola dove possano servirci “qualcosa all’altezza della nostra bellezza!” E’ eccentrica, ma sembra simpatica. Capiamo che è impossibile dirle di no, però accetta che prima noi ci si vada vestire.
Le porte dell’ascensore si chiudono alle nostre spalle, Vale prende il mio volto tra le mie mani, mi bacia e poi dice: “Questa notte comunque non mi sfuggirai! Dimmi chi è l’americana, si capisce che è una che conta.”
“Jenna Peck Art’s Power -le racconto- è la più riuscita serie di documentari sull’arte che sia mai stata realizzata. La trovi su tutte le piattaforme streaming. La produce lei, fa anche dei podcast. Prima ha diretto per tanti anni la più importante rivista internazionale sull’arte figurativa, poi con tempismo si è messa a produrre contenuti multimediali, schivando la crisi dell’editoria.”
“Si -risponde Valeria- ho visto un documentario di quella serie: era su Frank Lloyd Wright, molto bello. Lei è simpatica, ma sono curiosa di capire quale sia la sua idea.”
Ci vestiamo velocemente e scendiamo. L’assistente ci attende nella hall per guidarci da Jenna in un chiostro. Con il suo forte accento americano, alzando un bicchiere dice: “Perché non ci sono monumenti in Italia per ricordare l’inventore del Negroni? E’ buonissimo!”
Iniziamo bene…
Prova a ordinarlo anche per noi, ma deviamo su due assai più leggeri Bellini, con la scusa che è stato inventato proprio a Venezia, all’Harry’s bar.
Jenna passa subito al tu e fa alcune domande sulla mia attività in Università e sulla mia esperienza editoriale che, chiarisce, certamente non ha avuto eco internazionale perché prima di questa mattina lei non aveva mai sentito il mio nome. “E non capisco perché”, dice lusingandomi. Dialoghiamo qualche minuto, poi lei afferma: “Vado subito al punto. Ascoltando il tuo intervento, questa mattina, ha capito che si possono fare dei documentari su pittura, scultura ed erotismo. L’Italia, l’Europa, ma anche il Giappone e forse la Cina. Dall’arte classica a quella contemporanea. Non trovi?”
Mi appoggio allo schienale della poltrona e inizio a riflettere ad alta voce: “Molto vasto, c’è tanto, tanto materiale. A partire, per esempio, dall’arte greco romana: espressione di una società che è sempre stata molto libera di rappresentare gli aspetti più spinti della natura umana. Pensa anche solo a Pompei ed Ercolano e alla sessualità esplicita che è rappresentata in affreschi, sculture, oggetti d’arte. Solo per parlare di quella non basterebbe una puntata. Ma, allo stesso tempo, perché escludere l’arte fotografica? Sto pensando a quello scatto pazzesco di Helmut Newton al cimitero Père-Lachaise di Parigi, Tomb of Talma, fotografia che farebbe tra l’altro da trait d’union con tutta l’arte erotica cimiteriale. C’è quel libro bellissimo, certamente lo conosci, ‘Pose di erotico abbandono’, in italiano, non so in inglese che titolo abbia: quello sull’arte monumentale funebre realizzata tra l’ultimo ventennio dell’800 e i primi dieci anni del secolo successivo, in Europa.”
Più ci rifletto, più mi vengono in mente opere e filoni. Jenna è tutta un “Brava!”, “Esatto!”, “Good point!” e un richiamare autori o quadri. “Insomma -concludo il mio ragionare- la parte più difficile sarebbe quella di selezionare, di fare sintesi.”
Ci confrontiamo ancora a lungo: Jenna è pirotecnica, Valeria partecipe, l’assistente puntuale nel rispondere alle domande della sua capa, il cameriere sollecito nel portare un secondo giro al primo accenno di Jenna e così si sono fatte le 20 e tutte quante dobbiamo andare a prepararci per la cena di gala. “Continua a pensarci, Simona. Dopo riprendiamo il discorso.”
Siamo a dir poco in ritardo e, quanto a me, non completamente sobria. Valeria è rimasta affascinata da Jenna e continua a parlarmene. Mentre lei fa la doccia, io preparo il mio vestito: lungo, blu, in satin, senza maniche, con una discreta scollatura a V e la schiena nuda. Molto nuda.
Lo porto in bagno quando è il mio turno della doccia, sotto la quale continuo a pensare all’idea di Jenna. Una volta pronta e truccata esco: mi mancano solo gioielli e scarpe. Ah! No, devo mettere ancora il rossetto. Valeria mi appare in tutta la sua bellezza. Quasi niente trucco, indossa un abito tipo smoking di un blu intenso, di seta, lucido. La giacca monopetto ha il revers a scialle e una chiusura a bottone. I pantaloni sono a vita bassa e gamba dritta, cadono morbidi sulle sue lunghe gambe dando un senso di leggerezza. Indossa un sandalo nero con un piccolo tacco. Sotto la giacca ha solo una collana lunga e sottile che alterna una qualche pietra scura a una brillante, luminosa.
Resto a bocca aperta: la scollatura è davvero audace e fa risaltare l’attacco delle clavicole, lo sterno, il petto. Vero, il seno di Valeria è piccolo, ma il suo apparire solo appena delineato è ben più di un tocco di sensualità, ma senza ostentarla.
Salgo sui tacchi delle mie decolté di vernice nera, talmente ripidi che raggiungo quasi l’altezza di Valeria. Mi metto gli orecchini e le chiedo se mi aiuta a chiudere la collana: viene dietro di me che sono davanti allo specchio. E’ vicina e sento che inspira il mio profumo dietro l’orecchio destro. Chiude il fermaglio della collana, poi lascia scivolare piano le mani sulla schiena, fino alle scapole. I nostri sguardi rimbalzano sullo specchio e si fissano l’uno in quello dell’altro. Da dalla scapola, la mano destra, aggira lentamente il mio torace e le sue lunghe e sottili dita si infilano con facilità sotto il vestito e mi stringono il seno. Una scossa mi attraversa. Infilandolo tra indice e medio, preme il capezzolo che, in un niente, inizia a gonfiarsi.
Vede che, immobile, ho in mano il rossetto e mi dice: “Aspetta.” Molla la presa, mi volto o lei mi fa voltare. Ci baciamo con passione: la morbidezza delle sue labbra, le lingue che scivolano calde una sull’altra. “Ricordati: questa notte non mi sfuggirai”, mi dice. Scende con il viso, sposta delicatamente la scollatura del mio vestito fino a liberare il seno. Lo bacia, con sensualità.
Quindi mi ricompone e rialza il volto. Apro io il bottone della sua giacca e restituisco il regalo che mi ha appena fatto. Poi tengo la sua giacca aperta, con l’altra mano mi metto il rossetto. Ci guardiamo nello specchio e mi chino a stampare un nuovo bacio intorno al suo capezzolo. Le richiudo il bottone. Il segno del mio bacio non sembra vedersi, ma chissà, forse basta un qualche movimento e …
“Se lo vede il porco -dice- impazzisce!”
Ridiamo e usciamo. Un’ultima tappa prima della nostra nottata.

(segue, anche se con altro titolo)


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scritto il
2024-09-25
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