In crescendo, nella Ville Lumière
di
La Recherche
genere
trio
Le mie reminiscenze del Classico mi ricordano che “erotico” deriva dal greco eros: desiderio appassionato. Mentre chiudo sul fianco la cerniera della gonna e finisco di prepararmi, la parola “erotico” rimbalza nella mia mente.
Mi interrogo sul rapporto tra “desiderio appassionato” e sogno: perché il mio desiderio io lo vedo, lo immagino, lo progetto, lo prefiguro in maniera precisa, dettagliata, come un sogno. D'altro canto, nei meravigliosi giochi dei significati delle parole, desiderio e sogno sono anche sinonimi.
E’ per questa dinamica che oggi sono qui, in una città straniera, con la mia amica Valeria e con Michele, il suo compagno da più di dieci anni. E’ con lei che ho organizzato questo fine settimana: lui, in preda da ben più di un anno a una condizione di profonda apatia sessuale, ha forse e inaspettatamente mostrato segni di sensibilità per il bondage e Valeria, che si logora nel non sentirsi desiderata da lui, mi ha chiesto complicità per cercare di verificare se quell’interesse è reale o meno, se può risvegliarlo. Perché io? Perché l'amicizia che mi lega a lei è ben più che intima e perché ero stata io a suggerire loro la visione di un film documentario sull'argomento che rappresentava il rapporto tra fiducia e abbandono al piacere. E poi perché con mio marito ho sperimentato questo gioco, anche se in modalità veramente leggera. Cosa che Valeria sa bene avendovi, di nascosto da lui, preso parte attivamente.
Abbiamo, quindi, pensato di portare Michele più a contatto con quelle emozioni, ma facendo in modo che non accada in maniera esplicita.
Approfittando di un mio impegno di lavoro a Parigi, abbiamo programmato che mi raggiungessero. Grazie ai buoni uffici della mia amica Jenna, ho ottenuto gli inviti per il vernissage della mostra di Fynn e Milla De Vees: fotografi belgi, celebrati ritrattisti che hanno elegantemente immortalato anche scene soft di bdsm, senza cedere troppo agli stereotipi: niente interrati bui, gabbie, croci di Sant'Andrea, per intenderci.
L’assenza di mio marito, rimasto a casa per un’influenza, ha innescato un’ulteriore dimensione erotica: prima in un momento di passione che ho vissuto con Valeria, poi quando Michele, poco fa, rientrato a casa mi ha guardato mentre ero nella doccia. In me è sbocciata la consapevolezza di quanto quel suo guardarmi nuda accenda il mio desiderio.
"Ok, sono pronta", dico a me stessa mentre lo specchio nella mia stanza restituisce un'immagine che mi soddisfa. I miei capelli biondi lasciano ben vedere gli orecchini che indosso, color rosso sangue di bue. La camicia bianca non nascondere troppo l'importanza del mio seno che è costretto in un morbido bra con pizzo nero; lo stesso colore della giacca blazer di cuoio, aderente in vita, abbinata alla sua gonna che, stretta, arriva subito sotto al ginocchio. Collant neri, velati ma non troppo. Scarpe Mary Jane con tacco grosso, dello stesso rosso della cintura sottile, dello smalto delle mie unghie, del rossetto e degli orecchini. Come detto, io preparo e progetto in maniera dettagliata.
Grido a Valeria, nell'altra stanza, di non mettersi scarpe con troppo tacco, per non vanificare il mio tentativo di avvicinarmi alla sua altezza.
Vado in ingresso, dove loro due sono pronti. Lei indossa gli stivali nuovi che spuntano da un lungo cappotto grigio scuro in pelliccia ecologica che la proteggerà dal freddo.
Freddo del quale non sembra aver paura Michele, sexy nel suo completo blu e camicia ton sur ton, che porta il giaccone solo su un braccio, senza indossarlo neanche mentre in strada attendiamo la vettura di Uber. E' la prima volta che, guardandolo, noto che quella porzione del volto composta da fronte, tempie, occhi e naso ricorda l'attore italiano in quella serie di Sky sulla finanza londinese. Simile anche lo sguardo magnetico e cupo.
Arriviamo alla mostra, nel corpo interno di un'elegante palazzina con in zona Saint-Germain-des-Prés. Più che un vernissage, sembra proprio una festa, con tanto di caldo da ressa. Quando diamo i nomi all'ingresso veniamo accolti con deferenza e accompagnati a lasciare i soprabiti. Togliendosi il cappotto, Valeria sfoggia la sua bellezza: dolcevita in cachemire blu scuro con maniche fino al gomito, molto larghe, come il collo; cintura geometrica alta che copre buona parte della minigonna grigia cortissima; opachi collant blu 100 denari a fasciarle le gambe. Gli stivali neri, di ispirazione equestre, hanno un tacco di neanche due dita -grazie-, ma con la loro silhouette che le fascia la gamba, sembrano slanciarla ulteriormente. Il bracciale a polsino larghissimo mi pare scelta azzeccata per la mostra che stiamo per visitare. Dico a suo marito, ancora ignaro di ciò che vedrà alla mostra, che Vale è troppo bella per lasciarla andare in giro: meglio tenerla al guinzaglio. Proprio in quel momento ci passino vicino due eccentrici soggetti tutti vestiti in latex nero, con tanto di passamontagna: lei, manette di design ai polsi, ha un collare dal quale parte una catena che lui impugna. Camminano con assoluta disinvoltura e noi tre -che vorremmo scoppiare a ridere- ci domandiamo se sia una performance artistica. Michele chiede se siamo nel posto giusto.
Le immagini alle pareti sono molto belle: tutte in b/n, realizzate in interno, ma in ambienti reali, autentici. Sono ritratti, soprattutto di coppia. Le sale dell'esposizione hanno tutte un tema, indicato con una scritta al neon all'ingresso, che gioca con il suffisso "Free". L’ultima è titolata "FreeDom" e già dalla prima fotografia vediamo che il riferimento è alla dominazione. L'ingresso, d’altronde, è presidiato due uomini robusti e remissivi: uno vestito di cuoio e borchie, l'altro con il volto chiuso in una maschera antigas. Sono i custodi di quindici immagini, una più suggestiva dell'altra: fotografie eleganti che non esprimono dissolutezza. A me evocano, piuttosto, "consenso".
Sono tutte ambientate in normali spazi domestici: salotti, bagni, camere da letto, ingressi e corridoi di abitazioni comuni. Hanno luci drammatiche, ma rappresentano situazioni di equilibrio: c'è tensione, ma contemporaneamente pace.
Valeria aveva ragione: Michele è attento, addirittura rapito da alcune fotografie. Di poche parole, commenta che il soggetto protagonista, femmina o maschio che sia, appare essere per lo più chi ha i polsi costretti in un paio di manette poste alle estremità di un'asta, chi è impedito nella vista da una benda, chi è in balia dell’altro, non chi interpreta il ruolo di Dom. Conveniamo su questa lettura e Michele annuisce quando Valeria aggiunge: "Certo, perché il potere è al servizio del piacere dell'altro." Insomma, Michele osserva, mostra, indica, interpreta. E' partecipe.
Valeria ed io ci scambiamo occhiate d'intesa e una modella, su scarpe dal plateau stellare e il tacco sottile alto oltre una spanna, ci passa affianco: è nuda e con le braccia costrette al corpo avvolto, dal busto a metà coscia, in qualche giro di pellicola trasparente. Ha un passo elegantissimo e sfila con lo sguardo basso, nascosto dalla frangia dei capelli corvini raccolti in cima alla nuca. Michele ci fa notare che il film trasparente ha due lacerazioni di qualche centimetro di diametro in corrispondenza dei capezzoli. Ha detto proprio "lacerazioni": il suo lessico clinico.
Una giovane ragazza dell'organizzazione ci raggiunge, si presenta e ci chiede conferma del fatto che siamo noi gli “amici della signora Peck". Con entusiasmo ci dice che il curatore vorrebbe conoscerci. La ringraziamo e seguiamo fino a salire due rampe di scale ed entrare in un salotto nel quale un signore piccolino, con fare molto intellettuale, ci si presenta. Dopo qualche minuto di convenevoli, ci conduce in un grande salotto in stile classico dove veniamo colti da sorpresa: un lungo tavolo bianco è colmo di fruste e frustini, maschere, manette, bavagli per la bocca con la pallina, cinghie costrittive e altri pezzi. Un campionario: c'è anche un orsacchiotto di peluche fetish kink come quello di una pubblicità recentemente al centro di polemiche. Luci fotografiche su cavalletti illuminano un elegante divano sul quale è seduto, di sbieco, un ragazzo con camicia slacciata e braccia legate dietro la schiena. Quello che, dall'intimità, sembra essere il suo compagno è di fronte a lui, in posa nel gesto di bendarlo con una fascia rossa di raso. Ha carnagione chiarissima, sui trent'anni, è esile ai confini del gracile, con i capelli biondi lunghi e sottili. Nella sala ci sono altre due coppie: una sembra aver appena posato, mentre l'altra sono i coniugi belgi dei quali abbiamo apprezzato la mostra. Lui è molto alto, sui sessant'anni, profondamente stempiato, con capelli grigi e ricci che girano intorno alla testa. Occhiali tondi e dalla montatura luminosa poggiano su un naso pronunciato con la punta ampia e rotonda; la pelle del volto è butterata. Indossa in maniera disordinata una grigia camicia e jeans neri. E' concentrato, appassionato, parla e gesticola.
Lei è seduta sul bracciolo di una poltrona; fuma svogliata una sigaretta sottile. Emana una presenza carismatica.
Osservo la sua bellezza matura, sofisticata in un mix di severità e sensualità che ricorda Charlotte Rampling. Figura longilinea, zigomi alti e delineati che danno al volto una struttura scultorea; occhi grandi, intensi, penetranti, di un colore che sembra oscillare tra il grigio e l’azzurro: emanano un'aura di mistero e di sicurezza. Il naso è fine, armonico. Le labbra sono sottili, ben disegnate. La pelle è luminosa e mostra rughe ai margini della bocca e al contorno degli occhi; le linee sul suo volto raccontano storie. Porta con naturalezza lunghi capelli color cenere. E' tutt'altro che trascurata nell'abbigliamento: camicia avorio, colletto chiuso fino all'ultimo bottone, dove un laccio nero forma un elegante fiocco i cui lembi scendono sul petto. La camicia è infilata dentro un paio di pantaloni aderenti, di velluto corvino, che arrivano fino alla caviglia. Indossa degli stivaletti scamosciati con tacco di media altezza.
Ha un fascino conturbante, anche nel suo essere visibilmente annoiata.
Il marito mostra in visione un telefonino all'uomo con le braccia legate, il quale guarda lo schermo con il suo compagno che lo sta liberando e inizia a ringraziare commentando con entusiasmo ciò che vede.
Solo in quel momento lei ci nota e, osservo, scruta Michele. Il curatore va da Fynn e Milla e ci presenta come "Amici italiani di Jenna Peck". Loro ci vengono incontro e salutano: lui con simpatia, lei con fare altero.
Ci complimentiamo per la mostra. Michele, il cui francese è invidiabile, regge il dialogo per tutti noi.
Fynn guarda la moglie, che gli fa un cenno di consenso, poi indica con lo sguardo il set e con la mano il tavolo chiedendoci se possono regalarci un nostro ritratto. Michele è imbarazzato, ma sia io che Valeria rispondiamo affermativamente. Fynn guarda Michele, che sembra restio, e prosegue dicendo: "Per lo scatto che Milla e io potremmo fare, però, o tutti e tre o niente." Con un tono severo, anche la donna si rivolge a Michele guardandolo dritto negli occhi: "Sei una persona razionale, analitica, hai bisogno di avere la situazione sotto controllo: forse perché hai paura di perderti in ciò che non è programmato? E' diffuso in voi maschi, ma affidati a noi. In questa stanza saremo solo voi tre e noi due; ci metteremo meno di venti minuti. Scegliamo una maschera e solo tu, nel tuo telefonino, avrai questa fotografia; se vorrai eliminarla, la cancellerai in un click, se vorrai condividerla con qualcuno -sempre che loro due siano d'accordo- non potrà comunque riconoscerti. Lasciati andare. Fidati e vivi."
Non attende neanche che lui risponda, come se non ci fosse scelta, e con fare al limite del brusco manda via tutti gli altri dal salotto. Chiede al curatore di chiudersi dietro la porta e di lasciare che loro due facciano il loro mestiere. Lui esegue dicendo che li avvertirà quando arriverà l'ospite che attendono.
Milla va al tavolo e prende una maschera in cuoio nero: sembra il muso di un cane, un dobermann, con tanto di orecchie dritte. Dice a Michele di togliersi la giacca e la camicia. Lui è paralizzato, assente, con lo sguardo perso come in un'altra dimensione; non ascolta, tanto che lei deve ripeterglielo, cosa che fa con naturale durezza.
Mentre lui, incerto, esegue, Fynn gli chiede il telefonino. Milla è tornata al tavolo e prende: un frustino da cavallo, un'asta con le polsiere rosse, un paio di occhiali da sole scuri e con lenti grandi e squadrate, un'altra maschera in cuoio nera che copre solo la parte superiore del volto e ricorda, per le orecchie, il muso di un gatto, nonché un collare di cuoio con una lunga catena. Butta tutte queste cose sul divano vicino a noi e poi osserva Michele, che si sta togliendo anche la camicia. Riprende il frustino dal mucchio sul divano, lo impugna e ne fa scorrere l'estremità sulla parte di petto di Michele già libera dalla camicia. C'è tensione nella stanza, soprattutto negli sguardi tra Milla e Michele. "Ti tieni in forma, bravo”, dice lei. Ha una severità eccentrica che esprime un fascino notevole, sicuro più che autoritario.
Fynn sposta le luci indirizzandole verso la poltrona usata prima da sua moglie; Milla, intanto, si è ulteriormente rifornita al tavolo e porta un paio di accessori in cuoio nero che non capisco cosa siano, poi va da Michele e gli dice di avvicinarsi alla poltrona, ma di non sedersi ancora; quindi gli porge la maschera a forma di muso di cane e gli dice di indossarla. Lui fatica a capire esattamente come si infili; lo aiuta Vale, forse temendo una reprimenda della belga. La quale, invece, le va vicino e la porta alle spalle di Michele. E' Valeria, così, che stabilizza la maschera e stringe i lacci che la chiudono sulla nuca del marito. Milla le passa uno di quei pezzi di cuoio che non avevo saputo interpretare: ora capisco cosa sono. Vale, da dietro Michele, facendo una considerazione in italiano su quanto sia elettrizzante questa vestizione, gli lega un collare dal quale partono dei nastri in cuoio che scendono giù per il petto e arrivano a una cintura che chiude dietro. All'altezza dello sterno, sul nastro centrale, c'è un anello di ferro: Milla vi fissa con un morsetto un aggeggio in cuoio con delle fibbie, poi prende una mano di Michele e a seguire l'altra: sovrappone incrociati i polsi rivolti all’interno e chiude le fibbie. Quindi mette una mano sulla spalla di lui e lo invita a sedersi sulla poltrona. "Ora dobbiamo pensare a voi due, che avete una certa intesa. Allora -dice rivolta a me- togliti la giacca: vorremmo che tu mettessi questa maschera con le orecchie, il collare e poi, tenendo le braccia dietro la testa, l'asta con i polsi bloccati nei fermagli. Mentre tu -rivolgendosi a Valeria- sei già a posto così: ti metterai solo quegli occhiali scuri, impugnerai con una mano il frustino e con l'altra la catena. Poi terrai la gamba alzata, con uno stivale appoggiato sulla seduta della poltrona, sotto il bracciolo. Aiuta con l'asta la tua amica bionda", dice in ultimo a Valeria spostando poi lo sguardo, nuovamente severo, su Michele.
Eseguiamo tutto. Fynn mi fa inginocchiare su un tavolo basso, ma vuole che io stia dritta, eretta. Con la mia gonna stretta non è facilissimo mettermi su quel piano e, avendo le mani fissate in quel modo, temo nel salire di perdere l’equilibrio: mi aiuta nel movimento Milla, sorreggendomi con presa salda e sussurrandomi nell'orecchio: "Sei tu il vero centro dell'attenzione di questa scena."
Eppure non sono al centro, né la più in alto o quella in primo piano, ma quando poi guardo la fotografia sullo schermo dell'iPhone di Michele, vedo che il bianco della mia camicia è come se fosse la fonte di luce dell'immagine. Si, non sono al centro, ma sono il centro.
Milla mi aiuta a rialzarmi, mi libera i polsi e toglie maschera e collare. Vale porta al tavolo i miei e i suoi oggetti. La belga, intanto, slega i polsi e la maschera di Michele, che senza apparente ragione resta ancora seduto e che ha la fronte lievemente imperlata di sudore. Osservo che non guarda mai Milla. Quando poi si alza, si libera dei lacci in cuoio, si riveste, e soprattutto infila la camicia nei pantaloni, noto come un gonfiore sospetto.
Intanto Fynn gli dice che, se vuole, loro saranno felici di autenticare la fotografia facendone un Not Fungible Token: basterà mandargliela per email, mantenendo il massimo della risoluzione. Michele annuisce, ha perso la loquacità di prima; è Valeria che prende l'iniziativa dicendo con entusiasmo che certamente così farà. Lei -parlando in inglese- afferma che la fotografia è bellissima e si dichiara onorata di questa occasione unica.
Bussa alla porta la giovane ragazza dell'organizzazione che, affacciandosi, dice qualcosa troppo rapidamente perché io possa capirlo. Fynn risponde veloce: "Ouì! Ouì!" e ci pone la mano per salutarci. Anche Milla, con distacco, ci congeda.
Usciamo, scendiamo e ci indirizziamo nell'ampio atrio dove alcuni camerieri trasportano, su vassoi rotondi, coppe di champagne e tartine. Michele si beve un bicchiere quasi tutto in un sorso. La ragazza nel domopak ripassa vicino a noi: ora cammina a testa alta, con delle pinzette di metallo unite tra loro da una catenina a stringerle i capezzoli.
Michele è turbato, ma sembra non da qualcosa che vede o che accade intorno a lui, ma da qualcosa di intimo, come un pensiero. Chiedo se vogliamo andare a cena; all'assenso di Valeria, lui inizia a compulsare lo smartphone. Dopo qualche minuto dice che ha prenotato in un bar à huîtres non lontano.
Recuperiamo le nostre cose e usciamo da quel circo. Vale e io prendiamo Michele sottobraccio mentre ci incamminiamo.
Al ristorante sediamo a un tavolo rotondo, tutti e tre sul divanetto semicircolare. Vale è al centro. Dopo aver ordinato, io e lei andiamo alla toilette. Appena si chiude la porta alle nostre spalle lei mi prende il volto e mi stampa un bacio sulla bocca. "Avevo ragione, hai visto?", dice euforica. "Si, è rimasto colpito e non in maniera negativa. Ora -le dico- dobbiamo però metterlo a suo agio rispetto a quell'argomento. Fargli capire che non c'è niente di male, non una perversione. Perché secondo me lui la pensa un pochettino così." Lei concorda, ci laviamo le mani e torniamo al tavolo. Lui sta guardando il suo telefono, ma in orizzontale. Osserva la fotografia di prima. "Sei venuta benissimo, dice a lei che si risiede al suo fianco. Gli prendo il telefono: "E io male?", chiedo con fare simpaticamente risentito. Guardo l'immagine, poi passo lo smartphone a Vale che, in mezzo, può gestirlo meglio a beneficio di tutti. Guardiamo e commentiamo l'insieme e i volti di tutti. Ingrandiamo i dettagli. Gli occhiali scuri davano a Valeria un aspetto più androgino, ma il mento alto, il busto dritto, la gamba alzata e gli accessori impugnati esprimevano una grandissima sensualità.
Il bianco e nero della foto restituisce una particolare eleganza. Ci chiediamo chi dei tre sia riconoscibile: non Michele, secondo me neanche io. Forse Valeria, comunque bellissima. Battibecchiamo sulla possibilità di fare una prova e alla fine Michele cede e manda un whatsapp effimero a mio marito Giovanni. Il quale dopo qualche minuto gli risponde: "Non infierire facendomi vedere che mi sono perso anche una mostra interessante." Forse, arrivando da Michele, il messaggio è troppo criptico e genera a reazioni da compagni di calcetto. Ingrandisco la sola parte che mi ritrae e la copio. Chiedo a Michele di mandarmela; poi invio quel dettaglio a mio marito. "Anche Michele me ne ha mandata una. Bella mostra!", risponde con un messaggino. Commento con i miei commensali che, evidentemente, non mi ha riconosciuto. Michele dice che è ovvio: “Giovanni non può immaginarti così, per questo non ti riconosce.”
Valeria lo interrompe: "Beh, aspetta: tieni conto che loro, ogni tanto, fanno quei giochini lì."
Io sono imbarazzatissima, però il mio guardare Valeria con fare di rimprovero è già prova della verità della sua affermazione. Balbetto qualcosa di interlocutorio. Poi cerco di spiegare, in fin dei conti è cosa utile alla causa: "Allora… Diciamo che è capitato. Ricordi -continuo- quando vi abbiamo raccontato di quel documentario? L'idea di far provare un piacere assoluto al partner, un piacere libero nell'abbandono. Ecco. Però una cosa molto leggera."
"Proprio leggera non mi sembra -interviene Valeria- diciamola tutta: lo bendi, lo leghi, ..."
Sta esagerando; va ricondotto tutto su dei binari sensati. "Vale -dico-stai fraintendendo le cose: intanto non c'è un ruolo predefinito. Il bello è l'affidarsi, quindi perché deve essere sempre lo stesso a farlo?"
"Cioè -interviene Michele, che intanto si è bevuto un bicchiere di un Muscadet delicato, che profuma di oceano- vi scambiate i ruoli?"
Ci interrompe il cameriere servendoci la degustazione di ostriche e altri molluschi indicandoci le diverse varietà presenti. Tiro il fiato e rifletto sul da farsi, mandando occhiate a Valeria che mi sembra troppo precipitosa. Però, penso, lei è così: segue l'impulso. E, infatti, appena possibile mi incita a rispondere alla domanda rimasta in sospeso.
"Michele, non farti l'idea di una nostra abitudine. Comunque si."
Vale mi incalza, chiede, commenta. "Penso -le dico- che ciascuno possa avere una motivazione diversa per fare questi giochi: per alcuni può essere forse anche segno di un problema, all'estremo opposto per me è un divertimento innocente rivolto a fare in modo di provare un piacere libero, che non deve pensare a niente. Non performance, nessuna attesa dell'altro o ricerca di sincronia nel raggiungere l'apice, ecc…. Poi c'è quel concetto di fiducia che è estremizzato, intenso, pieno. Comunque -concludo- guardate che stiamo parlando di qualcosa di diffusissimo. E con gradazioni diversissime."
Michele mi ascolta con curiosità, mentre si mangia quei molluschi gustosi.
Ha uno sguardo interrogante, come se fosse in costante attesa di spiegazioni, informazioni su qualcosa che deve capire.
"Certo -proseguo- è un contesto adatto a chi ha immaginazione, la quale gioca un ruolo fondamentale: immaginazione di cosa possa succedere, di quale sia il prossimo passo, di cosa significhino i rumori che senti. Non cosa significhino nella realtà, ma cosa evochino a te, quali sensazioni ti diano. Michele -continuo- ne parlavamo quella sera al matrimonio: proprio tu spiegavi che la nostra mente ha un ruolo fondamentale nell'appagamento sessuale. Ecco, in quei giochi la mente è come se surfasse libera sopra delle onde. Si attiva qualcosa di introspettivo, ma che dipende dal tuo partner. Il quale non comanda i tuoi pensieri e le tue emozioni, le genera ma non le determina. Non so spiegarmi: qualunque cosa lui o lei voglia fare, per chi la riceve l'effetto è certamente oltre l'intenzione."
Michele mi ascolta. Valeria si pulisce le mani con una salvietta che sa di limone, estratta da una ridicola bustina a forma di pesce. Il sapore minerale del vino invade il mio palato. Lei prende il telefono di Michele, va alla fotografia, me la mostra nuovamente e mi dice: "La tua mente cosa immaginava in quel momento?"
Non posso essere sincera, dovrei dire del desiderio che provavo: di replicare quella situazione, di lasciarla sviluppare, noi tre. Devo trovare una scappatoia. "Lascia perdere la mia, ditemi piuttosto cosa creava la vostra immaginazione."
Lei mette il piccolo schermo davanti a Michele, il quale -con occhi intensamente sperduti- si ritrae facendo un segno con la faccia, come a dire: "Prima tu." O forse: "Tu, io no."
"Sinceramente? Ero emozionata. L'idea di posare per dei fotografi importanti, uno. La scena che hanno creato per noi, nella sua unicità, due. Quell'idea di potere, del ruolo che mi hanno dato, tre. Voi due: bellissimi nella costrizione, stop: emozione."
"Come stop! -dico io- E poi, qualifica quell'emozione: è la prima volta in vita mia che ti vedo analitica, schematica e lo fai in maniera così incompleta?!", le ribatto scherzosamente.
"Eccitazione." E' Michele che parla. Improvvisamente, inaspettatamente. Poi si ammutolisce. Lei lo guarda: "Si, anche per me: eccitazione."
Scrutiamo entrambe Michele, questa volta è su di lui che grava l'attesa di una spiegazione più articolata.
Beve un altro sorso di vino, lo gusta in bocca, con calma. Poi guarda negli occhi sua moglie: "Era una situazione eccitante, punto. Tu eri particolarmente bella nel tuo ruolo di controllo, di dominio. Esprimevi autorità e io, consapevole di una sorta di dipendenza inevitabile, mi sono sentito paradossalmente sollevato. Come dicevi tu prima, Simo: una sorta di sensazione di libertà. Poi anche quella donna, pure lei: il suo prendere decisioni per me, in un certo senso prepararmi."
Altro sorso di vino.
"Per me la belga -interviene Valeria- era l'unica nota stonata nella mia emozione, con quel suo fare da maestra stronza."
"E io niente?", domando con ripetuto finto risentimento.
"Come stronza? -ride Vale- No, tu eri eccitante -prosegue facendosi seria e dolce- e bellissima. Capisco tuo marito: sprigionavi una carica erotica pazzesca in quella posa da Catwoman in catene. Non eri ribelle, né succube: sembravi semplicemente pronta a provare piacere. E in quell'essere pronta esprimevi grande forza, dominio della situazione." Le accarezzo, non so da quanto, la coscia: alterno il dorso al palmo della mano.
Con il medio, il dito più avanzato verso l'interno coscia, mi scontro inaspettatamente con un altro dito: è della mano di Michele, sull'altra coscia. Avuto quel contatto, le nostre dita si cercano ancora: si arpionano l’una all’altra continuando in armonia ad accarezzare Valeria.
Le carte sono sul tavolo: nessuno nasconde più nulla. Valeria si volta verso di me. Mi dice "grazie" e poi mi bacia sulle labbra. Guardo Michele, è colpito, ma sembra sorridere a un angolo della bocca.
"Abbiamo finito il nostro plateau di frutti di mare -riprende Valeria con sguardo di intesa rivolgendosi sia a me che a Michele- ostriche in primis. Dicono che siano afrodisiache. Abbiamo bevuto un buon vino, che aggiunto a quello di prima ha forse abbattuto qualche freno inibitore." Sorride con gli occhi fissi in quelli di Michele. "Abbiamo visto -prosegue- fotografie molto sensuali e vissuto un'esperienza eccitante su quel set. Insomma, dichiaro apertamente che me è venuto un certo desiderio. E, Michele, se prima ti è piaciuta Milla la belga cattiva, magari Simo può prendere il posto."
Lui ha quello sguardo, che passa da Valeria a Me, di quello in attesa che succeda qualcosa. E' -come prima, ma meno- attinto da un suo pensiero, da una sorta di sua emozione intima che lambisce la paura. I suoi occhi, tuttavia, non esprimono solo quella, quanto piuttosto il conflitto tra quella e la voglia.
Siamo in uno spazio di tempo in bilico. Ho il cuore che pulsa forte; una mano della mia amica, tra le sue gambe, stringe insieme la mia e quella di Michele. Mi faccio coraggio: "In una tasca della valigia -dico puntando anch'io i miei occhi nelle pupille di lui - ho due bende di raso: rosse da un verso, nere dall'altro..."
Lui sembra riuscire a guardare lei o me contemporaneamente. Vale si volta verso di me e mi bacia nuovamente, questa volta non solo sulle labbra: un bacio profondo, appassionato anche se troppo breve rispetto al mio desiderio. Poi si gira rivolta verso di lui, con una lentissima carezza sulla guancia gli sposta il viso delicatamente. Quindi lo bacia, a lungo. Molla la mano destra che, sotto il tavolo, teneva la mia e quella di Michele; la porta con discrezione tra le gambe di lui. L'altra lascia il volto di lui: lei la alza con il braccio e dopo, solo dopo, si stacca e chiama il cameriere: "L'addition, s'il vous plaît. Et un taxi, merci."
larecherche@tutamail.com
Mi interrogo sul rapporto tra “desiderio appassionato” e sogno: perché il mio desiderio io lo vedo, lo immagino, lo progetto, lo prefiguro in maniera precisa, dettagliata, come un sogno. D'altro canto, nei meravigliosi giochi dei significati delle parole, desiderio e sogno sono anche sinonimi.
E’ per questa dinamica che oggi sono qui, in una città straniera, con la mia amica Valeria e con Michele, il suo compagno da più di dieci anni. E’ con lei che ho organizzato questo fine settimana: lui, in preda da ben più di un anno a una condizione di profonda apatia sessuale, ha forse e inaspettatamente mostrato segni di sensibilità per il bondage e Valeria, che si logora nel non sentirsi desiderata da lui, mi ha chiesto complicità per cercare di verificare se quell’interesse è reale o meno, se può risvegliarlo. Perché io? Perché l'amicizia che mi lega a lei è ben più che intima e perché ero stata io a suggerire loro la visione di un film documentario sull'argomento che rappresentava il rapporto tra fiducia e abbandono al piacere. E poi perché con mio marito ho sperimentato questo gioco, anche se in modalità veramente leggera. Cosa che Valeria sa bene avendovi, di nascosto da lui, preso parte attivamente.
Abbiamo, quindi, pensato di portare Michele più a contatto con quelle emozioni, ma facendo in modo che non accada in maniera esplicita.
Approfittando di un mio impegno di lavoro a Parigi, abbiamo programmato che mi raggiungessero. Grazie ai buoni uffici della mia amica Jenna, ho ottenuto gli inviti per il vernissage della mostra di Fynn e Milla De Vees: fotografi belgi, celebrati ritrattisti che hanno elegantemente immortalato anche scene soft di bdsm, senza cedere troppo agli stereotipi: niente interrati bui, gabbie, croci di Sant'Andrea, per intenderci.
L’assenza di mio marito, rimasto a casa per un’influenza, ha innescato un’ulteriore dimensione erotica: prima in un momento di passione che ho vissuto con Valeria, poi quando Michele, poco fa, rientrato a casa mi ha guardato mentre ero nella doccia. In me è sbocciata la consapevolezza di quanto quel suo guardarmi nuda accenda il mio desiderio.
"Ok, sono pronta", dico a me stessa mentre lo specchio nella mia stanza restituisce un'immagine che mi soddisfa. I miei capelli biondi lasciano ben vedere gli orecchini che indosso, color rosso sangue di bue. La camicia bianca non nascondere troppo l'importanza del mio seno che è costretto in un morbido bra con pizzo nero; lo stesso colore della giacca blazer di cuoio, aderente in vita, abbinata alla sua gonna che, stretta, arriva subito sotto al ginocchio. Collant neri, velati ma non troppo. Scarpe Mary Jane con tacco grosso, dello stesso rosso della cintura sottile, dello smalto delle mie unghie, del rossetto e degli orecchini. Come detto, io preparo e progetto in maniera dettagliata.
Grido a Valeria, nell'altra stanza, di non mettersi scarpe con troppo tacco, per non vanificare il mio tentativo di avvicinarmi alla sua altezza.
Vado in ingresso, dove loro due sono pronti. Lei indossa gli stivali nuovi che spuntano da un lungo cappotto grigio scuro in pelliccia ecologica che la proteggerà dal freddo.
Freddo del quale non sembra aver paura Michele, sexy nel suo completo blu e camicia ton sur ton, che porta il giaccone solo su un braccio, senza indossarlo neanche mentre in strada attendiamo la vettura di Uber. E' la prima volta che, guardandolo, noto che quella porzione del volto composta da fronte, tempie, occhi e naso ricorda l'attore italiano in quella serie di Sky sulla finanza londinese. Simile anche lo sguardo magnetico e cupo.
Arriviamo alla mostra, nel corpo interno di un'elegante palazzina con in zona Saint-Germain-des-Prés. Più che un vernissage, sembra proprio una festa, con tanto di caldo da ressa. Quando diamo i nomi all'ingresso veniamo accolti con deferenza e accompagnati a lasciare i soprabiti. Togliendosi il cappotto, Valeria sfoggia la sua bellezza: dolcevita in cachemire blu scuro con maniche fino al gomito, molto larghe, come il collo; cintura geometrica alta che copre buona parte della minigonna grigia cortissima; opachi collant blu 100 denari a fasciarle le gambe. Gli stivali neri, di ispirazione equestre, hanno un tacco di neanche due dita -grazie-, ma con la loro silhouette che le fascia la gamba, sembrano slanciarla ulteriormente. Il bracciale a polsino larghissimo mi pare scelta azzeccata per la mostra che stiamo per visitare. Dico a suo marito, ancora ignaro di ciò che vedrà alla mostra, che Vale è troppo bella per lasciarla andare in giro: meglio tenerla al guinzaglio. Proprio in quel momento ci passino vicino due eccentrici soggetti tutti vestiti in latex nero, con tanto di passamontagna: lei, manette di design ai polsi, ha un collare dal quale parte una catena che lui impugna. Camminano con assoluta disinvoltura e noi tre -che vorremmo scoppiare a ridere- ci domandiamo se sia una performance artistica. Michele chiede se siamo nel posto giusto.
Le immagini alle pareti sono molto belle: tutte in b/n, realizzate in interno, ma in ambienti reali, autentici. Sono ritratti, soprattutto di coppia. Le sale dell'esposizione hanno tutte un tema, indicato con una scritta al neon all'ingresso, che gioca con il suffisso "Free". L’ultima è titolata "FreeDom" e già dalla prima fotografia vediamo che il riferimento è alla dominazione. L'ingresso, d’altronde, è presidiato due uomini robusti e remissivi: uno vestito di cuoio e borchie, l'altro con il volto chiuso in una maschera antigas. Sono i custodi di quindici immagini, una più suggestiva dell'altra: fotografie eleganti che non esprimono dissolutezza. A me evocano, piuttosto, "consenso".
Sono tutte ambientate in normali spazi domestici: salotti, bagni, camere da letto, ingressi e corridoi di abitazioni comuni. Hanno luci drammatiche, ma rappresentano situazioni di equilibrio: c'è tensione, ma contemporaneamente pace.
Valeria aveva ragione: Michele è attento, addirittura rapito da alcune fotografie. Di poche parole, commenta che il soggetto protagonista, femmina o maschio che sia, appare essere per lo più chi ha i polsi costretti in un paio di manette poste alle estremità di un'asta, chi è impedito nella vista da una benda, chi è in balia dell’altro, non chi interpreta il ruolo di Dom. Conveniamo su questa lettura e Michele annuisce quando Valeria aggiunge: "Certo, perché il potere è al servizio del piacere dell'altro." Insomma, Michele osserva, mostra, indica, interpreta. E' partecipe.
Valeria ed io ci scambiamo occhiate d'intesa e una modella, su scarpe dal plateau stellare e il tacco sottile alto oltre una spanna, ci passa affianco: è nuda e con le braccia costrette al corpo avvolto, dal busto a metà coscia, in qualche giro di pellicola trasparente. Ha un passo elegantissimo e sfila con lo sguardo basso, nascosto dalla frangia dei capelli corvini raccolti in cima alla nuca. Michele ci fa notare che il film trasparente ha due lacerazioni di qualche centimetro di diametro in corrispondenza dei capezzoli. Ha detto proprio "lacerazioni": il suo lessico clinico.
Una giovane ragazza dell'organizzazione ci raggiunge, si presenta e ci chiede conferma del fatto che siamo noi gli “amici della signora Peck". Con entusiasmo ci dice che il curatore vorrebbe conoscerci. La ringraziamo e seguiamo fino a salire due rampe di scale ed entrare in un salotto nel quale un signore piccolino, con fare molto intellettuale, ci si presenta. Dopo qualche minuto di convenevoli, ci conduce in un grande salotto in stile classico dove veniamo colti da sorpresa: un lungo tavolo bianco è colmo di fruste e frustini, maschere, manette, bavagli per la bocca con la pallina, cinghie costrittive e altri pezzi. Un campionario: c'è anche un orsacchiotto di peluche fetish kink come quello di una pubblicità recentemente al centro di polemiche. Luci fotografiche su cavalletti illuminano un elegante divano sul quale è seduto, di sbieco, un ragazzo con camicia slacciata e braccia legate dietro la schiena. Quello che, dall'intimità, sembra essere il suo compagno è di fronte a lui, in posa nel gesto di bendarlo con una fascia rossa di raso. Ha carnagione chiarissima, sui trent'anni, è esile ai confini del gracile, con i capelli biondi lunghi e sottili. Nella sala ci sono altre due coppie: una sembra aver appena posato, mentre l'altra sono i coniugi belgi dei quali abbiamo apprezzato la mostra. Lui è molto alto, sui sessant'anni, profondamente stempiato, con capelli grigi e ricci che girano intorno alla testa. Occhiali tondi e dalla montatura luminosa poggiano su un naso pronunciato con la punta ampia e rotonda; la pelle del volto è butterata. Indossa in maniera disordinata una grigia camicia e jeans neri. E' concentrato, appassionato, parla e gesticola.
Lei è seduta sul bracciolo di una poltrona; fuma svogliata una sigaretta sottile. Emana una presenza carismatica.
Osservo la sua bellezza matura, sofisticata in un mix di severità e sensualità che ricorda Charlotte Rampling. Figura longilinea, zigomi alti e delineati che danno al volto una struttura scultorea; occhi grandi, intensi, penetranti, di un colore che sembra oscillare tra il grigio e l’azzurro: emanano un'aura di mistero e di sicurezza. Il naso è fine, armonico. Le labbra sono sottili, ben disegnate. La pelle è luminosa e mostra rughe ai margini della bocca e al contorno degli occhi; le linee sul suo volto raccontano storie. Porta con naturalezza lunghi capelli color cenere. E' tutt'altro che trascurata nell'abbigliamento: camicia avorio, colletto chiuso fino all'ultimo bottone, dove un laccio nero forma un elegante fiocco i cui lembi scendono sul petto. La camicia è infilata dentro un paio di pantaloni aderenti, di velluto corvino, che arrivano fino alla caviglia. Indossa degli stivaletti scamosciati con tacco di media altezza.
Ha un fascino conturbante, anche nel suo essere visibilmente annoiata.
Il marito mostra in visione un telefonino all'uomo con le braccia legate, il quale guarda lo schermo con il suo compagno che lo sta liberando e inizia a ringraziare commentando con entusiasmo ciò che vede.
Solo in quel momento lei ci nota e, osservo, scruta Michele. Il curatore va da Fynn e Milla e ci presenta come "Amici italiani di Jenna Peck". Loro ci vengono incontro e salutano: lui con simpatia, lei con fare altero.
Ci complimentiamo per la mostra. Michele, il cui francese è invidiabile, regge il dialogo per tutti noi.
Fynn guarda la moglie, che gli fa un cenno di consenso, poi indica con lo sguardo il set e con la mano il tavolo chiedendoci se possono regalarci un nostro ritratto. Michele è imbarazzato, ma sia io che Valeria rispondiamo affermativamente. Fynn guarda Michele, che sembra restio, e prosegue dicendo: "Per lo scatto che Milla e io potremmo fare, però, o tutti e tre o niente." Con un tono severo, anche la donna si rivolge a Michele guardandolo dritto negli occhi: "Sei una persona razionale, analitica, hai bisogno di avere la situazione sotto controllo: forse perché hai paura di perderti in ciò che non è programmato? E' diffuso in voi maschi, ma affidati a noi. In questa stanza saremo solo voi tre e noi due; ci metteremo meno di venti minuti. Scegliamo una maschera e solo tu, nel tuo telefonino, avrai questa fotografia; se vorrai eliminarla, la cancellerai in un click, se vorrai condividerla con qualcuno -sempre che loro due siano d'accordo- non potrà comunque riconoscerti. Lasciati andare. Fidati e vivi."
Non attende neanche che lui risponda, come se non ci fosse scelta, e con fare al limite del brusco manda via tutti gli altri dal salotto. Chiede al curatore di chiudersi dietro la porta e di lasciare che loro due facciano il loro mestiere. Lui esegue dicendo che li avvertirà quando arriverà l'ospite che attendono.
Milla va al tavolo e prende una maschera in cuoio nero: sembra il muso di un cane, un dobermann, con tanto di orecchie dritte. Dice a Michele di togliersi la giacca e la camicia. Lui è paralizzato, assente, con lo sguardo perso come in un'altra dimensione; non ascolta, tanto che lei deve ripeterglielo, cosa che fa con naturale durezza.
Mentre lui, incerto, esegue, Fynn gli chiede il telefonino. Milla è tornata al tavolo e prende: un frustino da cavallo, un'asta con le polsiere rosse, un paio di occhiali da sole scuri e con lenti grandi e squadrate, un'altra maschera in cuoio nera che copre solo la parte superiore del volto e ricorda, per le orecchie, il muso di un gatto, nonché un collare di cuoio con una lunga catena. Butta tutte queste cose sul divano vicino a noi e poi osserva Michele, che si sta togliendo anche la camicia. Riprende il frustino dal mucchio sul divano, lo impugna e ne fa scorrere l'estremità sulla parte di petto di Michele già libera dalla camicia. C'è tensione nella stanza, soprattutto negli sguardi tra Milla e Michele. "Ti tieni in forma, bravo”, dice lei. Ha una severità eccentrica che esprime un fascino notevole, sicuro più che autoritario.
Fynn sposta le luci indirizzandole verso la poltrona usata prima da sua moglie; Milla, intanto, si è ulteriormente rifornita al tavolo e porta un paio di accessori in cuoio nero che non capisco cosa siano, poi va da Michele e gli dice di avvicinarsi alla poltrona, ma di non sedersi ancora; quindi gli porge la maschera a forma di muso di cane e gli dice di indossarla. Lui fatica a capire esattamente come si infili; lo aiuta Vale, forse temendo una reprimenda della belga. La quale, invece, le va vicino e la porta alle spalle di Michele. E' Valeria, così, che stabilizza la maschera e stringe i lacci che la chiudono sulla nuca del marito. Milla le passa uno di quei pezzi di cuoio che non avevo saputo interpretare: ora capisco cosa sono. Vale, da dietro Michele, facendo una considerazione in italiano su quanto sia elettrizzante questa vestizione, gli lega un collare dal quale partono dei nastri in cuoio che scendono giù per il petto e arrivano a una cintura che chiude dietro. All'altezza dello sterno, sul nastro centrale, c'è un anello di ferro: Milla vi fissa con un morsetto un aggeggio in cuoio con delle fibbie, poi prende una mano di Michele e a seguire l'altra: sovrappone incrociati i polsi rivolti all’interno e chiude le fibbie. Quindi mette una mano sulla spalla di lui e lo invita a sedersi sulla poltrona. "Ora dobbiamo pensare a voi due, che avete una certa intesa. Allora -dice rivolta a me- togliti la giacca: vorremmo che tu mettessi questa maschera con le orecchie, il collare e poi, tenendo le braccia dietro la testa, l'asta con i polsi bloccati nei fermagli. Mentre tu -rivolgendosi a Valeria- sei già a posto così: ti metterai solo quegli occhiali scuri, impugnerai con una mano il frustino e con l'altra la catena. Poi terrai la gamba alzata, con uno stivale appoggiato sulla seduta della poltrona, sotto il bracciolo. Aiuta con l'asta la tua amica bionda", dice in ultimo a Valeria spostando poi lo sguardo, nuovamente severo, su Michele.
Eseguiamo tutto. Fynn mi fa inginocchiare su un tavolo basso, ma vuole che io stia dritta, eretta. Con la mia gonna stretta non è facilissimo mettermi su quel piano e, avendo le mani fissate in quel modo, temo nel salire di perdere l’equilibrio: mi aiuta nel movimento Milla, sorreggendomi con presa salda e sussurrandomi nell'orecchio: "Sei tu il vero centro dell'attenzione di questa scena."
Eppure non sono al centro, né la più in alto o quella in primo piano, ma quando poi guardo la fotografia sullo schermo dell'iPhone di Michele, vedo che il bianco della mia camicia è come se fosse la fonte di luce dell'immagine. Si, non sono al centro, ma sono il centro.
Milla mi aiuta a rialzarmi, mi libera i polsi e toglie maschera e collare. Vale porta al tavolo i miei e i suoi oggetti. La belga, intanto, slega i polsi e la maschera di Michele, che senza apparente ragione resta ancora seduto e che ha la fronte lievemente imperlata di sudore. Osservo che non guarda mai Milla. Quando poi si alza, si libera dei lacci in cuoio, si riveste, e soprattutto infila la camicia nei pantaloni, noto come un gonfiore sospetto.
Intanto Fynn gli dice che, se vuole, loro saranno felici di autenticare la fotografia facendone un Not Fungible Token: basterà mandargliela per email, mantenendo il massimo della risoluzione. Michele annuisce, ha perso la loquacità di prima; è Valeria che prende l'iniziativa dicendo con entusiasmo che certamente così farà. Lei -parlando in inglese- afferma che la fotografia è bellissima e si dichiara onorata di questa occasione unica.
Bussa alla porta la giovane ragazza dell'organizzazione che, affacciandosi, dice qualcosa troppo rapidamente perché io possa capirlo. Fynn risponde veloce: "Ouì! Ouì!" e ci pone la mano per salutarci. Anche Milla, con distacco, ci congeda.
Usciamo, scendiamo e ci indirizziamo nell'ampio atrio dove alcuni camerieri trasportano, su vassoi rotondi, coppe di champagne e tartine. Michele si beve un bicchiere quasi tutto in un sorso. La ragazza nel domopak ripassa vicino a noi: ora cammina a testa alta, con delle pinzette di metallo unite tra loro da una catenina a stringerle i capezzoli.
Michele è turbato, ma sembra non da qualcosa che vede o che accade intorno a lui, ma da qualcosa di intimo, come un pensiero. Chiedo se vogliamo andare a cena; all'assenso di Valeria, lui inizia a compulsare lo smartphone. Dopo qualche minuto dice che ha prenotato in un bar à huîtres non lontano.
Recuperiamo le nostre cose e usciamo da quel circo. Vale e io prendiamo Michele sottobraccio mentre ci incamminiamo.
Al ristorante sediamo a un tavolo rotondo, tutti e tre sul divanetto semicircolare. Vale è al centro. Dopo aver ordinato, io e lei andiamo alla toilette. Appena si chiude la porta alle nostre spalle lei mi prende il volto e mi stampa un bacio sulla bocca. "Avevo ragione, hai visto?", dice euforica. "Si, è rimasto colpito e non in maniera negativa. Ora -le dico- dobbiamo però metterlo a suo agio rispetto a quell'argomento. Fargli capire che non c'è niente di male, non una perversione. Perché secondo me lui la pensa un pochettino così." Lei concorda, ci laviamo le mani e torniamo al tavolo. Lui sta guardando il suo telefono, ma in orizzontale. Osserva la fotografia di prima. "Sei venuta benissimo, dice a lei che si risiede al suo fianco. Gli prendo il telefono: "E io male?", chiedo con fare simpaticamente risentito. Guardo l'immagine, poi passo lo smartphone a Vale che, in mezzo, può gestirlo meglio a beneficio di tutti. Guardiamo e commentiamo l'insieme e i volti di tutti. Ingrandiamo i dettagli. Gli occhiali scuri davano a Valeria un aspetto più androgino, ma il mento alto, il busto dritto, la gamba alzata e gli accessori impugnati esprimevano una grandissima sensualità.
Il bianco e nero della foto restituisce una particolare eleganza. Ci chiediamo chi dei tre sia riconoscibile: non Michele, secondo me neanche io. Forse Valeria, comunque bellissima. Battibecchiamo sulla possibilità di fare una prova e alla fine Michele cede e manda un whatsapp effimero a mio marito Giovanni. Il quale dopo qualche minuto gli risponde: "Non infierire facendomi vedere che mi sono perso anche una mostra interessante." Forse, arrivando da Michele, il messaggio è troppo criptico e genera a reazioni da compagni di calcetto. Ingrandisco la sola parte che mi ritrae e la copio. Chiedo a Michele di mandarmela; poi invio quel dettaglio a mio marito. "Anche Michele me ne ha mandata una. Bella mostra!", risponde con un messaggino. Commento con i miei commensali che, evidentemente, non mi ha riconosciuto. Michele dice che è ovvio: “Giovanni non può immaginarti così, per questo non ti riconosce.”
Valeria lo interrompe: "Beh, aspetta: tieni conto che loro, ogni tanto, fanno quei giochini lì."
Io sono imbarazzatissima, però il mio guardare Valeria con fare di rimprovero è già prova della verità della sua affermazione. Balbetto qualcosa di interlocutorio. Poi cerco di spiegare, in fin dei conti è cosa utile alla causa: "Allora… Diciamo che è capitato. Ricordi -continuo- quando vi abbiamo raccontato di quel documentario? L'idea di far provare un piacere assoluto al partner, un piacere libero nell'abbandono. Ecco. Però una cosa molto leggera."
"Proprio leggera non mi sembra -interviene Valeria- diciamola tutta: lo bendi, lo leghi, ..."
Sta esagerando; va ricondotto tutto su dei binari sensati. "Vale -dico-stai fraintendendo le cose: intanto non c'è un ruolo predefinito. Il bello è l'affidarsi, quindi perché deve essere sempre lo stesso a farlo?"
"Cioè -interviene Michele, che intanto si è bevuto un bicchiere di un Muscadet delicato, che profuma di oceano- vi scambiate i ruoli?"
Ci interrompe il cameriere servendoci la degustazione di ostriche e altri molluschi indicandoci le diverse varietà presenti. Tiro il fiato e rifletto sul da farsi, mandando occhiate a Valeria che mi sembra troppo precipitosa. Però, penso, lei è così: segue l'impulso. E, infatti, appena possibile mi incita a rispondere alla domanda rimasta in sospeso.
"Michele, non farti l'idea di una nostra abitudine. Comunque si."
Vale mi incalza, chiede, commenta. "Penso -le dico- che ciascuno possa avere una motivazione diversa per fare questi giochi: per alcuni può essere forse anche segno di un problema, all'estremo opposto per me è un divertimento innocente rivolto a fare in modo di provare un piacere libero, che non deve pensare a niente. Non performance, nessuna attesa dell'altro o ricerca di sincronia nel raggiungere l'apice, ecc…. Poi c'è quel concetto di fiducia che è estremizzato, intenso, pieno. Comunque -concludo- guardate che stiamo parlando di qualcosa di diffusissimo. E con gradazioni diversissime."
Michele mi ascolta con curiosità, mentre si mangia quei molluschi gustosi.
Ha uno sguardo interrogante, come se fosse in costante attesa di spiegazioni, informazioni su qualcosa che deve capire.
"Certo -proseguo- è un contesto adatto a chi ha immaginazione, la quale gioca un ruolo fondamentale: immaginazione di cosa possa succedere, di quale sia il prossimo passo, di cosa significhino i rumori che senti. Non cosa significhino nella realtà, ma cosa evochino a te, quali sensazioni ti diano. Michele -continuo- ne parlavamo quella sera al matrimonio: proprio tu spiegavi che la nostra mente ha un ruolo fondamentale nell'appagamento sessuale. Ecco, in quei giochi la mente è come se surfasse libera sopra delle onde. Si attiva qualcosa di introspettivo, ma che dipende dal tuo partner. Il quale non comanda i tuoi pensieri e le tue emozioni, le genera ma non le determina. Non so spiegarmi: qualunque cosa lui o lei voglia fare, per chi la riceve l'effetto è certamente oltre l'intenzione."
Michele mi ascolta. Valeria si pulisce le mani con una salvietta che sa di limone, estratta da una ridicola bustina a forma di pesce. Il sapore minerale del vino invade il mio palato. Lei prende il telefono di Michele, va alla fotografia, me la mostra nuovamente e mi dice: "La tua mente cosa immaginava in quel momento?"
Non posso essere sincera, dovrei dire del desiderio che provavo: di replicare quella situazione, di lasciarla sviluppare, noi tre. Devo trovare una scappatoia. "Lascia perdere la mia, ditemi piuttosto cosa creava la vostra immaginazione."
Lei mette il piccolo schermo davanti a Michele, il quale -con occhi intensamente sperduti- si ritrae facendo un segno con la faccia, come a dire: "Prima tu." O forse: "Tu, io no."
"Sinceramente? Ero emozionata. L'idea di posare per dei fotografi importanti, uno. La scena che hanno creato per noi, nella sua unicità, due. Quell'idea di potere, del ruolo che mi hanno dato, tre. Voi due: bellissimi nella costrizione, stop: emozione."
"Come stop! -dico io- E poi, qualifica quell'emozione: è la prima volta in vita mia che ti vedo analitica, schematica e lo fai in maniera così incompleta?!", le ribatto scherzosamente.
"Eccitazione." E' Michele che parla. Improvvisamente, inaspettatamente. Poi si ammutolisce. Lei lo guarda: "Si, anche per me: eccitazione."
Scrutiamo entrambe Michele, questa volta è su di lui che grava l'attesa di una spiegazione più articolata.
Beve un altro sorso di vino, lo gusta in bocca, con calma. Poi guarda negli occhi sua moglie: "Era una situazione eccitante, punto. Tu eri particolarmente bella nel tuo ruolo di controllo, di dominio. Esprimevi autorità e io, consapevole di una sorta di dipendenza inevitabile, mi sono sentito paradossalmente sollevato. Come dicevi tu prima, Simo: una sorta di sensazione di libertà. Poi anche quella donna, pure lei: il suo prendere decisioni per me, in un certo senso prepararmi."
Altro sorso di vino.
"Per me la belga -interviene Valeria- era l'unica nota stonata nella mia emozione, con quel suo fare da maestra stronza."
"E io niente?", domando con ripetuto finto risentimento.
"Come stronza? -ride Vale- No, tu eri eccitante -prosegue facendosi seria e dolce- e bellissima. Capisco tuo marito: sprigionavi una carica erotica pazzesca in quella posa da Catwoman in catene. Non eri ribelle, né succube: sembravi semplicemente pronta a provare piacere. E in quell'essere pronta esprimevi grande forza, dominio della situazione." Le accarezzo, non so da quanto, la coscia: alterno il dorso al palmo della mano.
Con il medio, il dito più avanzato verso l'interno coscia, mi scontro inaspettatamente con un altro dito: è della mano di Michele, sull'altra coscia. Avuto quel contatto, le nostre dita si cercano ancora: si arpionano l’una all’altra continuando in armonia ad accarezzare Valeria.
Le carte sono sul tavolo: nessuno nasconde più nulla. Valeria si volta verso di me. Mi dice "grazie" e poi mi bacia sulle labbra. Guardo Michele, è colpito, ma sembra sorridere a un angolo della bocca.
"Abbiamo finito il nostro plateau di frutti di mare -riprende Valeria con sguardo di intesa rivolgendosi sia a me che a Michele- ostriche in primis. Dicono che siano afrodisiache. Abbiamo bevuto un buon vino, che aggiunto a quello di prima ha forse abbattuto qualche freno inibitore." Sorride con gli occhi fissi in quelli di Michele. "Abbiamo visto -prosegue- fotografie molto sensuali e vissuto un'esperienza eccitante su quel set. Insomma, dichiaro apertamente che me è venuto un certo desiderio. E, Michele, se prima ti è piaciuta Milla la belga cattiva, magari Simo può prendere il posto."
Lui ha quello sguardo, che passa da Valeria a Me, di quello in attesa che succeda qualcosa. E' -come prima, ma meno- attinto da un suo pensiero, da una sorta di sua emozione intima che lambisce la paura. I suoi occhi, tuttavia, non esprimono solo quella, quanto piuttosto il conflitto tra quella e la voglia.
Siamo in uno spazio di tempo in bilico. Ho il cuore che pulsa forte; una mano della mia amica, tra le sue gambe, stringe insieme la mia e quella di Michele. Mi faccio coraggio: "In una tasca della valigia -dico puntando anch'io i miei occhi nelle pupille di lui - ho due bende di raso: rosse da un verso, nere dall'altro..."
Lui sembra riuscire a guardare lei o me contemporaneamente. Vale si volta verso di me e mi bacia nuovamente, questa volta non solo sulle labbra: un bacio profondo, appassionato anche se troppo breve rispetto al mio desiderio. Poi si gira rivolta verso di lui, con una lentissima carezza sulla guancia gli sposta il viso delicatamente. Quindi lo bacia, a lungo. Molla la mano destra che, sotto il tavolo, teneva la mia e quella di Michele; la porta con discrezione tra le gambe di lui. L'altra lascia il volto di lui: lei la alza con il braccio e dopo, solo dopo, si stacca e chiama il cameriere: "L'addition, s'il vous plaît. Et un taxi, merci."
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