E’ proprio il numero perfetto
di
La Recherche
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dominazione
Successivamente a quel fine settimana di luglio, Vale e io ci eravamo riviste solo dopo le vacanze estive. Lei e Giovanni avevano fatto un viaggio in Sud Africa e poi una settimana a Pantelleria, mentre io e mio marito avevamo trascorso agosto tra Sestriere e Viareggio. Montagna o mare che fosse, la mia estate aveva ruotato intorno all’allenamento ciclistico di Michele per la sua "gran fondo" amatoriale di inizio autunno. Le sue frequentazioni erano state solo MAMIL: Middle Age Man In Lycra, tutti con quelle orribili salopette aderenti da ciclisti, a mezza gamba, con il fondello imbottito, abbinate a magliette con scritte di associazioni sportive, competizioni o sponsor. Uomini per i quali la bici è il fine, non un mezzo.
Averlo fuori casa mezza giornata si era rivelata, però, cosa positiva: avevo avuto tutto il tempo per lavorare alla preparazione della serie di documentari sull’arte erotica che mi impegnava moltissimo e che, anche nei giorni prossimi al ferragosto, aveva comportato riunioni online con la produzione americana. C'erano stati altri due effetti positivi del regime sportivo di Michele: alla nostra tavola si mangiava in maniera molto parca e salutare (mai visti così tanti legumi e verdure nei nostri pasti) e sessualmente erano state quattro settimane molto appaganti.
Con Valeria ci eravamo riviste appena tornate entrambe in città. Dopo una lezione di yoga, avevamo preso un lungo e allegro aperitivo assieme in un’enoteca. Era contenta del suo viaggio: avevano esplorato parchi spettacolari, ma anche visitato città con architetture contemporanee che l'avevano esaltata. I giorni a Pantelleria, poi, le erano piaciuti moltissimo, come sempre; a giudicare dal colore della sua pelle, era stata al sole come una lucertola.
Aveva anticipato una mia domanda, raccontandomi che dal punto di vista della vita sessuale di copia la situazione continuava a essere avvilente. "Salvo una qualcosa che assomigliava a una sveltina, nel nostro bungalows in un parco nazionale pieno di elefanti, leoni e zebre, sotto la più incredibile stellata che io abbia mai visto: uno di quei posti che proprio dici ‘ma quando mi ricapita?’, per il resto l'elettrocardiogramma è sempre piatto. Non so neanche perché continuo a prendere la pillola", aveva detto sconsolata. Le avevo risposto che suo marito non è certo l’unico uomo sulla terra: “Se lui non è interessato alla parte sessuale della vostra relazione -le avevo detto-, non significa che tu debba rinunciare a una sfera tanto importante della tua vita!” Mentre dicevo queste parole, mi aveva colto un senso di contraddizione rispetto alle “licenze” che ci eravamo concesse assieme, ma lei aveva capito cosa io intendessi: “Ci ho pensato non poco quest’estate. Anzi, talmente a lungo -aveva ribattuto- che, sinceramente, ho anche già superato il pensiero che farei un torto a Giovanni. Il problema è un altro. L’affinità con lui è perfetta, salvo che per questo punto. Non voglio, forse per paura, correre il rischio di incrinarla. Quindi -aveva proseguito- non intendo espormi a un’avventura che potrebbe avere implicazioni di carattere affettivo. So già che stai per dire: ‘one night show!’ Ok, ma non so se fa per me. Non siamo più delle ragazzine, dai. Io non riesco più a immaginare di voler vivere una cosa così intima con qualcuno con il quale …non ho alcuna intimità.”
“E -le avevo risposto arrivando io all’esito logico- costruendo la necessaria intimità con un qualcuno, hai paura di implicazioni sentimentali. Messa così non hai via di scampo.”
Non avevo fatto in tempo a iniziare a sviluppare una critica a questa condizione che lei, con fare definitivo, aveva concluso: “Un oggetto maschile! Ci vorrebbe un umano oggetto maschile. Esistono? Se si, trovamelo e ne riparliamo, ok?”, aveva detto ridendo e alzando il bicchiere, come a voler suggellare, con un brindisi, un patto.
Ribadendo nei fatti di non voler continuare sull’argomento, aveva prontamente cambiato discorso, chiedendomi del progetto televisivo sull'arte erotica. Le avevo raccontato i passi avanti e le tempistiche stringenti, nonché la professionalità incredibile di Jenna e del suo team.
Le avevo, soprattutto, parlato però di un altro documentario che avevo visto una sera in streaming con Michele. Si trattava di una produzione svedese che mi aveva colpito moltissimo: The Ceremony. Protagonista Catherine Robbe-Grillet, personaggio che non conoscevo, novantaquattrenne: scrittrice e attrice, moderna Marquise de Sade, icona erotico-culturale francese. Una donna elegantissima. Il documentario non era biografico quanto, piuttosto, un'esplorazione delle dinamiche profonde di quello che chiamiamo BDSM. Documentandomi poi, avevo letto su un quotidiano un articolo che la celebrava con una felice sintesi il suo apparire: "Esile, minutissima, potrebbe sembrare fragile, se non avesse la serena grazia di chi possiede una sicurezza assoluta."
Sorseggiando il terzo bicchiere di un fresco Sauvignon friulano, che al naso profumava di pera e pesca, ma in bocca presentava fantastiche punte di salato e di agrumato, avevo raccontato a Valeria ciò che mi aveva più colpito: "Ho sempre pensato che quelle pratiche siano mera espressione di potere, di dominio e di sottomissione, di umiliazione; ho capito invece che la questione è diversissima. In primo luogo -le avevo detto- ho appreso che chi le pratica passa dal ruolo del dominatore a quello del sottomesso ogni volta che vuole, si parla di switch in questi casi; la cosa mi ha fatto capire che non è questione di assecondare un'indole, un tratto particolare. Ma, soprattutto, ho realizzato che in realtà il BDSM ha il suo fulcro nel concetto di 'lasciarsi andare', di vivere un'esperienza di assoluto affidamento, senza remore, senza pensieri: la fiducia in qualcuno che ha il controllo dei limiti permette l'abbandonarsi, il perdersi. Consente il lasciarsi andare: da sé stessi, da qualunque cosa."
Valeria mi aveva ascoltato curiosa; ci eravamo confrontate lungamente, approfondendo il senso della cosa. Parlarne con lei mi aveva portato a divenire consapevole di una mia piccola aspirazione: se, da un lato, ero lontana anni luce da quelle pratiche per come le avevo sempre viste e, soprattutto, ero refrattaria a fruste, dolore, umiliazioni quale che sia il ruolo che si vuole interpretare, dall'altro mi piaceva l'idea di voler permettere a mio marito di vivere l'esperienza del perdersi.
L’enoteca era prossima alla chiusura: "Vista l'ora, continueremo a parlarne venerdì sera al matrimonio di Paolo", aveva detto Vale.
Paolo, un nostro amico dai tempi dell'università, aveva trovato da un paio d’anni l'anima gemella: un designer danese che ora si era deciso a trasferirsi in Italia per vivere il loro amore. Venerdì sera ci aspettava una festa sul Lago d'Orta, in occasione della loro “unione civile” (che fredda espressione). Michele sarebbe venuto con entusiasmo, per amicizia con Paolo e per il fatto che l'indomani avrebbe potuto “scalare in bici il Mottarone"; avevo mimato a Valeria il tono con il quale lui aveva sottolineato la difficoltà dell'impresa. Anche Giovanni -mi aveva riferito lei- avrebbe partecipato, ma il sabato mattina prestissimo sarebbe rientrato in città per tenere un corso di aggiornamento professionale. Lei, magari, sarebbe tornata in auto con noi con più calma. Nessuna delle due aveva fatto cenno a nulla, ma la mattina del sabato si preannunciava potenzialmente interessante.
Venerdì sera la festa era stata divertente, forse eccessivamente chiassosa, ma la vista sul lago era incantevole, l'afa sopportabile, la musica azzeccata. Soprattutto, i festeggiati erano raggianti e simpaticissimi.
A tavola, Valeria aveva detto sia a Giovanni che a Michele che le avevo raccontato di quel documentario e mio marito aveva confermato quanto fosse stato interessante vederlo. "La protagonista è una donna molto particolare, lontanissima dallo stereotipo del genere che vorrebbe la valchiria autoritaria. Una persona molto intelligente che supera la dimensione fisica nel desiderio sessuale e si concentra su quella cerebrale. Anche perché ha oltre novant'anni e...", aveva scherzato.
Giovanni aveva confermato che, dal punto di vista clinico, il rapporto fisico non è la sola causa di tutte una serie di reazioni dell'organismo, a partire dalla produzione di dopamina ed endorfina, proprie del rapporto sessuale. L'endorfina, che Giovanni aveva definito "ormone della felicità", ci aveva spiegato essere generata, addirittura, anche dal dolore ("come, ad esempio, uno schiaffo sul sedere"). Aveva confermato, poi, che l'immaginazione può farci produrre quelle sostanze che danno piacere. Valeria, invece, aveva raccontato di un suo collega di studio al quale era stata commissionata la ristrutturazione di un club molto esclusivo e riservato della nostra città, dark room inclusa: si era documentato su pratiche che mal si conciliavano, però, con la visione cerebrale della quale stavamo parlando. Lei gli avrebbe consigliato la visione di quel filmato per trarne magari una qualche ispirazione. Avevamo scherzato su un possibile invito all’inaugurazione del locale. Michele, poi, aveva ripetuto le stesse considerazioni che io avevo fatto a Valeria sul discorso dell'affidarsi e del lasciarsi andare: c'è una sintonia naturale tra me e lui che quando si manifesta mi riempie sempre il cuore.
Eravamo stati interrotti da un gruppo di amici dello sposo danese che ci avevano costretti a partecipare a una sorta di gara canora corale: Italia contro penisola scandinava. Poi era stato il turno dei balli: Valeria, a piedi nudi sul prato, aveva danzato sinuosa sulle sue gambe lunghe: con il marito sono una copia di ballerini davvero affiatata. L’hair look di lei, come direbbe il mio parrucchiere, era di eleganza minimalista: una coda alta che, grazie al gel, risultava ordinatissima nel suo effetto sleek (si capisce che ascolto il mio coiffeur quando mi parla, eh?). Indossava un meraviglioso miniabito blu scuro di Stella McCartney allacciato al collo: non aderente, ma capace di esprimere morbidezza. La schiena era profondamente scoperta mi aveva fatto notare l'assenza di qualsiasi segno del costume e la mia mente aveva subito generato l'immagine di lei in piedi sugli scogli scuri, di spalle, abbronzata, con il solo pezzo basso di un bikini bianco che immaginavo con i lacci sottili e solo in parte idoneo a coprire il suo sedere tonico. Quel pensiero mia aveva dato un fremito. D'altro canto, a seguire ciò che aveva detto Giovanni, anche l'immaginazione ha una sua efficacia.
Verso l'una di notte eravamo andati via tutti e quattro, anche se la festa prometteva di continuare. Il nostro albergo distava pochi minuti d'auto; le stanze, davvero ampie, erano adiacenti e condividevano una piccola terrazza arredata, la cui vista dominava il borgo antico di Orta con i suoi tetti in pietra. L’isola di San Giulio era come sospesa in mezzo al lago buio. Impossibile non sedersi a contemplare quella bellezza, almeno il tempo della sigaretta elettronica di Giovanni. Avevamo riso commentando alcune scene della festa, parlando a bassa voce per rispetto della notte. Valeria si era distesa sul divano dove ero seduta, appoggiando i polpacci sulle mie ginocchia. Tenevo una mano sulle sue caviglie sottili, ammirando lei che rideva con la testa rivolta all'indietro a guardare le dense nuvole di fumo che uscivano dalla bocca di Giovanni. Con fare fluido, lei aveva allungato le braccia tenendole verso l'alto, dietro la testa: muoveva i polsi, i palmi e le lunghe dita dallo smalto nero giocando con quelle nuvole di fumo; avevo osservato la grazia del movimento, quasi una danza, ricordando bene la capacità di quelle dita di darmi piacere. Prima di salutarci, mio marito aveva borbottato qualcosa sulle poche ore di sonno che lo separavano dalla sua "uscita" dell'indomani, mentre Giovanni aveva annunciato che sarebbe partito verso le 7.30; Valeria aveva confermato che si sarebbe goduta l'albergo tutta la mattina, tornando con noi. Lo sguardo che ci eravamo scambiate appena aveva detto quel "goduta l'albergo" aveva sottintesi che solo io e lei potevamo leggere.
Il desiderio di riprovare, di lì a poche ore, il piacere che avevamo sperimentato già due volte assieme aveva accompagnato il mio addormentarmi. "Non c'è il due senza il tre -mi ero detta- e tre è il numero perfetto."
*
Mi sveglio con il tocco delle campane delle 7.00, suono d'altri tempi che si perde nell'aria. Mi ricorda la mia infanzia, come questo profumo di Olea fragrans che entra potente dalla finestra sul terrazzo: floreale, mielato, dolce è un aroma che arriva direttamente al cervello e mi ribadisce la capacità dell'olfatto di permettere l'evocazione di ricordi ed emozioni. Era il profumo che mi annunciava la fine dell'estate e, quindi, l'ho sempre abbinato a un velo di malinconia. Ricordo mia madre raccontarmi che quella pianta era originaria dell'estremo oriente, dove circondava i templi, che era giunta in occidente a metà del 1700 e che il suo nome scientifico in italiano, Osmanto, deriva da osme (profumo) e anthos (pianta).
Inspiro profondamente per sentire quella fragranza a pieni polmoni mentre, fuori dalla finestra, nuvole veloci sono presagio di un prossimo acquazzone estivo.
Michele dorme ancora e io ripenso alle sue parole di ieri sull'affidarsi e sul perdersi. L'idea che entrambi abbiamo valorizzato quel passaggio del documentario mi fa riflettere: mi chiedo se anche in lui c'è il desiderio che mi anima. La cosa mi scalda, in uno con il pensiero di Valeria nell'altra stanza. Mi sorprendo a pianificare il mio incontro con lei, ma mi sento combattuta: lascerò Michele andare e io rimarrò a letto aspettando lei una volta che lui sarà partito in bici? Andrò nella stanza di lei o verrà nella mia? Quando lui tornerà, sempre che ne abbia energie, mi farà godere baciandomi, toccandomi e leccandomi su quello stesso letto dove, a sua insaputa, già lo avrà fatto lei? Vorrei una sintesi tra queste due forze, una sintesi come quella che avevo sognato una volta al mare da Valeria. Il solo ripensare a quella rivelazione onirica mi eccita con prepotenza.
Michele apre gli occhi, più o meno quando sento la porta della stanza affianco alla nostra chiudersi e dei passi allontanarsi nel corridoio. Senza alzarsi dal letto, guarda fuori sul terrazzo, poi borbottando prende il suo telefonino e inizia a consultare app meteo. Sul mio AppleSwach appare intanto un messaggio di Valeria: "Ciao. Dormito bene? G. partito. Sono a letto, quando (emoticon della bici) avvertimi che ci vediamo..." In quei puntini c’è uno stupendo programma.
Michele mi coinvolge in ipotesi di evoluzione della perturbazione che lo portano a immaginare di non poter iniziare la sua gita prima di un'ora abbondante, salvo volersi trovare sotto la pioggia. "Però, non tutto il male viene per nuocere", dice accarezzando la mia coscia vicina alla sua. Inizia a darmi dei baci sulla guancia, poi si sposta con agilità sopra di me: "Non trovi?".
"Ah, bene! Credevo tu volessi riservare le energie allo ‘scalare in bici il Mottarone’ -dico facendogli il verso e ricambiando i baci mentre sento il suo vigore premere sul mio ventre- Lasciami andare prima a fare una doccia velocissima." L’idea di fare l’amore ora con lui e poi dedicarmi a Valeria mi inebria mentre sono sotto l’acqua tiepida.
Dopo pochissimo, mentre prendo la cintura per chiudere l'accappatoio morbido, mi viene un'idea fulminante e articolata allo stesso tempo. Torno nella stanza, accosto la porta finestra scorrevole che era rimasta socchiusa nella notte: "Così nessuno ci sente", dico a Michele per poi invitarlo ad andare anche lui a lavarsi. Segue il mio consiglio, va in bagno, sento che apre l’acqua di un rubinetto. Quando torna ha addosso i boxer che usa per dormire, io invece sono in piedi, nuda ed eretta sui tacchi ripidi delle mie scarpe nere di ieri sera: ho bisogno di essere “alta” quando gli indico, come a invitarlo a sedersi, la seggiola che ho girato verso la panca imbottita ai piedi del letto. "Se giocassimo un pochettino?”, dico. Mi guarda sorridendo in maniera interrogativa. “Nel senso che vorrei saperti -dico con malizia, scandendo piano le prossime parole- libero di abbandonarti nel piacere." I miei occhi guardano dritti i suoi che mostrano entusiasmo e curiosità. "Interessante -dice lui- E cosa dovrei fare?". "Inizia col sederti su questa seggiola, ma metti le mani dietro lo schienale", rispondo prendendo la cintura dell’accappatoio. Lui obbedisce e io lego i suoi polsi in maniera salda. Prendo, poi, la sua fascia da sport appoggiata sulla scrivania, sopra all’abbigliamento da bici ordinatamente preparato. E' di quelle che si possono indossare in testa, così come intorno al collo o a coprire bocca e naso. La ripiego su sé stessa in maniera che non sia troppo alta. Poi mi siedo a cavallo delle sue ginocchia, stando difronte a lui. "Chiudi gli occhi", gli intimo infilandogli la fascia in testa, calandola sotto la fronte fino ad averla come una benda a coprire ogni sua possibilità di vedere. Lo bacio con lussuria, poi mi alzo e allontano spostandomi in punti diversi della stanza. Sente dai miei passi, prima che dalla mia voce, che mi sto muovendo. "Ti fidi di me?", gli chiedo. "Beh, si", risponde. "Bravo! Allora proverai tanto piacere. Ma non fare domande -gli dico avvicinandomi, alle sue spalle- non parlare e non prendere iniziative, fai quello che ti dico e nulla di più. Lasciati andare.”
Cammino intorno a quella sedia. Prendo il telecomando della tv lasciando Michele in attesa; accendo la televisione cercando un canale radio di musica leggera. Tengo il volume basso, quel che basta per avere un sottofondo che lo costringa a sforzarsi di più per intuire dai miei movimenti cosa io faccia. Gli giro intorno, sono pressocché davanti a lui: “Lecca!", gli intimo avvicinando un mio capezzolo turgido alla sua bocca, sostenendo il mio seno abbondante con una mano: lui apre le labbra senza sapere cosa sta per leccare. Lo riconosce al contatto, lo bacia. "Ora l'altra", dico. Esegue diligente, passando la lingua con passione. Mi distanzio, lasciandolo letteralmente a bocca aperta. Faccio scivolare lentamente il dorso della mia mano sopra il suo ginocchio, ordinandogli di aprire le gambe chiuse. Esegue. Risalgo ancora con la mano lungo la sua coscia e accarezzo il suo vigore eretto sotto il cotone dei boxer. Continuo a salire: il ventre, il torace. Prendo tra le dita un suo capezzolo e lo strizzo senza particolare forza. Poi passo all’altro: strizzo e leggermente lo faccio torcere. Riprendo, quindi, a camminare per la stanza. Il gioco sarà lungo e vario, anche se non ho ancora idea di come precisamente si svilupperà; non ho un progetto, so solo che sono eccitatissima. Lentamente torno da Michele, appoggio una mano sulla sua spalla, aggiro la sedia, poi mi stacco e vado a sedermi sulla panca imbottita, sopra il mio accappatoio morbido che vi è adagiato.
"Ricordi -gli chiedo- quando preparavo quella conferenza sull’arte giapponese che avevo a Venezia? C'era una stampa che avevo studiato e che mi ricorda questa situazione. Una ragazza era penetrata da un ragazzo: lei era sdraiata supina al centro della scena ed era perfettamente delineata in tutti i suoi tratti. Tra le gambe spalancate di lei, come sono le mie ora, il pene di lui era anch'esso disegnato dettagliatamente, in un vigore caricaturizzato. Mi segui?" "Si", risponde. "Avevamo detto che non dovevi parlare!", affermo con perentorietà. “Acconsenti o nega con la testa se ti faccio una domanda. Capito?", e lui muove la testa su e giù. "Bravo, perché altrimenti mi tocca imbavagliarti, ma per la tua bocca avrei progetti migliori, credimi. Allora, in quella stampa -proseguo- il pene di lui era perfettamente delineato, come il corpo di lei, ma poi i lineamenti del maschio erano sempre meno evidenti: era una persona solo in relazione al suo pene, per il resto era come una sorta di sagoma. Era solo il suo vigore eretto, per lei! Ecco, ora sei così: tutto è il tuo pene per me. Questa cosa mi piace e vedo che è lo stesso per te." Annuisce ancora.
“Mi piace talmente tanto che mi sto toccando", dico ed è vero: le mie dita della mano destra stanno massaggiando la fenditura umida che c’è tra le mie gambe. Mi alzo, vado verso la sedia, allungo il braccio e porto la mano alla sua bocca intimandogli di leccare. Obbedisce. Poi giro intorno alla sedia. Dietro di lui, appoggiandomi alla scrivania, riporto quelle dita umide, ora anche della sua saliva, a massaggiare quel bottone sensibile nascosto dove si incontrano le piccole labbra. Infilo in me, poi, prima l’indice, poi anche il medio. Gemo, ma dopo poco voglio che senta non solo i miei versi, ma pure il rumore della mia mano, delle mie dita che entrano ed escono ripetutamente. Voglio che gli appaia in testa l’immagine di quello che sto facendo. Quel rumore è qualcosa di osceno, ma mi accorgo che è una situazione per me straordinariamente eccitante. Mi sposto e porto di nuovo le due dita innanzi al suo volto, questa volta sotto al naso dicendogli di sentire il profumo e di leccare.
Mentre lui fa alla lettera ciò che gli ho intimato, continuo a parlargli: "In quella stampa c'era altro a spiegare l'espressione di estasi della ragazza. E non sai che estasi.” Tolgo la mano dalla disponibilità della sua lingua e la faccio scivolare sul suo collo, sul suo petto, scendendo con leggerezza mentre lui è in attesa della mia spiegazione. "C'era un'altra persona che leccava i capezzoli di lei", dico. Lui resta in attesa: del proseguo e, penso, anche del discendere della mia mano. "Ora -dico tenendo la mia mano appoggiata adesso alla sua erezione, costretta nel tessuto dei suoi boxer- facciamo un test per vedere cosa ti piacerebbe: immagina bene la situazione mentre te la descrivo. C’era un uomo? Un uomo che le palpava il seno, che le leccava i capezzoli mentre l’altro la penetrava?", dico cercando di cogliere i segni di una sua reazione. "O una donna, una donna con le sue labbra sul seno di lei, a succhiare e leccare i capezzoli, ad amplificarle il piacere?", continuo. Ed ecco che una reazione si coglie: un sussulto dell’erezione di mio marito. "Vedo che ti piace questa immagine. O sbaglio?”, dico. Annuisce con due piccoli movimenti del viso verso il basso.
“Bene!”, dico mentre volgo lo sguardo scorgendo Valeria alla finestra. Chissà da quanto è lì, quasi nascosta dietro lo stipite. Non so neanche misurare quanto tempo sia passato dal messaggio che le avevo inviato mentre Michele era in bagno.
Riprendo il telecomando e alzo il volume, non molto, commentando la casuale pertinenza della voce di David Bowie che canta Modern Love in quel momento. Intanto faccio segno a Valeria che Michele non può vedere e faccio scorrere pianissimo la finestra. Continuo a parlare, rivolta a lui ma restando in prossimità della soglia. Faccio cenno a Valeria di entrare. La sua figura longilinea si porta titubante verso di me, vestita solo con una larga maglia di cotone grigia a mezze maniche, con un collo a V talmente ampio da caderle da una spalla. Le sue lunghe gambe si muovono su passi in punta dei piedi. E’ entrata, in tutta la sua bellezza!
“La tua asta -dico a Michele- ora è l’unica cosa che mi interessa, capisci cosa intendo? E’ il centro di tutto ciò che c’è in questa stanza, ok? Non te, lei!” Lui risponde spostandosi con le natiche in avanti sulla sedia e spalancando le gambe ancor di più; espone il bacino, come a voler mostrare maggiormente la sua erezione che spinge sotto i boxer. Prendo per un polso di Valeria e continuo a parlare con Michele dopo aver indicato a lei di stare attenta a non farsi sentire. Riaccosto la finestra.
In sincronia, io e Valeria andiamo dietro di lui. Appoggio ancora i glutei sul bordo della scrivania tenendo le gambe abbastanza aperte. "Quindi ti piace l'idea di due donne che si toccano. Interessante. Allora pensa che una mi accarezza ora, qui dove sono adesso, dietro di te", dico prendendo la mano di Valeria e portandola sopra la mia fessura. Quelle dita affusolate mi massaggiano come prima facevano le mie. Valeria tocca con mani i segni della mia eccitazione: le sue dita si bagnano dei miei umori, passano tra piccole labbra aperte dal turgore. Sento quelle dita eleganti giocare con ogni parte del mio clitoride come solo una mano femminile sa fare. Mi sollevo sulla punta dei piedi per agevolare i suoi gesti, per assecondarli. Dopo non troppo tempo, però, le dita lunghe di Valeria mi masturbano entrando e uscendo velocemente nella mia vagina e producono un rumore eloquente come quello che facevano le mie. Mi sorreggo con entrambe le mani sul piano della scrivania. Il mio respiro si fa più corto e il mio gemere non si nasconde. Mi tremano le gambe. Prendo la sua mano e la allontano da me, non è adesso che devo godere. Conduco quelle dita dallo smalto nero davanti al volto di Michele: "Senti il mio profumo e lecca", gli dico. Lui cerca, alzando il naso e inspirando, le dita umide di me che gli sono offerte. Le trova, annusa profondamente, poi apre la bocca, tira fuori la lingua e lecca; è talmente coinvolto che non può accorgersi di quanto siano più affusolate delle mie. Valeria e io ci allontaniamo e le indico di sedersi sulla panca imbottita, innanzi a quella sedia sulla quale c'è la nostra preda. Ci muoviamo assieme e mi siedo al suo fianco sinistro. Le faccio aprire le gambe e questa volta sono io a usare la mia mano passandola sulle labbra della sua fessura: gonfie, umide, pulsanti sotto un pube sporgente e decorato da un triangolo di corti peli scuri, ben curato. Le mie dita si fanno spazio con facilità e trovano l'ingresso in lei. Non ho pazienza. Riprendo a parlare: "Ora immagina che le parti si siano invertite, che io le stia dando piacere con le mie dita”, dico mentre medio e anulare della mia mano destra si muovono e piegano a premere il più in fondo possibile sulla parete anteriore nascosta dietro le sue labbra, cercando quel punto interno nel quale noi donne siamo più sensibili. Questa volta il respiro corto è quello di Valeria che, finalmente, guarda me e non il pene di Michele. Ci baciamo. Tolgo le mie dita da lei, che non è d’accordo; mi alzo e le porto sotto al naso di mio marito. "Senti il profumo e lecca", intimo. Lui fa per eseguire di nuovo quel gesto; alcune piccole pieghe sulla sua fronte, nella parte in mezzo alle sopracciglia, mi fanno interrogare sul fatto che, forse, per una frazione di secondo è stato attraversato da un qualche stupore; lui annusa con intensità, poi infilo io d’imperio quelle dita nella sua bocca, la cui lingua le circonda subito, muovendosi con una passione ancora maggiore delle volte precedenti.
“Succhiale!”: lo fa, con avidità.
“Bravo, così. Chissà se ti piace l’idea solo di guardare due donne godere tra loro o quella di vederle alle prese anche di un pene come il tuo?”, dico. “Guarda com’è gonfio ora. Secondo me ti piacerebbe di più la seconda ipotesi, ma te lo meriti?”. Annuisce e sembra voler esporre ancora di più il suo vigore. Indico a Valeria di prenderglielo. Lei lascia la panca sulla quale è seduta, si inginocchia e si avvicina a Michele. Vado alle spalle di lei, prendo il suo polso e guido la sua mano a impugnarlo. Lei inizia a muoverla in una masturbazione lenta. Poli lo libera completamente attraverso la fessura dei boxer. Continuo a parlare a Michele, e gli dico: “Non sperare di avere un ruolo partecipe. Sei qui per dare piacere. Sei solo un umano oggetto maschile.” Valeria mi guarda, sorride luminosa. Poi si avvicina a bocca aperta a ciò che impugna: la sua lingua inizia a leccare la virilità di mio marito. Lo fa dal basso verso l’alto, come se fosse alle prese con un gelato che si sta squagliando su di un cono. Michele si adagia bene con le spalle allo schienale di quella sedia e Valeria si dedica per qualche secondo a quel lavoro di mani e di lingua. Poi, lei si allontana di una trentina di centimetri. Con un gesto lento ed elegante si passa la mano destra intorno al collo, dietro, guidando i lunghi capelli tutti a cadere dalla spalla sinistra. Lo vivo come espressione di determinazione, una sorta di preparativo a un agire che vuole libero da disturbi. E, infatti, ora si riavvicina a ciò che aveva leccato e baciato per troppo poco. Inizia con impegno una lunga opera di lingua, di labbra, di bocca. Quando prendendola per una spalla le faccio cenno di fermarsi un attimo, ci mette non pochissimo a interrompere ciò che sta facendo: è come se provasse a staccarsi, ma poi tornasse a usare le sue labbra e la sua lingua richiamata da un elastico invisibile. Mi alzo e altrettanto fa lei, venendo al mio fianco.
“Alzati!”, intimo a Michele, stupito e da quell’interruzione. “Non fare quella faccia delusa -dico- e non ci provare a venire fino a ché non ti autorizzo io.” Con fatica, per le braccia costrette dietro alla schiena, si solleva dalla sedia. “Cammina lateralmente per tre passi, a sinistra”, proseguo. Obbedisce e resta in piedi incerto, bendato, con le mani legate dietro la schiena, con l’erezione ben in vista.
Faccio cenno a Valeria di aiutarmi a spostare la panca e la seggiola. La seconda torna alla scrivania, mentre la panca ora è nel mezzo all’ampio spazio che c’è tra il fondo del letto e la scrivania che è appoggiata alla parete di fronte al letto. Raggiungo Michele che, palesemente, non capisce dai rumori cosa esattamente stia succedendo. Impugnando il suo pene, lo conduco affianco alla panca. “Siediti”, gli dico. La parte interna dei suoi polpacci è già appoggiata alla panca, io lo accompagno nel sedersi, sostenendolo per un braccio. “Ora togliamo un attimo questo nodo -dico- ma solo per poco. Prima però girati e porta le gambe sulla panca sulla quale sei seduto.” Obbedisce. Vale, alle sue spalle, slega il nodo, mentre io sto immobile e in silenzio. Lei mi passa la cintura e invito mio marito a sdraiarsi supino. Lo fa. La panca è larga poco più del suo bacino, le giro intorno facendo sentire a lui il rumore dei miei passi sui tacchi sottili. “Alza un braccio”, gli dico. Lo fa e io lego il polso con un’estremità della cintura. “Abbassalo”, intimo. Esegue, facendo cadere a terra il resto della cintura. Mi piego sulle ginocchia e con una mano raccolgo l’estremità della cintura e la porto dove la schiena di lui poggia sulla panca. Capisce da solo le mie intenzioni e inarca la schiena per permettermi di farci passare sotto la cintura. Bravo. Giro dall’altro lato e lego l’altra mano in maniera che tra l’una e l’altra ci siano poco più di venticinque centimetri. “Ora infila la punta delle mani sotto le natiche il più in basso che puoi!”, ordino. Esegue. E’ li, disteso su quella panca larga quanto lui. La sua eccitazione è assolutamente evidente. Valeria, che la guarda famelica, è appoggiata con i glutei alla scrivania. Le vado davanti, la bacio, le sfilo la maglietta, i nostri seni si toccano; poi mi inginocchio e inizio a baciare il suo pube. Quando con la lingua mi infilo nella sua fessura umida, lei alza una gamba appoggiando un piede sulla seggiola; mi agevola nel darle piacere. Infilo due dita dentro di lei, mentre con la lingua mi dedico a ciò che sta al vertice delle sue labbra gonfie. Dopo poco geme. Mi fermo di colpo e alzo gli occhi: mi guarda, delusa. Mi rialzo piano disegnando con la lingua una lunga striscia che, dritta, supera il ventre piatto, sale alla base dello sterno attraversando la parte conca del seno fino a quella fossa dove, sotto il collo, si incontrano le sue clavicole sporgenti. Lei alza il mento e io continuo quel trafitto per tutta la lunghezza del collo, fino al mento. Con una mano la accarezzo in mezzo alle gambe. Lei mi bacia, con languore.
La prendo per una mano e la conduco vicino alla panca sulla quale l’erezione di mio marito, incorniciata dal cotone dei suoi boxer sembra un qualcosa a sé, non un’appendice, ma un oggetto decontestualizzato. Accompagno Valeria a quasi sedersi sul volto bendato di Michele che presto capisce cosa lo sovrasti e inizia a leccare. “Vedi che per la tua bocca avevo dei progetti? -gli dico- Ora usala bene, però.” A giudicare dal volto di Valeria, mio marito si sta impegnando a dovere. Lei, appoggiando le meni sul torace di lui, muove il bacino per aggiungere ancora più efficacia a quella sinergia, mentre io le massaggio i piccoli seni, le strizzo i capezzoli e la bacio, anche per evitare che si lanci con la bocca su quel pene eretto.
Poi, sempre prendendola sotto un braccio, la faccio alzare. In due passi è nella posizione giusta: “E’ ora di usare quell’oggetto maschile che hai tra le gambe!”, dico come parlando a Michele, ma guardando negli occhi Valeria. Mi fa un gesto, come a chiedermi: “Posso?”. Le faccio cenno di mettersi a cavallo di lui, poi mi chino e con una mano impugno il vigore di mio marito. Muovo la mia mano su quell’asta mentre Valeria si posiziona. Quando abbassa il suo bacino sono io che guido il pene di Michele, ignaro, in lei. Guardo ogni singolo millimetro entrarle dentro, poi alzo lo sguardo sul volto di lei: le pupille le si nascondono dietro palpebre che scendono come il sipario a teatro. Mi alzo e guardo quella scena. Lui è immobile, immerso in lei, incantato, inconsapevole, ma soprattutto ingannato. E questo, esattamente questo, mi dà una scossa di piacere; le mie gambe diventano molli, indietreggio di due passi per sedermi sul letto. Mi tocco guardando lei che lo domina, muovendo il bacino in maniera irregolare: su, giù, avanti, indietro, poi fa come un otto, e un altro e un altro ancora. Ha le mani dietro la nuca, sotto quei capelli lunghi che ondeggiano fluidi sulla sua bellezza longilinea. Poi la sua schiena s’incurva all’indietro, l’espressione del suo volto si deforma, morde la parte destra del suo labbro inferiore, il respiro diventa cortissimo e una scarica orgasmica la travolge. Se la gode tutta, lasciandola fluire nel suo corpo mentre io, seduta non lontana da lei, mi tormento il glande del clitoride estasiata da quella scena. Lei continua a muoversi, sempre più piano, come per inerzia. Poi apre gli occhi di colpo, si volta e mi guarda come a chiedere cosa sia successo o a dire “che meraviglia”. I suoi occhi sono stupendi: il suo è uno sguardo di pace, di gioia, di soddisfazione, di vita. Mi fa segno di avvicinarmi. Mi alzo e lei fa altrettanto. Il pene eretto di Michele è ricoperto degli umori di lei che si sposta e mi fa segno di prendere il suo posto. E’ ciò che faccio e l’idea che quei suoi umori ora stiano per entrare in me mi fa provare una eccitantissima sensazione di torbido. Mentre inizio a muovermi su Michele, lei mi prende il volto con le meni e mi bacia con dolcezza. Poi si dedica anche ai miei seni. Mi muovo con crescente intensità: ho bisogno di godere, subito. Sento mio marito come gonfiarsi ancor di più a ogni mio colpo. La lingua di Valeria è attorcigliata alla mia, muovo il bacino come a strisciarlo su quello di Michele: avanti e indietro. Sento che sta per godere anche lui, gli dico solo: “Si, puoi!”, ma con una mano gli tappo la bocca. Quasi lui mi morde il palmo mentre Valeria - esattamente nello stesso istante – stringe delicatamente il labbro inferiore tra i suoi denti. Vengo io e viene lui: uno nell’orgasmo dell’altro. Lui gode dentro di me, che vivo il mio piacere mentre Valeria continua a baciarmi tenendomi il volto tra le sue mani. Restiamo così per qualche secondo: il mio grido del mio piacere soffocato nella bocca di lei.
Poi sento che lascia scivolare le sue mani dal mio viso e allontana la sua bocca dalla mia. Apro gli occhi: lei mi guarda con un misto di entusiasmo e dolcezza. E’ uno sguardo d’amore. Si sposta allontanandosi e vedo il mio volto nello specchio: sono sfatta, sudata, ma sorrido a me stessa e a Valeria attraverso quello specchio. Faccio per alzarmi mentre lei raccoglie la sua maglia. Il respiro di Michele è ancora affannato. Valeria cammina in punta dei piedi verso la finestra per accedere al terrazzo. Si volta proprio quando è sulla soglia; con una mano tiene la maglietta sul petto, come a coprirsi per pudore. E’ un’idea che il suo sguardo smentisce: per furbizia, per malizia, per l’intesa con cui scandisce lentamente con le labbra un silenzioso “Grazie!”. Poi fa scorrere piano la finestra sparisce dietro lo stipite.
Per alzarmi da Michele avevo appoggiato le mani sul suo petto, ma sentire il suo cuore battere ancora forte mi aveva trattenuto dal sollevarmi sulle gambe. Anche se in ritirata, mi dà ancora pienezza. Con la mano destra ora gli sfilo la fascia che gli copre gli occhi. Li apre e li richiude subito, come abbagliato. Poi li riapre un pochettino alla volta e mi sorride. Inizia a guardarsi intorno: sembra voler capire se è nel punto che si immaginava, ma il suo sguardo indugia sulla finestra parzialmente aperta. Poi mi guarda negli occhi. “E’ stato incredibile, Amore. Una cosa davvero incredibile. Sensazioni stranissime -mi dice con gli occhi fissi nei mie- e incomprensibili, indecifrabili. Ti dico solo che, saranno state le tue parole, ma nel buio sembravi …due persone.”
Gli sorrido, mi piego su di lui con il busto. Ci baciamo. Poi avvicino la mia bocca al suo orecchio e gli sussurro: “Tre è proprio il numero perfetto.”
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