Valeria, irresistibile me me (TRE, Verso Venezia)
di
La Recherche
genere
saffico
Chiama il mio agente, se tale si può definire colui che mi procura quelle due partecipazioni remunerate all'anno a festival e convegni, nascondendole in un più ampio numero di proposte di occasioni gratuite o, raramente, di piccoli contributi editoriali.
Mi racconta di essere stato contattato dalla Fondazione XYZ per una proposta “interessantissima”, anche se last minute: "Tra dieci giorni, a Venezia, verrà presentata la mostra sulle opere Ukiyo-e." "Si -gli rispondo- ho visto su qualche rivista il manifesto con La grande onda di Kanagawa". "Gli organizzatori -riprende- hanno letto un tuo articolo su Katsushika Hokusai e vorrebbero che tu facessi un intervento su quell'autore. Per sincerità: lo sponsor si è lamentato del fatto che i relatori previsti sono solo uomini, quindi corrono ai ripari."
Gli spiego che è un articolo vecchio, su un autore che non appartiene certo al genere artistico sul quale sono più ferrata: dovrei, in sintesi, dedicare almeno due giorni per preparare una relazione presentabile. "Di tempo ne hai, dai!", mi dice illustrandomi l'importanza di stringere rapporti in quel "giro" internazionale di attori della promozione culturale.
Con il mio silenzio voglio rappresentargli l'attesa per informazioni sul conquibus. Coglie il punto: "Simona, i benefici in questo caso sono principalmente di carattere relazionale. Offrono solo viaggio e un'ospitalità veramente super per te e tuo marito: due notti al San Domenico Palace, dove si terrà anche la cena di gala."
Taccio, questa volta però per mettere a fuoco un'idea che mi frulla in testa.
"Hai in mente il San Domenico? -incalza lui- E' un'isola intera. Un vecchio convento trasformando in hotel che definire esclusivo è poco, con anche SPA e piscina. Un week-end lì è privilegio."
Mentre lui cerca di abbindolarmi, diventa nitido in me il progetto.
"Uno, -rispondo- non esordire mai più dicendo ‘interessantissima’ se non c’è pagamento. Due, se ritieni che ha senso andare per le relazioni, mi fido e lo capisco anche: quella fondazione organizza mostre che attirano appassionati d’arte da tutto il mondo. Quindi, va bene, ci sono, anche perché Venezia è sempre bella. Però devi fare in modi che mi trattino con i guanti. Mandami i dettagli e un contatto e-mail dell’organizzazione, ma soprattutto fammi mandare il file del catalogo della mostra."
Terminata la telefonata, scrivo in chat a Valeria: “C'è la Biennale di architettura a Venezia di questi tempi?" Mi risponde dopo qualche minuto: "Si, fino a novembre. The Laboratory of the Future. Dicono sia una bella edizione."
Il tempo di leggere la sua risposta e le telefono: "Vale, aiutami: devo tenere una relazione il fine settimana del 20 a Venezia. Cose di arte giapponese. Ti prego, accompagnarmi: Michele non può venire e, giuro, da sola in mezzo a quegli snob mi butto dal ponte di Rialto. Dai! Partenza venerdì pomeriggio in treno, l'indomani mattina tu vai alla Biennale, io mi faccio la mia relazione, poi avremo il pomeriggio per andare in giro nella città più suggestiva del mondo; la sera cena di gala e domenica torniamo con calma. Siamo ospiti della Fondazione XYZ in un albergo bello, con SPA e piscina."
Accetta subito.
La sera, a casa, durante la cena inizio a seminare: “Amore -dico a Michele- non questo fine settimana, ma quello successivo, andrò per lavoro a Venezia: mi hanno chiesto all’ultimo di fare una relazione in occasione dell’inaugurazione della mostra di opere Ukiyo-e.” E’ sorpreso, forse dal tono imperativo di quella prima persona singolare che non lo contempla.
“Ho chiesto a Valeria se vuole accompagnarmi -proseguo- perché non è proprio un momento top per lei”, mi guarda interrogante. “Non dire niente a Giovanni, ma penso che abbiano qualche problema. Cioè, vanno d’accordo, ma …insomma non hanno, per scelta di lui, una vita sessuale e lei è avvilita e piena di insicurezze.”
“Ahi! Mi dispiace. Per loro, non del fatto che andate a Venezia. Comunque, figurati se ne parlo con lui: quelle amiche siete voi, per me lui è poco più di un compagno del calcetto. Poi, ci mancherebbe, non dico che me ne frego, però gli amici sono altri.”
“Quando Valeria me lo ha confidato -riprendo io, senza specificargli in quale circostanza fosse successo- non potevo crederci. Cioè, lei è una persona intelligente, gran bella ragazza, poi è solare, dinamica: una che ha fascino da vendere, insomma. Non capisco come lui la possa trascurare. Non trovi?”
“Ma infatti -risponde- è talmente incomprensibile che forse c’è qualcosa che non ti ha detto. Certo che se lui avesse un’altra, sarebbe veramente un coglione. Nel senso: trovane una meglio di lei. Escluso te, ovviamente!”.
Bravo! Due volte. Concordiamo sul fatto che quella di Venezia sarà l’occasione per capire meglio il problema.
Nei giorni successivi raccolgo il materiale per in mio speech, studio i profili degli altri tre relatori che, francamente, coprono già tutte le prospettive di analisi. Cerco la chiave che guiderà il mio intervento. Più approfondisco, più constato come la società e la cultura del Giappone del XVII - XVIII secolo erano assai più lontane da quelle del vecchio continente di quanto lo siano quelle di oggi. Sono registri completamente diversi: in Europa abbiamo El Greco, Velàzquez, Procaccini, Rembrant, Van Dick e soprattutto Caravaggio. Siamo nel periodo del barocco. Pur con le loro diversità, nessuno di questi pittori ha tratti di contato con i grandi artisti giapponesi dell’epoca: per soggetti, per realismo, per tecniche, per materiali, per messaggi, per tipologia di fruitori ai quali rivolgersi. Katsushika Hokusai è tra gli ultimi esponenti dell’arte Ukiyo-e, ha quasi 190 anni più di Caravaggio, ma ribadisce che durante tutto quel tempo l’arte europea ha seguito, passando al neoclassicismo, tutt’altra evoluzione rispetto a quella nipponica.
La mia concentrazione in vista della trasferta, tuttavia, scorre su due binari paralleli. Perché c’è anche da “preparare” il piano che ho per Valeria. Con lei ci sentiamo più volte: per dettagli organizzativi (treno, dimensioni della borsa, dresscode della cena), per pregustare queste nostre due giornate da sole.
Giunge il giorno della partenza, alle 17 sono al binario. Arriva Valeria, in grande spolvero: capelli mossi, freschi di parrucchiere, abbronzata, occhiali da sole. La camicia di lino bianca veste sottile, seguendo le sue forme delicate, ma senza stringere troppo, solo da una parte è infilata nella minigonna a portafogli nera che mette in risalto le gambe lunghe. Mocassini d’ordinanza: neri, tacco basso, con morsetto dorato. Saliamo. L’organizzazione ha fatto le cose bene: salottino business da quattro posti, una porta separa dal corridoio. Il massimo del confort che offra Trenitalia. Ci sediamo una di fronte all’altra, vicine al finestrino.
Dopo poco entra un’elegante signora sui settanta, mentre il quarto posto resta libero. Ci attendono quattro ore di viaggio e, dopo mezz’ora di chiacchiere con Valeria, prendo il laptop e mi metto a finire di preparare la relazione. Alla seconda fermata, la signora saluta e scende. Farò domani mattina presto un’ultima rilettura, ma mi sembra di aver preparato una relazione più che dignitosa, anche se forse troppo fredda, accademica. Riprendiamo, quindi, a parlare e le chiedo come va con Giovanni. Niente di nuovo, colgo, ma mi pare serena, seppur nella rassegnazione. “Vedi -mi dice- se non fosse per quell’aspetto, tutto sarebbe perfetto. Certo, non fare sesso con lui mi pesa da morire, ma è la persona che ho scelto perché mi piace: il suo carattere, la sua razionalità, la sicurezza, anche la freddezza. Mentre io sono emotiva e impulsiva, lui ha tutto sotto controllo. Mentre io sono spensierata, lui è responsabile e attento. Condividiamo tantissimi interessi, abbiamo identiche curiosità, … ”
La interrompo: “Si, Vale, ma bisogna capire perché lui…”
“Me lo sono chiesta fino a impazzire. Per qualche mese -dice- ho anche immaginato che potesse avere un’altra. Allora ho iniziato a controllare tutto: email, sms, whats app, agenda, iPhoto. Niente. Non usa social e neppure giochi con sistemi di messaggistica. Ho fatto anche verifiche incrociate e improvvisate in ospedale e in studio, pure domande a trabocchetto anche a quella vecchia arpia della sua segretaria. Zero. E niente neppure nelle tasche delle giacche o dei pantaloni; nulla dagli estratti conto della carta di credito. Una volta, anzi due, l’ho pure seguito di nascosto. Zero, se non rendermi conto che al limite ha una vita noiosamente regolare. Come ti ho già detto, ho pensato che fosse colpa mia, però temo che il problema sia più …profondo. Cioè, io non ci capisco nulla, ma forse avrebbe bisogno di andare da uno psicologo o in analisi.”
“Ok. -dico io- Capisco. Hai provato a suggerirglielo?”
“Figurati! -risponde- Nulla è più lontano da lui. Però, dai, adesso basta: raccontami della tua conferenza di domani.”
Non voglio insistere e inizio a dirle qualcosa: prima a proposito del contesto, poi “provando” a memoria il mio discorso. Segue per un buon tempo, senza mai interrompere. Commenta con un “bello” che sa di circostanza, poi mi chiede di vedere il catalogo della mostra. Lo sfoglia sul mio computer riconoscendo opere e concetti che le ho appena descritto. Mi ha ascoltato davvero. Chiede lumi su un’opera e le spiego che rappresenta un sogno legato a un mito. Colgo l’occasione, mi sposto seduta al suo fianco e le dico: “I soggetti dell’arte Ukiyo-e sono diversi; un sottogenere importante di questo tipo di arte erano le stampe erotiche. Raffiguravano in maniera esplicita -e intanto cerco nel laptop- scene intime con dettagli vividi e stilizzati ed erano considerate un omaggio al piacere e alla sensualità.”
Le mostro una xilografia di Hokusai, "Il sogno della moglie del pescatore", riprodotta troppo in piccolo sul catalogo, in mezzo ad altre sue stampe. Le spiego che si tratta di un’opera iconica: illustro l’immagine della donna, abbandonata al piacere mentre è in balia di due enormi piovre. “I polpi la stimolano sessualmente, con i loro tentacoli che la accarezzano in modo sensuale e avvolgente. Il polpo più grande le bacia il sesso che, come vedi, è raffigurato in maniera esasperata, mentre quello più piccolo la stuzzica con delicatezza un seno e la bocca. La scena, apparentemente surreale e fantastica, è legata anch’essa a un mito all’epoca conosciutissimo. Ma qui c’è un'esplorazione audace e senza tabù del desiderio sessuale. Guarda la postura di lei e la voluttà nel suo volto: i suoi tratti espressivi, con occhi socchiusi e bocca semiaperta, l’abbandono completo al piacere, in una sorta di estasi sensuale. Trovo che sia un’immagine che celebra la donna e il suo piacere. Non c’è l’uomo: ci sono due bocche, di cui una gigante a darle piacere, e ben più di due mani ad accarezzarla, titillarla, solleticarla. Proprio la presenza dei polpi fa si che l’immagine vada oltre l'esplicito, esplorando temi come la fantasia e l'intimità, tipici di questa arte.”
Valeria segue con attenzione, passa un dito sullo schermo del computer nel punto dove un tentacolo avvolge un capezzolo della fortunata, poi verso il pube esoso. Proseguo: “L’atteggiamento culturale del mondo giapponese verso la sessualità era diversissimo da quello dei paesi europei e, infatti, ci sono numerosissime stampe anche di rapporti sessuali tra donne: guarda.” Ne mostro due a caso tra cinque, una più esplicita dell’altra. Nella prima, una donna indossa un godemiché ligneo, enorme e pronto a infilarsi nel sesso aperto della sua compagna di giochi. Nella seconda, altre due ragazze si baciano a vicenda il sesso mentre un’altra si masturba spiandole da dietro un paravento. “Guarda i volti: è un’estasi libera, celebrata. I colori intorno non sono scuri, ma chiari, vivi: non c’è colpa, non c’è peccato. C’è solo piacere.”
Sto realizzando alla lettera il mio progetto. “E guarda queste, poi giuro che smetto, anche perché solo quella dei polpi è presente alla mostra”, dico aprendo una diversa selezione di immagini. “In quell’arte spesso era proposta l’idea di una terza persona che assisteva al rapporto tra i due principali soggetti del dipinto. Il terzo incomodo poteva limitarsi a guardare o masturbarsi o anche -dico scrutandola negli occhi e scandendo le parole- unirsi alla coppia. Guarda questa immagine: è tratta dall’album erotico di Suzuki Harunobu, intitolato Le romantiche avventure di Man’emon. Il volto della donna sdraiata, vedi, è piacere puro: vivo ed estatico. L’altra donna è lì ad accompagnarla in quella condizione, che amplia baciandole il seno, accarezzandole il clitoride con mani delicate. L’uomo sembra quasi esserci solo in relazione al suo pene: i suoi tratti del volto, infatti, sono meno definiti rispetto a quelli delle due donne, come se non importasse la sua identità per soddisfare il piacere della protagonista. Un piacere che visibilmente sgorga libero, senza freni di pudore.”
Valeria è rapita, non so se dalle immagini, dalle mie parole o -come spero- dal pensarsi in quella situazione. Le sue lunghe gambe continuano ad accavallarsi: ora l’una, ora l’altra.
“Gran bella lezione. Anche in università sei così? No, perché … sei eccitante”, dice avvicinando le sue labbra sorridenti alle mie. Ci baciamo, prima con tenerezza, poi con più energia.
Allungo una mano sulla sua coscia che percorro sino a sotto la gonna. Apro gli occhi baciandola e vedo che sta guardando verso la porta. Interrompendo a tratti il nostro bacio le chiedo se ha paura che ci veda qualcuno o se lo spera: la passione con la quale riattacca le sue labbra alle mie, con cui scava con la sua lingua che si intreccia alla mia è risposta eloquente. La mia mano ha raggiunto il tessuto delle sue mutande. È bagnato; passo le mie dita sopra alla sua fessura morbida. Lei allarga le gambe, mugolando nella mia bocca.
In quel mentre il treno rallenta, le luci dall’esterno annunciano la stazione. Sul corridoio si sentono affollarsi i passeggeri con i loro bagagli. Ci paralizziamo entrambe. Estraggo la mano, lei si ricompone visibilmente seccata per la necessaria interruzione. Porto le mie dita alla bocca e, fissando i miei occhi nei suoi, le succhio assaporando l’umore di lei. Mi bacia furtiva, quando il treno oramai è fermo.
Ci alziamo per prendere i bagagli e ci incamminiamo alla porta, lei è davanti e si volta prima di aprirla.
“Ci sono polpi giganti a Venezia?”, domanda.
Io. @larecherche@tutamail.com
Mi racconta di essere stato contattato dalla Fondazione XYZ per una proposta “interessantissima”, anche se last minute: "Tra dieci giorni, a Venezia, verrà presentata la mostra sulle opere Ukiyo-e." "Si -gli rispondo- ho visto su qualche rivista il manifesto con La grande onda di Kanagawa". "Gli organizzatori -riprende- hanno letto un tuo articolo su Katsushika Hokusai e vorrebbero che tu facessi un intervento su quell'autore. Per sincerità: lo sponsor si è lamentato del fatto che i relatori previsti sono solo uomini, quindi corrono ai ripari."
Gli spiego che è un articolo vecchio, su un autore che non appartiene certo al genere artistico sul quale sono più ferrata: dovrei, in sintesi, dedicare almeno due giorni per preparare una relazione presentabile. "Di tempo ne hai, dai!", mi dice illustrandomi l'importanza di stringere rapporti in quel "giro" internazionale di attori della promozione culturale.
Con il mio silenzio voglio rappresentargli l'attesa per informazioni sul conquibus. Coglie il punto: "Simona, i benefici in questo caso sono principalmente di carattere relazionale. Offrono solo viaggio e un'ospitalità veramente super per te e tuo marito: due notti al San Domenico Palace, dove si terrà anche la cena di gala."
Taccio, questa volta però per mettere a fuoco un'idea che mi frulla in testa.
"Hai in mente il San Domenico? -incalza lui- E' un'isola intera. Un vecchio convento trasformando in hotel che definire esclusivo è poco, con anche SPA e piscina. Un week-end lì è privilegio."
Mentre lui cerca di abbindolarmi, diventa nitido in me il progetto.
"Uno, -rispondo- non esordire mai più dicendo ‘interessantissima’ se non c’è pagamento. Due, se ritieni che ha senso andare per le relazioni, mi fido e lo capisco anche: quella fondazione organizza mostre che attirano appassionati d’arte da tutto il mondo. Quindi, va bene, ci sono, anche perché Venezia è sempre bella. Però devi fare in modi che mi trattino con i guanti. Mandami i dettagli e un contatto e-mail dell’organizzazione, ma soprattutto fammi mandare il file del catalogo della mostra."
Terminata la telefonata, scrivo in chat a Valeria: “C'è la Biennale di architettura a Venezia di questi tempi?" Mi risponde dopo qualche minuto: "Si, fino a novembre. The Laboratory of the Future. Dicono sia una bella edizione."
Il tempo di leggere la sua risposta e le telefono: "Vale, aiutami: devo tenere una relazione il fine settimana del 20 a Venezia. Cose di arte giapponese. Ti prego, accompagnarmi: Michele non può venire e, giuro, da sola in mezzo a quegli snob mi butto dal ponte di Rialto. Dai! Partenza venerdì pomeriggio in treno, l'indomani mattina tu vai alla Biennale, io mi faccio la mia relazione, poi avremo il pomeriggio per andare in giro nella città più suggestiva del mondo; la sera cena di gala e domenica torniamo con calma. Siamo ospiti della Fondazione XYZ in un albergo bello, con SPA e piscina."
Accetta subito.
La sera, a casa, durante la cena inizio a seminare: “Amore -dico a Michele- non questo fine settimana, ma quello successivo, andrò per lavoro a Venezia: mi hanno chiesto all’ultimo di fare una relazione in occasione dell’inaugurazione della mostra di opere Ukiyo-e.” E’ sorpreso, forse dal tono imperativo di quella prima persona singolare che non lo contempla.
“Ho chiesto a Valeria se vuole accompagnarmi -proseguo- perché non è proprio un momento top per lei”, mi guarda interrogante. “Non dire niente a Giovanni, ma penso che abbiano qualche problema. Cioè, vanno d’accordo, ma …insomma non hanno, per scelta di lui, una vita sessuale e lei è avvilita e piena di insicurezze.”
“Ahi! Mi dispiace. Per loro, non del fatto che andate a Venezia. Comunque, figurati se ne parlo con lui: quelle amiche siete voi, per me lui è poco più di un compagno del calcetto. Poi, ci mancherebbe, non dico che me ne frego, però gli amici sono altri.”
“Quando Valeria me lo ha confidato -riprendo io, senza specificargli in quale circostanza fosse successo- non potevo crederci. Cioè, lei è una persona intelligente, gran bella ragazza, poi è solare, dinamica: una che ha fascino da vendere, insomma. Non capisco come lui la possa trascurare. Non trovi?”
“Ma infatti -risponde- è talmente incomprensibile che forse c’è qualcosa che non ti ha detto. Certo che se lui avesse un’altra, sarebbe veramente un coglione. Nel senso: trovane una meglio di lei. Escluso te, ovviamente!”.
Bravo! Due volte. Concordiamo sul fatto che quella di Venezia sarà l’occasione per capire meglio il problema.
Nei giorni successivi raccolgo il materiale per in mio speech, studio i profili degli altri tre relatori che, francamente, coprono già tutte le prospettive di analisi. Cerco la chiave che guiderà il mio intervento. Più approfondisco, più constato come la società e la cultura del Giappone del XVII - XVIII secolo erano assai più lontane da quelle del vecchio continente di quanto lo siano quelle di oggi. Sono registri completamente diversi: in Europa abbiamo El Greco, Velàzquez, Procaccini, Rembrant, Van Dick e soprattutto Caravaggio. Siamo nel periodo del barocco. Pur con le loro diversità, nessuno di questi pittori ha tratti di contato con i grandi artisti giapponesi dell’epoca: per soggetti, per realismo, per tecniche, per materiali, per messaggi, per tipologia di fruitori ai quali rivolgersi. Katsushika Hokusai è tra gli ultimi esponenti dell’arte Ukiyo-e, ha quasi 190 anni più di Caravaggio, ma ribadisce che durante tutto quel tempo l’arte europea ha seguito, passando al neoclassicismo, tutt’altra evoluzione rispetto a quella nipponica.
La mia concentrazione in vista della trasferta, tuttavia, scorre su due binari paralleli. Perché c’è anche da “preparare” il piano che ho per Valeria. Con lei ci sentiamo più volte: per dettagli organizzativi (treno, dimensioni della borsa, dresscode della cena), per pregustare queste nostre due giornate da sole.
Giunge il giorno della partenza, alle 17 sono al binario. Arriva Valeria, in grande spolvero: capelli mossi, freschi di parrucchiere, abbronzata, occhiali da sole. La camicia di lino bianca veste sottile, seguendo le sue forme delicate, ma senza stringere troppo, solo da una parte è infilata nella minigonna a portafogli nera che mette in risalto le gambe lunghe. Mocassini d’ordinanza: neri, tacco basso, con morsetto dorato. Saliamo. L’organizzazione ha fatto le cose bene: salottino business da quattro posti, una porta separa dal corridoio. Il massimo del confort che offra Trenitalia. Ci sediamo una di fronte all’altra, vicine al finestrino.
Dopo poco entra un’elegante signora sui settanta, mentre il quarto posto resta libero. Ci attendono quattro ore di viaggio e, dopo mezz’ora di chiacchiere con Valeria, prendo il laptop e mi metto a finire di preparare la relazione. Alla seconda fermata, la signora saluta e scende. Farò domani mattina presto un’ultima rilettura, ma mi sembra di aver preparato una relazione più che dignitosa, anche se forse troppo fredda, accademica. Riprendiamo, quindi, a parlare e le chiedo come va con Giovanni. Niente di nuovo, colgo, ma mi pare serena, seppur nella rassegnazione. “Vedi -mi dice- se non fosse per quell’aspetto, tutto sarebbe perfetto. Certo, non fare sesso con lui mi pesa da morire, ma è la persona che ho scelto perché mi piace: il suo carattere, la sua razionalità, la sicurezza, anche la freddezza. Mentre io sono emotiva e impulsiva, lui ha tutto sotto controllo. Mentre io sono spensierata, lui è responsabile e attento. Condividiamo tantissimi interessi, abbiamo identiche curiosità, … ”
La interrompo: “Si, Vale, ma bisogna capire perché lui…”
“Me lo sono chiesta fino a impazzire. Per qualche mese -dice- ho anche immaginato che potesse avere un’altra. Allora ho iniziato a controllare tutto: email, sms, whats app, agenda, iPhoto. Niente. Non usa social e neppure giochi con sistemi di messaggistica. Ho fatto anche verifiche incrociate e improvvisate in ospedale e in studio, pure domande a trabocchetto anche a quella vecchia arpia della sua segretaria. Zero. E niente neppure nelle tasche delle giacche o dei pantaloni; nulla dagli estratti conto della carta di credito. Una volta, anzi due, l’ho pure seguito di nascosto. Zero, se non rendermi conto che al limite ha una vita noiosamente regolare. Come ti ho già detto, ho pensato che fosse colpa mia, però temo che il problema sia più …profondo. Cioè, io non ci capisco nulla, ma forse avrebbe bisogno di andare da uno psicologo o in analisi.”
“Ok. -dico io- Capisco. Hai provato a suggerirglielo?”
“Figurati! -risponde- Nulla è più lontano da lui. Però, dai, adesso basta: raccontami della tua conferenza di domani.”
Non voglio insistere e inizio a dirle qualcosa: prima a proposito del contesto, poi “provando” a memoria il mio discorso. Segue per un buon tempo, senza mai interrompere. Commenta con un “bello” che sa di circostanza, poi mi chiede di vedere il catalogo della mostra. Lo sfoglia sul mio computer riconoscendo opere e concetti che le ho appena descritto. Mi ha ascoltato davvero. Chiede lumi su un’opera e le spiego che rappresenta un sogno legato a un mito. Colgo l’occasione, mi sposto seduta al suo fianco e le dico: “I soggetti dell’arte Ukiyo-e sono diversi; un sottogenere importante di questo tipo di arte erano le stampe erotiche. Raffiguravano in maniera esplicita -e intanto cerco nel laptop- scene intime con dettagli vividi e stilizzati ed erano considerate un omaggio al piacere e alla sensualità.”
Le mostro una xilografia di Hokusai, "Il sogno della moglie del pescatore", riprodotta troppo in piccolo sul catalogo, in mezzo ad altre sue stampe. Le spiego che si tratta di un’opera iconica: illustro l’immagine della donna, abbandonata al piacere mentre è in balia di due enormi piovre. “I polpi la stimolano sessualmente, con i loro tentacoli che la accarezzano in modo sensuale e avvolgente. Il polpo più grande le bacia il sesso che, come vedi, è raffigurato in maniera esasperata, mentre quello più piccolo la stuzzica con delicatezza un seno e la bocca. La scena, apparentemente surreale e fantastica, è legata anch’essa a un mito all’epoca conosciutissimo. Ma qui c’è un'esplorazione audace e senza tabù del desiderio sessuale. Guarda la postura di lei e la voluttà nel suo volto: i suoi tratti espressivi, con occhi socchiusi e bocca semiaperta, l’abbandono completo al piacere, in una sorta di estasi sensuale. Trovo che sia un’immagine che celebra la donna e il suo piacere. Non c’è l’uomo: ci sono due bocche, di cui una gigante a darle piacere, e ben più di due mani ad accarezzarla, titillarla, solleticarla. Proprio la presenza dei polpi fa si che l’immagine vada oltre l'esplicito, esplorando temi come la fantasia e l'intimità, tipici di questa arte.”
Valeria segue con attenzione, passa un dito sullo schermo del computer nel punto dove un tentacolo avvolge un capezzolo della fortunata, poi verso il pube esoso. Proseguo: “L’atteggiamento culturale del mondo giapponese verso la sessualità era diversissimo da quello dei paesi europei e, infatti, ci sono numerosissime stampe anche di rapporti sessuali tra donne: guarda.” Ne mostro due a caso tra cinque, una più esplicita dell’altra. Nella prima, una donna indossa un godemiché ligneo, enorme e pronto a infilarsi nel sesso aperto della sua compagna di giochi. Nella seconda, altre due ragazze si baciano a vicenda il sesso mentre un’altra si masturba spiandole da dietro un paravento. “Guarda i volti: è un’estasi libera, celebrata. I colori intorno non sono scuri, ma chiari, vivi: non c’è colpa, non c’è peccato. C’è solo piacere.”
Sto realizzando alla lettera il mio progetto. “E guarda queste, poi giuro che smetto, anche perché solo quella dei polpi è presente alla mostra”, dico aprendo una diversa selezione di immagini. “In quell’arte spesso era proposta l’idea di una terza persona che assisteva al rapporto tra i due principali soggetti del dipinto. Il terzo incomodo poteva limitarsi a guardare o masturbarsi o anche -dico scrutandola negli occhi e scandendo le parole- unirsi alla coppia. Guarda questa immagine: è tratta dall’album erotico di Suzuki Harunobu, intitolato Le romantiche avventure di Man’emon. Il volto della donna sdraiata, vedi, è piacere puro: vivo ed estatico. L’altra donna è lì ad accompagnarla in quella condizione, che amplia baciandole il seno, accarezzandole il clitoride con mani delicate. L’uomo sembra quasi esserci solo in relazione al suo pene: i suoi tratti del volto, infatti, sono meno definiti rispetto a quelli delle due donne, come se non importasse la sua identità per soddisfare il piacere della protagonista. Un piacere che visibilmente sgorga libero, senza freni di pudore.”
Valeria è rapita, non so se dalle immagini, dalle mie parole o -come spero- dal pensarsi in quella situazione. Le sue lunghe gambe continuano ad accavallarsi: ora l’una, ora l’altra.
“Gran bella lezione. Anche in università sei così? No, perché … sei eccitante”, dice avvicinando le sue labbra sorridenti alle mie. Ci baciamo, prima con tenerezza, poi con più energia.
Allungo una mano sulla sua coscia che percorro sino a sotto la gonna. Apro gli occhi baciandola e vedo che sta guardando verso la porta. Interrompendo a tratti il nostro bacio le chiedo se ha paura che ci veda qualcuno o se lo spera: la passione con la quale riattacca le sue labbra alle mie, con cui scava con la sua lingua che si intreccia alla mia è risposta eloquente. La mia mano ha raggiunto il tessuto delle sue mutande. È bagnato; passo le mie dita sopra alla sua fessura morbida. Lei allarga le gambe, mugolando nella mia bocca.
In quel mentre il treno rallenta, le luci dall’esterno annunciano la stazione. Sul corridoio si sentono affollarsi i passeggeri con i loro bagagli. Ci paralizziamo entrambe. Estraggo la mano, lei si ricompone visibilmente seccata per la necessaria interruzione. Porto le mie dita alla bocca e, fissando i miei occhi nei suoi, le succhio assaporando l’umore di lei. Mi bacia furtiva, quando il treno oramai è fermo.
Ci alziamo per prendere i bagagli e ci incamminiamo alla porta, lei è davanti e si volta prima di aprirla.
“Ci sono polpi giganti a Venezia?”, domanda.
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