Le cose che mi dicono gli incubi - 1

di
genere
fantascienza

Con uno sforzo enorme abbiamo issato la scala attraverso la botola ed ora siamo in una cazzo di trappola.
Se loro troveranno il modo di arrivare fin quassù non avremo scampo, e, se anche così non sarà, non avremo comunque nessuna possibilità, non abbiamo acqua né cibo quassù.
Ci guardiamo negli occhi, sperando di trovare l’uno nell’altra un miracolo, ben sapendo che nessuno verrà a cercarci e che, là fuori, la situazione non è migliore di qua dentro.

Non descriverò ciò che ho visto, metterlo nero su bianco significherebbe scolpirlo nella memoria: dirò soltanto che, purtroppo, i nostri amici sono tutti morti o passati dall’altra parte.
Se ascolti bene, puoi sentire le loro voci che dal piano di sotto ci chiamano. A volte ci rivolgono frasi scherzose, invitandoci a scendere; altre, le loro voci si fanno agghiaccianti e ci riempiono di insulti; altre ancora diventano supplichevoli e ci chiedono di aiutarli.
Ma ormai non sono più loro: ne hanno solo conservato le sembianze, ma sono diventati delle marionette i cui fili sono mossi da un’entità misteriosa.

Tu rimani seduto vicino alla botola, pallido in volto, il taglio sulla fronte che perde sangue lungo il tuo profilo. Non penso che dovresti stare lì immobile a guardare giù quelle… “cose” sparpagliarsi e andare chissà dove in giro per la casa, ma sei in evidente stato di shock e pure io non sono messa tanto meglio.
Per un attimo, breve ma molto intenso, ho paura che tu decida di buttarti di sotto. Il terrore di rimanere da sola contro in questo incubo mi fa tremare le gambe.
Vengo verso di te, ti tocco leggermente un braccio, t’invito ad allontanarti dalla botola. Acconsenti, ma mi sembri vuoto, un pupazzo che ha bisogno di una mano che lo faccia muovere.
Ti siedi vicino a delle scatole con scritto “Decorazioni di Natale”. Ti guardi le mani sporche e una lacrima si mescola alla scia rossa che sgorga dalla tua ferita.
Io mi aggiro come un’anima in pena per la soffitta, rovistando tra le scatole alla ricerca di qualsiasi cosa possa essere utile in una situazione come questa: non mi voglio rassegnare, anche quando le probabilità sono nettamente contro di noi, io non voglio gettare la spugna. Una piccola parte di me sta anche cercando qualcos’altro, per quando arriverà il momento in cui dovremo fare una scelta: io non so te, ma non voglio diventare come loro.
Rovisto negli scatoloni spargendo roba in giro: vecchie lenzuola, coperte che puzzano di chiuso, libri divorati dai pesciolini d’argento, vecchi giocattoli, vestiti ormai fuori moda. Ci sono anche delle vecchie cassettiere, ma sono vuote.
Mi faccio strada tra le pile di ciarpame e nell’angolo proprio in fondo, trovo un baule dall’aria antica. Lo apro e al suo interno trovo quelle che sembrano delle decorazioni di Halloween: un piccolo pentolone di peltro con tre piedi; un libro enorme e pesantissimo con una stella sulla copertina; una serie di candele, di statuette di pietra e di boccette di vetro vuote; dei cristalli di varie forme; un sacchetto pieno di sassolini con degli strani simboli disegnati; un barattolo di sale e una specie di pugnale chiuso in un fodero marrone.
Prendo quest’ultimo e me lo nascondo incastrandolo in qualche modo nel retro della cintura e coprendolo con il maglione. Torno da te. Finalmente ti sei un po’ ripreso: hai strappato un lenzuolo e ti stai tamponando la ferita con una smorfia.
«È molto dolorosa? - il suono della mia voce quasi ti spaventa – Scusami non volevo… Stavo cercando qualcosa di utile.»
«Se non hai trovato qualcosa da bere e da mangiare, dubito che ci sia qualcosa di veramente utile qui.» mi rispondi stizzito.
Il fodero del pugnale mi pulsa contro la schiena, come a dirmi “Ti guardo io le spalle”.
«No infatti… purtroppo.» mi siedo poco lontana da te e, senza farmi notare, spingo il pugnale sotto una delle cassettiere.



Attraverso la piccola finestra della soffitta filtra la luce della luna quasi piena.
Ci siamo preparati dei bei giacigli con le coperte, ma dormire è impossibile: abbiamo fame e sete e come se ciò non bastasse, quelle cose di sotto hanno iniziato ad accoppiarsi! Ne sentiamo i gemiti e le esclamazioni oscene: se non fosse per la paura incontrollabile di veder sbucare dalla botola qualcosa, potrebbe quasi risultare piacevole.
«Sembra di essere i protagonisti di un pessimo racconto porno-horror… Cazzo ma li senti quegli stronzi?!» ridacchi con la mano che indica verso la botola.
È la prima volta, che mi guardi e sorridi: purtroppo il tuo è un sorriso amaro, ma almeno sei stato in grado di fare una battutina.
Ti guardo e ridacchio con la coperta fin sopra il naso: dopotutto, non mi è andata male, come compagno per affrontare la fine del mondo. Siamo amici da una vita, anche se non ti ho mai guardato con intenti di questo genere.
«Posso confessarti una cosa? - ti chiedo sottovoce, non per paura che ci sentano, ma perché mi sembra appropriato dirlo piano – Sentire loro scopare mi sta facendo eccitare…»
«Se dobbiamo morire qui, tanto vale goderci quel poco che di bello possiamo…» non mi lasci nemmeno finire la frase, che mi sei addosso con i tuoi baci e mi metti la lingua in bocca. Se avessi saputo che bastava questo a farti rinsavire…

Ci spogliamo gradualmente, guardandoci mentre i nostri corpi si fanno sempre più nudi alla luce fioca della luna. I vestiti sparsi a terra in modo disordinato circondano il nostro giaciglio. L’urgenza di vivere ancora un attimo di bellezza ci rende impazienti, ma allo stesso tempo, contro tanta barbarie, il nostro è forse l’ultimo avamposto di umanità; perciò, decidiamo di andare piano.
Mi baci le spalle, scendi sui seni, titilli i capezzoli con la lingua.
Con la bocca spargi tanti piccolissimi baci lungo il mio petto, scendi sempre più in basso.
«Posso?» mi chiedi mettendomi le mani sulle ginocchia e aprendomi dolcemente le gambe.
Con il palmo della mano accarezzi la mia zona più sensibile e poi, con le dita bagnate della tua stessa saliva, inizi a toccarmi.
Mi masturbi delicatamente, entri con due dita, lento, poi ti fai più audace, esci e rientri uncinando le dita e iniziando a toccarmi più intensamente.
«Cazzo… Ti stai bagnando tantissimo…»

Mi sali sopra, il cazzo duro già pronto a penetrarmi: senza protezione, il contatto mi toglie il fiato. Riesco a percepirti dentro di me, scivolarmi dentro, arrivarmi fino in fondo, pompare contro le mie gambe, i testicoli che mi sfiorano.
Mi guardi negli occhi mentre mi scopi, hai uno sguardo quasi ipnotizzato. .
«Sì così, non ti fermare cazzo…» la consapevolezza di essere all’inferno mi fa perdere qualsiasi pudore, voglio solo godere e per un attimo riconnettermi con la vita di sempre.
Tra le spinte lente, misurate, mi succhi il collo, mordi la mia carne, mi stringi i seni, i capezzoli martoriati dalle tue dita.
È a quel punto che lo sento: un tintinnio, una campanellina.
Proviene dall’esterno e fa cadere il silenzio al piano di sotto.
Sento che è importante.
«Ascolta! Lo senti anche tu?»
Ma tu godi, quasi in sincrono a quel suono, ricoprendo lui con i tuoi gemiti di piacere e me con il tuo seme…
scritto il
2024-10-05
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