Morbosa Corrispondenza – Capitolo 13
di
mari1980
genere
incesti
Mena
"Mi perdoni, padre, perché ho peccato."
"Mena… sai che possiamo anche chiacchierare in sagrestia? Non serve ritrovarsi ogni volta qui, in questo confessionale così angusto e buio.”
Mena ridacchiò, ondeggiando leggermente sull'inginocchiatoio; aveva lasciato crescere ancora di più i lunghi capelli castani che in quel momento teneva raccolti, lasciando libere alcune ciocche che le incorniciavano il volto. Rispose semiseria: "Ma è proprio qui che mi sento… al sicuro. C’è qualcosa di confortante in questo angolino ristretto, non trovi?"
“Sì, ma come dico sempre..”
“Sì, lo so! Chi ha inventato queste scatolette pensava al sacramento sbagliato, quello dell’estrema unzione!” Lo interruppe cantilenando, ilare.
“Sto diventando prevedibile?”
"Don, che stai dicendo? Direi che hai un talento particolare nel far sembrare tutto così profondo."
"Davvero? Non esagerare."
"Non essere modesto, Don. Ti assicuro che non mi annoio." Mena fece spallucce e oscillò lievemente il suo vestito grigio, sobrio anche se ben aderente sui fianchi e con una scollatura che lasciava intravedere il crocifisso d’oro appoggiato tra i seni.
“Grazie..” Anche se nascosto dal pannello di legno traforato del confessionale, era possibile intuire il sorriso di Don Marco e lei ne percepì il respiro.
"Mena… non sarà mica che oggi sei venuta solo per farmi sentire il tuo nuovo profumo, vero? Lo avverto anche da qui!"
"Bravo, padre, è nuovo! Ti piace? Si chiama ‘”Calypso” ed è un’essenza alla gardenia.
"Calypso… Mi piace. Come la ninfa dell’isola deserta, bellissima e sola.”
“Un paragone azzeccato..” Sospirò Mena.
“Vuoi confessarti?”
Mena si fece seria. “Sì. Sono passati sei mesi dal compleanno di mio nipote Alessio. E, in quell’occasione, sono stata testimone di un miracolo.”
“Addirittura.”
“Mia sorella, che non solo compie un gesto generoso, ma addirittura mette mano al portafoglio per farlo.”
“La carità è alla base del comportamento di ogni buon cristiano.”
“Non conosci mia sorella.”
“Per quello che so, nemmeno lei tiene molto a conoscermi.” Aggiunse Don Marco, serafico.
“No, infatti.”
“Ma ti ho interrotta, perdonami. Prosegui pure.”
“È stato un vero miracolo. Mio marito è a casa, finalmente. Purtroppo è ancora in coma e i medici non sanno quando si riprenderà. Tutte le spese mediche sono state pagate e, grazie ai soldi di mia sorella, abbiamo assunto una badante, Irina, una ragazza davvero eccezionale. Mi sento sollevata, ora che la casa è sotto controllo.”
“E tuo figlio come sta?”
“Mio figlio è come me. Perennemente inquieto, lo so. È felicissimo per questo miracolo e per avere suo padre in casa, eppure non smette di azzuffarsi con la sua fidanzata. E io…"
"E tu, Mena? Anche tu non trovi pace? Non dovresti, finalmente, essere serena?"
Mena annuì, pensierosa. "È questo il punto, Don. La casa è silenziosa… troppo. La mattina sono tranquilla, vedo Toni bighellonare per casa, lo sento ridere mentre mi racconta dell’ultima partita vinta o borbottare per Anna che è troppo assente. Aiuto Irina mentre pulisce casa.”
“È la notte il problema, vero?”
“Sì. Mi sono trasferita a dormire nella stanza degli ospiti. Il nostro letto matrimoniale è pieno di macchinari, tubi e flebo. La notte sento questo silenzio, questo vuoto… e mi agito."
Mena si interruppe, vergognandosi di questa sua confessione. Per fortuna Don Marco riprese a parlare.
"Non capisco. Ti ho sentita piena di entusiasmo per la tua attività online come influencer… non era qualcosa che ti piaceva fare? Magari era quella la tua strada."
Mena abbassò lo sguardo, accarezzando distrattamente il crocifisso che pendeva tra i seni: "Ho smesso. Non avevo più bisogno di soldi, quindi era inutile continuare."
“Peccato. Non hai pensato di continuare? Per distrarti con un passatempo innocente.” Sentiva gli occhi del prete osservarla dalla grata del confessionale.
Mena sfiorò distrattamente il vestito sul ginocchio, lisciandolo e nicchiò, imbarazzata: "Non era più necessario, come passatempo.”
“Va bene, ma..”
“Adesso ho io una domanda per te, Don.”
“Chiedi pure..”
“Come mai sei finito in questa chiesetta sperduta e così… fatiscente? Di solito qui si arriva solo se si ha combinato qualche marachella."
Don Marco scoppiò a ridere, anche se con una nota di imbarazzo.
“Ah, se per questo tua sorella Teodora ha già detto in giro che sospetta io possa essere coinvolto in un giro di squillo thailandesi o in riti orgiastici. La chiesa è solo un luogo, Mena. Quello che conta è aiutare chi ci sta intorno."
Mena si morse il labbro. “Scusa. Hai ragione, non sono affari miei.”
"Ah, la gente parla sempre… tranquilla.”
“Comunque..”
“Mena, ti vedo molto irrequieta. Stai accumulando stress, in attesa che tuo marito si riprenda, a Dio piacendo.”
“Cosa dovrei fare?”
“Trovati uno sfogo, no? So che fino a poco tempo fa lavoravi in palestra. Potresti tornare a fare esercizio fisico, potrebbe aiutarti a calmare i pensieri."
Gli occhi di Mena brillarono, di colpo. "In effetti la palestra era parte della mia vita. Ho insegnato ginnastica per anni, sai? Grazie Don.." Disse Mena, alzandosi in piedi.
“Fammi sapere, Mena. E passa quando vuoi, io sarò qui. Beh, magari non proprio in questo loculo ma.. nei paraggi!”
“Suvvia, Don, scommetto che ti stai affezionando al nostro posto preferito!”
Concluse Mena, sorridendo mentre si allontanava.
Vide Don Marco farle un allegro cenno di saluto con la mano e sentì i raggi del sole riflessi dal crocifisso accarezzarle la pelle, dandole un’effimera quiete e, soprattutto, una piccola speranza.
Anna
Appena uscita dalla piscina, Anna si infilò una giacca sopra la maglietta sportiva, ancora umida dal cloro. Si legò i capelli, lasciando che qualche ciocca bagnata le ricadesse sulle spalle, mentre l’asciugamano era già piegato nello zaino. Il pomeriggio era piacevolmente tiepido, e quasi le dispiaceva dover rientrare così presto.
Ma poi vide Toni, parcheggiato lì ad aspettarla, con le braccia incrociate e la sua solita espressione attenta. Sembrava un falco con il cappuccio in testa, pronto a scattare da un momento all’altro.
Mentre attraversava il vialetto, un gruppo di ragazzi si avvicinò, salutandola e cercando di attaccare bottone.
“Ciao, bella!” disse uno di loro, con un sorriso pieno di desiderio.
Anna sorrise, cortese ma distaccata. “Ciao, ragazzi.”
“Ma guarda un po' ..” mormorò uno, “se in piscina sono tutte belle come te, ci verrei ogni giorno.”
“Ce ne sono di mooolto più belle, entra a vedere se vuoi!” Disse Anna, salutandoli col palmo della mano.
Poi tirò fuori il telefono, cercando con lo sguardo un angolo tranquillo. Si allontanò di qualche passo, aprì la chat di Lia e digitò veloce.
“Quanto mi manchi.” Mandò un cuore, poi un bacio.
Lia rispose subito inviando una foto delle sue bellissime labbra e scrisse “Anche tu.”
Il cuore di Anna sobbalzò, ma un brivido la riportò alla realtà: Toni la stava fissando dalla macchina, impalato come una statua.
Lei chiuse in fretta il telefono, fece un respiro profondo e si avviò verso di lui; appena entrò in auto, Toni iniziò subito. “Divertente, eh?”
“Che cosa?”
“Non fare la finta tonta. Quei tizi, lì fuori. Sembravi divertirti parecchio. Domani li prenderò a ceffoni.”
Anna chiuse gli occhi, allacciandosi la cintura con un gesto stanco. “Toni, ti prego. Erano solo ragazzi che chiacchieravano. Non c’è niente di male.”
“Oh, certo, per te è tutto innocuo. Sempre a sorridere a chiunque ti rivolga la parola. Vedi altre fidanzate comportarsi così con estranei? Fare le simpaticone in giro?”
“Stai esagerando. Smettila di fare il paranoico.”
Ci fu un momento di silenzio, rotto solo dal loro respiro teso. Poi il telefono di Anna vibrò di nuovo e lei non riuscì a staccare immediatamente la vibrazione.
“Sempre attaccata a quel maledetto telefono! Negli ultimi mesi non fai altro che scrivere. A chi? Eh?”
Anna lo guardò con un’espressione esasperata. “Ancora? Ma sei serio?”
“Oh, sì, sono serissimo! Fammi vedere a chi scrivi allora, se non c’è niente da nascondere. Voglio vedere.”
“Non devo mostrarti proprio niente. Questo è il mio telefono, e devo avere almeno un minimo di privacy!”
“Privacy, certo... La privacy di chi ha la coscienza sporca!”
“Ma che stai dicendo? Non ho fatto niente e tu mi accusi sempre!”
Lui diede una spinta al volante col palmo, scuro in viso. “Non cambiare discorso, Anna. Sono io che devo sopportare questa tua mania di flirtare con tutti.”
“Ti stai facendo dei film, Toni. Sono educata, è diverso.”
Lui scrollò le spalle, sarcastico. “Come no..”
Lei non rispose, lasciandosi cadere nel silenzio, stanca di quelle discussioni che sembravano sempre uguali.
Toni la riportò a casa, parcheggiando nei paraggi. Spense l’auto e sospirò, posandole una mano sul ginocchio.
“Dai, scusa…” disse, senza guardarla. “Forse ho… esagerato un po’.”
Anna accettò le sue mezze scuse con un mezzo sorriso, lasciando che il suo sguardo si addolcisse. Ma dentro, sentiva un peso fastidioso: quel senso di colpa che cercava di reprimere ogni volta che lo guardava negli occhi. Era lei ad essere in mala fede, dopotutto; quel segreto tra lei e Lia era la cosa più bella e più brutta che le poteva capitare. Anche perché Toni le era stato fedele.
O meglio, per quanto ne sapeva.
La situazione a casa di Toni era migliorata da quando il padre Roberto aveva ottenuto le sospirate cure, eppure.. Loro due non avevano rapporti intimi da diverse settimane. Si ripeteva che non era un problema, erano entrambi molto impegnati con gli sport e la vita sociale, eppure.. L’ultimo orgasmo degno di questo nome non lo aveva avuto con Toni.
E aveva tanta voglia di fare l’amore.
Anna sorrise e gli accarezzò la mano, in cerca di un po' di conforto. Se fossero riusciti a distendere un po' la tensione, magari avrebbero potuto trascorrere a letto quel fine settimana. Gli strinse la mano, sentendola ruvida e forte, giocando con quelle dita massicce e per un istante desiderò un contatto più intimo. Ma, nella sua mente, quella mano virile divenne improvvisamente quella diafana e aggraziata di Lia. Anna fece un respiro profondo, scacciando quel pensiero.
“Va bene… basta che la finiamo qui.” Mormorò Anna, accettando quella tregua illusoria e stuzzicandogli le dita con le unghie.
Nemmeno si accorse che Toni la stava fissando, gli occhi eccitati pieni di desiderio.
All’improvviso, lui le afferrò la nuca, tirandola giù di scatto verso di sé. Anna si irrigidì, cercando di fermarsi, e le sue mani scattarono ad appoggiarsi sulle gambe muscolose di lui.
Vide che aveva una palese erezione che la tuta non riusciva a nascondere.
Una voluminosa tenda formata dal suo cazzo duro.
“Toni! Ma che stai facendo?” Sibilò, con un tono carico di stupore che le si annodava nello stomaco.
Lui si ritrasse, arrossendo e lasciandola andare con un sorrisetto imbarazzato. “Scusa… Non so, mi era sembrato… un momento romantico.”
Anna lo fissò, sempre più stranita. “Romantico?” ripeté, incredula. “Toni, siamo in macchina… E non è esattamente una strada isolata! Ti rendi conto di quanto sia fuori luogo?”
Toni guardò fuori dal finestrino, silenzioso, le mani che tornavano al volante. Anna lo osservò per un attimo, ancora turbata, poi aprì la portiera ed uscì dalla macchina senza aggiungere altro.
Mentre si avviava verso casa, il pensiero le tornò alle parole di suo padre, che tempo addietro le aveva suggerito di distaccarsi dai problemi di Toni. Un nodo le strinse la gola.
Mena
La palestra era silenziosa e deserta, anche se il lieve sentore di sudore misto a disinfettante lasciava presagire che nelle ore più affollate si sarebbe riempita di persone prese dai propri esercizi o dalle chiacchiere più o meno innocenti. A Mena non importava, preferiva andarci molto presto per poter fare i propri esercizi in pace.
Sbuffando appena, la donna si muoveva con energia e concentrazione, in una serie di esercizi di aerobica che, con suo immenso fastidio, la stavano facendo sudare. Una volta avrebbe fatto quegli esercizi a occhi chiusi.
Negli anni aveva accettato che il suo fisico atletico diventasse più prosperoso, acquistando quelle belle forme che adesso ondeggiavano in un pantalone leggings nero e in una maglietta bianca elasticizzata che metteva in risalto la sua figura. L’elastico stringeva i suoi lunghi capelli castani in una coda di cavallo ordinata e il volto cominciava a luccicare di sudore.
Passò da un esercizio all’altro, combinando salti, affondi e squat. Era un piacere che le mancava da tanto, da quando aveva smesso di insegnare aerobica per lavoro. Si ricordava degli sguardi degli uomini, di quel piccolo divertimento segreto nel sapere che tutti notavano la sua presenza in palestra.
Dopo una serie particolarmente intensa, si fermò seduta a bordo tappeto, ansimando e bevendo a grandi sorsi dalla bottiglia d’acqua. Si concesse un momento per stirarsi, allungando il busto in avanti e rilassando i muscoli della schiena.
A quarantacinque anni, non se la sentiva di riprendere a insegnare aerobica. Conosceva bene Giovanni, il titolare della palestra e suo ex capo che le aveva volentieri lasciato le chiavi, consentendole di aprirla per allenarsi quando voleva, anche in orario di chiusura.
La mattina era il momento perfetto perché non c’era nessuno e, come dimostrava il suo seno ben ondeggiante, ciò le consentiva di stare comoda.
Non c'era anima viva, e l'idea di sentirsi più libera e comoda aveva preso il sopravvento. Cambiandosi negli spogliatoi, Mena aveva deciso di togliere il reggiseno, rimanendo solo con la canottiera aderente.
"Tanto non c'è nessuno." Pensò Mena.
Il tessuto leggero della canottiera le offriva un’immediata sensazione di libertà, e la freschezza sulla pelle la faceva sentire più a suo agio. Si guardò brevemente allo specchio, osservando il riflesso del proprio bel corpo.
Si sentiva più disinvolta, stare senza reggiseno era un piccolo atto di ribellione privata che la faceva sorridere tra sé e sé. La palestra era il suo momento, il suo spazio lontano da tutto.
Per un momento si rivide mezza nuda, sul balcone di casa, intenta a masturbarsi per una platea inesistente. Ricordava le proprie dita penetrarla così a fondo nella sua vagina da farla urlare di piacere e immaginò di rifarlo anche lì, in palestra.
Con un respiro profondo, Mena scartò il pensiero e si concentrò di nuovo sul suo allenamento, sentendo ogni movimento del suo corpo in modo più intenso, più erotico. Forse aveva ragione Don Marco, un po' di moto bastava a tenere a bada quelle sensazioni. O forse no? I capezzoli le erano diventati duri, presa da tutti quei pensieri.
Improvvisamente, il silenzio della palestra venne interrotto. La porta si spalancò e Mena, interdetta, alzò lo sguardo. Un ragazzo sulla trentina, piuttosto muscoloso, entrò con un’andatura sicura. Aveva i capelli scuri, una barba ben curata e un fisico atletico. Il volto, un po' squadrato, presentava due tatuaggi: una lacrima sotto l’occhio destro e una faccina che ride vicino all’occhio sinistro. Quel dettaglio gli dava un’aria un po’ sfrontata, quasi da bulletto.
Indossava dei pantaloni di tuta bianca e una canottiera nera che gli lasciava scoperti i bicipiti tatuati. Le lanciò un’occhiata e si avvicinò all’armadio degli attrezzi, senza smettere di guardarla.
“Anche tu amica de Giovanni, eh?” Le chiese, con un accento romano che rimbombava nel vuoto della sala.
Mena si ricompose, cercando di mascherare il fastidio. “Eh, sì.” Rispose, abbassando lo sguardo per tornare alla sua posizione di stretching.
Il ragazzo le sorrise, avvicinandosi e porgendole la mano, con tono rilassato.
“Piacere, Valerio.”
“Mena.”
“Mena?” Ripeté Valerio, con un ghigno strafottente.
“Filomena. Tutti mi chiamano Mena.”
“Pensa te, dalle parti mie menare vuol dire dare un sacco di botte a qualcuno!”
Mena osservò Valerio con un misto di curiosità e diffidenza. Lui ricambiava il suo sguardo con una tranquillità spavalda, come se non avesse fretta di andarsene.
Mena cedette alla curiosità e gli chiese: “Fammi indovinare. Sei nuovo in città?”
Valerio annuì, passando una mano sulla nuca. “Non s’era capito, vero? So’ de Roma. Sto in Sicilia da un annetto per lavoro. In Paese conosco solo Giovanni, ma me trovo bene perché posso allenarmi in santa pace, me tengo in forma e via.”
Mena sorrise educatamente, annuendo di rimando. Si alzò lentamente, allungandosi e respirando profondamente per sciogliere la tensione muscolare. Non aveva voglia di ulteriori chiacchiere, ma Valerio sembrava avere tutto il tempo del mondo.
Si rivolse di nuovo a lei, appoggiandosi all’attrezzo accanto a lei con aria rilassata: “Eh beh, hai proprio la stoffa da ginnasta. Professionista, vero?”
“Diciamo che ci metto sempre il massimo,” rispose lei, alzando il mento con un sorriso fiero.
Mena notò che il suo sguardo, per nulla discreto, si abbassava a guardarle le grandi tette, ben disegnate sotto la maglietta elasticizzata.
Quel suo modo così palese di fissarla le diede inizialmente fastidio, facendola irrigidire, ma man mano che il silenzio si allungava tra loro, quel sentimento si trasformò in un lieve compiacimento. Ormai non era più una ragazzina, eppure… faceva sempre piacere sapere di non passare inosservata.
Del resto, senza reggiseno c’era ben poco da fare per coprire la vista delle sue floride mammelle che ondeggiavano ad ogni esercizio.
Doveva essere uno spettacolo eccitante per un uomo, pensò sempre più divertita, percependo i capezzoli duri tirare contro la stoffa. Erano sicuramente ben visibili, adesso.
“Beh, allora buon allenamento, Mena io vado alla panca lunga.” Disse Valerio, e si allontanò verso un’altra zona della palestra, lasciandola finalmente in pace.
Mentre si allontanava, sentì ancora gli occhi di lui su di lei, e Mena non poté fare a meno di pensare a Toni: muscoloso come Valerio, suo figlio era sicuramente più giovane e bello, il fisico possente scolpito da anni di calcio.
Per fortuna Toni era molto più educato, pensò Mena; osservò Valerio con la coda dell’occhio, un po’ infastidita e un po’ divertita dal modo disinvolto con cui si muoveva.
Vide Valerio togliersi con naturalezza i pantaloni della tuta lì, in mezzo alla sala, senza nemmeno andare negli spogliatoi.
Il gesto era così rozzo e spavaldo che Mena non poté fare a meno di notarlo: mentre Valerio abbassava la parte inferiore della tuta, i pantaloncini che indossava sotto scivolarono leggermente, fermandosi a metà sedere prima che lui se li risistemasse.
Sembrava proprio che il ragazzo fosse senza intimo.
Mena alzò lo sguardo al soffitto, scuotendo la testa con un sorriso incredulo. “Non proprio un esempio di galanteria, eh…” Mormorò a sé stessa, indecisa se andarsene o continuare a gustarsi quelle scenette balorde.
Mentre Valerio andava verso la panca lunga, dandole le spalle, lei non poté fare a meno di dare un’occhiata al suo un sedere muscoloso e rotondo, valorizzato dai pantaloncini elasticizzati sotto cui evidentemente non indossava nulla.
Dopo una mezz’ora di esercizi, Mena lo sentì chiamarla.
“Scusa Mé, puoi venire ad aiutarmi?”
Mena sospirò appena, quasi abituata all'intraprendenza di Valerio. Aveva intuito subito il suo interesse verso di lei e in altri tempi l’avrebbe tenuto al suo posto; eppure, quel suo modo di fare un po' sfrontato non le dispiaceva.
Quando si avvicinò, lo trovò sdraiato sulla panca, il busto pronto a piegarsi sotto il livello della panca stessa per i suoi addominali. Valerio, già accomodato, la osservava con uno sguardo che divorava ogni curva del suo corpo senza pudore.
Mena trattenne un sorriso, preferendo mantenere un’aria distaccata.
“Per favore, mi tieni le caviglie mentre faccio un paio di serie?” Le chiese, con il solito tono confidenziale.
“Va bene.” Rispose lei con calma, mettendosi in ginocchio sulla panca accanto a lui e allungando le braccia per bloccare saldamente le sue caviglie.
Mentre Valerio iniziava a piegarsi all’indietro e a risalire, Mena sentiva il movimento sotto di lei, la tensione dei suoi muscoli che si faceva più evidente a ogni ripetizione.
La distanza ravvicinata tra loro e lo sguardo insistente di Valerio, che di tanto in tanto risaliva languido lungo il suo corpo sudato, le provocavano un fremito appena percettibile.
Mena cercò di concentrarsi sull’esercizio, ma i suoi occhi, come spinti da una forza irresistibile, si posarono sulle gambe di Valerio. La tensione nei muscoli, il modo in cui si contraevano ad ogni movimento, la catturò in un pensiero che non riusciva a respingere. Si soffermò, lasciando che lo sguardo scivolasse un istante di troppo, il cuore che le batteva più forte, quasi a tradirla.
Tentò di ignorarlo, distogliendo lo sguardo in un gesto frettoloso, ma la sensazione del calore che si irradiava dal suo ventre la travolse. Si disse che era solo un’occhiata fugace, senza alcuna intenzione. Tuttavia, mentre Valerio continuava quei movimenti lenti e controllati, il busto inclinato in avanti, i respiri profondi che segnavano il ritmo, Mena si scopriva a tornare su di lui. Ogni fibra tesa del suo corpo sembrava scolpita per attirare la sua attenzione, e lei, nell’illusione di essere inosservata, si lasciava avvolgere da quella libertà clandestina.
Sapendo di non poter essere vista, poco alla volta riprese a guardarlo, questa volta con uno sguardo più malizioso, lasciandosi andare alla tentazione di guardare meglio. I suoi occhi risalirono lentamente lungo il suo corpo, indugiando su dettagli che ora sembravano più evidenti, più audaci.
Non poteva fare a meno di notare quanto le forme di Valerio fossero sfacciatamente esposte, dato che non indossava boxer sotto i pantaloncini.
Senza troppi giri di parole, vide delineata la sagoma di un bel cazzo. Il tessuto dei pantaloncini era così aderente da permetterle di distinguere nitidamente i contorni dell’asta e del glande.
Iniziò a sospettare che il bulletto le avesse chiesto di aiutarlo proprio per sbatterle in faccia quell’immagine così provocante.
Un po’ come l’immagine del suo seno rigogliosamente libero. Dopotutto, erano simili.
Era come se il tempo rallentasse ogni volta che lo fissava, il desiderio che si insinuava in lei come un fuoco lento, difficile da domare. Cercando di reprimere quel tumulto, tornò a concentrarsi sul suo ruolo, assumendo un’espressione professionale. Ma ogni movimento, ogni respiro di Valerio sembrava disegnato per stuzzicare i suoi sensi, ed era sempre più arduo convincersi che quell’attrazione non fosse visibile, che il suo distacco fosse qualcosa di più di una maschera fragile.
Cercò di ignorare quel calore che le saliva sottopelle e mantenne un’espressione ferma, una maschera di calma "da istruttrice" nonostante sentisse la tensione salire.
“Grazie, Mè. Daje, così almeno li faccio bene 'sti addominali." Commentò lui, facendo uno sforzo per mantenere il ritmo.
“Di nulla.” Replicò lei, mantenendo un tono neutro.
Mentre lui continuava l’esercizio, Mena si rese conto di quanto quella situazione potesse essere facilmente fraintesa da chiunque li avesse visti, ma decise di ignorare il pensiero.
Ogni volta che il ragazzo spingeva il bacino verso l'alto, la tensione del tessuto dei pantaloncini metteva in risalto quel pene così massiccio, anche se moscio.
In quel momento, almeno.
Mena si rimproverò mentalmente, ma in fondo le scappò un mezzo sorriso: dopo tutto, la sua era solo un'innocua curiosità, che teneva ben nascosta.
Si riscosse, cercando di trovare qualcosa da dire per alleggerire il momento. "Tutto bene?" Chiese con una voce che sperava suonasse normale, mentre spostava le mani per assicurarsi che i piedi di lui fossero ancora ben bloccati.
“Uff, grazie, ho finito.” Sbuffò Valerio, alzando finalmente il busto e stiracchiandosi sulla panca.
Mena si affrettò a sciogliere la presa dalle sue caviglie, sentendo un leggero calore sul viso che sperava di mascherare dietro un sorriso tenue. Senza lasciarsi turbare ulteriormente, Mena si alzò con calma, cercando di riportare la sua attenzione all’allenamento e allontanando quel pensiero insistente del pene di Valerio che le si insinuava in testa, come un tentacolo che la avvolgeva con lentezza.
Doveva concentrarsi su qualcos'altro, e decise di guardarsi intorno per trovare un altro esercizio.
I tappeti elastici, che usava spesso per gli esercizi di aerobica, le sembrarono improvvisamente poco invitanti, forse anche troppo statici per quello che cercava.
Mena afferrò il kettlebell con una presa sicura, cercando un esercizio che le richiedesse tutta la concentrazione e, magari, scacciasse quei pensieri insistenti su Valerio. Era consapevole del calore che le arrossava il viso, ma non aveva alcuna intenzione di farsi distrarre. Si posizionò a gambe leggermente divaricate, con il kettlebell davanti a sé, e cominciò a eseguire una serie di squat decisi.
Non aveva considerato che gli squat fossero in grado di farle ondeggiare sensualmente le opulente tette e di farle sentire i capezzoloni strizzati contro la stoffa della magliettina.
Evitò di girarsi verso di lui, ben sapendo quanto sfrontato sarebbe stato il suo “morbido dondolio”.
Ad ogni movimento, piegava le ginocchia con precisione, lasciando che il kettlebell oscillasse tra le gambe. Poi, con un colpo deciso, spingeva il bacino in avanti, contraendo i glutei in un movimento ritmico e potente.
Ogni volta che il kettlebell tornava indietro, si trovava a farlo oscillare tra le gambe, il bacino spinto leggermente all’indietro, in una posizione che, per chi la osservava, aveva una forza ipnotica. I leggings aderenti evidenziavano ogni contrazione muscolare, e una sottile linea di sudore lungo la schiena si fece evidente mentre lei continuava a mantenere il ritmo.
Valerio, appoggiato alla panca poco distante, non sembrava perdersi un attimo.
Mena, concentrata sul movimento e sul respiro, sentiva la tensione salire, ma si ripeteva di restare imperturbabile, anche se era ben consapevole della sua presenza.
Si sentiva molto porca in quel momento. Desiderata.
"Devi da’ proprio tutto, eh?" Commentò Valerio con una nota di ammirazione. Mena sorrise tra sé, senza fermarsi. "Impegnarsi fa bene." Rispose Mena, “Si espellono tante tossine.” Il tono era leggero ma deciso, mentre un’altra spinta decisa portava il kettlebell in alto.
“Quello è importante..” Aggiunse Valerio, passandosi di sfuggita una mano sul pantaloncino mentre con lo sguardo continuava a indugiare sul voluminoso davanzale di Mena, preso in una sensuale e perenne scuotimento.
Le scarpe di Valerio attirarono l’attenzione di Mena, e senza rendersene conto, i suoi occhi risalirono lungo le sue gambe.
Le piacevano, toniche e tese, anche se meno muscolose di quelle di suo figlio.
Lo sguardo si alzò ancora, indugiando senza volerlo sul pacco gonfio, ben evidente sotto la canottiera nera, troppo corta per coprirlo del tutto.
Mena sentiva di essere bagnata, la figa umida e i capezzoli doloranti. Non poteva fare a meno di cogliere, con un sottile brivido di piacere, come anche il ragazzo mostrasse inequivocabilmente i segni dell’eccitazione. Il suo membro era decisamente più gonfio rispetto a prima, tanto da essere ancora più evidente sotto il tessuto elasticizzato dei pantaloncini, adesso teso verso i lati, modellandosi attorno al prominente tronco.
Si compiacque di avergli fatto quell’effetto solo con qualche squat.
Mentre Mena si concedeva un lieve sorriso di soddisfazione, la voce di Valerio la richiamò all'improvviso. "Prova a ruotare di più i piedi." Disse, con tono sicuro.
Lei interruppe il movimento, leggermente sorpresa. "Come scusa?" Chiese, guardandolo con un sopracciglio alzato.
Valerio le si avvicinò e le mostrò la posizione con un sorriso insolente. "Così.” Spiegò, posizionandosi accanto a lei, ruotando leggermente i piedi e ficcandole gli occhi dritti nella scollatura. "In questo modo sprechi meno energie, ti viene tutto più naturale."
Mena si trattenne dal sorridere. Aveva intuito il gioco di Valerio: prima la panca per attirare l’attenzione, ora questo “consiglio” come scusa per avvicinarsi e osservarla più da vicino. Ci vedeva una certa sfacciataggine, ma anche una sicurezza che, doveva ammettere, non le dispiaceva. Con un leggero cenno del capo, decise di far finta di nulla.
"Così?" Chiese Mena, facendo come le aveva suggerito e continuando gli squat, spingendo con forza e precisione, notando come lo sguardo di Valerio si posasse su di lei, attento a ogni movimento.
"Perfetto." Rispose lui, osservandola con un’espressione compiaciuta. "Vedi? Con un piccolo aggiustamento, diventa tutto più semplice."
Mena, continuando gli squat, lo sfidò con un mezzo sorriso. "Tieni d’occhio ogni dettaglio, eh?"
"Embè, qualcuno doveva pur sacrificarsi, no?" Rispose Valerio, ridacchiando e mantenendo spudoratamente gli occhi sulle sue morbide colline coperte dal sudore.
“Ehm… va meglio adesso? Non senti anche tu la differenza?” Le chiese Valerio, con un mezzo sorriso.
“Sì, credo di sì,” replicò Mena e, sorridendo, intensificò i movimenti, saltellando con più energia, e aggiunse: “Con gli squat è così: all’inizio è difficile, ma quando prendi il ritmo…”
Valerio quasi iniziò a sbavare sentendo il doppio senso nelle sue parole, senza smettere di aggiustarsi il pacco e lei si rese conto di quanto fosse divertente farlo rimanere in quell’equilibrio tra concentrazione ed eccitazione.
Sembrava una situazione degna di quelle che descriveva nelle sue conversazioni online con i suoi clienti.
Era un tasto dolente per Mena e il pensiero la bloccò. Risolti i suoi problemi economici, aveva pensato fosse giusto sospendere il suo account. I suoi giorni come “arrizza-cazzi online” era finiti.
Quando lo aveva deciso ne era stata sollevata. Adesso, invece, le capitava spesso di ripensare a quei giorni bollenti. Non si masturbava decentemente da allora, questa era la verità che non aveva avuto il coraggio di confessare al Don.
Adesso doveva riprendere i panni della madre, rispettabile e dedita alle cure della sua famiglia.
Che avrebbe pensato suo figlio Toni di lei se avesse scoperto la sua vecchia “doppia vita?” Meglio non pensarci.
Interruppe gli squat, con sommo dispiacere del bulletto.
“Io vado.” Disse Mena, facendosi più seria, decisa a tornare nello spogliatoio e a rimettersi il reggiseno, visto che aveva già attirato abbastanza attenzione.
“Perché?” Replicò Valerio con un sorrisetto. “Puoi rimanere se vuoi, a me non dà nessun fastidio.” Aggiunse lui, sempre con quello sguardo curioso che passava rapido dal viso al seno prorompente di lei.
"Tra poco la palestra riapre e non mi piace stare qui quando è affollata." Concluse Mena facendo un cenno verso la porta.
Lui la guardò con un sorriso rilassato. "Io resto ancora un po’," risponde, stiracchiandosi. "Mi sono allenato troppo poco per oggi."
“Ci vediamo, Valerio.” Lo salutò, lasciandolo solo.
Mena entrò nello spogliatoio e si concesse un attimo per riprendere fiato, dirigendosi verso il borsone con il cambio.
Si affrettò a togliersi la maglietta, recuperando finalmente il reggiseno coppa D, colore rosa.
Mentre stava per indossarlo, sentì un’improvvisa scarica di emozione al pensiero di essere "scoperta" proprio in quel momento, magari da Valerio.
Esitò, lasciando che la parte più maliziosa le sussurrasse qualcosa, cercando di convincerla… Si scoprì eccitata al pensiero di essere scoperta con le succose bocce al vento, solo coi pantaloni neri della tuta indosso.
Dopo qualche attimo di indecisione, in maniera quasi inconscia cedette alla tentazione, e corse il rischio.
Rimanendo in piedi, appoggiò la maglietta bianca sulla panca.
Ora era davvero libera, finalmente in topless.
Un brivido le percorse la schiena, mentre fissava la porta con attenzione, cercando di percepire il suono di passi che si avvicinavano, ma non sentì nulla. Afferrò il reggiseno, pronta a indossarlo, ma si fermò, indecisa, tenendolo sulle cosce. Alzò una mano come per grattarsi la pancia tonica, ma la mano proseguì lentamente, di vita propria, fino a sfiorare con il dorso la curva del seno nudo.
A quel punto non riuscì a resistere alla tentazione e con delicatezza posò le dita attorno ad una delle sue grosse mammelle, facendo salire l'altra mano per esplorare pienamente la superficie così familiare di quei globi di piacere.
Il reggiseno cade per terra, inutile.
Dopo pochi minuti, il massaggio diventò progressivamente più audace, nonostante il timore che qualcuno potesse entrare da un momento all'altro.
Le sue splendide tette reclamavano l'attenzione che troppo spesso in quelle ultime notti si era negata.
Le stringeva grosse e sode nelle sue mani. I capezzoli sempre più sensibili reagivano a quelle carezze facendola mugolare di piacere.
Nemmeno sembra interessarle si rischiare di essere sentita o vista da Valerio. Anzi...il pensiero di quel ragazzo così vicino e di aveva appena saggiato i muscoli la eccitava ancora di più.
Non poté non pensare a quel cazzo possente, di cui aveva solo intuito la forma e la consistenza ma di cui da subito aveva sentito la voglia e il desiderio.
Anzi, Mena si scoprì sempre più eccitata proprio dalla possibilità di essere scoperta e iniziò a mugolare: “Mmmmm”, mentre strizzava tra loro le grandi tette, stimolando sempre più sfacciatamente i capezzoli turgidi. Ormai avvertiva chiaramente di avere le mutandine irrorate dei propri umori.
“Mmmmm”.. Sussurrò Mena, indecisa.
Avrebbe voluto stimolare la propria fica bagnata ma cercò di trattenersi, anche se nulla le impediva di sfregare le gambe l’una contro l’altra, facendola bagnare ancora di più.
Ormai si stava palpando i seni spudoratamente, con tanta veemenza da sentirle indolenzite sotto le sue dita affusolate …pensava a come fosse stata in grado di fare arrapare quel ragazzo con un semplice esercizio fisico. Era brava a emozionare con le parole, ma anche il suo corpo la aiutava a gettare gli uomini ai suoi piedi.
E la sua attitudine da birichina non guastava.
A quel punto Mena chiuse gli occhi e tirò fuori la lingua, lasciandosi andare, infilando con cautela una mano nelle mutandine e percependo come fosse subito accolta dal tessuto bagnato e appiccicoso grazie ai suoi umori.
Cominciò a stuzzicare i pochi peli sul pube curato, frizionando le labbra sensibili e la clitoride con tocchi leggeri, che le suscitarono onde di piacere crescente.
Finalmente si sentiva pronta ad avere un orgasmo come si deve, ora non doveva più controllarsi.
La figura di Valerio, con il suo fisico scolpito, si insinuò nella sua mente, evocando inaspettatamente che quel corpo, così atletico e muscoloso, appartenesse a Toni, suo figlio.
Era come se stesse vedendo una versione più adulta del proprio figlio, anche se tra i due c’era un abisso: in quanto a educazione, intelligenza e sensibilità, suo figlio era di un altro pianeta.
Mena si fermò un attimo, guardandosi allo specchio e sforzandosi di allontanare quel pensiero, ma non ci riuscì completamente. Sentiva l’orgasmo avvicinarsi, tanto strisciante quanto inaspettatamente rapido e si preparò ad accogliere quel piacere, nonostante quello strano e inopportuno confronto tra Valerio e suo figlio.
Purtroppo, proprio in quel momento, Mena sentì dei passi veloci avvicinarsi alla porta dello spogliatoio. Non fece in tempo a girarsi che la porta si aprì di colpo. Valerio entrò con passo svelto, quasi di corsa.
“Eh, senti… posso entrà un attimo?” Chiese con voce un po’ concitata. “Mi scappa da morì e il bagno dello spogliatoio maschile è chiuso. Ci metto due secondi, giuro.”
Mena si paralizzò per un attimo. La sorpresa la colse impreparata e il cuore le balzò in gola. In un lampo, si girò per cercare di rivestirsi più in fretta possibile, ma nel farlo il reggiseno le scivolò per terra.
"Eh… sì, certo," rispose, cercando di sembrare tranquilla, ma il suo respiro tradiva la sua agitazione. "Fai pure, sto quasi finendo."
Mena, cercando di mantenere la calma, si nascose dietro gli attaccapanni, cercando di non far trasparire troppo la sua eccitazione, ma dentro di sé era completamente tesa per l’orgasmo interrotto mentre le gambe le tremavano.
Non poté fare a meno di seguire Valerio con lo sguardo mentre si dirigeva verso il bagno, lasciando la porta aperta per la fretta. Mena lo guardò correre, e non poté evitare di pensare che il ragazzo stesse facendo pipì a pochi metri da lei.
Il suo cuore batté forte quando, senza pensarci troppo, Mena si chinò lateralmente sulla panca, cercando di vedere oltre lo stipite della porta che separa lo spogliatoio dal bagno. Sapeva di non voler essere scoperta, ma la sua mente era invasa da immagini che non poteva non guardare.
Quasi con dispiacere vide solo la schiena e un accenno del sedere del ragazzo, sentendo invece il rumore di un potente getto di urina e un mormorio di sollievo da parte di Valerio.
Mena lo osservava attentamente mentre lui, ancora un po' imbarazzato, cercava di alzare i pantaloncini dopo la minzione. Ma nel farlo chiuse leggermente le gambe; il gesto ebbe un effetto imprevisto: i pantaloncini scivolano completamente giù, finendo sul pavimento bagnato dall’acqua delle docce.
"Ma porca...! Ecco perfetto!" Sbottò Valerio, non riuscendo a trattenere il suo disappunto, mentre si chinava per raccogliere i pantaloncini, lanciando un'occhiata furtiva in direzione dello spogliatoio.
“Mè!”
“Sì?”
“Puoi venì un attimo, per cortesia?” Disse Valerio, voltandosi in direzione del muro.
“Arrivo.”
Mena, che aveva seguito ogni singolo movimento con attenzione, tremendamente divertita dalla comicità della scena, arrivò rapidamente.
"Che c'è?" chiede Mena, fingendo una totale innocenza, ma con un tono che non nascondeva del tutto la sua curiosità.
Vide chiaramente il sedere liscio, alto e muscoloso senza neanche un pelo.
Valerio aveva il viso di una leggera sfumatura rossa, segno che stava cercando di mantenere il controllo sulla situazione, ma che l'imbarazzo era evidente.
"Guarda che casino, ora son tutti bagnati! Dio…" Imprecò il ragazzo.
Mena riuscì a trattenere le risate ma non la sua risposta. “Se me li dai, te li asciugo di qua col phon.” Disse, ridacchiando appena. La sua mente, presa dalla complicità del momento, si rese conto solo dopo di cosa aveva appena suggerito, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Valerio, inizialmente interdetto e sorpreso dalla proposta di Mena, restò un attimo in silenzio, come se stesse cercando di capire se avesse sentito bene.
"Grazie, Mè, sei gentile." Rispose.
Mena si chinò a prendere i pantaloncini, sentendo una leggera tensione nell'aria e decise di prendersi il tempo di un’occhiata furtiva tra le gambe del ragazzo; stavolta vide fugacemente lo scroto, con i testicoli gonfi e lisci e l’ombra di quel bel tubo dondolante che aveva già visto sotto i pantaloncini del ragazzo. Per un istante fu tentata di dargli una pacca sul sedere, quasi come una provocazione scherzosa. Poi fece uno scatto e tornò nello spogliatoio con i pantaloncini in mano, azionando il phon per asciugarli. Il rumore del phon e il calore che iniziava ad emanare la misero in una bolla di concentrazione. La stoffa elasticizzata dei pantaloncini era leggera, ma molto bagnata, e Mena si accorse che ci sarebbe voluto qualche minuto perché tutta l'acqua evaporasse. La sensazione di tenere quei pantaloncini tra le mani la suggestionava, le sembrava quasi di percepire l’odore del membro di Valerio.
E pensare che aveva lavato quintali di boxer di suo figlio Toni, senza fare certi pensieri. Eppure l’odore le sembrava lo stesso. Aroma vigoroso, essenza mascolina. In parole povere, sborra. Sperma. A quell’età i ragazzi ne sono ben carichi e sicuramente Toni non faceva eccezione, così come Valerio.
Mena fantasticò di annusare quei pantaloncini per sentire meglio quell’odore virile, mentre le passava sotto agli occhi l’immagine di quel nerbo massiccio penzolante tra le gambe del ragazzo e quei coglioni gonfi.
Era tremendamente eccitata e non desiderava altro che di finire quel teatrino e andare a casa a darsi sollievo.
“Ora gli faccio questo piacere e stop.” Si ripeté mentalmente.
“Ecco qua”, sillabò Mena, con voce leggermente tremante, portandogli il pantaloncino asciutto e voltando il capo per non guardargli i genitali.
Valerio lo prese e la ringrazio, divertito. “Grazie, Mè.” Rispose con un sorriso che non nascondeva una certa complicità.
Mena non riuscì a trattenersi e, con un tono scherzoso, tirò una frecciatina: “Certo che almeno un paio di boxer potevi indossarli…”
“E perché dovrei? Preferisco essere “libero”, penso che tu mi capirai.” Il tono di Valerio era nervoso, ma c’era una sfumatura sfrontata che Mena non poteva ignorare. Lei rispose, ormai presa dal gioco di sguardi e parole. “Sì, beh, in effetti anche io, prima di allenarmi, mi son dovuta togliere il reggiseno perché mi stava stretto…” Disse con un tono apparentemente casuale, ma carico di una certa malizia.
Valerio, evidentemente preso di sorpresa, rispose quasi subito, ma con una punta di imbarazzo: “Embè, me ne sono accorto prima.” La sua voce era un po' più bassa, come se volesse nascondere quel momento di consapevolezza, ma era impossibile ignorare che Mena lo avesse incalzato.
Senza esitare, Mena decise di calcare ulteriormente la mano, spingendosi ancora oltre nella sua malizia. "Il problema è che ho un seno... grosso, e con questa maglietta si nota molto, infatti ero rientrata per rimettermelo." Disse Mena, non credendo nemmeno lei alla civetteria nella sua voce e cercò di cambiare subito argomento, aggiungendo: “Sono più asciutti, adesso? Stai comodo?”
Stavolta Valerio rispose con un tono più rilassato. "Ancora un attimo… ecco."
Disse, finalmente voltandosi verso di lei e mostrandole un cazzo duro in piena e indecente erezione.
“Oddio! Valerio!”
Il pantaloncino abbassato e le mani di Valerio sui fianchi conferivano a quella scena un aspetto surreale.
Mena cercò di distogliere lo sguardo da quel cazzone eretto, ma non poteva farci niente. L’occhio andava dove voleva e quanta abbondanza c’era tra quelle cosce!
“Valerio..”
I loro occhi si incontrarono e Mena avvertì un'improvvisa ondata di calore, le mani che si inumidivano di sudore, le cosce che strusciavano, la vulva inzuppata di umori bollenti.
Il membro di Valerio era degno di nota. Adesso che Mena lo vedeva chiaramente, aveva delle dimensioni ragguardevoli. Il tronco era venoso e piuttosto lungo, la cappella rosa e umida di pre-sperma. La pelle del cazzo non riusciva a trattenerla e Valerio provvide subito a liberarla del tutto con uno strattone, mostrando un bulbo fuori norma, mentre l’aria si riempiva di quell’inconfondibile odore aspro e virile. Un profumo che una donna che ha accudito e cresciuto un figlio conosce molto bene. Odore di ormoni in libertà, afrore di cazzo.
Mena era in tachicardia, sentiva le guance tingersi di rosso, le labbra schiuse in un respiro trattenuto, e una vampata bollente le attraversava le cosce. Si passò una mano nervosa tra i capelli, come per sistemarli, e abbassò per un istante lo sguardo, quasi timida.
“Mè… m’arrapi, che te devo dì?” Rispose lui, sornione e fiero del suo grosso arnese. Appoggiò della saliva sul glande usando il pollice e lo scappellò un paio di volte, col suo sorrisetto sfrontato.
"Potrei essere tua madre." Disse Mena, vergognandosi come se avesse appena espresso una verità che risuonò nella stanza, un pensiero che prima non aveva mai osato formulare ad alta voce.
Valerio, però, non sembrò turbato, o almeno non come lei si aspettava. "Ma mica sei mì madre, vè?" Rispose secco, quasi se lo stesse chiedendo davvero.
I due si scambiarono un sorriso carico di tensione. Potrebbero dirsi altro, Mena potrebbe provare a dissuaderlo ma la verità è che aveva la salivazione così alta da non riuscire ad aggiungere nulla senza sbavare.
Lui la guardò con il solito sorrisetto fastidioso. Mena, allora, lo fissò con un'aria ancora più sfrontata, incrociando le braccia sulle tette roventi e facendo ruotare nervosamente il tallone, come se volesse prendere il controllo della situazione.
Poi, con un sorriso malizioso, Valerio la guardò ancora, come se volesse dirle: "Ti piace quel che vedi?"
In risposta, Mena arricciò le labbra, sorridendo un po' tesa, come a rispondere: "Non male, ma ho visto di meglio."
Il moro non aveva molto da aggiungere e cominciò a masturbarsi davanti agli occhi di Mena, sconcertata.
Nell’aria si sentiva solo il rumore della masturbazione di Valerio, il ritmo della sega che cresceva progressivamente.
Mena non poteva accorgersene, ma aveva stampato in volto uno sguardo da puttana vogliosa di cui si sarebbe vergognata terribilmente, se lo avesse potuto vedere dall’esterno, mentre si mordicchiava le labbra e la lingua si muoveva senza ritegno sul contorno della sua bocca inquieta.
Sapeva solo di avere le mutandine fradice e di non sapere che fare, le gambe pesanti come il piombo fuso.
Fu Valerio ad agire: con un gesto silenzioso ma deciso, fece cenno a Mena di avvicinarsi, continuando a masturbarsi con l’altra mano. Che c’era di male? Voleva darle quello che in fondo lei desiderava ardentemente da mesi: un po' di sollievo carnale, una scopata senza troppe complicazioni.
Mena, però, rimase immobile, il cuore in tumulto. La tentazione era forte, vide quel randello di carne tesò verso l'alto e iniziò a pensare a come starebbe bene appoggiato tra le sue tettone.
Esitò per un momento, indecisa tra l'impulso di andarsene e il desiderio di coccolare, assaporare, accogliere quel membro turgido dentro di sé. Poi, con un sorriso che tradiva l'emozione, fece un passo verso di lui, cercando di mantenere un'apparenza sicura mentre dentro avvertiva un turbine di sensazioni erotiche.
Cazzo. Visto da vicino è palesemente un cazzo più lungo e grosso di quello di suo marito. Decise che si sarebbe fatta fottere da dietro, per sentirlo tutto dentro.
Dio. Che stava facendo? Il suo corpo ruggiva, la sua fica trasudava umori e la implorava di infilare quella mazza rovente fino alla cervice.
Un altro passo.
Di colpo, Mena ebbe un sussulto.
Suo marito, a casa, la aspettava, malato. Non poteva fargli questo.
Quel pensiero, per quanto doloroso, le fece tirare il freno.
Mena riuscì solo a mormorare: "Devo andare.” E così, senza voltarsi indietro, uscì dallo spogliatoio.
Riuscì appena a sentire il gemito infastidito di Valerio, carico di desiderio insoddisfatto, nonché il suo commento: “Ma siete tutte na manica de profumiere in sta città? Porco…!”
Lia
I rampicanti avvolgevano il cancello della villetta come sottili fili carichi di tensione e desiderio e Lia non poté esimersi dal prendere il telefono in mano, mandando un altro messaggio ad Anna. "Voglio baciarti ovunque. Stanotte mi penserai?” Aggiunse un cuore e si morse un labbro. Non aveva il coraggio di chiederle una foto dei suoi seni piccoli e perfetti, ma avrebbe tanto voluto rivederli. Anna era l'unica cosa che riusciva a scuoterla, a farle battere il cuore in quel suo esilio dorato.
Da sei mesi viveva lì, al nord, nei pressi dell’università.
Sua madre non aveva badato a spese, pur di farla andare via: le aveva preso una casa bella, spaziosa e con un giardino curato. Annoiata, Lia aveva iniziato a frequentare le lezioni universitarie, per quanto svogliatamente.
Si riscosse, sentendo il ghiaietto del cortile di casa scricchiolare.
Alzò lo sguardo dal telefono e rimase pietrificata, come se avesse visto un fantasma. Incredibile.
C’era suo padre Sergio, davanti al portone.
“Ciao, Lia.”
"Mi perdoni, padre, perché ho peccato."
"Mena… sai che possiamo anche chiacchierare in sagrestia? Non serve ritrovarsi ogni volta qui, in questo confessionale così angusto e buio.”
Mena ridacchiò, ondeggiando leggermente sull'inginocchiatoio; aveva lasciato crescere ancora di più i lunghi capelli castani che in quel momento teneva raccolti, lasciando libere alcune ciocche che le incorniciavano il volto. Rispose semiseria: "Ma è proprio qui che mi sento… al sicuro. C’è qualcosa di confortante in questo angolino ristretto, non trovi?"
“Sì, ma come dico sempre..”
“Sì, lo so! Chi ha inventato queste scatolette pensava al sacramento sbagliato, quello dell’estrema unzione!” Lo interruppe cantilenando, ilare.
“Sto diventando prevedibile?”
"Don, che stai dicendo? Direi che hai un talento particolare nel far sembrare tutto così profondo."
"Davvero? Non esagerare."
"Non essere modesto, Don. Ti assicuro che non mi annoio." Mena fece spallucce e oscillò lievemente il suo vestito grigio, sobrio anche se ben aderente sui fianchi e con una scollatura che lasciava intravedere il crocifisso d’oro appoggiato tra i seni.
“Grazie..” Anche se nascosto dal pannello di legno traforato del confessionale, era possibile intuire il sorriso di Don Marco e lei ne percepì il respiro.
"Mena… non sarà mica che oggi sei venuta solo per farmi sentire il tuo nuovo profumo, vero? Lo avverto anche da qui!"
"Bravo, padre, è nuovo! Ti piace? Si chiama ‘”Calypso” ed è un’essenza alla gardenia.
"Calypso… Mi piace. Come la ninfa dell’isola deserta, bellissima e sola.”
“Un paragone azzeccato..” Sospirò Mena.
“Vuoi confessarti?”
Mena si fece seria. “Sì. Sono passati sei mesi dal compleanno di mio nipote Alessio. E, in quell’occasione, sono stata testimone di un miracolo.”
“Addirittura.”
“Mia sorella, che non solo compie un gesto generoso, ma addirittura mette mano al portafoglio per farlo.”
“La carità è alla base del comportamento di ogni buon cristiano.”
“Non conosci mia sorella.”
“Per quello che so, nemmeno lei tiene molto a conoscermi.” Aggiunse Don Marco, serafico.
“No, infatti.”
“Ma ti ho interrotta, perdonami. Prosegui pure.”
“È stato un vero miracolo. Mio marito è a casa, finalmente. Purtroppo è ancora in coma e i medici non sanno quando si riprenderà. Tutte le spese mediche sono state pagate e, grazie ai soldi di mia sorella, abbiamo assunto una badante, Irina, una ragazza davvero eccezionale. Mi sento sollevata, ora che la casa è sotto controllo.”
“E tuo figlio come sta?”
“Mio figlio è come me. Perennemente inquieto, lo so. È felicissimo per questo miracolo e per avere suo padre in casa, eppure non smette di azzuffarsi con la sua fidanzata. E io…"
"E tu, Mena? Anche tu non trovi pace? Non dovresti, finalmente, essere serena?"
Mena annuì, pensierosa. "È questo il punto, Don. La casa è silenziosa… troppo. La mattina sono tranquilla, vedo Toni bighellonare per casa, lo sento ridere mentre mi racconta dell’ultima partita vinta o borbottare per Anna che è troppo assente. Aiuto Irina mentre pulisce casa.”
“È la notte il problema, vero?”
“Sì. Mi sono trasferita a dormire nella stanza degli ospiti. Il nostro letto matrimoniale è pieno di macchinari, tubi e flebo. La notte sento questo silenzio, questo vuoto… e mi agito."
Mena si interruppe, vergognandosi di questa sua confessione. Per fortuna Don Marco riprese a parlare.
"Non capisco. Ti ho sentita piena di entusiasmo per la tua attività online come influencer… non era qualcosa che ti piaceva fare? Magari era quella la tua strada."
Mena abbassò lo sguardo, accarezzando distrattamente il crocifisso che pendeva tra i seni: "Ho smesso. Non avevo più bisogno di soldi, quindi era inutile continuare."
“Peccato. Non hai pensato di continuare? Per distrarti con un passatempo innocente.” Sentiva gli occhi del prete osservarla dalla grata del confessionale.
Mena sfiorò distrattamente il vestito sul ginocchio, lisciandolo e nicchiò, imbarazzata: "Non era più necessario, come passatempo.”
“Va bene, ma..”
“Adesso ho io una domanda per te, Don.”
“Chiedi pure..”
“Come mai sei finito in questa chiesetta sperduta e così… fatiscente? Di solito qui si arriva solo se si ha combinato qualche marachella."
Don Marco scoppiò a ridere, anche se con una nota di imbarazzo.
“Ah, se per questo tua sorella Teodora ha già detto in giro che sospetta io possa essere coinvolto in un giro di squillo thailandesi o in riti orgiastici. La chiesa è solo un luogo, Mena. Quello che conta è aiutare chi ci sta intorno."
Mena si morse il labbro. “Scusa. Hai ragione, non sono affari miei.”
"Ah, la gente parla sempre… tranquilla.”
“Comunque..”
“Mena, ti vedo molto irrequieta. Stai accumulando stress, in attesa che tuo marito si riprenda, a Dio piacendo.”
“Cosa dovrei fare?”
“Trovati uno sfogo, no? So che fino a poco tempo fa lavoravi in palestra. Potresti tornare a fare esercizio fisico, potrebbe aiutarti a calmare i pensieri."
Gli occhi di Mena brillarono, di colpo. "In effetti la palestra era parte della mia vita. Ho insegnato ginnastica per anni, sai? Grazie Don.." Disse Mena, alzandosi in piedi.
“Fammi sapere, Mena. E passa quando vuoi, io sarò qui. Beh, magari non proprio in questo loculo ma.. nei paraggi!”
“Suvvia, Don, scommetto che ti stai affezionando al nostro posto preferito!”
Concluse Mena, sorridendo mentre si allontanava.
Vide Don Marco farle un allegro cenno di saluto con la mano e sentì i raggi del sole riflessi dal crocifisso accarezzarle la pelle, dandole un’effimera quiete e, soprattutto, una piccola speranza.
Anna
Appena uscita dalla piscina, Anna si infilò una giacca sopra la maglietta sportiva, ancora umida dal cloro. Si legò i capelli, lasciando che qualche ciocca bagnata le ricadesse sulle spalle, mentre l’asciugamano era già piegato nello zaino. Il pomeriggio era piacevolmente tiepido, e quasi le dispiaceva dover rientrare così presto.
Ma poi vide Toni, parcheggiato lì ad aspettarla, con le braccia incrociate e la sua solita espressione attenta. Sembrava un falco con il cappuccio in testa, pronto a scattare da un momento all’altro.
Mentre attraversava il vialetto, un gruppo di ragazzi si avvicinò, salutandola e cercando di attaccare bottone.
“Ciao, bella!” disse uno di loro, con un sorriso pieno di desiderio.
Anna sorrise, cortese ma distaccata. “Ciao, ragazzi.”
“Ma guarda un po' ..” mormorò uno, “se in piscina sono tutte belle come te, ci verrei ogni giorno.”
“Ce ne sono di mooolto più belle, entra a vedere se vuoi!” Disse Anna, salutandoli col palmo della mano.
Poi tirò fuori il telefono, cercando con lo sguardo un angolo tranquillo. Si allontanò di qualche passo, aprì la chat di Lia e digitò veloce.
“Quanto mi manchi.” Mandò un cuore, poi un bacio.
Lia rispose subito inviando una foto delle sue bellissime labbra e scrisse “Anche tu.”
Il cuore di Anna sobbalzò, ma un brivido la riportò alla realtà: Toni la stava fissando dalla macchina, impalato come una statua.
Lei chiuse in fretta il telefono, fece un respiro profondo e si avviò verso di lui; appena entrò in auto, Toni iniziò subito. “Divertente, eh?”
“Che cosa?”
“Non fare la finta tonta. Quei tizi, lì fuori. Sembravi divertirti parecchio. Domani li prenderò a ceffoni.”
Anna chiuse gli occhi, allacciandosi la cintura con un gesto stanco. “Toni, ti prego. Erano solo ragazzi che chiacchieravano. Non c’è niente di male.”
“Oh, certo, per te è tutto innocuo. Sempre a sorridere a chiunque ti rivolga la parola. Vedi altre fidanzate comportarsi così con estranei? Fare le simpaticone in giro?”
“Stai esagerando. Smettila di fare il paranoico.”
Ci fu un momento di silenzio, rotto solo dal loro respiro teso. Poi il telefono di Anna vibrò di nuovo e lei non riuscì a staccare immediatamente la vibrazione.
“Sempre attaccata a quel maledetto telefono! Negli ultimi mesi non fai altro che scrivere. A chi? Eh?”
Anna lo guardò con un’espressione esasperata. “Ancora? Ma sei serio?”
“Oh, sì, sono serissimo! Fammi vedere a chi scrivi allora, se non c’è niente da nascondere. Voglio vedere.”
“Non devo mostrarti proprio niente. Questo è il mio telefono, e devo avere almeno un minimo di privacy!”
“Privacy, certo... La privacy di chi ha la coscienza sporca!”
“Ma che stai dicendo? Non ho fatto niente e tu mi accusi sempre!”
Lui diede una spinta al volante col palmo, scuro in viso. “Non cambiare discorso, Anna. Sono io che devo sopportare questa tua mania di flirtare con tutti.”
“Ti stai facendo dei film, Toni. Sono educata, è diverso.”
Lui scrollò le spalle, sarcastico. “Come no..”
Lei non rispose, lasciandosi cadere nel silenzio, stanca di quelle discussioni che sembravano sempre uguali.
Toni la riportò a casa, parcheggiando nei paraggi. Spense l’auto e sospirò, posandole una mano sul ginocchio.
“Dai, scusa…” disse, senza guardarla. “Forse ho… esagerato un po’.”
Anna accettò le sue mezze scuse con un mezzo sorriso, lasciando che il suo sguardo si addolcisse. Ma dentro, sentiva un peso fastidioso: quel senso di colpa che cercava di reprimere ogni volta che lo guardava negli occhi. Era lei ad essere in mala fede, dopotutto; quel segreto tra lei e Lia era la cosa più bella e più brutta che le poteva capitare. Anche perché Toni le era stato fedele.
O meglio, per quanto ne sapeva.
La situazione a casa di Toni era migliorata da quando il padre Roberto aveva ottenuto le sospirate cure, eppure.. Loro due non avevano rapporti intimi da diverse settimane. Si ripeteva che non era un problema, erano entrambi molto impegnati con gli sport e la vita sociale, eppure.. L’ultimo orgasmo degno di questo nome non lo aveva avuto con Toni.
E aveva tanta voglia di fare l’amore.
Anna sorrise e gli accarezzò la mano, in cerca di un po' di conforto. Se fossero riusciti a distendere un po' la tensione, magari avrebbero potuto trascorrere a letto quel fine settimana. Gli strinse la mano, sentendola ruvida e forte, giocando con quelle dita massicce e per un istante desiderò un contatto più intimo. Ma, nella sua mente, quella mano virile divenne improvvisamente quella diafana e aggraziata di Lia. Anna fece un respiro profondo, scacciando quel pensiero.
“Va bene… basta che la finiamo qui.” Mormorò Anna, accettando quella tregua illusoria e stuzzicandogli le dita con le unghie.
Nemmeno si accorse che Toni la stava fissando, gli occhi eccitati pieni di desiderio.
All’improvviso, lui le afferrò la nuca, tirandola giù di scatto verso di sé. Anna si irrigidì, cercando di fermarsi, e le sue mani scattarono ad appoggiarsi sulle gambe muscolose di lui.
Vide che aveva una palese erezione che la tuta non riusciva a nascondere.
Una voluminosa tenda formata dal suo cazzo duro.
“Toni! Ma che stai facendo?” Sibilò, con un tono carico di stupore che le si annodava nello stomaco.
Lui si ritrasse, arrossendo e lasciandola andare con un sorrisetto imbarazzato. “Scusa… Non so, mi era sembrato… un momento romantico.”
Anna lo fissò, sempre più stranita. “Romantico?” ripeté, incredula. “Toni, siamo in macchina… E non è esattamente una strada isolata! Ti rendi conto di quanto sia fuori luogo?”
Toni guardò fuori dal finestrino, silenzioso, le mani che tornavano al volante. Anna lo osservò per un attimo, ancora turbata, poi aprì la portiera ed uscì dalla macchina senza aggiungere altro.
Mentre si avviava verso casa, il pensiero le tornò alle parole di suo padre, che tempo addietro le aveva suggerito di distaccarsi dai problemi di Toni. Un nodo le strinse la gola.
Mena
La palestra era silenziosa e deserta, anche se il lieve sentore di sudore misto a disinfettante lasciava presagire che nelle ore più affollate si sarebbe riempita di persone prese dai propri esercizi o dalle chiacchiere più o meno innocenti. A Mena non importava, preferiva andarci molto presto per poter fare i propri esercizi in pace.
Sbuffando appena, la donna si muoveva con energia e concentrazione, in una serie di esercizi di aerobica che, con suo immenso fastidio, la stavano facendo sudare. Una volta avrebbe fatto quegli esercizi a occhi chiusi.
Negli anni aveva accettato che il suo fisico atletico diventasse più prosperoso, acquistando quelle belle forme che adesso ondeggiavano in un pantalone leggings nero e in una maglietta bianca elasticizzata che metteva in risalto la sua figura. L’elastico stringeva i suoi lunghi capelli castani in una coda di cavallo ordinata e il volto cominciava a luccicare di sudore.
Passò da un esercizio all’altro, combinando salti, affondi e squat. Era un piacere che le mancava da tanto, da quando aveva smesso di insegnare aerobica per lavoro. Si ricordava degli sguardi degli uomini, di quel piccolo divertimento segreto nel sapere che tutti notavano la sua presenza in palestra.
Dopo una serie particolarmente intensa, si fermò seduta a bordo tappeto, ansimando e bevendo a grandi sorsi dalla bottiglia d’acqua. Si concesse un momento per stirarsi, allungando il busto in avanti e rilassando i muscoli della schiena.
A quarantacinque anni, non se la sentiva di riprendere a insegnare aerobica. Conosceva bene Giovanni, il titolare della palestra e suo ex capo che le aveva volentieri lasciato le chiavi, consentendole di aprirla per allenarsi quando voleva, anche in orario di chiusura.
La mattina era il momento perfetto perché non c’era nessuno e, come dimostrava il suo seno ben ondeggiante, ciò le consentiva di stare comoda.
Non c'era anima viva, e l'idea di sentirsi più libera e comoda aveva preso il sopravvento. Cambiandosi negli spogliatoi, Mena aveva deciso di togliere il reggiseno, rimanendo solo con la canottiera aderente.
"Tanto non c'è nessuno." Pensò Mena.
Il tessuto leggero della canottiera le offriva un’immediata sensazione di libertà, e la freschezza sulla pelle la faceva sentire più a suo agio. Si guardò brevemente allo specchio, osservando il riflesso del proprio bel corpo.
Si sentiva più disinvolta, stare senza reggiseno era un piccolo atto di ribellione privata che la faceva sorridere tra sé e sé. La palestra era il suo momento, il suo spazio lontano da tutto.
Per un momento si rivide mezza nuda, sul balcone di casa, intenta a masturbarsi per una platea inesistente. Ricordava le proprie dita penetrarla così a fondo nella sua vagina da farla urlare di piacere e immaginò di rifarlo anche lì, in palestra.
Con un respiro profondo, Mena scartò il pensiero e si concentrò di nuovo sul suo allenamento, sentendo ogni movimento del suo corpo in modo più intenso, più erotico. Forse aveva ragione Don Marco, un po' di moto bastava a tenere a bada quelle sensazioni. O forse no? I capezzoli le erano diventati duri, presa da tutti quei pensieri.
Improvvisamente, il silenzio della palestra venne interrotto. La porta si spalancò e Mena, interdetta, alzò lo sguardo. Un ragazzo sulla trentina, piuttosto muscoloso, entrò con un’andatura sicura. Aveva i capelli scuri, una barba ben curata e un fisico atletico. Il volto, un po' squadrato, presentava due tatuaggi: una lacrima sotto l’occhio destro e una faccina che ride vicino all’occhio sinistro. Quel dettaglio gli dava un’aria un po’ sfrontata, quasi da bulletto.
Indossava dei pantaloni di tuta bianca e una canottiera nera che gli lasciava scoperti i bicipiti tatuati. Le lanciò un’occhiata e si avvicinò all’armadio degli attrezzi, senza smettere di guardarla.
“Anche tu amica de Giovanni, eh?” Le chiese, con un accento romano che rimbombava nel vuoto della sala.
Mena si ricompose, cercando di mascherare il fastidio. “Eh, sì.” Rispose, abbassando lo sguardo per tornare alla sua posizione di stretching.
Il ragazzo le sorrise, avvicinandosi e porgendole la mano, con tono rilassato.
“Piacere, Valerio.”
“Mena.”
“Mena?” Ripeté Valerio, con un ghigno strafottente.
“Filomena. Tutti mi chiamano Mena.”
“Pensa te, dalle parti mie menare vuol dire dare un sacco di botte a qualcuno!”
Mena osservò Valerio con un misto di curiosità e diffidenza. Lui ricambiava il suo sguardo con una tranquillità spavalda, come se non avesse fretta di andarsene.
Mena cedette alla curiosità e gli chiese: “Fammi indovinare. Sei nuovo in città?”
Valerio annuì, passando una mano sulla nuca. “Non s’era capito, vero? So’ de Roma. Sto in Sicilia da un annetto per lavoro. In Paese conosco solo Giovanni, ma me trovo bene perché posso allenarmi in santa pace, me tengo in forma e via.”
Mena sorrise educatamente, annuendo di rimando. Si alzò lentamente, allungandosi e respirando profondamente per sciogliere la tensione muscolare. Non aveva voglia di ulteriori chiacchiere, ma Valerio sembrava avere tutto il tempo del mondo.
Si rivolse di nuovo a lei, appoggiandosi all’attrezzo accanto a lei con aria rilassata: “Eh beh, hai proprio la stoffa da ginnasta. Professionista, vero?”
“Diciamo che ci metto sempre il massimo,” rispose lei, alzando il mento con un sorriso fiero.
Mena notò che il suo sguardo, per nulla discreto, si abbassava a guardarle le grandi tette, ben disegnate sotto la maglietta elasticizzata.
Quel suo modo così palese di fissarla le diede inizialmente fastidio, facendola irrigidire, ma man mano che il silenzio si allungava tra loro, quel sentimento si trasformò in un lieve compiacimento. Ormai non era più una ragazzina, eppure… faceva sempre piacere sapere di non passare inosservata.
Del resto, senza reggiseno c’era ben poco da fare per coprire la vista delle sue floride mammelle che ondeggiavano ad ogni esercizio.
Doveva essere uno spettacolo eccitante per un uomo, pensò sempre più divertita, percependo i capezzoli duri tirare contro la stoffa. Erano sicuramente ben visibili, adesso.
“Beh, allora buon allenamento, Mena io vado alla panca lunga.” Disse Valerio, e si allontanò verso un’altra zona della palestra, lasciandola finalmente in pace.
Mentre si allontanava, sentì ancora gli occhi di lui su di lei, e Mena non poté fare a meno di pensare a Toni: muscoloso come Valerio, suo figlio era sicuramente più giovane e bello, il fisico possente scolpito da anni di calcio.
Per fortuna Toni era molto più educato, pensò Mena; osservò Valerio con la coda dell’occhio, un po’ infastidita e un po’ divertita dal modo disinvolto con cui si muoveva.
Vide Valerio togliersi con naturalezza i pantaloni della tuta lì, in mezzo alla sala, senza nemmeno andare negli spogliatoi.
Il gesto era così rozzo e spavaldo che Mena non poté fare a meno di notarlo: mentre Valerio abbassava la parte inferiore della tuta, i pantaloncini che indossava sotto scivolarono leggermente, fermandosi a metà sedere prima che lui se li risistemasse.
Sembrava proprio che il ragazzo fosse senza intimo.
Mena alzò lo sguardo al soffitto, scuotendo la testa con un sorriso incredulo. “Non proprio un esempio di galanteria, eh…” Mormorò a sé stessa, indecisa se andarsene o continuare a gustarsi quelle scenette balorde.
Mentre Valerio andava verso la panca lunga, dandole le spalle, lei non poté fare a meno di dare un’occhiata al suo un sedere muscoloso e rotondo, valorizzato dai pantaloncini elasticizzati sotto cui evidentemente non indossava nulla.
Dopo una mezz’ora di esercizi, Mena lo sentì chiamarla.
“Scusa Mé, puoi venire ad aiutarmi?”
Mena sospirò appena, quasi abituata all'intraprendenza di Valerio. Aveva intuito subito il suo interesse verso di lei e in altri tempi l’avrebbe tenuto al suo posto; eppure, quel suo modo di fare un po' sfrontato non le dispiaceva.
Quando si avvicinò, lo trovò sdraiato sulla panca, il busto pronto a piegarsi sotto il livello della panca stessa per i suoi addominali. Valerio, già accomodato, la osservava con uno sguardo che divorava ogni curva del suo corpo senza pudore.
Mena trattenne un sorriso, preferendo mantenere un’aria distaccata.
“Per favore, mi tieni le caviglie mentre faccio un paio di serie?” Le chiese, con il solito tono confidenziale.
“Va bene.” Rispose lei con calma, mettendosi in ginocchio sulla panca accanto a lui e allungando le braccia per bloccare saldamente le sue caviglie.
Mentre Valerio iniziava a piegarsi all’indietro e a risalire, Mena sentiva il movimento sotto di lei, la tensione dei suoi muscoli che si faceva più evidente a ogni ripetizione.
La distanza ravvicinata tra loro e lo sguardo insistente di Valerio, che di tanto in tanto risaliva languido lungo il suo corpo sudato, le provocavano un fremito appena percettibile.
Mena cercò di concentrarsi sull’esercizio, ma i suoi occhi, come spinti da una forza irresistibile, si posarono sulle gambe di Valerio. La tensione nei muscoli, il modo in cui si contraevano ad ogni movimento, la catturò in un pensiero che non riusciva a respingere. Si soffermò, lasciando che lo sguardo scivolasse un istante di troppo, il cuore che le batteva più forte, quasi a tradirla.
Tentò di ignorarlo, distogliendo lo sguardo in un gesto frettoloso, ma la sensazione del calore che si irradiava dal suo ventre la travolse. Si disse che era solo un’occhiata fugace, senza alcuna intenzione. Tuttavia, mentre Valerio continuava quei movimenti lenti e controllati, il busto inclinato in avanti, i respiri profondi che segnavano il ritmo, Mena si scopriva a tornare su di lui. Ogni fibra tesa del suo corpo sembrava scolpita per attirare la sua attenzione, e lei, nell’illusione di essere inosservata, si lasciava avvolgere da quella libertà clandestina.
Sapendo di non poter essere vista, poco alla volta riprese a guardarlo, questa volta con uno sguardo più malizioso, lasciandosi andare alla tentazione di guardare meglio. I suoi occhi risalirono lentamente lungo il suo corpo, indugiando su dettagli che ora sembravano più evidenti, più audaci.
Non poteva fare a meno di notare quanto le forme di Valerio fossero sfacciatamente esposte, dato che non indossava boxer sotto i pantaloncini.
Senza troppi giri di parole, vide delineata la sagoma di un bel cazzo. Il tessuto dei pantaloncini era così aderente da permetterle di distinguere nitidamente i contorni dell’asta e del glande.
Iniziò a sospettare che il bulletto le avesse chiesto di aiutarlo proprio per sbatterle in faccia quell’immagine così provocante.
Un po’ come l’immagine del suo seno rigogliosamente libero. Dopotutto, erano simili.
Era come se il tempo rallentasse ogni volta che lo fissava, il desiderio che si insinuava in lei come un fuoco lento, difficile da domare. Cercando di reprimere quel tumulto, tornò a concentrarsi sul suo ruolo, assumendo un’espressione professionale. Ma ogni movimento, ogni respiro di Valerio sembrava disegnato per stuzzicare i suoi sensi, ed era sempre più arduo convincersi che quell’attrazione non fosse visibile, che il suo distacco fosse qualcosa di più di una maschera fragile.
Cercò di ignorare quel calore che le saliva sottopelle e mantenne un’espressione ferma, una maschera di calma "da istruttrice" nonostante sentisse la tensione salire.
“Grazie, Mè. Daje, così almeno li faccio bene 'sti addominali." Commentò lui, facendo uno sforzo per mantenere il ritmo.
“Di nulla.” Replicò lei, mantenendo un tono neutro.
Mentre lui continuava l’esercizio, Mena si rese conto di quanto quella situazione potesse essere facilmente fraintesa da chiunque li avesse visti, ma decise di ignorare il pensiero.
Ogni volta che il ragazzo spingeva il bacino verso l'alto, la tensione del tessuto dei pantaloncini metteva in risalto quel pene così massiccio, anche se moscio.
In quel momento, almeno.
Mena si rimproverò mentalmente, ma in fondo le scappò un mezzo sorriso: dopo tutto, la sua era solo un'innocua curiosità, che teneva ben nascosta.
Si riscosse, cercando di trovare qualcosa da dire per alleggerire il momento. "Tutto bene?" Chiese con una voce che sperava suonasse normale, mentre spostava le mani per assicurarsi che i piedi di lui fossero ancora ben bloccati.
“Uff, grazie, ho finito.” Sbuffò Valerio, alzando finalmente il busto e stiracchiandosi sulla panca.
Mena si affrettò a sciogliere la presa dalle sue caviglie, sentendo un leggero calore sul viso che sperava di mascherare dietro un sorriso tenue. Senza lasciarsi turbare ulteriormente, Mena si alzò con calma, cercando di riportare la sua attenzione all’allenamento e allontanando quel pensiero insistente del pene di Valerio che le si insinuava in testa, come un tentacolo che la avvolgeva con lentezza.
Doveva concentrarsi su qualcos'altro, e decise di guardarsi intorno per trovare un altro esercizio.
I tappeti elastici, che usava spesso per gli esercizi di aerobica, le sembrarono improvvisamente poco invitanti, forse anche troppo statici per quello che cercava.
Mena afferrò il kettlebell con una presa sicura, cercando un esercizio che le richiedesse tutta la concentrazione e, magari, scacciasse quei pensieri insistenti su Valerio. Era consapevole del calore che le arrossava il viso, ma non aveva alcuna intenzione di farsi distrarre. Si posizionò a gambe leggermente divaricate, con il kettlebell davanti a sé, e cominciò a eseguire una serie di squat decisi.
Non aveva considerato che gli squat fossero in grado di farle ondeggiare sensualmente le opulente tette e di farle sentire i capezzoloni strizzati contro la stoffa della magliettina.
Evitò di girarsi verso di lui, ben sapendo quanto sfrontato sarebbe stato il suo “morbido dondolio”.
Ad ogni movimento, piegava le ginocchia con precisione, lasciando che il kettlebell oscillasse tra le gambe. Poi, con un colpo deciso, spingeva il bacino in avanti, contraendo i glutei in un movimento ritmico e potente.
Ogni volta che il kettlebell tornava indietro, si trovava a farlo oscillare tra le gambe, il bacino spinto leggermente all’indietro, in una posizione che, per chi la osservava, aveva una forza ipnotica. I leggings aderenti evidenziavano ogni contrazione muscolare, e una sottile linea di sudore lungo la schiena si fece evidente mentre lei continuava a mantenere il ritmo.
Valerio, appoggiato alla panca poco distante, non sembrava perdersi un attimo.
Mena, concentrata sul movimento e sul respiro, sentiva la tensione salire, ma si ripeteva di restare imperturbabile, anche se era ben consapevole della sua presenza.
Si sentiva molto porca in quel momento. Desiderata.
"Devi da’ proprio tutto, eh?" Commentò Valerio con una nota di ammirazione. Mena sorrise tra sé, senza fermarsi. "Impegnarsi fa bene." Rispose Mena, “Si espellono tante tossine.” Il tono era leggero ma deciso, mentre un’altra spinta decisa portava il kettlebell in alto.
“Quello è importante..” Aggiunse Valerio, passandosi di sfuggita una mano sul pantaloncino mentre con lo sguardo continuava a indugiare sul voluminoso davanzale di Mena, preso in una sensuale e perenne scuotimento.
Le scarpe di Valerio attirarono l’attenzione di Mena, e senza rendersene conto, i suoi occhi risalirono lungo le sue gambe.
Le piacevano, toniche e tese, anche se meno muscolose di quelle di suo figlio.
Lo sguardo si alzò ancora, indugiando senza volerlo sul pacco gonfio, ben evidente sotto la canottiera nera, troppo corta per coprirlo del tutto.
Mena sentiva di essere bagnata, la figa umida e i capezzoli doloranti. Non poteva fare a meno di cogliere, con un sottile brivido di piacere, come anche il ragazzo mostrasse inequivocabilmente i segni dell’eccitazione. Il suo membro era decisamente più gonfio rispetto a prima, tanto da essere ancora più evidente sotto il tessuto elasticizzato dei pantaloncini, adesso teso verso i lati, modellandosi attorno al prominente tronco.
Si compiacque di avergli fatto quell’effetto solo con qualche squat.
Mentre Mena si concedeva un lieve sorriso di soddisfazione, la voce di Valerio la richiamò all'improvviso. "Prova a ruotare di più i piedi." Disse, con tono sicuro.
Lei interruppe il movimento, leggermente sorpresa. "Come scusa?" Chiese, guardandolo con un sopracciglio alzato.
Valerio le si avvicinò e le mostrò la posizione con un sorriso insolente. "Così.” Spiegò, posizionandosi accanto a lei, ruotando leggermente i piedi e ficcandole gli occhi dritti nella scollatura. "In questo modo sprechi meno energie, ti viene tutto più naturale."
Mena si trattenne dal sorridere. Aveva intuito il gioco di Valerio: prima la panca per attirare l’attenzione, ora questo “consiglio” come scusa per avvicinarsi e osservarla più da vicino. Ci vedeva una certa sfacciataggine, ma anche una sicurezza che, doveva ammettere, non le dispiaceva. Con un leggero cenno del capo, decise di far finta di nulla.
"Così?" Chiese Mena, facendo come le aveva suggerito e continuando gli squat, spingendo con forza e precisione, notando come lo sguardo di Valerio si posasse su di lei, attento a ogni movimento.
"Perfetto." Rispose lui, osservandola con un’espressione compiaciuta. "Vedi? Con un piccolo aggiustamento, diventa tutto più semplice."
Mena, continuando gli squat, lo sfidò con un mezzo sorriso. "Tieni d’occhio ogni dettaglio, eh?"
"Embè, qualcuno doveva pur sacrificarsi, no?" Rispose Valerio, ridacchiando e mantenendo spudoratamente gli occhi sulle sue morbide colline coperte dal sudore.
“Ehm… va meglio adesso? Non senti anche tu la differenza?” Le chiese Valerio, con un mezzo sorriso.
“Sì, credo di sì,” replicò Mena e, sorridendo, intensificò i movimenti, saltellando con più energia, e aggiunse: “Con gli squat è così: all’inizio è difficile, ma quando prendi il ritmo…”
Valerio quasi iniziò a sbavare sentendo il doppio senso nelle sue parole, senza smettere di aggiustarsi il pacco e lei si rese conto di quanto fosse divertente farlo rimanere in quell’equilibrio tra concentrazione ed eccitazione.
Sembrava una situazione degna di quelle che descriveva nelle sue conversazioni online con i suoi clienti.
Era un tasto dolente per Mena e il pensiero la bloccò. Risolti i suoi problemi economici, aveva pensato fosse giusto sospendere il suo account. I suoi giorni come “arrizza-cazzi online” era finiti.
Quando lo aveva deciso ne era stata sollevata. Adesso, invece, le capitava spesso di ripensare a quei giorni bollenti. Non si masturbava decentemente da allora, questa era la verità che non aveva avuto il coraggio di confessare al Don.
Adesso doveva riprendere i panni della madre, rispettabile e dedita alle cure della sua famiglia.
Che avrebbe pensato suo figlio Toni di lei se avesse scoperto la sua vecchia “doppia vita?” Meglio non pensarci.
Interruppe gli squat, con sommo dispiacere del bulletto.
“Io vado.” Disse Mena, facendosi più seria, decisa a tornare nello spogliatoio e a rimettersi il reggiseno, visto che aveva già attirato abbastanza attenzione.
“Perché?” Replicò Valerio con un sorrisetto. “Puoi rimanere se vuoi, a me non dà nessun fastidio.” Aggiunse lui, sempre con quello sguardo curioso che passava rapido dal viso al seno prorompente di lei.
"Tra poco la palestra riapre e non mi piace stare qui quando è affollata." Concluse Mena facendo un cenno verso la porta.
Lui la guardò con un sorriso rilassato. "Io resto ancora un po’," risponde, stiracchiandosi. "Mi sono allenato troppo poco per oggi."
“Ci vediamo, Valerio.” Lo salutò, lasciandolo solo.
Mena entrò nello spogliatoio e si concesse un attimo per riprendere fiato, dirigendosi verso il borsone con il cambio.
Si affrettò a togliersi la maglietta, recuperando finalmente il reggiseno coppa D, colore rosa.
Mentre stava per indossarlo, sentì un’improvvisa scarica di emozione al pensiero di essere "scoperta" proprio in quel momento, magari da Valerio.
Esitò, lasciando che la parte più maliziosa le sussurrasse qualcosa, cercando di convincerla… Si scoprì eccitata al pensiero di essere scoperta con le succose bocce al vento, solo coi pantaloni neri della tuta indosso.
Dopo qualche attimo di indecisione, in maniera quasi inconscia cedette alla tentazione, e corse il rischio.
Rimanendo in piedi, appoggiò la maglietta bianca sulla panca.
Ora era davvero libera, finalmente in topless.
Un brivido le percorse la schiena, mentre fissava la porta con attenzione, cercando di percepire il suono di passi che si avvicinavano, ma non sentì nulla. Afferrò il reggiseno, pronta a indossarlo, ma si fermò, indecisa, tenendolo sulle cosce. Alzò una mano come per grattarsi la pancia tonica, ma la mano proseguì lentamente, di vita propria, fino a sfiorare con il dorso la curva del seno nudo.
A quel punto non riuscì a resistere alla tentazione e con delicatezza posò le dita attorno ad una delle sue grosse mammelle, facendo salire l'altra mano per esplorare pienamente la superficie così familiare di quei globi di piacere.
Il reggiseno cade per terra, inutile.
Dopo pochi minuti, il massaggio diventò progressivamente più audace, nonostante il timore che qualcuno potesse entrare da un momento all'altro.
Le sue splendide tette reclamavano l'attenzione che troppo spesso in quelle ultime notti si era negata.
Le stringeva grosse e sode nelle sue mani. I capezzoli sempre più sensibili reagivano a quelle carezze facendola mugolare di piacere.
Nemmeno sembra interessarle si rischiare di essere sentita o vista da Valerio. Anzi...il pensiero di quel ragazzo così vicino e di aveva appena saggiato i muscoli la eccitava ancora di più.
Non poté non pensare a quel cazzo possente, di cui aveva solo intuito la forma e la consistenza ma di cui da subito aveva sentito la voglia e il desiderio.
Anzi, Mena si scoprì sempre più eccitata proprio dalla possibilità di essere scoperta e iniziò a mugolare: “Mmmmm”, mentre strizzava tra loro le grandi tette, stimolando sempre più sfacciatamente i capezzoli turgidi. Ormai avvertiva chiaramente di avere le mutandine irrorate dei propri umori.
“Mmmmm”.. Sussurrò Mena, indecisa.
Avrebbe voluto stimolare la propria fica bagnata ma cercò di trattenersi, anche se nulla le impediva di sfregare le gambe l’una contro l’altra, facendola bagnare ancora di più.
Ormai si stava palpando i seni spudoratamente, con tanta veemenza da sentirle indolenzite sotto le sue dita affusolate …pensava a come fosse stata in grado di fare arrapare quel ragazzo con un semplice esercizio fisico. Era brava a emozionare con le parole, ma anche il suo corpo la aiutava a gettare gli uomini ai suoi piedi.
E la sua attitudine da birichina non guastava.
A quel punto Mena chiuse gli occhi e tirò fuori la lingua, lasciandosi andare, infilando con cautela una mano nelle mutandine e percependo come fosse subito accolta dal tessuto bagnato e appiccicoso grazie ai suoi umori.
Cominciò a stuzzicare i pochi peli sul pube curato, frizionando le labbra sensibili e la clitoride con tocchi leggeri, che le suscitarono onde di piacere crescente.
Finalmente si sentiva pronta ad avere un orgasmo come si deve, ora non doveva più controllarsi.
La figura di Valerio, con il suo fisico scolpito, si insinuò nella sua mente, evocando inaspettatamente che quel corpo, così atletico e muscoloso, appartenesse a Toni, suo figlio.
Era come se stesse vedendo una versione più adulta del proprio figlio, anche se tra i due c’era un abisso: in quanto a educazione, intelligenza e sensibilità, suo figlio era di un altro pianeta.
Mena si fermò un attimo, guardandosi allo specchio e sforzandosi di allontanare quel pensiero, ma non ci riuscì completamente. Sentiva l’orgasmo avvicinarsi, tanto strisciante quanto inaspettatamente rapido e si preparò ad accogliere quel piacere, nonostante quello strano e inopportuno confronto tra Valerio e suo figlio.
Purtroppo, proprio in quel momento, Mena sentì dei passi veloci avvicinarsi alla porta dello spogliatoio. Non fece in tempo a girarsi che la porta si aprì di colpo. Valerio entrò con passo svelto, quasi di corsa.
“Eh, senti… posso entrà un attimo?” Chiese con voce un po’ concitata. “Mi scappa da morì e il bagno dello spogliatoio maschile è chiuso. Ci metto due secondi, giuro.”
Mena si paralizzò per un attimo. La sorpresa la colse impreparata e il cuore le balzò in gola. In un lampo, si girò per cercare di rivestirsi più in fretta possibile, ma nel farlo il reggiseno le scivolò per terra.
"Eh… sì, certo," rispose, cercando di sembrare tranquilla, ma il suo respiro tradiva la sua agitazione. "Fai pure, sto quasi finendo."
Mena, cercando di mantenere la calma, si nascose dietro gli attaccapanni, cercando di non far trasparire troppo la sua eccitazione, ma dentro di sé era completamente tesa per l’orgasmo interrotto mentre le gambe le tremavano.
Non poté fare a meno di seguire Valerio con lo sguardo mentre si dirigeva verso il bagno, lasciando la porta aperta per la fretta. Mena lo guardò correre, e non poté evitare di pensare che il ragazzo stesse facendo pipì a pochi metri da lei.
Il suo cuore batté forte quando, senza pensarci troppo, Mena si chinò lateralmente sulla panca, cercando di vedere oltre lo stipite della porta che separa lo spogliatoio dal bagno. Sapeva di non voler essere scoperta, ma la sua mente era invasa da immagini che non poteva non guardare.
Quasi con dispiacere vide solo la schiena e un accenno del sedere del ragazzo, sentendo invece il rumore di un potente getto di urina e un mormorio di sollievo da parte di Valerio.
Mena lo osservava attentamente mentre lui, ancora un po' imbarazzato, cercava di alzare i pantaloncini dopo la minzione. Ma nel farlo chiuse leggermente le gambe; il gesto ebbe un effetto imprevisto: i pantaloncini scivolano completamente giù, finendo sul pavimento bagnato dall’acqua delle docce.
"Ma porca...! Ecco perfetto!" Sbottò Valerio, non riuscendo a trattenere il suo disappunto, mentre si chinava per raccogliere i pantaloncini, lanciando un'occhiata furtiva in direzione dello spogliatoio.
“Mè!”
“Sì?”
“Puoi venì un attimo, per cortesia?” Disse Valerio, voltandosi in direzione del muro.
“Arrivo.”
Mena, che aveva seguito ogni singolo movimento con attenzione, tremendamente divertita dalla comicità della scena, arrivò rapidamente.
"Che c'è?" chiede Mena, fingendo una totale innocenza, ma con un tono che non nascondeva del tutto la sua curiosità.
Vide chiaramente il sedere liscio, alto e muscoloso senza neanche un pelo.
Valerio aveva il viso di una leggera sfumatura rossa, segno che stava cercando di mantenere il controllo sulla situazione, ma che l'imbarazzo era evidente.
"Guarda che casino, ora son tutti bagnati! Dio…" Imprecò il ragazzo.
Mena riuscì a trattenere le risate ma non la sua risposta. “Se me li dai, te li asciugo di qua col phon.” Disse, ridacchiando appena. La sua mente, presa dalla complicità del momento, si rese conto solo dopo di cosa aveva appena suggerito, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Valerio, inizialmente interdetto e sorpreso dalla proposta di Mena, restò un attimo in silenzio, come se stesse cercando di capire se avesse sentito bene.
"Grazie, Mè, sei gentile." Rispose.
Mena si chinò a prendere i pantaloncini, sentendo una leggera tensione nell'aria e decise di prendersi il tempo di un’occhiata furtiva tra le gambe del ragazzo; stavolta vide fugacemente lo scroto, con i testicoli gonfi e lisci e l’ombra di quel bel tubo dondolante che aveva già visto sotto i pantaloncini del ragazzo. Per un istante fu tentata di dargli una pacca sul sedere, quasi come una provocazione scherzosa. Poi fece uno scatto e tornò nello spogliatoio con i pantaloncini in mano, azionando il phon per asciugarli. Il rumore del phon e il calore che iniziava ad emanare la misero in una bolla di concentrazione. La stoffa elasticizzata dei pantaloncini era leggera, ma molto bagnata, e Mena si accorse che ci sarebbe voluto qualche minuto perché tutta l'acqua evaporasse. La sensazione di tenere quei pantaloncini tra le mani la suggestionava, le sembrava quasi di percepire l’odore del membro di Valerio.
E pensare che aveva lavato quintali di boxer di suo figlio Toni, senza fare certi pensieri. Eppure l’odore le sembrava lo stesso. Aroma vigoroso, essenza mascolina. In parole povere, sborra. Sperma. A quell’età i ragazzi ne sono ben carichi e sicuramente Toni non faceva eccezione, così come Valerio.
Mena fantasticò di annusare quei pantaloncini per sentire meglio quell’odore virile, mentre le passava sotto agli occhi l’immagine di quel nerbo massiccio penzolante tra le gambe del ragazzo e quei coglioni gonfi.
Era tremendamente eccitata e non desiderava altro che di finire quel teatrino e andare a casa a darsi sollievo.
“Ora gli faccio questo piacere e stop.” Si ripeté mentalmente.
“Ecco qua”, sillabò Mena, con voce leggermente tremante, portandogli il pantaloncino asciutto e voltando il capo per non guardargli i genitali.
Valerio lo prese e la ringrazio, divertito. “Grazie, Mè.” Rispose con un sorriso che non nascondeva una certa complicità.
Mena non riuscì a trattenersi e, con un tono scherzoso, tirò una frecciatina: “Certo che almeno un paio di boxer potevi indossarli…”
“E perché dovrei? Preferisco essere “libero”, penso che tu mi capirai.” Il tono di Valerio era nervoso, ma c’era una sfumatura sfrontata che Mena non poteva ignorare. Lei rispose, ormai presa dal gioco di sguardi e parole. “Sì, beh, in effetti anche io, prima di allenarmi, mi son dovuta togliere il reggiseno perché mi stava stretto…” Disse con un tono apparentemente casuale, ma carico di una certa malizia.
Valerio, evidentemente preso di sorpresa, rispose quasi subito, ma con una punta di imbarazzo: “Embè, me ne sono accorto prima.” La sua voce era un po' più bassa, come se volesse nascondere quel momento di consapevolezza, ma era impossibile ignorare che Mena lo avesse incalzato.
Senza esitare, Mena decise di calcare ulteriormente la mano, spingendosi ancora oltre nella sua malizia. "Il problema è che ho un seno... grosso, e con questa maglietta si nota molto, infatti ero rientrata per rimettermelo." Disse Mena, non credendo nemmeno lei alla civetteria nella sua voce e cercò di cambiare subito argomento, aggiungendo: “Sono più asciutti, adesso? Stai comodo?”
Stavolta Valerio rispose con un tono più rilassato. "Ancora un attimo… ecco."
Disse, finalmente voltandosi verso di lei e mostrandole un cazzo duro in piena e indecente erezione.
“Oddio! Valerio!”
Il pantaloncino abbassato e le mani di Valerio sui fianchi conferivano a quella scena un aspetto surreale.
Mena cercò di distogliere lo sguardo da quel cazzone eretto, ma non poteva farci niente. L’occhio andava dove voleva e quanta abbondanza c’era tra quelle cosce!
“Valerio..”
I loro occhi si incontrarono e Mena avvertì un'improvvisa ondata di calore, le mani che si inumidivano di sudore, le cosce che strusciavano, la vulva inzuppata di umori bollenti.
Il membro di Valerio era degno di nota. Adesso che Mena lo vedeva chiaramente, aveva delle dimensioni ragguardevoli. Il tronco era venoso e piuttosto lungo, la cappella rosa e umida di pre-sperma. La pelle del cazzo non riusciva a trattenerla e Valerio provvide subito a liberarla del tutto con uno strattone, mostrando un bulbo fuori norma, mentre l’aria si riempiva di quell’inconfondibile odore aspro e virile. Un profumo che una donna che ha accudito e cresciuto un figlio conosce molto bene. Odore di ormoni in libertà, afrore di cazzo.
Mena era in tachicardia, sentiva le guance tingersi di rosso, le labbra schiuse in un respiro trattenuto, e una vampata bollente le attraversava le cosce. Si passò una mano nervosa tra i capelli, come per sistemarli, e abbassò per un istante lo sguardo, quasi timida.
“Mè… m’arrapi, che te devo dì?” Rispose lui, sornione e fiero del suo grosso arnese. Appoggiò della saliva sul glande usando il pollice e lo scappellò un paio di volte, col suo sorrisetto sfrontato.
"Potrei essere tua madre." Disse Mena, vergognandosi come se avesse appena espresso una verità che risuonò nella stanza, un pensiero che prima non aveva mai osato formulare ad alta voce.
Valerio, però, non sembrò turbato, o almeno non come lei si aspettava. "Ma mica sei mì madre, vè?" Rispose secco, quasi se lo stesse chiedendo davvero.
I due si scambiarono un sorriso carico di tensione. Potrebbero dirsi altro, Mena potrebbe provare a dissuaderlo ma la verità è che aveva la salivazione così alta da non riuscire ad aggiungere nulla senza sbavare.
Lui la guardò con il solito sorrisetto fastidioso. Mena, allora, lo fissò con un'aria ancora più sfrontata, incrociando le braccia sulle tette roventi e facendo ruotare nervosamente il tallone, come se volesse prendere il controllo della situazione.
Poi, con un sorriso malizioso, Valerio la guardò ancora, come se volesse dirle: "Ti piace quel che vedi?"
In risposta, Mena arricciò le labbra, sorridendo un po' tesa, come a rispondere: "Non male, ma ho visto di meglio."
Il moro non aveva molto da aggiungere e cominciò a masturbarsi davanti agli occhi di Mena, sconcertata.
Nell’aria si sentiva solo il rumore della masturbazione di Valerio, il ritmo della sega che cresceva progressivamente.
Mena non poteva accorgersene, ma aveva stampato in volto uno sguardo da puttana vogliosa di cui si sarebbe vergognata terribilmente, se lo avesse potuto vedere dall’esterno, mentre si mordicchiava le labbra e la lingua si muoveva senza ritegno sul contorno della sua bocca inquieta.
Sapeva solo di avere le mutandine fradice e di non sapere che fare, le gambe pesanti come il piombo fuso.
Fu Valerio ad agire: con un gesto silenzioso ma deciso, fece cenno a Mena di avvicinarsi, continuando a masturbarsi con l’altra mano. Che c’era di male? Voleva darle quello che in fondo lei desiderava ardentemente da mesi: un po' di sollievo carnale, una scopata senza troppe complicazioni.
Mena, però, rimase immobile, il cuore in tumulto. La tentazione era forte, vide quel randello di carne tesò verso l'alto e iniziò a pensare a come starebbe bene appoggiato tra le sue tettone.
Esitò per un momento, indecisa tra l'impulso di andarsene e il desiderio di coccolare, assaporare, accogliere quel membro turgido dentro di sé. Poi, con un sorriso che tradiva l'emozione, fece un passo verso di lui, cercando di mantenere un'apparenza sicura mentre dentro avvertiva un turbine di sensazioni erotiche.
Cazzo. Visto da vicino è palesemente un cazzo più lungo e grosso di quello di suo marito. Decise che si sarebbe fatta fottere da dietro, per sentirlo tutto dentro.
Dio. Che stava facendo? Il suo corpo ruggiva, la sua fica trasudava umori e la implorava di infilare quella mazza rovente fino alla cervice.
Un altro passo.
Di colpo, Mena ebbe un sussulto.
Suo marito, a casa, la aspettava, malato. Non poteva fargli questo.
Quel pensiero, per quanto doloroso, le fece tirare il freno.
Mena riuscì solo a mormorare: "Devo andare.” E così, senza voltarsi indietro, uscì dallo spogliatoio.
Riuscì appena a sentire il gemito infastidito di Valerio, carico di desiderio insoddisfatto, nonché il suo commento: “Ma siete tutte na manica de profumiere in sta città? Porco…!”
Lia
I rampicanti avvolgevano il cancello della villetta come sottili fili carichi di tensione e desiderio e Lia non poté esimersi dal prendere il telefono in mano, mandando un altro messaggio ad Anna. "Voglio baciarti ovunque. Stanotte mi penserai?” Aggiunse un cuore e si morse un labbro. Non aveva il coraggio di chiederle una foto dei suoi seni piccoli e perfetti, ma avrebbe tanto voluto rivederli. Anna era l'unica cosa che riusciva a scuoterla, a farle battere il cuore in quel suo esilio dorato.
Da sei mesi viveva lì, al nord, nei pressi dell’università.
Sua madre non aveva badato a spese, pur di farla andare via: le aveva preso una casa bella, spaziosa e con un giardino curato. Annoiata, Lia aveva iniziato a frequentare le lezioni universitarie, per quanto svogliatamente.
Si riscosse, sentendo il ghiaietto del cortile di casa scricchiolare.
Alzò lo sguardo dal telefono e rimase pietrificata, come se avesse visto un fantasma. Incredibile.
C’era suo padre Sergio, davanti al portone.
“Ciao, Lia.”
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