Morbosa Corrispondenza – Capitolo 14
di
mari1980
genere
incesti
Lia
Le dita di Lia, nervose e irrequiete, arricciavano una ciocca di capelli dopo l’altra mentre fissava la figura di suo padre Sergio che si stagliava contro la luce della cucina.
Non lo vedeva da mesi. L’ultima volta che l’aveva salutato all’aeroporto sembrava tranquillo, quasi come se si fosse sfogato da poco.
Cos’era successo nel frattempo?
Lia incrociò le braccia, le dita strette a pugno, le unghie che affondavano nei palmi; lo esaminò con calma e notò la barba lunga, i vestiti macchiati e l’assenza di valige; lo sguardo di Sergio era scavato e stanco.
Lia lo fissò negli occhi azzurri e freddi, così identici ai suoi, cercando uno spiraglio di dispiacere. Invece vi trovò solo stanchezza e una scintilla di oscura ostinazione.
“Non hai pensato di chiamarmi almeno una volta?” Chiese Lia con un tono tagliente.
Sergio sospirò, poggiandosi al tavolo con le mani e stringendone il bordo come se volesse ancorarsi a quella superficie.
La sua voce rimase calma, quasi flebile.
“Lia, io… non è stato semplice.”
“Cosa? Sparire? Nessuno mi ha saputo dire cosa cazzo fosse successo dopo la mia partenza!” Si accorse di aver quasi urlato.
“Fammi spiegare, ti prego!”
“Cosa vuoi spiegare? Non sono stupida. Hai litigato con mamma, vero?”
“Non era difficile immaginarlo, in effetti”. Rispose Sergio, caustico.
“Perché?”
“Per te.”
“Me?”
“Abbiamo discusso sul tuo futuro, ma la verità è che sei stata solo il pretesto di quel litigio. Era da tanto che desideravo abbandonare quello schifo di posto”.
“Vedi la differenza tra me e te, Papà? Io non sono scappata, l’ho affrontata. E adesso la mamma mi ha cacciato di casa.”
“Perché?”
“Poi ti spiego..Non cambiare argomento. Resta il fatto che non hai avvisato nessuno della tua partenza.”
“Non ero lucido. Sono andato via, ho passato un periodo turbolento, ho provato a distrarmi.”
“Distrarti?”
Lia trasalì, la rabbia montandole nel petto come un’onda pronta a infrangersi contro una diga fragile.
“E adesso?” Urlò, piegata in avanti, sfidandolo con lo sguardo.
“Adesso ti sono finiti i soldi, vero? È per questo che sei qui! Perché vuoi che convinca la mamma a riprenderti!”
Il padre deglutì, lo sguardo chino per un istante, prima di tornare a guardarla con un sorriso sardonico.
“Sì, sono al verde.”
Ammise con un cenno del capo.
“Ma non penso nemmeno per un secondo di tornare giù. Questo no.”
Lia scosse la testa incredula. “E come hai fatto a trovarmi? Non ti sei mai interessato a dove fossi.”
“Mi sono ricordato di questa casa. Tua madre l’aveva già adocchiata per te. Sono venuto qui a cercarti…”
“Per quale motivo?”
“Per chiederti un posto dove dormire, tutto qui. Non ho nemmeno i soldi per un ostello.”
Lia lo guardò con occhi freddi, le mani che si chiudevano a pugno.
“Ti prego.. Lia..”
La tentazione di cacciarlo fuori le vibrava dentro, una scintilla di orgoglio ferito che pulsava con ogni battito del cuore. Anna avrebbe saputo cosa fare. Lei lo sapeva sempre. Forse stava facendo una sciocchezza, ma il riflesso lucido nei suoi occhi, quel baluginio vulnerabile che non aveva mai visto prima, le fece tremare il cuore.
“Solo finché non avrai trovato un lavoro. Va bene?”
Sergio sorrise, sollevato.
“Grazie.. Mi dispiace di non averti avvisato della mia partenza, biondina. Tu sei l’unica a cui avrei voluto dirlo. Degli altri non mi interessa nulla.”
Lia sbuffò, innervosita: “I miei fratelli sono anche tuoi figli, ti ricordo. Lo avrebbero meritato tanto quanto me!”
Sergio scosse la testa, con un sorriso sprezzante che si trasformò in un cenno di disapprovazione. “Quei due sono sette spanne sotto di te. Lo sai anche tu. Sei sempre stata l’unica degna di rispetto. L’unica con cervello, con grinta. Il resto…”
“Basta!”
Lo interruppe, con voce indignata. Una parte segreta e scomoda del suo cuore si riscaldava al suono delle sue parole. Anche se era arrabbiata per quello che suo padre diceva, sentirsi scelta, speciale, le dava una soddisfazione che non voleva confessare nemmeno a sé stessa. Il peso del silenzio calò di nuovo tra loro, pesante come una coperta umida. Lia si strinse le braccia attorno al corpo, il cuore che le martellava nel petto.
“Scusa.. però l’ho sempre pensato, tutto qui.”
“Va bene..”
Perché arrabbiarsi? Dopotutto, anche lei era andata via di casa, esiliata da una madre incapace di tollerare chi non obbediva alle sue regole rigide. Erano due naufraghi alla deriva nello stesso mare. Sergio la fissava ancora, con quello sguardo che cercava di scavare dentro di lei, fragile e ostinato allo stesso tempo.
“Ti stai lasciando crescere i capelli? Ti stanno bene. Basta col caschetto! Alla tua età avevo una bella chioma bionda!”
Disse suo padre, sorridendo.
“E tu invece?” Lia lo osservò, trattenendo un sorriso. “Questa barba lunga e grigia ti sta malissimo. Dovresti raderti. Sembri un senzatetto.”
Sergio si portò una mano al mento, sfiorando la barba ispida con le dita lente.
“Davvero? Pensavo mi desse un’aria più vissuta.”
Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo, ma un accenno di risata le sfiorò le labbra. Gli indicò il corridoio. “La camera degli ospiti è in fondo, accanto alla mia. Puoi usare il bagno di servizio di fronte.”
Si chiese come stessero i suoi fratelli e se dovesse dire loro questa novità. Meglio di no. Sua madre avrebbe tramato qualcosa.
Forse lo avrebbe detto ad Anna. Fece una pausa, lo sguardo indurito, la voce che si abbassava roca: “vedi di non farmi pentire di questa convivenza.”
Anna
Dieci anni prima.
La febbre la consumava, il suo corpo intrappolato in un torpore che la estenuava e intorpidiva.
Anna era piccola ma ricordava quel malanno come se fosse ieri; distesa sul proprio letto, faticava a stare in piedi e le bruciavano gli occhi, il sudore le bagnava la fronte e i capelli neri, colandole lungo le tempie in rigagnoli caldi.
La porta di camera sua si aprì, piano. Suo padre Luigi entrò con una valigetta nera che odorava di disinfettante.
“Come sta la nostra malatina?”
Chiese Luigi con un lieve sorriso, come se stesse parlando a una paziente appena conosciuta. La voce era gentile ma distante, le parole calibrate con precisione, quasi fosse impegnato in una conversazione formale. La piccola Anna sentì il cuore stringersi. Avrebbe quasi voluto vederlo in apprensione.
Si sedette accanto a lei e il materasso scricchiolò per un istante a causa dell’aumento di peso. Aprì la valigetta e tirò fuori degli strumenti ordinati con cura: il termometro, lo stetoscopio, una piccola torcia. Prese il termometro, lo agitò con colpi secchi e lo infilò delicatamente sotto l’ascella di Anna.
Mentre aspettavano, le sollevò una palpebra per controllare gli occhi. Il suo tocco era leggero, quasi impercettibile. Le sfiorò la fronte con il dorso della mano, freddo e asciutto.
“La febbre è alta.” Disse lui, con un tono neutro, leggendo il termometro.
“Trentanove.”
Poi le prese il polso della piccola Anna, le dita premute contro la pelle sudata, contando i battiti con attenzione.
La piccola osservò il viso di suo padre, cercando invano un segno di preoccupazione o di tenerezza.
Prese lo stetoscopio, il freddo metallo la fece rabbrividire quando lo posò sul petto. “Respira profondamente”. Lei obbedì, il respiro si spezzò in piccoli colpi di tosse che lui ascoltò, annuendo.
“Stai migliorando, ma serve riposo e molti liquidi.”
Concluse suo padre, richiudendo la valigetta con un movimento controllato.
Anna, ancora febbricitante, lo guardò con occhi lucidi e spiritati. Un desiderio improvviso le scoppiò nel cuore: madida di sudore, si sollevò a fatica, tendendo le braccia verso di lui e chiedendo un abbraccio.
“Papà?”
Vide suo padre irrigidirsi e indietreggiare appena, alzando una mano tra loro.
“Meglio di no, tesoro. Potrei prendermi anch’io l’influenza.” Disse con un sorriso incerto, evitando lo sguardo della piccina.
La piccola Anna si distese nuovamente sul letto, il cuore stretto da una morsa di delusione che sembrava quasi fisica. Non disse nulla, dopotutto c’era abituata. Quella notte si accorse che le lacrime le pizzicavano gli occhi, calde sulla pelle sudata.
Teodora
Il dirigente scolastico aprì la porta del suo ufficio con un sorriso gentile e un cenno benevolo.
“Buongiorno signora Teodora, grazie per essere venuta.”
“Buongiorno, cosa voleva dirmi?”
Il preside, spiazzato, le fece segno di sedersi e iniziò a parlare, sorridendo.
“Spero che la messa di ieri sia stata di suo gradimento. Don Ugo ha parlato di continenza e temperanza, temi molto importanti, vero?”
Teodora, insaccata nel suo completo scuro, annuì.
“Sì, davvero interessante. Mi ha convocata per parlare della messa?”
Il preside, mantenendo un tono affabile, anche se più serio, si fece più diretto.
“Parole sempre preziose, soprattutto per i ragazzi di oggi. Purtroppo devo parlarle di un comportamento di suo figlio Alessio che non è stato propriamente in linea con questi principi di continenza.”
Teodora, sorpresa, lo fissò dritto degli occhi.
“Cosa intende dire?”
“Beh...” il preside fece una breve pausa, cercando le parole giuste. “Alessio, ultimamente, ha avuto dei comportamenti piuttosto disturbanti. Soprattutto verso le compagne di classe, se mi capisce”.
“È normale, è un ragazzo molto vivace. Una volta, i ragazzi corteggiavano le ragazze. Ha presente?”
“Ho presente, signora. Ma Alessio non ha corteggiato nessuna.”
“E che avrebbe fatto? Sentiamo.”
“Il personale scolastico lo ha visto mentre..”
“Mentre..?”
“Praticava la.. masturbazione sulla biancheria intima di alcune compagne durante l'ora di educazione fisica. Nello spogliatoio.”
Le orecchie di Teodora ronzavano, come se un brusio lontano la stesse deridendo.
Non era stato Luca a fare quelle porcherie.
Un brivido le percorse la schiena.
Il preside, notando la sua distrazione, la chiamò.
“Signora?”
Teodora si risvegliò di colpo e, un po' confusa, disse solo: “e adesso?”
“Il comportamento di Alessio è stato abbastanza serio da rischiare una sospensione. Ha mai valutato la possibilità di farlo supportare da uno psicologo?”
“Capisco.” Rispose, terribilmente preoccupata. Suo figlio non era matto.
“Apprezzo l’aiuto, signor Preside. Le assicuro che non si ripeterà. Spero che la cosa finisca qui, senza sospensioni.”
Il preside sorrise, leggermente insinuante.
“Siamo qui per aiutarlo. E, ovviamente, apprezziamo molto il suo sostegno alla scuola. Le donazioni che ha fatto sono state fondamentali per il miglioramento della nostra struttura.”
Teodora lo fissò, mascherando il proprio sollievo. Avido Ruffiano, era solo una questione di soldi. Come sempre.
“Spero che la scuola possa continuare su questa strada visto che intendo raddoppiare il mio contributo. L’istruzione prima di tutto.”
Il preside si schiarì la gola, quasi imbarazzato, preparandosi a replicare, poi cambiò idea e si limitò ad annuire.
Teodora si alzò per andarsene, una macchia nera che ondeggiava in una scuola grigia.
Mena
“Padre..”
“Eh…”
“Dai! Con questo entusiasmo, mi fai sentire una scocciatrice!”
“Scherzo, lo sai. Vorrei che tutte le mie parrocchiane fossero come te.”
“Disperate?”
“Stavo per dire “appassionate”, però credo che ci siamo capiti.”
“Grazie..”
Don Marco la guardò con calma e Mena si vergognò di essere meno curata del solito. Tuta e scarpe da ginnastica. Un’immediata sensazione di imbarazzo la colpì, anche se si trattava di un prete. In fondo era stato un periodo difficile e, a volte, l’aspetto esteriore doveva passare in secondo piano.
Sedendosi accanto a lei sulla panca, Don Marco le fece un cenno bonario, invitandola a parlare. “Dimmi pure, cara!”
“Ecco, io... vorrei sapere quale sia la posizione della Chiesa sui rapporti extraconiugali.”
Il prete sospirò, come se la domanda non fosse inaspettata. “La Chiesa è chiara su questo punto, Mena. I rapporti extraconiugali sono considerati.. molto male, perché vanno contro il sacramento del matrimonio.”
Mena annuì, ma la sua espressione non cambiò. “Ipoteticamente, sarebbero vietati anche se quella persona.. vivesse un momento complicato e pieno di dubbi?”
Don Marco sorrise, con un velo di malinconia. “Purtroppo, non sono io a fare le regole. Se dovessi essere sincero, direi a una buona credente di non tradire. E, se posso aggiungere, soprattutto se il marito stia attraversando un momento di difficoltà...”
Mena lo guardò per un attimo, poi abbassò lo sguardo, come se stesse cercando di riflettere su quelle parole. “Ho provato a seguire il tuo consiglio, a fare palestra. Ma, in realtà, è stato ancora peggio.”
Don Marco sollevò un sopracciglio, visibilmente sorpreso. “Davvero? Come mai?”
Mena sorrise amaramente. “È stato solo un altro modo per farmi sentire ancora più insoddisfatta. Te lo dico sinceramente, in palestra ho pensato di tradire mio marito Roberto. Sono una donna, ho dei bisogni, va bene?”
Don Marco la fissò, incuriosito. “E allora, perché non l'hai fatto?”
“Perché non sarebbe stato giusto! Roberto è lì, steso in un letto, senza coscienza, e io sono preda delle mie voglie, come se fossi una ragazzina in calore. In palestra ho avuto la soluzione a tutti i miei problemi a pochi passi da me e non l’ho colta per questi stupidi sensi di colpa!”
Mena alzò leggermente la voce, sollevata di aver confessato un momento così intimo al prete e, allo stesso tempo, timorosa di ulteriori domande sull’episodio di Valerio.
Per fortuna, Don Marco non volle approfondire.
“Sai, cara Mena, a volte pensiamo che certi rimedi possano essere la soluzione, ma poi ci accorgiamo che non risolvono nulla.” Disse don Marco, rassicurante .
Mena sembrò voler dire qualcosa per sfogarsi, ma si trattenne. Guardò il pavimento della sagrestia, con uno sguardo che tradiva una confusione interiore che non voleva mostrare.
“Cosa posso fare allora?” Chiese, con una voce che tradiva tutta la sua frustrazione.
“Mi sento così... persa, come se non ci fosse via d'uscita. Se tutti i miei valori mi dicono che devo rimanere fedele, ma il mio corpo mi spinge da un'altra parte... dove posso andare? Qual è la soluzione?”
L’espressione del prete si fece più seria, come se stesse cercando la giusta risposta. Il suo tono fu pacato, ma decisamente fermo.
“Mena... mi piacerebbe poterti dare la soluzione che cerchi, ma è qualcosa che va cercato dentro di te. La Chiesa non offre risposte facili, perché la vita spirituale è fatta di privazioni.”
Non c’era soluzione, quindi. Bene.
“Non so più che fare con... con me stessa. È un continuo tormento.” Disse Mena, quasi singhiozzando.
“Non piangere.. Una soluzione ci sarebbe.”
Mena alzò un sopracciglio, interessata. “Quale?”
Don Marco la guardò con attenzione, poi, senza distogliere lo sguardo, proseguì.
“Premessa. Non è una vera e propria soluzione. Diciamo che è un palliativo, però è l’unico modo che vedo per aiutarti con le tue.. voglie.”
“Le mie.. voglie?”
“Non è il massimo dell’ortodossia, ma..”
Per un istante Mena pensò che il prete si stesse proponendo come “amante volontario” e il pensiero la fece sorridere. E, inaspettatamente, eccitare.
“Non capisco, Don. A cosa ti riferisci?”
“Beh, credo che tu lo abbia intuito.. o sbaglio?”
“È quello che penso?”
“Se te lo chiedessero, io non ti ho proposto nulla. Però, se proprio tu non riuscissi a resistere..”
“Don.. lo faresti davvero per me?” Sussurrò Mena, stringendo le cosce e scoprendosi bagnata. Quella conversazione stava diventando decisamente interessante.
L’occhiata interrogativa di Don Marco le fece comprendere l’equivoco: “Aspetta.. Guarda che mi riferivo a.. fare da sé! ..”
“Ah! La masturbazione?” Che figura, pensò Mena. L’astinenza le stava bruciando la mente.
“Sì! Che avevi capito?”
“Eh, non ero sicura!”
Don Marco proseguì, il volto paonazzo, in un lungo discorso dottrinale. “In realtà la Chiesa ha una politica rigorosa contro la masturbazione”. Mena non poté evitare di sospettare che il bel prete avesse un’erezione ben nascosta dall’abito talare e stesse cercando di farsela passare.
“Per la Chiesa è un atto comunque sbagliato che distoglie la persona dal vero amore e dalla sua relazione con Dio. Però..”
“Però?” Chiese Mena, le gote arrossate.
“È meglio dell’infedeltà..”
“Capisco. Sbaglio o il mio confessore mi ha appena suggerito di masturbarmi più spesso?”
“Mena..” Il prete scosse la testa, chiudendo gli occhi.
“Scusa! Scherzavo!” Ridacchiò la donna.
“Non è la soluzione che volevi. È un palliativo per tenere a bada i sensi. Nell’attesa che le cose migliorino.”
“E se non dovessero migliorare?”
“Il punto è che dobbiamo imparare a governare le nostre inclinazioni, a non lasciarci dominare da esse. La via della fede non è una strada facile, ma è l’unica che porta alla vera pace.”
“Ma cosa succede a chi non riesce a seguire questa via? A chi non ce la fa?” Chiese Mena, la voce bassa.
Don Marco le si avvicinò. “Quello che succede è che la persona deve chiedere aiuto, Mena. Quando vorrai parlare, saprai che sono sempre qui.”
Mena sospirò. Non riusciva a capire se quelle parole fossero una salvezza o una condanna.
Alessio
“Tua madre ti farà nero! Lo sai, vero?” Gli dicevano i compagni di scuola, sghignazzando e dandosi di gomito.
“Ciao, mutandino!”
Alessio non reagiva, ma sentiva il cuore battere forte nel petto e le ginocchia che tremavano, come se il mondo stesse per crollargli addosso. Non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione di paura che lo accompagnava lungo il tragitto. Aveva ancora in mente le torture a cui era stato sottoposto Luca.
Adesso era il suo turno?
Quando arrivò a casa, la porta si chiuse dietro di lui con un suono pesante. Si fermò nel corridoio e vide sua madre, Teodora, seduta sul divano, che lo fissava. Non sembrava arrabbiata, ma l’espressione del suo volto era gelida, come se ogni parola potesse essere una condanna.
“Alessio.” Disse lei, la voce bassa, ma incisiva. Lui, incapace di rispondere subito, si avvicinò, sperando che almeno Luca, suo fratello, potesse difenderlo. “Luca, stai con me.” Mormorò Alessio, stringendo il braccio di lui, ma Luca, con uno sguardo terrorizzato, si liberò rapidamente e si rinchiuse in camera senza dire una parola.
Teodora parlò di nuovo, senza alzare la voce, ma con una freddezza che lo fece gelare. “Chiudi la porta, Alessio. Dobbiamo parlare.”
Marta
“Ho sete!”
“Arrivo, tesoro. Aspetta solo un attimo!”
Ma quanto era diventato premuroso, il suo robottino? Quando Luigi era solo uno dei primari del suo ospedale, la considerava appena. Un’infermiera tra le tante. Scoprire il “punto debole” del dottore aveva richiesto tempo, me ne era valsa la pena.
Preoccupato, corse da lei, portandole un bel bicchiere d’acqua che Marta bevve appena; quando lo vide entrare, rabbrividì e fece uno sforzo per sembrare ancora più vulnerabile.
"Tesoro, che succede?" Chiese Luigi, allarmato.
"Mi sento davvero male," mormorò la ragazza, alzando appena lo sguardo verso di lui.
"Mi fa tanto male la testa e... sono così stanca." Luigi annuì, serio.
Sdraiata sul divano, Marta aveva assunto una postura debole, il ritratto stesso della fragilità.
Lui si avvicinò, mettendole una mano sulla fronte; Marta fece un piccolo movimento per far scivolare il suo corpo più vicino al suo e, mentre allungava un braccio in un velato abbraccio, distrattamente appoggiò la mano sulla gamba del dottore.
Luigi non fece una piega. “Scotti. Dobbiamo misurarti la temperatura, vediamo com’è.”
Marta si sdraiò sul letto, mentre Luigi le sistemava delicatamente il termometro sotto l'ascella; il lettino non era tanto largo, ma la distanza tra loro era minima e Marta ne approfittò per spostare la mano e sfiorargli la coscia.
"Spero che non sia troppo alta." Disse Marta, preoccupata.
Luigi spostò la mano per posizionare meglio il termometro; lei non attendeva altro: diede una spintarella che spostò il termometro tra i suoi seni, proprio in mezzo alla scollatura della camicetta.
Marta sussultò, sorpresa da quell'imprevisto. "Papà... il termometro..”
Ormai aveva letto le istruzioni e sapeva dove si trovassero le batterie del suo piccolo giocattolino. Aveva già il membro turgido, Marta lo vedeva muoversi nei pantaloni.
Resosi conto del piccolo incidente, Luigi esclamò imbarazzato: "Scusa tesoro! Non era mia intenzione.”
Tremante, il dottore inserì la mano nella scollatura, proprio tra le tette di Marta; stava per stringere il termometro, quando la ragazza gli afferrò le dita, indirizzandola su una delle grosse mammelle, abbondante sotto il lino, contro cui premevano i capezzoli dritti.
“Piccola..”
Luigi chiuse gli occhi e soppesò quel seno, lo fece dondolare e lo strinse ritmicamente, facendola tremare di piacere mentre le ginocchia del porcello vibravano; stuzzicò il capezzolo, lo prese fra il pollice e l’indice e lo strinse fino a farla gemere, mentre lei appoggiò le dita sul pantalone, sentendone la durezza.
È ancora presto, pensò Marta, fermando quella mano. Divertiamoci un altro po'.
“Papà?” Sussurrò.
“Sì, tesoro?” Rispose Luigi, riscuotendosi con il seno di Marta in mano.
“Allora, questa febbre?”
“Sì.. Scusa.”
Le mani tremanti, Luigi lasciò a malincuore quel seno massiccio e riposizionò il termometro correttamente, cercando di mantenere la sua professionalità.
Marta, vedendo l’imbarazzo del suo robo-medico, non poté fare a meno di sorridere.
"Tranquillo, papà. A volte può capitare."
Luigi fece una risata nervosa. "Temperatura nella norma." Disse infine.
“Ma papà, io scotto da matti! Quel termometro non funziona.” Marta iniziò a sbuffare, come un’adolescente capricciosa.
"Piccola.." Disse Luigi, palesemente arrapato.
“Ma papà! Ti dico che mi sento un febbrone! Non hai un altro termometro?”
“Beh..sì certo. Ci sarebbe il termometro rettale. È il metodo più preciso.”
Marta annuì, soddisfatta e aggiunse: “ma non sarà troppo scomodo, vero?"
Luigi sorrise e scosse la testa. "No, amore di papà. Non sarà scomodo, farò in modo che tu non provi alcun disagio. Ti spiego passo per passo cosa succederà."
Quel tono così professionale, “da medico”, non riusciva a nascondere quanto fosse infoiato.
“Di te mi fido, papà..” Sorrise, un angioletto.
“Userò un lubrificante per garantire che il termometro scivoli senza causarti fastidi.”
Luigi estrasse dalla valigia un termometro rettale lungo circa 15 centimetri che ricevette un’occhiata eloquente da Marta, ancora più eccitata.
“È quello il termometro, papà?”
“Uhm.. Sì. Come vedi ha una superficie liscia e lucida con una punta arrotondata e morbida, progettata per ridurre al minimo ogni tipo di fastidio o irritazione durante.. l'inserimento.”
“Mi farà male?”
“No.. Perché userò questo..” Luigi tirò fuori un tubetto di lubrificante medico e ne spalmò alcune gocce sulla punta del termometro.
“Una bella dose di lubrificante garantirà un inserimento scorrevole.. Sdraiati su un fianco, con le gambe piegate verso l'addome.”
Con un gesto malizioso, Marta si tolse le mutandine e si mise su un fianco. Luigi trasalì. Tutta glabra, l’ano bene in vista.
“E adesso, papà?”
“Quand’eri piccola, avevo un trucchetto che ti aiutava. Applicavo un po' di lubrificante direttamente qui.. sulla rosellina, per facilitare il termometro.”
“Mmm… è piacevole..” Questa piccola fantasia si stava rivelando intrigante.
“Pronta?”
“Piano..”
Quando il termometro fu finalmente in posizione, Luigi lo inserì nell’ano di Marta, lentamente e con molta delicatezza.
"Rilassati, piccola." Disse. "Non ci vorrà molto."
Marta spinse il bacino verso il basso, sentendo il termometro riempirla piano e strappandole un gemito.
Quando finalmente concluse la misurazione, Luigi lo estrasse delicatamente e guardò i risultati con attenzione. "Ecco, piccina." Disse con tono rassicurante. "La tua temperatura è perfettamente nella norma. Non c'è nulla di cui preoccuparsi."
Marta, che ancora sentiva il calore nel corpo, guardò il termometro perplessa. "Ma io continuo a sentire così tanto caldo, papà. Il termometro non sarà guasto?"
“Non credo, piccina.” Luigi le accarezzò una guancia, emozionato.
Sorniona, Marta sorrise di rimando e appoggiò platealmente una mano sul pacco del “paparino”. Puro granito.
“Nooooo! Riprova! Misurala meglio stavolta! Daiiii.”
“Va.. va bene..Rimettiti in posizione.."
Marta si stese di nuovo, ancheggiando leggermente.
“Sono pronta.. papà?”
Dallo specchio della camera lo guardò mentre spiegava come lubrificare correttamente il suo ano. Allo stesso tempo, le sue dita stavano lavorando con cura il fluido scivoloso nel suo buchetto, facilitando l'apertura del suo sfintere. Le sensazioni che provava la distraevano dalle sue parole.
“Ecco il termometro, piccina..”
Marta spinse i fianchi all'indietro e sentì la mano di Luigi scivolare sul suo fianco; lo vide togliersi il pantalone e tirar fuori quel bel cazzo duro, con la cappella paonazza, portandolo con la mano tra le sue natiche. Cercò l’ano con un dito e poi spinse leggermente.
I suoi occhi si spalancarono quando sentì il cazzo di Luigi scivolare tra le sue natiche formose e il glande ben lubrificato premere contro il suo ano.
Poi fu improvvisamente colpita dall’ingresso della punta palpitante della cappella dentro di lei.
Ansimò e si morse il labbro, mentre quel bastone di carne ben oliata si fece strada più a fondo dentro di lei, spalancandole le natiche e il suo buco del culo si arrendeva al cazzo granitico che lo stava costringendo a schiudersi.
Si morse la mano quando il resto di quel cazzo le scivolò inesorabilmente su per il culo.
Dio, pensò. Bollente e durissimo, il suo robo-cazzo. Tutta l’eccitazione di prima stava dando bei frutti.
Poi, ansimò e cercò di rilassarsi mentre le riempiva il sedere arrapato con il suo fantastico attrezzo; Marta era troppo occupata ad ansimare per preoccuparsi del dolore che le squassava le viscere.
Il male stava rapidamente diminuendo mentre gli agenti paralizzanti nel lubrificante lenivano le terminazioni nervose dello sfintere.
“Papà, fermati, fermati, fermati! Mi brucia il culetto, che gli stai facendo?”
Luigi la afferrò per le braccia, guidandola con forza ma anche con una certa precisione, facendole piegare le ginocchia e mettere le mani sul letto, assumendo una posizione a quattro zampe.
“Cucciola rilassati.. spingi come se dovessi fare tanta cacca, respira!“
Meno male che aveva fatto un clisterino, pensò Marta e sentì le sue mani precise che le allargavano le natiche; poteva vederlo allo specchio mentre si inginocchiava dietro di lei e rimetteva il suo cazzo nel suo tenero buco del culo. Poi una pressione forte, tutta la forza di Luigi concentrata sulla punta del suo cazzo eretto.
“Quale.. termometro è questo?”
Marta fu stupita di sentirlo diventare ancora più duro dentro di lei mentre guardava la sua asta durissima che entrava e usciva.
“È il cannone di papà, lo senti?” Spinse.
“Ahia! Fermati papà! Il cannone mi fa male, fermati! Non l’ho mai fatto, fai piano! Va bene, lo confesso!”
Era una tale eccitazione vedere la lussuria sul suo viso mentre guardava il suo cazzo duro scomparire nel suo sedere.
“Cosa vuoi confessarmi, monella?” Grugnì Luigi e spinse ancora più forte, il suo glande, caldo come brace che entrava di forza dentro il culo.
“Ahia! Ti prego papà! Non ho davvero la febbre, non volevo andare a scuola oggi, va bene?”
“Lo sapevo, monella. Ecco la tua punizione!”
Luigi le strinse i fianchi fino a farle male. Cominciò a chiavarle il culo brutalmente, spingendo il cazzo dentro con un colpo e poi tirandolo tutto fuori, allargandole il culetto di nuovo per entrare. Porco. Amava sentire il culo della sua bambina che cedeva alla forza del suo cazzo e Marta sentiva i suoi colpi fino alla pancia, cercando di resistere al dolore.
“Resisti, piccola..”
Marta non riusciva a individuare il momento in cui aveva smesso di sentire quel dolore lancinante. Rimase scioccata quando si rese conto che stava spingendo i fianchi all'indietro verso suo padre.. pardon, Luigi e lo incoraggiava a scoparle il buco del culo; rimase di nuovo scioccata quando la sua figa si inondò di succhi orgasmici, la membrana stimolata indirettamente da quella sodomizzazione.
Luigi spostò leggermente le ginocchia, regolando la sua posizione, e la successiva spinta nel suo sedere la fece uscire di testa.
“Papà, sento.. piacere..” Riuscì a mugugnare, prima di godere con gli occhi spalancati e un urlo liberatorio che avvolse quell'istante.
Marta strinse il cazzo intorno allo sfintere e assaporò il momento, ruotando lentamente i fianchi, gustando l’espressione del porcello mentre pompava lentamente contro il suo sedere tornito.
“Non ti fermare, papà..” Gli disse, timidamente.
Luigi non aveva fretta questa volta e iniziò a gustare lentamente ogni colpo, dentro e fuori da quel sedere maltrattato. I suoi occhi trovarono quelli di Marta nello specchio e le rivolse un sorriso complice, mentre continuava la meravigliosa, lenta scopata nel culo.
Le dita dei piedi di lui si agganciarono alle sue caviglie e le divaricarono le gambe. La sua bocca si spalancò e le sue mani afferrarono le lenzuola mentre il suo cazzo bollente continuava a pompare dentro e fuori di lei. Marta non si era mai sentita così aperta e vulnerabile come in quella posizione.
“Papà scusa se ti ho detto una bugia, scusa! Ahia!”
Lo sentì gonfiarsi dentro di lei e capì che stava per venire.
“Sì! Ti perdono, monella! Prendi la mia cremina nel pancino! Godo! Anna, godo, Anna! Anna!"
Aveva pensato che il suo cazzo fosse caldo, ma niente a che vedere con il suo sperma, sembrava lava mentre usciva da lui e schizzava nel suo culo aperto.
Quando finalmente finì di venire, fece scivolare il braccio sotto di lei e rotolarono su un fianco, insieme. Giacevano lì, ansimanti con tutta la lunghezza dell’asta ancora ben piantata dentro di lei. Marta rabbrividì di nuovo quando lui le piantò morbidi baci sulla nuca.
"È stato fantastico." Mormorò tra un bacio e l'altro.
Gli strinse l'avambraccio.
“Grazie, paparino. Lo sai cosa mi piacerebbe adesso?”
“Cosa?”
“Andare a fare shopping! Ti va?”
Luigi sorrise. “Molto..”
Rimasero insieme per diversi minuti prima che lei si alzasse per andare in bagno. Le sue gambe tremavano ad ogni passo. Si asciugò accuratamente lo sfintere dolorante e si lavò le mani.
Non poté fare a meno di allungare la mano per sentire il suo ano gonfio, appena scopato. Ancora una volta, rabbrividì mentre la punta del suo dito sfiorava la tenera carne e sentì un filamento dello sperma di Luigi gocciolare. Si succhiò il dito, gustando il sapore di lui sulla lingua.
Marta fissò il proprio riflesso nello specchio del bagno, sorridendo.
Fessacchiotti.
Più sono chiusi, più sono facili da gestire.
Cosa aspettarsi da uno Scorpione, dopotutto? Persone molto riservate ma, quando si tratta di relazioni intime o emozioni profonde, sono incredibilmente lussuriosi.
Fessacchiotti.
Mena
Il soffitto della camera degli ospiti era di un bianco leggermente consunto dal tempo. Forse avrebbe dovuto tinteggiarlo. Mena giaceva sul letto di casa, una t-shirt e un pigiama, senza reggiseno, il corpo rilassato ma la mente un po' indecisa. In quel periodo era stata sottoposta a tentazioni notevoli, eppure non riusciva ad accarezzarsi.
Si sentiva bloccata, come se avesse dimenticato come ci si toccasse. Eppure, pochi mesi fa si era masturbata beatamente seduta sul terrazzo di casa. Che le succedeva?
Poi sentì il rumore della porta d'ingresso, il passo deciso e giovane di Toni che rientrava.
“Ciao Mà! Vado in doccia!” Mena sorrise, salutandolo dalla stanza e quasi sentendo la sua energia riempire la casa.
Toni si avvicinò al bagno e iniziò a spogliarsi, lasciando cadere i vestiti sudati e appesantiti dalla fatica della partita, nell'antibagno.
Come sempre, i suoi indumenti giacevano sparsi sul pavimento, pronti ad essere raccolti da lei. Sorrise. Non c'era fretta; li avrebbe raccolti e puliti, come sempre. Ma non subito.
Nessuno poteva negare che lei fosse una madre amorevole.
Anche se insoddisfatta.
Mentre Toni continuava a spogliarsi, lei lo guardò di sfuggita passare. In quel momento, il suo sguardo si soffermò per un attimo sugli addominali scolpiti e sul fisico muscoloso del figlio. La sua pelle era liscia, leggermente abbronzata, come se il sole avesse baciato ogni centimetro della sua carne. Gli addominali, ben definiti, formavano un rettangolo perfetto che tracciava il contorno di un torso forte e asciutto. Ogni muscolo sembrava essere in costante movimento.
Al confronto, Valerio era un mingherlino.
Mena non fece altri commenti, nemmeno tra sé. Chiuse gli occhi e prese una decisione.
Al diavolo, si era negata quel piacere troppo a lungo.
Afferrò il telefono ed effettuò l’accesso al sito di chat erotiche. Il cuore le batteva forte, il seno si alzava ritmicamente.
“Ciao Francesca! Quanto tempo! Dov’eri finita?” Disse lo sconosciuto.
"È una lunga storia.. che fai di bello?”
“Indovina.. porcellina.”
Si sentiva sporca, stavolta non c’erano problemi economici a motivarla.
Eppure.. si sentiva succube di quella voglia di sesso.
“Toccati per me, porco. Dimmi cosa mi faresti.”
“Hai voglia di cazzo, vero?”
Finalmente. Le era mancato tantissimo, quel sito web. Quel mondo di maialini.
“Non immagini quanta…”
“Il cazzo di chi?”
“Un cazzo qualsiasi, furioso, rabbioso, eccitato. Affamato.”
“Eccolo!”
Un bel cazzo, non c’è che dire.
“Bella foto..”
“Dimmi che lo vuoi.”
Chiuse gli occhi e lasciò scivolare le dita nelle mutandine. L’altra mano risalì, lenta, sotto la maglietta e accarezzò il prosperoso seno, sodo e tiepido, pizzicando i capezzoli sensibili e strappandole un gemito.
“Lo voglio tantissimo! Ho bisogno di un grosso cazzo.”
Accarezzò il monte di Venere, vagando tra i peli curati di quella nicchia umida, calda di umori.
“Mmmmmm.”
Mena iniziò ad ansimare vogliosa e inserì prima l’indice e poi il medio nella passera accaldata.
Si morse le labbra, pensando di scopare quel bel membro mentre il suo interlocutore continuava a dire porcate.
Iniziò a sentire la familiare sensazione di piacere sessuale correre dalle dita dei piedi alla sommità della testa, un formicolio che la faceva sentire finalmente appagata.
Mise il cuscino in bocca e un gemito uscì dalle sue labbra; presa dalle sue voglie, la sua lingua avvolse quel tessuto sodo e compatto, come degli addominali perfetti.
Come i muscoli di suo figlio.
Emblema del peccato, eloquente promessa di un piacere tanto a lungo negato.
Pensò alla propria bocca scendere piano su quegli addominali, fino a incontrare il membro del figlio.
“Mmmmmm, tesoro, quanto sei forte….”Miagolò sul cuscino.
Un cazzo da lubrificare, accompagnare ed accogliere nella sua bocca frenetica, desiderosa di succhiarlo. Pronto per entrarle nella fica.
Mena ignorò il suo interlocutore (che ormai aveva finito la sua bella sega) e raggiunse l’acme del piacere mentre immaginava Toni a scoparla violentemente.
“Godo! Amore!”
Accarezzò la clitoride e una scossa elettrica attraversò il suo corpo mentre lo tormentava, la sua bella bocca formava un perfetto ovale di piacere mentre le sue dita cesellavano la sua figa freneticamente e, attutito dal cuscino, un lungo urlo provenne da Mena mentre provava il suo incestuoso orgasmo.
Raggiunto l’orgasmo, si vergognò per quella fantasia che l’aveva portata al piacere, ma non fece in tempo a pensarci troppo, perché suonarono alla porta di casa.
Teodora
Ma quant’era bello suo nipote Toni? Doveva aver fatto una doccia da poco, profumava di buono.
In quella casa l’unico affidabile era lui.
Sì, aveva fatto la scelta giusta.
“Scusate il disturbo, purtroppo da un po' di tempo Alessio va molto male con i voti. Vorrei che passasse un po' di tempo a casa da voi, dopo la scuola. Potrebbe studiare con te, Toni. Che ne pensi?”
Così imparerà come si comportano i veri uomini. Il buon esempio avrebbe purificato Alessio.
Toni annuiva, sorridente.
“Nessun problema, zia! Io sono a disposizione.”
“Certo! Alessio è il benvenuto quando vuole!” Esclamò Mena
E ci mancherebbe, sorellina. Dopo tutti i soldi che ho speso per aiutare quel vegetale di tuo marito, è il minimo. Quel giorno sua sorella Mena sembrava sciatta, il viso arrossato, tutta scarmigliata anche se di buon umore. Come sempre, inaffidabile.
Che tradisse Roberto? Non ne sarebbe stata sorpresa. Forse doveva indagare.
Guardò i bei capelli biondi di Toni, lo vide sorriderle e sentì il diavolo covarle nel ventre.
Anna
Anna si riscosse bruscamente, il flashback le aveva lasciato un sapore amaro in bocca.
Mentre fissava la porta davanti sé, Anna si ripeté per l’ennesima volta che la freddezza di suo padre fosse una corazza costruita per proteggersi dalla perdita di sua madre, un dolore che lei non aveva mai conosciuto davvero. Sua madre era morta quando lei era appena nata, lasciandolo solo con una bambina.
Si strinse le braccia attorno al corpo, come se potesse darsi forza da sola.
“Vorrei tanto un abbraccio, adesso.” Mormorò Anna.
Avrebbe dovuto pensare a Toni. Pensò invece a Lia, chiudendo gli occhi per un momento. Sognò le sue labbra umide ad accarezzarle le guance, infondendole serenità. Le mancava, ma per questo appuntamento doveva cavarsela da sola.
Inspirò profondamente e fece un passo avanti.
Era pronta a entrare.
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