Morbosa Corrispondenza – Capitolo 1
di
mari1980
genere
incesti
Premessa dell’autrice
Dopo aver raccontato le mie confessioni più intime ho sentito per la prima volta un sentimento liberatorio, di purificazione (quantomeno temporanea) da tutti quei demoni che popolavano la mia mente, primo tra tutti quello dell’incesto.
Ho concluso l’ultimo capitolo con una sensazione di profondo sollievo e turbamento allo stesso tempo. Avevo vuotato il sacco. E adesso che si fa? Di certo non avrei sedotto mio figlio solo per aggiungere un capitolo 9 all’ultimo racconto, sarebbe stato puerile e sbagliato all’origine.
Avevo pensato di smettere di scrivere dopo l’ultimo Capitolo delle mie “confessioni di una madre frustrata”, anche se molti lettori si sono rattristati al pensiero e altri mi hanno incitata a continuare a scrivere.
Sì, ma cosa continuare a scrivere? Nel Capitolo 8 vi ho accennato al fatto di vedere incesti ovunque. Vedevo madri e figlio amoreggianti, sia laddove oggettivamente non ci fossero, sia laddove il sospetto ci fosse eccome.
E, dopotutto, il sospetto è solo una fantasia che inizia ad accostare le labbra al nostro orecchio e ci racconta quello che vogliamo sentire. Perché tenere questi sussurri solo per me?
Quindi, eccomi qui con il mio primo racconto di fantasia. Ho deciso di scriverlo ripartendo da noi.
Da una madre e suo figlio.
L’idea di creare un personaggio mi incuriosiva ed è un lavoro più complesso di quanto pensassi. Prima di iniziare a scrivere mi sono chiesta quale prospettiva adottare.
Non nascondo che il punto di vista di una madre è relativamente semplice da descrivere per me, quello di un figlio o di un altro soggetto “immaginario” lo è di meno. Ho comunque deciso di sperimentare, in questo racconto, l’adozione di un narratore esterno.
Dove il testo inizia con il nome di un personaggio, il narratore ne descrive il punto di vista.
Spero che questo mio primo racconto di fantasia vi piaccia. Baci, Maria.
Mena
Per l’esattezza, Filomena. Per gli amici, ovviamente, Mena.
Casalinga, quarantacinque anni ben portati, Mena sapeva di essere una bella donna.
Alta un metro e settanta, mora, con i suoi lunghi capelli ondulati di colore castano scuro e gli occhi verdi, Mena sapeva di esercitare una forte attrazione sul sesso maschile. Non aveva mai patito quei dubbi, quelle insicurezze caratteristiche delle donne troppo attente al proprio aspetto. Non sarebbe andata da un chirurgo plastico nemmeno se le avessero regalato l’intervento.
Da bambina era sempre stata un maschiaccio e vinceva puntualmente ogni sfida fisica con le sue coetanee, dal salto con la corda fino alla corsa. Anche i ragazzini più grandi erano intimiditi da questa monella con i capelli corti e la frangia tagliata male che li sfidava (e a volte vinceva) nelle partite di calcio.
Intorno ai quattordici anni, Mena era già una piccola donna di carattere estroverso, ben formata e molto attraente, con un fisico atletico, l’incarnato scuro e una bella terza di seno, un sedere a mandolino e le gambe snelle e perfette.
Si aggirava per le vie del suo Paesino in Sicilia, mostrando a tutti il suo sorriso perfetto e i denti bianchissimi, diventando inevitabilmente il magnete di tanti sguardi pieni di desiderio e sogni proibiti.
Gli occhi verdi, le labbra carnose e la mandibola prominente la facevano assomigliare a una piccola Angelina Jolie con il naso piccolo e la punta all’insù che arricciava spesso quando voleva mostrare complicità verso l’interlocutore.
La famiglia di Mena aveva reazioni contrastanti rispetto all’esuberanza della ragazza.
I genitori di Mena erano gente di mondo e non avrebbero fatto storie a consentirle di vestire “alla moda” per non privarla del piacere di essere uguale alle proprie coetanee e, nonostante ciò, Bastiano, il padre di Mena, fu molto sollevato dall’apprendere che alla figlia non sembrasse importare molto di vestire in maniera provocante. Invece Teodora, sorella più piccola di cinque anni, era caratterialmente l’opposto di Mena; a quindici anni Teodora era una ragazzina introversa, poco propensa all’attività fisica e tutta casa e chiesa. Crescendo, le due avrebbero avuto caratteri, esperienze e comportamenti molto diversi.
A scuola Mena amava vestire comoda, con camicette poco scollate e jeans oppure con la classica tuta per l’educazione fisica e, tuttavia, nemmeno questo pudico outfit era sufficiente a calmare gli animi dei suoi compagni di scuola che, spesso, le palpavano “casualmente” il sedere per ricevere in cambio qualche sberla da Mena, sempre divertita, sempre affettuosa.
Aveva un carattere allegro, una buona parola per tutti. Nessuno l’avrebbe ritenuta capace di pronunciare una sola cattiveria, di maltrattare chiunque. Una ragazza solare, piena di vita. L’orgoglio dei propri genitori.
A quei tempi aveva una vera e propria coda di ammiratori e pretendenti che avrebbero commesso imprese folli pur di trascorrere un pomeriggio soli con lei; eppure, a dispetto di tanta ammirazione, Mena tendeva a schernirsi e a minimizzare bonariamente le pretese dei tanti spasimanti e a passare il tempo solo con le proprie amiche, oppure in lunghe corse in campagna e tra i boschi del suo Paese.
Quasi come un contrasto a questo “strano” comportamento, più di una volta i genitori le proposero di provare fin da giovane la carriera di modella; ma lei non ne voleva sapere:
“Sì, e poi che faccio? Passo il tempo libero a fare sfilate, book fotografici? Preferisco arrampicarmi per le pietraie!”
Amava l’attività fisica, i muscoli che le dolevano, il silenzio rassicurante della campagna. Non l’avrebbe scambiato con la vita di Claudia Schiffer. Intimamente sognava di diventare un’atleta famosa, ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a nessuno. Da che mondo era mondo, era una professione dedicata perlopiù agli uomini.
Nello studio era sempre stata diligente ma non brillante. Ingenuamente non capiva perché ottenesse voti spudoratamente alti da tutti i professori e una sufficienza risicata da tutte le professoresse, quasi che i primi cercassero disperatamente ogni pretesto per vederla sorridere e le secondo per vederla piangere.
Ad ogni modo si diplomò con buoni voti e decise, come molte persone, di frequentare l’università vicino casa senza troppa convinzione, quasi che avesse deciso di laurearsi in attesa di sapere cosa fare della sua vita. Aveva diciotto anni e, incredibilmente, all’epoca non aveva mai avuto un fidanzato.
Nel Paese, le solite malelingue insinuavano che Mena non fosse fidanzata perché credesse di essere speciale, di "averla solo lei" e immaginavano che in città, lontana da occhi indiscreti, si concedesse ad amanti misteriosi.
In realtà Mena non aveva mai conosciuto l'amore; ne aveva letto sui libri, ne aveva sentito parlare nei film.
Le sembravano dinamiche smielate, forzature, donne e uomini che, di colpo, erano migliori degli altri solo perché stavano insieme. E perché stavano insieme? Mistero.
Nessuno le aveva mai toccato il cuore, tutti i suoi spasimanti non le trasmettevano nulla; nella sua mente erano solo palpate più o meno amichevoli al sedere, poco più che simpatici seccatori ai suoi occhi.
Volevano tutti la stessa cosa, ma lei non aveva nemmeno esattamente idea di cosa fosse.
Pensò che forse sarebbe diventata una sorta di amazzone, fortissima e sola.
Destino volle che proprio in Università conoscesse l'amore.
Roberto aveva già ventisette anni ed era un laureando in Lettere. Caratterialmente ed esteticamente era l’opposto di Mena. Non avreste mai detto che si sarebbero sposati.
Mena era atletica, solare, spontanea. Pure troppo.
Roberto sembrava un professorino, capelli corti biondo cenere a caschetto, piuttosto pallido, alto e magro, con un paio di occhiali dalla montatura blu che coprivano degli occhi azzurri penetranti e con lampi di ironia; era quasi una leggenda in Università, dove si diceva che, malgrado fosse estremamente colto, la sua famiglia fosse altrettanto povera e che lui la mantenesse con ripetizioni private.
In Università si aggirava disinvolto, conoscendo tutti e dispensava battute ironiche a tutti i suoi allievi.
Molti lo trovavano un saputello irritante. Mena non era tra costoro.
L'università non si era rivelata per lei un posto così interessante; qui non era palpata, ma era altrettanto desiderata e assillata: tutti volevano invitarla a bere, a cenare, a dormire da qualche parte.
Tutti tranne lui; quando la vedeva passare in corridoio, Roberto iniziava ad arrossire e ad allontanarsi.
Incuriosita, una volta si era avvicinata a lui sorridendo per rivolgergli la parola e Roberto era stato in grado solo di mugugnare un saluto e allontanarsi dicendole che doveva andare a fare degli esami.
Mena era sempre più curiosa:
"In che senso, degli esami? Tutti dicono che stai per laurearti, hai ancora tanti esami in sospeso?"
"Vieni con me in quell'aula, te lo spiego" accennò Roberto, pieno di timidezza fino ai capelli.
Perplessa, Mena lo vide nascondere dei piccoli bigliettini bianchi sotto ad ogni banco dell’aula: “tra poco qui ci sarà un esame e non vogliamo di certo che i miei poveri e ignorantelli allievi siano bocciati.”
“Come fai a farli copiare? Quei bigliettini sono minuscoli e non sembrano avere scritte sopra!”
“Oh”, disse Roberto aggiustandosi gli occhiali con due dita “semplice. I ragazzi dovranno solo scrivere sul proprio bigliettino l’argomento della traccia. Poi uno di loro andrà in bagno e mi porterà i bigliettini di tutti. Ho già una rastrelliera piena di temi di esame svolti e li conosco a menadito, sarà facile dare a ciascuno il suo!”, concluse il ragazzo.
Mena era divertita da quel piccolo giro clandestino, dallo spirito di iniziativa e dalla buffa falsa modestia del ragazzo. Vedendo che la distribuzione dei bigliettini era cessata, Mena fece per allontanarsi. Fu in quel momento che senti, delicata, la mano di lui sul suo braccio: “dimentichi il tuo!” e gli passò un bigliettino. Un minuto dopo era già sparito, senza averla salutata prima. Mena lo aprì piano e lesse: “Quale dolce mela che su alto ramo rosseggia, alta sul più alto; la dimenticarono i coglitori; no, non fu dimenticata: invano tentarono raggiungerla”.
Non le avevano mai dedicato una poesia così bella. Seppe causalmente da un collega che si trattava di una poesia di Saffo, la poetessa d’amore dell’antica Grecia.
Da allora, Mena cercava di avvicinare Roberto ogni volta che poteva per scambiare due chiacchiere. Stranamente, era proprio la sua timidezza ad attirarla: era l’unico che non le corresse dietro, anzi. Chiunque avrebbe capito che era cotto di lei, eppure non aveva il coraggio di dichiararle i suoi sentimenti.
Questa riservatezza esasperava Mena, abituata a “pretendenti” ben più intraprendenti; se proprio voleva che Roberto si facesse avanti, avrebbe dovuto incitarlo con i fatti.
Fu in quel periodo che Mena iniziò a vestire in maniera provocante.
Andava in Università con camicette in satin ben scollate, di solito di colore celeste o rosa chiaro. Minigonne aderenti. Stivali con tacco sopra il ginocchio.
Capelli sulle spalle lievemente arricciati con la piastra, il portamento altero di una principessa che partecipa ad una sfilata.
Il trucco divenne un momento importante della sua giornata. Rossetto rosso freddo, matita nera sugli occhi e ombretto marrone. Mascara abbondante sulle lunghe ciglia. Ogni tanto preferiva mettere un rossetto color pesca. Da quel momento sarebbe stato il suo “schema di trucco”.
Fino a quel momento aveva sempre vissuto la sua bellezza con leggerezza e senza indugiare nella vanità, senza badare troppo agli sguardi pieni di desiderio degli uomini del suo Paese.
Adesso aveva diciannove anni e sembrava una modella pronta a stuzzicare, con le sue belle unghie smaltate di rosso, il membro di un produttore televisivo pur di diventare famosa.
In Paese e in Università gli sguardi eccitati e le voci maliziose abbondavano. Si immaginava che frequentasse orge, che fosse finita in strani giri.
Gli studenti più attraenti non capivano perché un simile pezzo di fica si accompagnasse a un professorino del genere che, peraltro, non sembrava nemmeno particolarmente preso.
Lei sapeva che il suo fare timido e le sue battutine ironiche erano il suo modo di trasmetterle affetto. Parlavano di tutto, dalle letture di Roberto alle scorribande di Mena per le campagne del suo Paese. Tutte sciocchezze, nulla del loro rapporto. Non avrebbero mai saputo come definirsi. Amici? Conoscenti? Fidanzati?
I loro cuori parlavano tramite bigliettini; lei lo aiutava a scrivere e a prepararli e lui, immancabilmente, lasciava l’ultimo per Mena che rispondeva la volta dopo lasciandogli altri biglietti in cui commentava le poesie con parole affettuose, romantiche quasi.
Nell’intimità della sua cameretta, Mena si ritrovava spesso accalorata, nervosa ed emozionata quando pensava a lui.
Non sapeva esattamente su cosa fantasticare e nemmeno aveva un’idea su cosa esattamente fare. Si ritrovava con le mutandine bagnate di rugiada, la vagina era accaldata e le sembrava che perfino il poco pelo castano del suo pube volesse stuzzicarla.
Ogni tanto si azzardava ad allungare le dita affusolate per accarezzare le sue grandi labbra e l’ingresso della sua piccola vagina e si ritrovava a provare sensazioni strane ed emozionanti, a gemere involontariamente di piacere. Si fermava subito dopo, spaventata dalla sua stessa reazione e dalla prospettiva di svegliare i suoi genitori mentre dormivano in camera loro.
Una volta avvenne un episodio buffo che rappresentò una svolta nella loro vita.
Roberto avrebbe dovuto lasciare dei bigliettini con delle risposte già compilate per un test a risposta multipla, peccato che a causa di un temporale Mena fosse arrivata in ritardo e che ricevette il suo bigliettino d’amore solo dopo l’inizio dell’esame.
Indubbiamente rimase sorpresa quando notò che, al posto della solita, tenera, poesia ci fosse una serie di lettere (probabilmente la soluzione dell’esame).
Ancora più sorpreso rimase il povero studente che, al posto della soluzione dell’esame, si trovò a leggere una Poesia d’amore.
Scapparono, ridendo sotto la pioggia, per evitare la furia dello sfortunato studente (casualmente bocciato) e si ripararono sotto un portico dove lei gli chiese “ma quindi che poesia era? Tanto lo so che la conosci a memoria.”
Lui, con il cuore in gola, rispose: “Era una poesia di Hikmet: Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto”.
Lei era emozionata, non sapeva se piangesse o se fosse la pioggia a bagnarle il viso. Si baciarono dopo essersi dichiarati finalmente il loro amore.
Era il suo primo bacio d’amore, sentiva le labbra di lui, la sua lingua che timidamente le massaggiava le labbra e si lasciò andare, ricambiando con un perfetto bacio alla francese mentre le mani di lui le palpavano i fianchi, i seni, le strappavano gemiti di piacere.
Avevano entrambi una voglia matta di stare assieme e decisero di andare a casa di lui. Non si staccarono per un momento per l’intero tragitto. Mena sentiva distintamente l’attrezzo di Roberto che spingeva sulla sua gonna a vita alta e non sapeva che pensare, voleva solo arrivare al letto di casa.
In casa non c’era nessuno. Si spogliarono in fretta e furia lasciando i vestiti dove capitava.
Mena si spogliò rapidamente, provando un brivido quando i suoi capezzoli e la sua vulva furono esposte all’aria aperta.
La sua terza di seno era tonda, perfettamente regolare e sembrava sfidare la gravità; i due scuri capezzoli appuntiti come chiodi erano una calamita per i suoi occhi affamati.
La ragazza rimase per un attimo immobile mentre Roberto, il sesso eretto, la fissava estasiato. Sembrava una statua greca, un’amazzone innamorata.
“Mena sei stupenda, non so che altro dire! Ti voglio. Ogni volta che metto le mie braccia intorno a te, io mi sento a casa.”
Mena annuì ridendo: “Perché siamo a casa tua, scemo! Sapevo che saresti stato tu il primo, era destino. Ti stavo aspettando da diciannove anni”.
Si ficcarono sotto al piumone, ancora intirizziti dalla pioggia e iniziarono a baciarsi, ad accarezzarsi.
Sentiva Roberto palparle il morbido seno, accarezzarle le gambe e, inconsciamente, allargò le gambe; le dita del ragazzo sfregarono leggermente le già fradice labbra della vulva e quel piccolo bottoncino che era il clitoride di Mena; lo sfregamento divenne un vero e proprio su e giù delle dita di Roberto sulla dolce e tenera valle di Mena che rimase sorpresa quando, nello stesso momento, la bocca del ragazzo iniziò a succhiare i suoi duri capezzolini e accogliere tra le labbra buona parte del seno destro, trattenuto nella bocca di Roberto come dentro una ventosa, mentre la lingua del ragazzo stuzzicava il capezzolino.
Bastarono poche strusciate della tenera e bagnata vagina di Mena e poche leccate del suo capezzolo per farla ansimare e percepire l’accelerazione dei movimenti delle dita e della lingua, finché la giovane, urlando a bocca aperta e con la testa all'indietro, ebbe il suo primo, tenero orgasmo.
Era questo l’amore? Tutto acquistava senso. Mena si riscosse da quella meravigliosa sensazione accorgendosi di avere il pene di Roberto tra le mani, duro come il marmo. E adesso?
Fu in quel momento che la porta di casa si aprì ed entrò la madre di Roberto: “Roberto, sono a casa!”
I ragazzi ebbe un momento di panico. La madre stava per entrare e non volevano farsi trovare nudi; quindi, decisero di improvvisare e Mena si nascose sotto il piumone mentre Roberto, disteso sul letto con le ginocchia piegate e il piumone fino al petto, fingeva di sonnecchiare: “ciao mamma! Tutto bene?”
La madre di Roberto era indaffarata nel portare dentro casa la spesa e lo guardò appena, non facendo caso al rigonfiamento tra le lenzuola del letto proprio accanto a Roberto.
“Sì, tutto bene, c’era un traffico terribile! Maledetta pioggia.”
Mentre madre e figlio parlavano, Mena restava sotto le lenzuola, l’adrenalina a mille. Era appena venuta e l’emozione di questa piccola avventura sotto le coperte la stimolava ancora di più.
Di colpo notò, leggermente curvo verso di lei, il membro ancora dritto di Roberto. La ragazza sgranò gli occhio potendo finalmente guardare da vicino il cazzo di Roberto.
Lo sfiorò con la punta delle sue unghie rosse e lo vide sussultare di vita propria. Era di discreta lunghezza, durissimo, con la pelle bianca e morbida. La cappella era piccola e vellutata, già del tutto scoperta dall’eccitazione.
Silenziosa, Mena diede un bacio sulla cappella. E poi un altro. E un altro ancora.
“Ho preso lo sformato per stasera a cena, ti va?”
“S-si va b-bene!”
Mena sentiva Roberto sempre più in difficoltà: ogni volta che le sue labbra o la sua lingua sfioravano il membro di Roberto, il tono di voce del ragazzo cambiava assieme al suo crescente livello di eccitazione.
“Tesoro, tutto bene? Mi stai ascoltando?” gli chiede giustappunto sua madre.
“Sì, certo! Scusa stavo pensando a un esame” in quel momento Mena gli afferrò il cazzo, iniziando una lenta sega.
“Pure quando sei a letto pensi agli esami? Esagerato!” rispose ridendo la madre di Roberto.
Passano decine e decine di secondi così, con Mena divertita dal mettere in difficoltà il ragazzo, curiosa di vedere fino a che punto avrebbe potuto resistere.
Il problema è che anche Mena era ormai eccitatissima da quella situazione e il desiderio irrefrenabile di essere penetrata da Roberto non poteva più essere ricacciato; perciò, commise una piccola imprudenza portando una mano di Roberto sul suo seno e, col fiato sospeso, chiuse la bocca attorno al glande. Sente sulle labbra quanto è umido e duro, intriso di liquido preseminale. Strinse le labbra con maggior forza, scorrendo fino alla punta della cappella e scendendo fino alla metà dell’asta.
Roberto era del tutto nel pallone, pronto ad urlare di piacere, in balìa della regina delle amazzoni, del suo lento e sadico pompino, inebriato dall’odore della sua pelle, dalla sensazione di morbidezza del suo seno.
Altri trenta secondi e Mena avrebbe sentito la sborra di Roberto nella sua bocca, l’urlo dell’orgasmo avrebbe inequivocabilmente fatto saltare la loro ridicola sceneggiata.
“Cavolo mi sono dimenticata di fare benzina alla macchina, sarà meglio che esca, sennò chi lo sente tuo padre? A dopo!”
Mena sentì la porta di casa richiudersi e, un po' perplessa, usci dal suo nascondiglio sotto le coperte.
I due amanti si fissarono e, dopo qualche attimo, cominciarono a ridere. L’avevano scampata bella ed era stato molto divertente.
Si abbracciarono intensamente e rimasero stretti per un tempo indefinito finché, sorridendo, Mena aggiunse: “adesso sbrighiamoci, prima che torni tua madre. Voglio che la mia prima volta sia con te!”
Roberto sgranò gli occhi: “Sei vergine?”
“Non stavo scherzando quando ho detto stavo aspettando te!”
I due ricominciarono a baciarsi con passione, il membro eretto di Roberto era rimasto in attesa disperata del proprio turno. Adesso era il momento di sugellare il legame di quella coppia, di iniziare il loro primo amplesso.
Mentre si baciavano, Mena sentì le dita di Roberto intrufolarsi nella sua carne più intima ed emise un gemito sentendole scorrere nel suo solco aperto, fin sul suo grilletto teso.
Mena, emozionata, ricominciò a massaggiare su e giù quello splendido arnese; si mordeva le labbra tra timore e vergogna e lui, rassicurante, iniziò a baciarla.
A quel punto Mena divaricò le gambe e sentì la cappella rossa stuzzicarle il clitoride eccitato; poi, impaziente, Roberto portò il cazzo a contatto con le grandi labbra lubrificate e pronte ad accogliere l’asta in tutta la sua pienezza.
Un bacio e una prima spinta.
Lo sentì tronfio, turgido, invaderle l’intimità.
Dolore; “Fa piano Roberto, piano. Non farmi male”.
È un fiore non del tutto schiuso, i petali zuppi di dolce miele.
Una seconda spinta, Mena sente una lieve resistenza all’ingresso di quell’attrezzo e lancia un grido di dolore “Ahia!”. Di riflesso stringe i denti ma non lo respinge mentre Roberto, sopra di lei, la coccola e le passa le dita sulle labbra, facendole assaggiare il sapore lievemente salato della sua stessa figa.
Una terza spinta e un bacio di Roberto consentono a Mena di soffocare un suo grido; alla quarta spinta la cappella era entrata tutta.
“Fa piano Roberto; però continua, ti prego, ti voglio dentro di me!”
Alla quinta spinta sentì il cazzo di Roberto lacerarle l’imene. Se ne accorse anche lui e i due rimasero fermi alcuni istanti per lasciare diminuire il dolore e questa pausa permise alla ragazza di sentirsi riempita da quella dura carne; dopodiché Roberto spinse di nuovo e con un colpo secco di reni sprofondò nella fica bollente di Mena, mentre le gambe di lei si stringevano attorno alla vita del suo ragazzo.
Poco dopo il pube di Mena era a contatto con quello di Roberto; la ragazza avvertì le contrazioni di dolore della sua vagina ad ogni piccolo movimento e iniziò a leccare il collo del ragazzo che continuò la sua dolce cavalcata aumentando progressivamente il ritmo, fino a quando non fu evidente che Roberto stesse per avere un orgasmo.
Proprio in quel momento, Mena inarcò la schiena e lo strinse a lei gridando, impedendogli di uscire e gemendo per il suo primo orgasmo vaginale, dando dei colpi perfettamente coordinati col bacino, mentre la sua vagina si contrae ritmicamente sul cazzo di Roberto, mossa da scosse del tutto nuove per lei.
Dopo alcuni affondi, il povero Roberto non riuscì a resistere e svuotò completamente i testicoli in una copiosa sborrata dentro Mena, facendole sentire per la prima volta il calore di getti di seme che le zampillavano in vagina.
Rimasero così, uniti, per un tempo indefinito. Era bello restare in quel calduccio e vollero gustarsi appieno quel momento.
Quando Roberto si tolse, rivoli di sperma traboccavano dalla vagina dolorante di Mena, mentre il pene di Roberto mostrava alcune piccole macchie di sangue.
Mena fu sollevata; temeva di aver macchiato tutto di sangue. Invece erano stati discreti e lei riuscì a rivestirsi e a farsi accompagnare da Roberto senza essere scoperta da nessuno.
Dopo quella prima volta, Mena e Roberto vissero clandestinamente la loro relazione per alcuni, elettrizzanti, mesi.
Si appartavano spesso in luoghi poco affollati per consumare fugaci amplessi: cortili di palazzi deserti, campagne sperdute, bagni pubblici. In quelle occasioni, Mena aveva imparato ad amare la penetrazione da dietro. Era relativamente comoda e semplice da nascondere anche in luoghi pubblici e Roberto era diventato bravissimo a capire quando Mena aveva voglia e a individuare posti dove appartarsi per possedere la sua vagina desiderosa di attenzioni.
Non che ci fosse nulla di sbagliato nella loro relazione. Maggiorenni, avrebbero potuto dichiararla in ogni momento senza troppi problemi. La verità era che amavano il brivido, l’adrenalina del sesso clandestino, la dolce complicità di un momento intimo unico e proibito.
Avrebbero continuato le loro scorribande ancora a lungo, se Mena non fosse rimasta incinta sei mesi dopo l’inizio della loro relazione.
Mena non immaginava le gioie e le peripezie che quel ventre le avrebbe fatto passare nel futuro.
Era il principio.
Dopo aver raccontato le mie confessioni più intime ho sentito per la prima volta un sentimento liberatorio, di purificazione (quantomeno temporanea) da tutti quei demoni che popolavano la mia mente, primo tra tutti quello dell’incesto.
Ho concluso l’ultimo capitolo con una sensazione di profondo sollievo e turbamento allo stesso tempo. Avevo vuotato il sacco. E adesso che si fa? Di certo non avrei sedotto mio figlio solo per aggiungere un capitolo 9 all’ultimo racconto, sarebbe stato puerile e sbagliato all’origine.
Avevo pensato di smettere di scrivere dopo l’ultimo Capitolo delle mie “confessioni di una madre frustrata”, anche se molti lettori si sono rattristati al pensiero e altri mi hanno incitata a continuare a scrivere.
Sì, ma cosa continuare a scrivere? Nel Capitolo 8 vi ho accennato al fatto di vedere incesti ovunque. Vedevo madri e figlio amoreggianti, sia laddove oggettivamente non ci fossero, sia laddove il sospetto ci fosse eccome.
E, dopotutto, il sospetto è solo una fantasia che inizia ad accostare le labbra al nostro orecchio e ci racconta quello che vogliamo sentire. Perché tenere questi sussurri solo per me?
Quindi, eccomi qui con il mio primo racconto di fantasia. Ho deciso di scriverlo ripartendo da noi.
Da una madre e suo figlio.
L’idea di creare un personaggio mi incuriosiva ed è un lavoro più complesso di quanto pensassi. Prima di iniziare a scrivere mi sono chiesta quale prospettiva adottare.
Non nascondo che il punto di vista di una madre è relativamente semplice da descrivere per me, quello di un figlio o di un altro soggetto “immaginario” lo è di meno. Ho comunque deciso di sperimentare, in questo racconto, l’adozione di un narratore esterno.
Dove il testo inizia con il nome di un personaggio, il narratore ne descrive il punto di vista.
Spero che questo mio primo racconto di fantasia vi piaccia. Baci, Maria.
Mena
Per l’esattezza, Filomena. Per gli amici, ovviamente, Mena.
Casalinga, quarantacinque anni ben portati, Mena sapeva di essere una bella donna.
Alta un metro e settanta, mora, con i suoi lunghi capelli ondulati di colore castano scuro e gli occhi verdi, Mena sapeva di esercitare una forte attrazione sul sesso maschile. Non aveva mai patito quei dubbi, quelle insicurezze caratteristiche delle donne troppo attente al proprio aspetto. Non sarebbe andata da un chirurgo plastico nemmeno se le avessero regalato l’intervento.
Da bambina era sempre stata un maschiaccio e vinceva puntualmente ogni sfida fisica con le sue coetanee, dal salto con la corda fino alla corsa. Anche i ragazzini più grandi erano intimiditi da questa monella con i capelli corti e la frangia tagliata male che li sfidava (e a volte vinceva) nelle partite di calcio.
Intorno ai quattordici anni, Mena era già una piccola donna di carattere estroverso, ben formata e molto attraente, con un fisico atletico, l’incarnato scuro e una bella terza di seno, un sedere a mandolino e le gambe snelle e perfette.
Si aggirava per le vie del suo Paesino in Sicilia, mostrando a tutti il suo sorriso perfetto e i denti bianchissimi, diventando inevitabilmente il magnete di tanti sguardi pieni di desiderio e sogni proibiti.
Gli occhi verdi, le labbra carnose e la mandibola prominente la facevano assomigliare a una piccola Angelina Jolie con il naso piccolo e la punta all’insù che arricciava spesso quando voleva mostrare complicità verso l’interlocutore.
La famiglia di Mena aveva reazioni contrastanti rispetto all’esuberanza della ragazza.
I genitori di Mena erano gente di mondo e non avrebbero fatto storie a consentirle di vestire “alla moda” per non privarla del piacere di essere uguale alle proprie coetanee e, nonostante ciò, Bastiano, il padre di Mena, fu molto sollevato dall’apprendere che alla figlia non sembrasse importare molto di vestire in maniera provocante. Invece Teodora, sorella più piccola di cinque anni, era caratterialmente l’opposto di Mena; a quindici anni Teodora era una ragazzina introversa, poco propensa all’attività fisica e tutta casa e chiesa. Crescendo, le due avrebbero avuto caratteri, esperienze e comportamenti molto diversi.
A scuola Mena amava vestire comoda, con camicette poco scollate e jeans oppure con la classica tuta per l’educazione fisica e, tuttavia, nemmeno questo pudico outfit era sufficiente a calmare gli animi dei suoi compagni di scuola che, spesso, le palpavano “casualmente” il sedere per ricevere in cambio qualche sberla da Mena, sempre divertita, sempre affettuosa.
Aveva un carattere allegro, una buona parola per tutti. Nessuno l’avrebbe ritenuta capace di pronunciare una sola cattiveria, di maltrattare chiunque. Una ragazza solare, piena di vita. L’orgoglio dei propri genitori.
A quei tempi aveva una vera e propria coda di ammiratori e pretendenti che avrebbero commesso imprese folli pur di trascorrere un pomeriggio soli con lei; eppure, a dispetto di tanta ammirazione, Mena tendeva a schernirsi e a minimizzare bonariamente le pretese dei tanti spasimanti e a passare il tempo solo con le proprie amiche, oppure in lunghe corse in campagna e tra i boschi del suo Paese.
Quasi come un contrasto a questo “strano” comportamento, più di una volta i genitori le proposero di provare fin da giovane la carriera di modella; ma lei non ne voleva sapere:
“Sì, e poi che faccio? Passo il tempo libero a fare sfilate, book fotografici? Preferisco arrampicarmi per le pietraie!”
Amava l’attività fisica, i muscoli che le dolevano, il silenzio rassicurante della campagna. Non l’avrebbe scambiato con la vita di Claudia Schiffer. Intimamente sognava di diventare un’atleta famosa, ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a nessuno. Da che mondo era mondo, era una professione dedicata perlopiù agli uomini.
Nello studio era sempre stata diligente ma non brillante. Ingenuamente non capiva perché ottenesse voti spudoratamente alti da tutti i professori e una sufficienza risicata da tutte le professoresse, quasi che i primi cercassero disperatamente ogni pretesto per vederla sorridere e le secondo per vederla piangere.
Ad ogni modo si diplomò con buoni voti e decise, come molte persone, di frequentare l’università vicino casa senza troppa convinzione, quasi che avesse deciso di laurearsi in attesa di sapere cosa fare della sua vita. Aveva diciotto anni e, incredibilmente, all’epoca non aveva mai avuto un fidanzato.
Nel Paese, le solite malelingue insinuavano che Mena non fosse fidanzata perché credesse di essere speciale, di "averla solo lei" e immaginavano che in città, lontana da occhi indiscreti, si concedesse ad amanti misteriosi.
In realtà Mena non aveva mai conosciuto l'amore; ne aveva letto sui libri, ne aveva sentito parlare nei film.
Le sembravano dinamiche smielate, forzature, donne e uomini che, di colpo, erano migliori degli altri solo perché stavano insieme. E perché stavano insieme? Mistero.
Nessuno le aveva mai toccato il cuore, tutti i suoi spasimanti non le trasmettevano nulla; nella sua mente erano solo palpate più o meno amichevoli al sedere, poco più che simpatici seccatori ai suoi occhi.
Volevano tutti la stessa cosa, ma lei non aveva nemmeno esattamente idea di cosa fosse.
Pensò che forse sarebbe diventata una sorta di amazzone, fortissima e sola.
Destino volle che proprio in Università conoscesse l'amore.
Roberto aveva già ventisette anni ed era un laureando in Lettere. Caratterialmente ed esteticamente era l’opposto di Mena. Non avreste mai detto che si sarebbero sposati.
Mena era atletica, solare, spontanea. Pure troppo.
Roberto sembrava un professorino, capelli corti biondo cenere a caschetto, piuttosto pallido, alto e magro, con un paio di occhiali dalla montatura blu che coprivano degli occhi azzurri penetranti e con lampi di ironia; era quasi una leggenda in Università, dove si diceva che, malgrado fosse estremamente colto, la sua famiglia fosse altrettanto povera e che lui la mantenesse con ripetizioni private.
In Università si aggirava disinvolto, conoscendo tutti e dispensava battute ironiche a tutti i suoi allievi.
Molti lo trovavano un saputello irritante. Mena non era tra costoro.
L'università non si era rivelata per lei un posto così interessante; qui non era palpata, ma era altrettanto desiderata e assillata: tutti volevano invitarla a bere, a cenare, a dormire da qualche parte.
Tutti tranne lui; quando la vedeva passare in corridoio, Roberto iniziava ad arrossire e ad allontanarsi.
Incuriosita, una volta si era avvicinata a lui sorridendo per rivolgergli la parola e Roberto era stato in grado solo di mugugnare un saluto e allontanarsi dicendole che doveva andare a fare degli esami.
Mena era sempre più curiosa:
"In che senso, degli esami? Tutti dicono che stai per laurearti, hai ancora tanti esami in sospeso?"
"Vieni con me in quell'aula, te lo spiego" accennò Roberto, pieno di timidezza fino ai capelli.
Perplessa, Mena lo vide nascondere dei piccoli bigliettini bianchi sotto ad ogni banco dell’aula: “tra poco qui ci sarà un esame e non vogliamo di certo che i miei poveri e ignorantelli allievi siano bocciati.”
“Come fai a farli copiare? Quei bigliettini sono minuscoli e non sembrano avere scritte sopra!”
“Oh”, disse Roberto aggiustandosi gli occhiali con due dita “semplice. I ragazzi dovranno solo scrivere sul proprio bigliettino l’argomento della traccia. Poi uno di loro andrà in bagno e mi porterà i bigliettini di tutti. Ho già una rastrelliera piena di temi di esame svolti e li conosco a menadito, sarà facile dare a ciascuno il suo!”, concluse il ragazzo.
Mena era divertita da quel piccolo giro clandestino, dallo spirito di iniziativa e dalla buffa falsa modestia del ragazzo. Vedendo che la distribuzione dei bigliettini era cessata, Mena fece per allontanarsi. Fu in quel momento che senti, delicata, la mano di lui sul suo braccio: “dimentichi il tuo!” e gli passò un bigliettino. Un minuto dopo era già sparito, senza averla salutata prima. Mena lo aprì piano e lesse: “Quale dolce mela che su alto ramo rosseggia, alta sul più alto; la dimenticarono i coglitori; no, non fu dimenticata: invano tentarono raggiungerla”.
Non le avevano mai dedicato una poesia così bella. Seppe causalmente da un collega che si trattava di una poesia di Saffo, la poetessa d’amore dell’antica Grecia.
Da allora, Mena cercava di avvicinare Roberto ogni volta che poteva per scambiare due chiacchiere. Stranamente, era proprio la sua timidezza ad attirarla: era l’unico che non le corresse dietro, anzi. Chiunque avrebbe capito che era cotto di lei, eppure non aveva il coraggio di dichiararle i suoi sentimenti.
Questa riservatezza esasperava Mena, abituata a “pretendenti” ben più intraprendenti; se proprio voleva che Roberto si facesse avanti, avrebbe dovuto incitarlo con i fatti.
Fu in quel periodo che Mena iniziò a vestire in maniera provocante.
Andava in Università con camicette in satin ben scollate, di solito di colore celeste o rosa chiaro. Minigonne aderenti. Stivali con tacco sopra il ginocchio.
Capelli sulle spalle lievemente arricciati con la piastra, il portamento altero di una principessa che partecipa ad una sfilata.
Il trucco divenne un momento importante della sua giornata. Rossetto rosso freddo, matita nera sugli occhi e ombretto marrone. Mascara abbondante sulle lunghe ciglia. Ogni tanto preferiva mettere un rossetto color pesca. Da quel momento sarebbe stato il suo “schema di trucco”.
Fino a quel momento aveva sempre vissuto la sua bellezza con leggerezza e senza indugiare nella vanità, senza badare troppo agli sguardi pieni di desiderio degli uomini del suo Paese.
Adesso aveva diciannove anni e sembrava una modella pronta a stuzzicare, con le sue belle unghie smaltate di rosso, il membro di un produttore televisivo pur di diventare famosa.
In Paese e in Università gli sguardi eccitati e le voci maliziose abbondavano. Si immaginava che frequentasse orge, che fosse finita in strani giri.
Gli studenti più attraenti non capivano perché un simile pezzo di fica si accompagnasse a un professorino del genere che, peraltro, non sembrava nemmeno particolarmente preso.
Lei sapeva che il suo fare timido e le sue battutine ironiche erano il suo modo di trasmetterle affetto. Parlavano di tutto, dalle letture di Roberto alle scorribande di Mena per le campagne del suo Paese. Tutte sciocchezze, nulla del loro rapporto. Non avrebbero mai saputo come definirsi. Amici? Conoscenti? Fidanzati?
I loro cuori parlavano tramite bigliettini; lei lo aiutava a scrivere e a prepararli e lui, immancabilmente, lasciava l’ultimo per Mena che rispondeva la volta dopo lasciandogli altri biglietti in cui commentava le poesie con parole affettuose, romantiche quasi.
Nell’intimità della sua cameretta, Mena si ritrovava spesso accalorata, nervosa ed emozionata quando pensava a lui.
Non sapeva esattamente su cosa fantasticare e nemmeno aveva un’idea su cosa esattamente fare. Si ritrovava con le mutandine bagnate di rugiada, la vagina era accaldata e le sembrava che perfino il poco pelo castano del suo pube volesse stuzzicarla.
Ogni tanto si azzardava ad allungare le dita affusolate per accarezzare le sue grandi labbra e l’ingresso della sua piccola vagina e si ritrovava a provare sensazioni strane ed emozionanti, a gemere involontariamente di piacere. Si fermava subito dopo, spaventata dalla sua stessa reazione e dalla prospettiva di svegliare i suoi genitori mentre dormivano in camera loro.
Una volta avvenne un episodio buffo che rappresentò una svolta nella loro vita.
Roberto avrebbe dovuto lasciare dei bigliettini con delle risposte già compilate per un test a risposta multipla, peccato che a causa di un temporale Mena fosse arrivata in ritardo e che ricevette il suo bigliettino d’amore solo dopo l’inizio dell’esame.
Indubbiamente rimase sorpresa quando notò che, al posto della solita, tenera, poesia ci fosse una serie di lettere (probabilmente la soluzione dell’esame).
Ancora più sorpreso rimase il povero studente che, al posto della soluzione dell’esame, si trovò a leggere una Poesia d’amore.
Scapparono, ridendo sotto la pioggia, per evitare la furia dello sfortunato studente (casualmente bocciato) e si ripararono sotto un portico dove lei gli chiese “ma quindi che poesia era? Tanto lo so che la conosci a memoria.”
Lui, con il cuore in gola, rispose: “Era una poesia di Hikmet: Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto”.
Lei era emozionata, non sapeva se piangesse o se fosse la pioggia a bagnarle il viso. Si baciarono dopo essersi dichiarati finalmente il loro amore.
Era il suo primo bacio d’amore, sentiva le labbra di lui, la sua lingua che timidamente le massaggiava le labbra e si lasciò andare, ricambiando con un perfetto bacio alla francese mentre le mani di lui le palpavano i fianchi, i seni, le strappavano gemiti di piacere.
Avevano entrambi una voglia matta di stare assieme e decisero di andare a casa di lui. Non si staccarono per un momento per l’intero tragitto. Mena sentiva distintamente l’attrezzo di Roberto che spingeva sulla sua gonna a vita alta e non sapeva che pensare, voleva solo arrivare al letto di casa.
In casa non c’era nessuno. Si spogliarono in fretta e furia lasciando i vestiti dove capitava.
Mena si spogliò rapidamente, provando un brivido quando i suoi capezzoli e la sua vulva furono esposte all’aria aperta.
La sua terza di seno era tonda, perfettamente regolare e sembrava sfidare la gravità; i due scuri capezzoli appuntiti come chiodi erano una calamita per i suoi occhi affamati.
La ragazza rimase per un attimo immobile mentre Roberto, il sesso eretto, la fissava estasiato. Sembrava una statua greca, un’amazzone innamorata.
“Mena sei stupenda, non so che altro dire! Ti voglio. Ogni volta che metto le mie braccia intorno a te, io mi sento a casa.”
Mena annuì ridendo: “Perché siamo a casa tua, scemo! Sapevo che saresti stato tu il primo, era destino. Ti stavo aspettando da diciannove anni”.
Si ficcarono sotto al piumone, ancora intirizziti dalla pioggia e iniziarono a baciarsi, ad accarezzarsi.
Sentiva Roberto palparle il morbido seno, accarezzarle le gambe e, inconsciamente, allargò le gambe; le dita del ragazzo sfregarono leggermente le già fradice labbra della vulva e quel piccolo bottoncino che era il clitoride di Mena; lo sfregamento divenne un vero e proprio su e giù delle dita di Roberto sulla dolce e tenera valle di Mena che rimase sorpresa quando, nello stesso momento, la bocca del ragazzo iniziò a succhiare i suoi duri capezzolini e accogliere tra le labbra buona parte del seno destro, trattenuto nella bocca di Roberto come dentro una ventosa, mentre la lingua del ragazzo stuzzicava il capezzolino.
Bastarono poche strusciate della tenera e bagnata vagina di Mena e poche leccate del suo capezzolo per farla ansimare e percepire l’accelerazione dei movimenti delle dita e della lingua, finché la giovane, urlando a bocca aperta e con la testa all'indietro, ebbe il suo primo, tenero orgasmo.
Era questo l’amore? Tutto acquistava senso. Mena si riscosse da quella meravigliosa sensazione accorgendosi di avere il pene di Roberto tra le mani, duro come il marmo. E adesso?
Fu in quel momento che la porta di casa si aprì ed entrò la madre di Roberto: “Roberto, sono a casa!”
I ragazzi ebbe un momento di panico. La madre stava per entrare e non volevano farsi trovare nudi; quindi, decisero di improvvisare e Mena si nascose sotto il piumone mentre Roberto, disteso sul letto con le ginocchia piegate e il piumone fino al petto, fingeva di sonnecchiare: “ciao mamma! Tutto bene?”
La madre di Roberto era indaffarata nel portare dentro casa la spesa e lo guardò appena, non facendo caso al rigonfiamento tra le lenzuola del letto proprio accanto a Roberto.
“Sì, tutto bene, c’era un traffico terribile! Maledetta pioggia.”
Mentre madre e figlio parlavano, Mena restava sotto le lenzuola, l’adrenalina a mille. Era appena venuta e l’emozione di questa piccola avventura sotto le coperte la stimolava ancora di più.
Di colpo notò, leggermente curvo verso di lei, il membro ancora dritto di Roberto. La ragazza sgranò gli occhio potendo finalmente guardare da vicino il cazzo di Roberto.
Lo sfiorò con la punta delle sue unghie rosse e lo vide sussultare di vita propria. Era di discreta lunghezza, durissimo, con la pelle bianca e morbida. La cappella era piccola e vellutata, già del tutto scoperta dall’eccitazione.
Silenziosa, Mena diede un bacio sulla cappella. E poi un altro. E un altro ancora.
“Ho preso lo sformato per stasera a cena, ti va?”
“S-si va b-bene!”
Mena sentiva Roberto sempre più in difficoltà: ogni volta che le sue labbra o la sua lingua sfioravano il membro di Roberto, il tono di voce del ragazzo cambiava assieme al suo crescente livello di eccitazione.
“Tesoro, tutto bene? Mi stai ascoltando?” gli chiede giustappunto sua madre.
“Sì, certo! Scusa stavo pensando a un esame” in quel momento Mena gli afferrò il cazzo, iniziando una lenta sega.
“Pure quando sei a letto pensi agli esami? Esagerato!” rispose ridendo la madre di Roberto.
Passano decine e decine di secondi così, con Mena divertita dal mettere in difficoltà il ragazzo, curiosa di vedere fino a che punto avrebbe potuto resistere.
Il problema è che anche Mena era ormai eccitatissima da quella situazione e il desiderio irrefrenabile di essere penetrata da Roberto non poteva più essere ricacciato; perciò, commise una piccola imprudenza portando una mano di Roberto sul suo seno e, col fiato sospeso, chiuse la bocca attorno al glande. Sente sulle labbra quanto è umido e duro, intriso di liquido preseminale. Strinse le labbra con maggior forza, scorrendo fino alla punta della cappella e scendendo fino alla metà dell’asta.
Roberto era del tutto nel pallone, pronto ad urlare di piacere, in balìa della regina delle amazzoni, del suo lento e sadico pompino, inebriato dall’odore della sua pelle, dalla sensazione di morbidezza del suo seno.
Altri trenta secondi e Mena avrebbe sentito la sborra di Roberto nella sua bocca, l’urlo dell’orgasmo avrebbe inequivocabilmente fatto saltare la loro ridicola sceneggiata.
“Cavolo mi sono dimenticata di fare benzina alla macchina, sarà meglio che esca, sennò chi lo sente tuo padre? A dopo!”
Mena sentì la porta di casa richiudersi e, un po' perplessa, usci dal suo nascondiglio sotto le coperte.
I due amanti si fissarono e, dopo qualche attimo, cominciarono a ridere. L’avevano scampata bella ed era stato molto divertente.
Si abbracciarono intensamente e rimasero stretti per un tempo indefinito finché, sorridendo, Mena aggiunse: “adesso sbrighiamoci, prima che torni tua madre. Voglio che la mia prima volta sia con te!”
Roberto sgranò gli occhi: “Sei vergine?”
“Non stavo scherzando quando ho detto stavo aspettando te!”
I due ricominciarono a baciarsi con passione, il membro eretto di Roberto era rimasto in attesa disperata del proprio turno. Adesso era il momento di sugellare il legame di quella coppia, di iniziare il loro primo amplesso.
Mentre si baciavano, Mena sentì le dita di Roberto intrufolarsi nella sua carne più intima ed emise un gemito sentendole scorrere nel suo solco aperto, fin sul suo grilletto teso.
Mena, emozionata, ricominciò a massaggiare su e giù quello splendido arnese; si mordeva le labbra tra timore e vergogna e lui, rassicurante, iniziò a baciarla.
A quel punto Mena divaricò le gambe e sentì la cappella rossa stuzzicarle il clitoride eccitato; poi, impaziente, Roberto portò il cazzo a contatto con le grandi labbra lubrificate e pronte ad accogliere l’asta in tutta la sua pienezza.
Un bacio e una prima spinta.
Lo sentì tronfio, turgido, invaderle l’intimità.
Dolore; “Fa piano Roberto, piano. Non farmi male”.
È un fiore non del tutto schiuso, i petali zuppi di dolce miele.
Una seconda spinta, Mena sente una lieve resistenza all’ingresso di quell’attrezzo e lancia un grido di dolore “Ahia!”. Di riflesso stringe i denti ma non lo respinge mentre Roberto, sopra di lei, la coccola e le passa le dita sulle labbra, facendole assaggiare il sapore lievemente salato della sua stessa figa.
Una terza spinta e un bacio di Roberto consentono a Mena di soffocare un suo grido; alla quarta spinta la cappella era entrata tutta.
“Fa piano Roberto; però continua, ti prego, ti voglio dentro di me!”
Alla quinta spinta sentì il cazzo di Roberto lacerarle l’imene. Se ne accorse anche lui e i due rimasero fermi alcuni istanti per lasciare diminuire il dolore e questa pausa permise alla ragazza di sentirsi riempita da quella dura carne; dopodiché Roberto spinse di nuovo e con un colpo secco di reni sprofondò nella fica bollente di Mena, mentre le gambe di lei si stringevano attorno alla vita del suo ragazzo.
Poco dopo il pube di Mena era a contatto con quello di Roberto; la ragazza avvertì le contrazioni di dolore della sua vagina ad ogni piccolo movimento e iniziò a leccare il collo del ragazzo che continuò la sua dolce cavalcata aumentando progressivamente il ritmo, fino a quando non fu evidente che Roberto stesse per avere un orgasmo.
Proprio in quel momento, Mena inarcò la schiena e lo strinse a lei gridando, impedendogli di uscire e gemendo per il suo primo orgasmo vaginale, dando dei colpi perfettamente coordinati col bacino, mentre la sua vagina si contrae ritmicamente sul cazzo di Roberto, mossa da scosse del tutto nuove per lei.
Dopo alcuni affondi, il povero Roberto non riuscì a resistere e svuotò completamente i testicoli in una copiosa sborrata dentro Mena, facendole sentire per la prima volta il calore di getti di seme che le zampillavano in vagina.
Rimasero così, uniti, per un tempo indefinito. Era bello restare in quel calduccio e vollero gustarsi appieno quel momento.
Quando Roberto si tolse, rivoli di sperma traboccavano dalla vagina dolorante di Mena, mentre il pene di Roberto mostrava alcune piccole macchie di sangue.
Mena fu sollevata; temeva di aver macchiato tutto di sangue. Invece erano stati discreti e lei riuscì a rivestirsi e a farsi accompagnare da Roberto senza essere scoperta da nessuno.
Dopo quella prima volta, Mena e Roberto vissero clandestinamente la loro relazione per alcuni, elettrizzanti, mesi.
Si appartavano spesso in luoghi poco affollati per consumare fugaci amplessi: cortili di palazzi deserti, campagne sperdute, bagni pubblici. In quelle occasioni, Mena aveva imparato ad amare la penetrazione da dietro. Era relativamente comoda e semplice da nascondere anche in luoghi pubblici e Roberto era diventato bravissimo a capire quando Mena aveva voglia e a individuare posti dove appartarsi per possedere la sua vagina desiderosa di attenzioni.
Non che ci fosse nulla di sbagliato nella loro relazione. Maggiorenni, avrebbero potuto dichiararla in ogni momento senza troppi problemi. La verità era che amavano il brivido, l’adrenalina del sesso clandestino, la dolce complicità di un momento intimo unico e proibito.
Avrebbero continuato le loro scorribande ancora a lungo, se Mena non fosse rimasta incinta sei mesi dopo l’inizio della loro relazione.
Mena non immaginava le gioie e le peripezie che quel ventre le avrebbe fatto passare nel futuro.
Era il principio.
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