Le confessioni di Sabina la vacca tettona: muratori

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Facevo l'ultimo anno della ragioneria, ero già con un seno oltremisura, ero la tettona della scuola.

Per andare da casa a scuola dovevo passare ogni giorno davanti ad un cantiere e giorno dopo giorno i muratori mi dicevano cose sempre più volgari quando passavo di lì.

Avrei potuto fare un altra strada, di poco più lunga, ma alla fine ogni giorno passavo di lì per il brivido ed il piacere che mi provocava essere al centro delle loro attenzioni, il brivido aumentava con le volgarità che mi urlavano.

Passano i mesi e siamo alla fine dell'anno di scuola, era fine maggio, faceva caldo, la palazzina che stavano costruendo era quasi terminata.

Quel giorno ero vestita provocante, probabilmente apposta, e quando ho imboccato la strada del cantiere mi sono anche sbottonata alcuni bottoni della camicetta.

Mentre passavo a fianco del cantiere e sentivo tutte le oscenità che mi dicevano, sentivo dei brividi dentro la pancia, esce un muratore sul marciapiede e viene verso di me, ho una sensazione di terrore, mi sento impietrita, mi arriva di fronte si ferma fissandomi negli occhi, sicuramente vede la paura che ho, non riesco neanche a respirare, prende un foglio di carta che aveva, lo accartoccia e me lo infila a fondo in mezzo alle tettone, mi sorride, si gira e se ne va rientrando nel cantiere.

Non so dove ho trovato la forza per riprendere a respirare e camminare, non avevo neanche il coraggio di prendere il foglio.

Arrivata a scuola la prima ora non riuscivo a capire nulla, avevo il cuore in gola, esco dalla classe e vado in bagno e trovo il coraggio di prendere il foglio stropicciato e leggerlo.

C'erano le istruzioni di cosa dovevo fare per andare da loro, nel cantiere alle 6 del pomeriggio col cantiere chiuso.

Tutta la mattina a scuola non riuscivo a concentrarmi, quelle due parole "tettona" e "puttana" più volte ripetute in quel foglio mi scoppiavano nella testa.

Dentro di me mi dicevo che ero pazza se fossi andata e che non avevo nessuna intenzione di andarci.

Finita scuola, invece di tornare a casa accettai l'offerta di una mia amica di fermarmi a studiare insieme per la maturità.

Non ricordo nulla di quel pomeriggio se non i crampi allo stomaco per la tensione e il continuo rimbombo dentro di me di "puttana" e "tettona".

Alle cinque e mezza le dissi che dovevo tornare a casa.

Mi avvicinavo al cantiere e mi dicevo vai dritta, entrai da un cancelletto lasciato socchiuso, mi dicevo adesso torni indietro, salii al secondo piano e trovai la porta socchiusa come era scritto sul foglio che avevo ancora tra le tettone, mi dicevo adesso scappa e andiamo via, era piuttosto buio, entrai e sentii da dietro due mani che mi coprivano gli occhi, poi altre mani, vengo bendata con un calzino usato, non certo appena uscito dalla lavatrice,
non so quanti fossero, ero la loro preda, non li vedevo ma li sentivo addosso a me, i loro odori i loro sapori di maschi sudati mi sentivo schiacciare tra i loro caldi corpi eccitati di me, li sentivo addosso a me e dentro di me, ovunque, avvolta dentro e fuori dalle loro voglie, e tutto rimbombava delle oscene volgarità che mi dicevano mentre sfogavano su di me tutte le voglie che gli provocavo ... li respiravo perché avevo la bocca sempre piena di loro, ondate di calore dentro la mia pancia mi si propagavano dappertutto, qualcuno urlava "sta godendo come una troia in calore", era vero ...

Quel calzino sporco lo conservo ancora

[P.S.: per commenti federicoesabina@hotmail.it oppure https://federicoesabina.wixsite.com/sabina]
scritto il
2024-12-29
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