Via dei Bardi - 05 Fuori controllo
di
EssEmmE
genere
etero
Firenze, quella sera, sembrava più calda del solito. L’aria era densa, umida, e le finestre dell’appartamento di via dei Bardi erano tutte spalancate. Il tramonto si rifletteva sui vetri dei palazzi di fronte, tingendo le pareti interne di una luce dorata che pareva quasi carezzare ogni superficie.
Chiara era in camera sua, davanti allo specchio. Il letto era un campo di battaglia: gonne, top, reggiseni in pizzo, sandali col tacco, profumi, un rossetto lasciato aperto che macchiava il bordo del comodino.
Aveva già scelto l’intimo: niente.
Solo una minigonna in similpelle nera e un crop top bianco che le lasciava scoperto lo stomaco. I seni liberi sotto il tessuto leggero, i capezzoli già leggermente tesi per l’eccitazione. Aveva passato quasi mezz’ora a depilarsi di nuovo il pube con cura maniacale, e ora si sentiva incredibilmente esposta, sensibile, viva.
Dal corridoio arrivava la voce di Giulia, musica jazz suonata dal telefono e risate leggere.
Quando uscì dalla stanza, Chiara la trovò davanti allo specchio del bagno, in lingerie nera trasparente, mentre si truccava con calma. Indossava un body in pizzo che lasciava intravedere il seno pieno, i capezzoli scuri e duri sotto la rete fine, e un paio di shorts corti color borgogna, che sembravano fatti apposta per far impazzire chiunque li vedesse.
«Così?» chiese Giulia, voltandosi.
Chiara annuì lentamente. «Se ti vedono, ti portano via.»
«Non senza di te.» le rispose Giulia con un sorriso carico di sottotesto.
Si erano scelte il locale con cura: una discoteca alternativa sul Lungarno, luci soffuse, musica che mescolava elettronica e funk, gente bella ma non troppo patinata. Ci andarono in taxi, entrambe già su di giri. Avevano bevuto due gin tonic a casa, ridendo, raccontandosi aneddoti stupidi, giocando a chi aveva ricevuto il sexting più spinto nella vita.
Nel taxi, le gambe di Chiara sfioravano quelle di Giulia. Le mani si appoggiavano ai fianchi per equilibrio, ma restavano un secondo di troppo. I loro profumi si mescolavano: vaniglia e pepe nero. E l’aria tra loro era elettrica.
Appena entrate nel locale, si sentirono investite dal ritmo della musica.
Il battito del basso vibrava sotto le suole, nei fianchi, tra le cosce. Il pavimento lucido rifletteva le luci stroboscopiche. Il primo cocktail fu rapido: un mojito per Chiara, un Moscow Mule per Giulia.
Poi iniziarono a ballare.
Giulia si muoveva con sensualità naturale, il corpo morbido che ondeggiava, il bacino che seguiva i bassi come se fosse nato per quello. Chiara era più composta all’inizio, ma dopo un paio di canzoni aveva già lasciato andare tutto: le mani in aria, la gonna che si sollevava appena a ogni movimento, le labbra umide, gli occhi socchiusi.
Furono notate quasi subito.
Due ragazzi si avvicinarono durante una canzone di SZA, sorridendo, mostrando di aver colto la sintonia. Erano belli, ma non troppo. Uno alto, capelli scuri, mascella decisa. L’altro più basso, ricci biondi e occhi verdi. Il primo si rivolse a Chiara, il secondo a Giulia.
I nomi si persero tra la musica, come sempre accade. Ma il gioco era chiaro.
Ballarono vicini, poi più vicini. I fianchi si sfioravano, le mani si appoggiavano alle anche. Le dita passavano dietro la schiena, sui fianchi nudi, sul bordo del top. Il calore saliva dalla pelle, amplificato dal ritmo, dalla folla, dall’alcol.
Chiara sentiva il corpo del ragazzo dietro di sé, duro, presente. Le mani forti che le stringevano la vita, le dita che accarezzavano appena sotto la gonna. Ogni tanto lo guardava e sorrideva, ma poi il suo sguardo cercava quello di Giulia, che stava baciando l’altro ragazzo sulla pista.
Un bacio lungo, umido, lento. Con le mani che salivano e scendevano. I corpi fusi.
Chiara non resistette. Si voltò e baciò il suo compagno.
Fu un bacio carico. Di quelli che cominciano morbidi e finiscono affamati. Le lingue si intrecciarono, le mani si fecero più audaci. La gonna si sollevò leggermente, e le dita di lui sfiorarono la pelle nuda delle sue natiche.
«Non porti l’intimo, eh?» le sussurrò all’orecchio, e Chiara non rispose. Ma lo guardò con un’espressione che valeva più di mille parole.
Quando uscirono dal locale, erano tutti sudati, le guance arrossate, le labbra gonfie. L’aria notturna era più fresca, ma non abbastanza da raffreddare quello che si era acceso.
Nel parcheggio sul retro, lontano dalle luci, trovarono due angoli d’ombra.
Giulia fu la prima ad appoggiarsi alla fiancata dell’auto, tirando verso di sé il ragazzo. Le gambe aperte, le mani che le infilavano i pantaloncini fino a scoprire il bordo della lingerie.
Le dita di lui scorsero lungo l’interno coscia, poi salirono, lente. Giulia aprì appena le gambe, e lo lasciò fare. Il tessuto del body era bagnato. Lui lo spostò, e infilò un dito dentro, profondo, mentre con la bocca le baciava il collo e i seni premuti contro il pizzo trasparente.
Chiara era contro un’altra macchina. Il ragazzo l’aveva sollevata di peso, le mani le stringevano il sedere nudo sotto la gonna, le labbra la baciavano con foga, leccando, mordendo. Poi una mano salì tra le cosce, e la trovò già pronta. Due dita le scivolarono dentro, e Chiara si lasciò andare contro la portiera, emettendo un gemito sottile.
Giulia li osservava, da pochi metri. E Chiara, anche mentre gemeva contro un ragazzo mai visto prima, guardava lei.
Le due ragazze si baciavano con altri, ma si possedevano con lo sguardo.
Le mani dei ragazzi facevano il loro lavoro: carezze, penetrazioni lente con le dita, baci che scavavano nella carne. Ma il desiderio vero era altrove. Più sottile. Più profondo.
Quando si staccarono, entrambe erano scosse. Non vennero. Ma ci andarono vicino.
Chiara si sistemò la gonna con mani tremanti. Giulia si riabbottonò i pantaloncini senza guardare il ragazzo.
«Che fate dopo?» chiesero i due.
«Torniamo a casa. Tra noi.» rispose Giulia.
E Chiara, per la prima volta, non sentì il bisogno di aggiungere altro.
Nel taxi del ritorno, non si parlarono. Ma le ginocchia si sfiorarono. Di nuovo.
E il silenzio, tra loro, valeva quanto tutti i gemiti del mondo.
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