Quando hai fatto sesso la prima volta? - Pagina 002 del Diario d'InusualMe -
di
InusualMe
genere
incesti
Quando hai fatto sesso la prima volta?
Una domanda banale questa, ma che a me ha sempre fatto pensare e riflettere sino al punto che, solitamente, rispondo: “Quando ho fatto sesso la prima volta, in che senso?”
Normalmente pochi comprendono il significato di questa mia contro-domanda, e aggiungerei a ben ragione. Per i più il ‘fare sesso’ equivale all’atto in sé della penetrazione, quel momento cioè nel quale perdi la verginità maschile o femminile che sia; perché fare sesso è un atto fisico.
Beh per me non è stato così e non so se sia stata una fortuna o meno, ma il mio approccio al sesso è stato lento, inizialmente inconsapevole, istintivo, casuale.
Solo una volta scoperto realmente, è divenuto ricercato, voluto, conquistato, esplorato in ogni forma legittima.
Ed è iniziato presto, molto prima dell’età media standard entro la quale un adolescente scopre i piaceri del ‘proibito’.
E come spesso mi è capitato di sentire in questi anni, tutto è cominciato per caso e… tra le mura di casa.
La mia storia inizia da qui, da questo mio primo ricordo di ‘sesso’.
Ma non leggerete, in questo mio raccontarmi, la mia storia in ordine cronologico, salterò a raccontarvi ciò che mi è accaduto in questi anni, effettuando voli temporali pindarici, seguendo i ricordi e le immagini che andranno scorrendo nella mia mente, ma per iniziare a raccontare, trovo inevitabile iniziare dal principio, dal dove tutto accadde.
Avevo poco più di undici anni e, vi assicuro, non sapevo nulla di cosa fossero il sesso, le donne.
Avevo i miei amici e con loro studiavo e giocavo, facendo i giochi da maschi: calcio, figurine e qualche stupido scherzo, che oggi chiameremmo ‘bullismo’, verso chi consideravamo più ‘sfigato’. Ma niente ragazze. Niente pensieri peccaminosi, nulla che potesse presagire quello che mi sarebbe accaduto, da lì a poco.
Proprio durante le festività natalizie di quell’anno di frequenza della prima media, mi ammalai di uno dei soliti mali di stagione che colpiscono i ragazzini e fui quindi costretto, mio malgrado, a dover rimanere in casa, nell’attesa della guarigione.
I miei lavorano entrambi, quindi approfittando delle vacanze natalizie a vegliare sulla mia salute, mentre febbricitante ero a letto, lasciarono mia sorella, più grande di me di poco meno di cinque anni che, per colpa mia, fu così costretta anch’essa a rimanere in casa durante quelle mattinate e pomeriggi di vacanza.
Io stavo nella mia camera, che la sera era anche la sua, a dormire, leggere i miei fumetti, guardare la tv e lamentarmi di ogni cosa, pur di avere una coccola.
Lei invece, stava in sala, sul divano a guardare la tv e chiacchierare con le amiche al telefono fisso di casa, perché non esistevano ancora i cellulari al tempo, e a sua volta si lamentava ogni qualvolta sentiva un mio piagnucolio che la costringeva a venire a vedere, cosa di grave mi stesse accadendo.
Fu così che, dopo l’ennesimo mio richiamo per futili motivi, mi disse che non sarebbe più venuta in camera, perché tanto io lo facevo apposta a lamentarmi, solo per darle fastidio e recuperare due coccole a gratis.
Ricordo che, per il timore di non essere più realmente creduto, smisi di lamentarmi e chiamarla. Il mio intento, subdolo, era quello di volerle far capire che i richiami precedenti eran tutti veri e sostenuti da un bisogno effettivo. La tattica devo dire funzionò, perché dopo un po’ fu lei, spontaneamente, a venire a constatare come stessi, senza che io avessi proprio aperto bocca.
Questo fatto mi gratificò a tal punto che, da quel momento smisi di lamentarmi, attendendo, di tanto in tanto la sua venuta in camera.
Anche il giorno dopo continuai con questa tattica e fu il giorno dopo che accade quello che, ho buon motivo di credere, ha indelebilmente segnato la mia esistenza.
Ricordo che mi era venuta sete e non volendo disturbare più mia sorella, decisi di alzarmi dal letto e andare in cucina per prendere dell’acqua, così cercando di non farmi vedere e facendo più piano possibile, feci.
Una volta in cucina bevvi e immediatamente dopo ripercorsi al contrario la strada, al fine di ritornare in camera. Nel tragitto però, udii dei suoni provenire dalla sala dove stava mia sorella, così pensando stesse al telefono con qualche sua amica, decisi di fermarmi a origliare e magari farle uno scherzo, tanto per dirle che stavo meglio.
La sala era semi buia, l’unica luce accesa era l’abat-jour ai piedi del divano dove mia sorella era sdraiata, coperta dal solito plaid azzurro e rosso che ci riscaldava nelle serate d’inverno.
Io sbirciavo dalla soglia d’ingresso alla camera, lei non poteva vedermi perché dava le spalle alla porta d’ingresso, così rimasi lì, a guardare e ascoltare. Mi resi conto in un secondo momento che il telefono era al suo posto, non lo stava utilizzando, eppure parlava in sottovoce, bisbigliava come era solita fare quando stava al telefono con le amiche, per non farmi sentire cosa dicesse.
M’incuriosii e cosi feci un altro passo in avanti, pronto a fare ‘boom’, se lei si fosse voltata, ma nulla.
Sentivo i suoi sospiri sempre più forti, il suo bisbigliare insolito, non fatto delle solite parole dette coperte dalla mano sulla cornetta, e vedevo il plaid muoversi, agitarsi insieme a lei e i suoi piedi che, a un certo punto, fuoriuscirono dal plaid, per innalzarsi in un ultimo, grande, profondo sospiro, poi la calma.
Il plaid smise di muoversi, i bisbigli non si udirono più e io ero lì, dietro a lei, che avevo assistito a tutto questo, senza sapere cosa mai fosse, ma con una ‘istintiva’ reazione addosso, ovviamente sconosciuta, ma sorprendentemente piacevole da sentire.
Fu in quel momento che, probabilmente confuso e inconsapevolmente eccitato, con un movimento maldestro toccai una sedia provocando il rumore che fece sobbalzare, di scatto, mia sorella.
Si girò mi vide e ancora un po’ sconvolta in viso e palesemente imbarazzata mi chiese: “Da quanto sei lì…?”
Io le risposi: “Da un po’, pensavo stessi parlando con una tua amica e volevo farti uno scherzo e dirti che sto meglio…’
Lei mi porse la mano, come per dire “vieni stupidino” e io le andai incontro, così mi tirò a lei sul divano e finii sdraiato su di lei e sul plaid che la copriva.
Mi dette un bacio in fronte e mi disse che non stava parlando al telefono, stava facendo una cosa che le ragazze della sua età fanno e che, presto, anche io avrei fatto, perché viene naturale ed è una cosa che non insegnano mamma e papà, perché è una cosa che ognuno deve imparare da solo.
Per questo mi raccomandò e mi fece promettere di non dire nulla a nessuno di quello che avevo visto e sentito; come contro-promessa, lei mi garantì che, se avesse visto me fare qualsiasi cosa che poteva essere di dispiacere ai nostri, mai lo avrebbe detto loro. Io annuii.
Il fatto però, è che durante quel tempo nel quale mi diceva questo, mi teneva stretto a lei e pur non comprendendo nulla di quello che mi diceva, essendo privo di ogni malizia e all’oscuro di tutto, evidentemente l’istinto primordiale del maschio che già era in me, faceva sì che, soprattutto credo dopo quello che avevo visto (poco, perché nella realtà di visto solo il plaid…) e sentito (invece questo sì, parecchio), il contatto col suo corpo così diretto, il calore che emetteva, lo sfrigolio inevitabile… credo –perché a oggi non ne sono ancora così certo- procurò il primo mio orgasmo che, nella posizione nella quale mi trovavo, mi fece arrossire in modo palese, tanto che lei mi chiese se fosse tutto a posto e io, annuendo con la testa, ebbi solo la forza di dire, stupidamente: "Sì… pipì!"
Lei scoppio a ridere e poi io pure, di conseguenza; così me ne tornai in camera, da solo.
Prima però, passai dal gabinetto e trovandomi il pisellino bagnato, fu allora che scoprii che toccandolo, provavo uno sconosciuto piacere.
Così continuai a toccarlo, guardarlo, sino a quando provai una gioia immensa e sconosciuta e vidi fuoriuscire del liquido che, di certo, pipì non era.
Girandomi vidi mia sorella sulla soglia della porta del bagno: “Siamo pari, mi sa”, mi disse chiamandomi “Ometto” e dandomi poi un bacio sulla nuca.
La mia ‘prima volta’ fu questa, ma non l’unica, di certo!
Poi ce ne sono state mille altre di prime volte, voi per conoscerle, dovrete avere la pazienza ch’io le scriva e le renda pubbliche.
Io per scriverle, dovrò capire che vi piace leggerle…
A presto.
Una domanda banale questa, ma che a me ha sempre fatto pensare e riflettere sino al punto che, solitamente, rispondo: “Quando ho fatto sesso la prima volta, in che senso?”
Normalmente pochi comprendono il significato di questa mia contro-domanda, e aggiungerei a ben ragione. Per i più il ‘fare sesso’ equivale all’atto in sé della penetrazione, quel momento cioè nel quale perdi la verginità maschile o femminile che sia; perché fare sesso è un atto fisico.
Beh per me non è stato così e non so se sia stata una fortuna o meno, ma il mio approccio al sesso è stato lento, inizialmente inconsapevole, istintivo, casuale.
Solo una volta scoperto realmente, è divenuto ricercato, voluto, conquistato, esplorato in ogni forma legittima.
Ed è iniziato presto, molto prima dell’età media standard entro la quale un adolescente scopre i piaceri del ‘proibito’.
E come spesso mi è capitato di sentire in questi anni, tutto è cominciato per caso e… tra le mura di casa.
La mia storia inizia da qui, da questo mio primo ricordo di ‘sesso’.
Ma non leggerete, in questo mio raccontarmi, la mia storia in ordine cronologico, salterò a raccontarvi ciò che mi è accaduto in questi anni, effettuando voli temporali pindarici, seguendo i ricordi e le immagini che andranno scorrendo nella mia mente, ma per iniziare a raccontare, trovo inevitabile iniziare dal principio, dal dove tutto accadde.
Avevo poco più di undici anni e, vi assicuro, non sapevo nulla di cosa fossero il sesso, le donne.
Avevo i miei amici e con loro studiavo e giocavo, facendo i giochi da maschi: calcio, figurine e qualche stupido scherzo, che oggi chiameremmo ‘bullismo’, verso chi consideravamo più ‘sfigato’. Ma niente ragazze. Niente pensieri peccaminosi, nulla che potesse presagire quello che mi sarebbe accaduto, da lì a poco.
Proprio durante le festività natalizie di quell’anno di frequenza della prima media, mi ammalai di uno dei soliti mali di stagione che colpiscono i ragazzini e fui quindi costretto, mio malgrado, a dover rimanere in casa, nell’attesa della guarigione.
I miei lavorano entrambi, quindi approfittando delle vacanze natalizie a vegliare sulla mia salute, mentre febbricitante ero a letto, lasciarono mia sorella, più grande di me di poco meno di cinque anni che, per colpa mia, fu così costretta anch’essa a rimanere in casa durante quelle mattinate e pomeriggi di vacanza.
Io stavo nella mia camera, che la sera era anche la sua, a dormire, leggere i miei fumetti, guardare la tv e lamentarmi di ogni cosa, pur di avere una coccola.
Lei invece, stava in sala, sul divano a guardare la tv e chiacchierare con le amiche al telefono fisso di casa, perché non esistevano ancora i cellulari al tempo, e a sua volta si lamentava ogni qualvolta sentiva un mio piagnucolio che la costringeva a venire a vedere, cosa di grave mi stesse accadendo.
Fu così che, dopo l’ennesimo mio richiamo per futili motivi, mi disse che non sarebbe più venuta in camera, perché tanto io lo facevo apposta a lamentarmi, solo per darle fastidio e recuperare due coccole a gratis.
Ricordo che, per il timore di non essere più realmente creduto, smisi di lamentarmi e chiamarla. Il mio intento, subdolo, era quello di volerle far capire che i richiami precedenti eran tutti veri e sostenuti da un bisogno effettivo. La tattica devo dire funzionò, perché dopo un po’ fu lei, spontaneamente, a venire a constatare come stessi, senza che io avessi proprio aperto bocca.
Questo fatto mi gratificò a tal punto che, da quel momento smisi di lamentarmi, attendendo, di tanto in tanto la sua venuta in camera.
Anche il giorno dopo continuai con questa tattica e fu il giorno dopo che accade quello che, ho buon motivo di credere, ha indelebilmente segnato la mia esistenza.
Ricordo che mi era venuta sete e non volendo disturbare più mia sorella, decisi di alzarmi dal letto e andare in cucina per prendere dell’acqua, così cercando di non farmi vedere e facendo più piano possibile, feci.
Una volta in cucina bevvi e immediatamente dopo ripercorsi al contrario la strada, al fine di ritornare in camera. Nel tragitto però, udii dei suoni provenire dalla sala dove stava mia sorella, così pensando stesse al telefono con qualche sua amica, decisi di fermarmi a origliare e magari farle uno scherzo, tanto per dirle che stavo meglio.
La sala era semi buia, l’unica luce accesa era l’abat-jour ai piedi del divano dove mia sorella era sdraiata, coperta dal solito plaid azzurro e rosso che ci riscaldava nelle serate d’inverno.
Io sbirciavo dalla soglia d’ingresso alla camera, lei non poteva vedermi perché dava le spalle alla porta d’ingresso, così rimasi lì, a guardare e ascoltare. Mi resi conto in un secondo momento che il telefono era al suo posto, non lo stava utilizzando, eppure parlava in sottovoce, bisbigliava come era solita fare quando stava al telefono con le amiche, per non farmi sentire cosa dicesse.
M’incuriosii e cosi feci un altro passo in avanti, pronto a fare ‘boom’, se lei si fosse voltata, ma nulla.
Sentivo i suoi sospiri sempre più forti, il suo bisbigliare insolito, non fatto delle solite parole dette coperte dalla mano sulla cornetta, e vedevo il plaid muoversi, agitarsi insieme a lei e i suoi piedi che, a un certo punto, fuoriuscirono dal plaid, per innalzarsi in un ultimo, grande, profondo sospiro, poi la calma.
Il plaid smise di muoversi, i bisbigli non si udirono più e io ero lì, dietro a lei, che avevo assistito a tutto questo, senza sapere cosa mai fosse, ma con una ‘istintiva’ reazione addosso, ovviamente sconosciuta, ma sorprendentemente piacevole da sentire.
Fu in quel momento che, probabilmente confuso e inconsapevolmente eccitato, con un movimento maldestro toccai una sedia provocando il rumore che fece sobbalzare, di scatto, mia sorella.
Si girò mi vide e ancora un po’ sconvolta in viso e palesemente imbarazzata mi chiese: “Da quanto sei lì…?”
Io le risposi: “Da un po’, pensavo stessi parlando con una tua amica e volevo farti uno scherzo e dirti che sto meglio…’
Lei mi porse la mano, come per dire “vieni stupidino” e io le andai incontro, così mi tirò a lei sul divano e finii sdraiato su di lei e sul plaid che la copriva.
Mi dette un bacio in fronte e mi disse che non stava parlando al telefono, stava facendo una cosa che le ragazze della sua età fanno e che, presto, anche io avrei fatto, perché viene naturale ed è una cosa che non insegnano mamma e papà, perché è una cosa che ognuno deve imparare da solo.
Per questo mi raccomandò e mi fece promettere di non dire nulla a nessuno di quello che avevo visto e sentito; come contro-promessa, lei mi garantì che, se avesse visto me fare qualsiasi cosa che poteva essere di dispiacere ai nostri, mai lo avrebbe detto loro. Io annuii.
Il fatto però, è che durante quel tempo nel quale mi diceva questo, mi teneva stretto a lei e pur non comprendendo nulla di quello che mi diceva, essendo privo di ogni malizia e all’oscuro di tutto, evidentemente l’istinto primordiale del maschio che già era in me, faceva sì che, soprattutto credo dopo quello che avevo visto (poco, perché nella realtà di visto solo il plaid…) e sentito (invece questo sì, parecchio), il contatto col suo corpo così diretto, il calore che emetteva, lo sfrigolio inevitabile… credo –perché a oggi non ne sono ancora così certo- procurò il primo mio orgasmo che, nella posizione nella quale mi trovavo, mi fece arrossire in modo palese, tanto che lei mi chiese se fosse tutto a posto e io, annuendo con la testa, ebbi solo la forza di dire, stupidamente: "Sì… pipì!"
Lei scoppio a ridere e poi io pure, di conseguenza; così me ne tornai in camera, da solo.
Prima però, passai dal gabinetto e trovandomi il pisellino bagnato, fu allora che scoprii che toccandolo, provavo uno sconosciuto piacere.
Così continuai a toccarlo, guardarlo, sino a quando provai una gioia immensa e sconosciuta e vidi fuoriuscire del liquido che, di certo, pipì non era.
Girandomi vidi mia sorella sulla soglia della porta del bagno: “Siamo pari, mi sa”, mi disse chiamandomi “Ometto” e dandomi poi un bacio sulla nuca.
La mia ‘prima volta’ fu questa, ma non l’unica, di certo!
Poi ce ne sono state mille altre di prime volte, voi per conoscerle, dovrete avere la pazienza ch’io le scriva e le renda pubbliche.
Io per scriverle, dovrò capire che vi piace leggerle…
A presto.
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