Mia sorella: la mia prof erotica
di
InusualMe
genere
incesti
Ero un ragazzino davvero perverso sapete?
Le ‘avventure’ con mia sorella continuavano da un paio d’anni, oramai, e lei m’insegnava un sacco di cose inerenti il procurare e procurarsi piacere col sesso.
Potrei dire che m’impartiva, in effetti, delle lezioni di erotismo; addirittura il più delle volte, vere e proprie simulazioni dell’atto, affinché lei, incontrandosi poi col moroso, non facesse figure maldestre.
Mi utilizzava per i suoi test, in pratica, e a me la cosa non dispiaceva per nulla. Anzi.
Mai però ha voluto che avessimo un rapporto completo.
Quando ‘simulavamo’ di fare sesso, lei teneva sempre su gli slip e se qualche volta tentavo d’intrufolarmi tra essi col mio cazzo duro, immediatamente mi stringeva le palle col palmo della mano, mentre con l’altra mimava il gesto del -no no, non si fa-. Complice quel dolore, io smettevo immediatamente di provarci, ma continuavo a segarmi il cazzo sui suoi slip sentendo, mitigato dalle sue mutande, il calore della sua figa.
Nelle lezioni che m’impartiva, mia sorella mi chiedeva sempre di farla godere prima che venissi io:
- “E’ una buona regola di cavalleria Me! Se farai sempre così, mai nessuna donna rinuncerà a te”.
Per me era divenuta una sorta di missione quella di farla godere e venire e, per farlo, utilizzavo tutto ciò avessi a disposizione che, come detto tranne il cazzo diretto in figa, erano la mia lingua e le mie dita.
Quello che adoravo fare, da sdraiati sul divano uno accanto all’altro, era sditalinarla mentre le strusciavo il cazzo sulla coscia e la guardavo in viso.
Adoravo vederle la faccia, coglierne le smorfie di piacere, ascoltare i suoi gemiti, i suoi mugugni. Mi eccitava sapere che, in quel momento, ero l’unico oggetto del suo piacere. Mi faceva sentire una specie di Dio in terra procurarle piacere e così continuavo a toccarla anche dopo i suoi stupendi sussulti, anche dopo il suo primo orgasmo.
Lei quando si sentiva infine soddisfatta dei suoi molteplici orgasmi, mi bloccava la mano, oramai zuppa e pregna di suoi umori, e me la stringeva tra le cosce serrandole. Poi si rilassava con gli occhi chiusi, gaudente in volto, sospirando.
Qualche minuto dopo, riavutasi, prendeva il mio cazzo in mano, mi guardava e sorrideva compiaciuta.
E sempre continuando a guardarmi e a ridere, come a voler smorzare la tensione, iniziava a menarmelo tra le dita, lo guardava, lo scappellava, mi accarezzava le palle, roteava con il polpastrello sulla mia cappella gonfia.
Io mi sentivo esplodere e non vedevo l’ora di farlo, ma avevo, grazie a lei, imparato a resistere e a godermi il piacere il più a lungo possibile.
Così guardavo come il mio cazzo si gonfiasse ogni qualvolta lei lo riprendeva, forte, col palmo della mano, dopo averlo mollato un po’.
Poi giungeva il momento fatale, quello che faceva cedere ogni mia resistenza.
Mia sorella si alzava dalla posizione da sdraiata e, sempre tenendomi ben saldo in mano il cazzo e ridendo, si chinava su di esso, sino a iniziare a baciarlo, leccarlo in punta, insalivarlo lungo l’asta per poi, finalmente, farlo sparire in bocca, inghiottendolo.
Era un momento magico, sublime per me.
Giungevo a non capire più nulla. Le tenevo la nuca e le spingevo in gola, più che potevo, il mio cazzo.
Bastavano pochi minuti affinché quello strepitoso pompino producesse l’effetto desiderato: quello di far schizzare dalle mie palle gonfissime, enormi quantità di calda, cremosa e saporita sborra che lei, golosamente, ingoiava, avida.
Quando qualche minuto dopo tiravo fuori il cazzo dalla sua bocca, oramai ritornato alla sua condizione di riposo, era pulitissimo e lucido della sua saliva.
Era in qual momento che mia sorella, avvicinandosi a me, mi baciava sulle labbra con la lingua e mi leccava il viso.
-“Se c’è una cosa che devi permettere alle tue donne, perché è eccitantissimo farlo” -mi diceva- “E’ permettere loro di baciarti e leccarti dopo averti fatto un pompino e bevuto. E’ così che diverrai il maschio che non vorranno mai perdere!”
Le ‘avventure’ con mia sorella continuavano da un paio d’anni, oramai, e lei m’insegnava un sacco di cose inerenti il procurare e procurarsi piacere col sesso.
Potrei dire che m’impartiva, in effetti, delle lezioni di erotismo; addirittura il più delle volte, vere e proprie simulazioni dell’atto, affinché lei, incontrandosi poi col moroso, non facesse figure maldestre.
Mi utilizzava per i suoi test, in pratica, e a me la cosa non dispiaceva per nulla. Anzi.
Mai però ha voluto che avessimo un rapporto completo.
Quando ‘simulavamo’ di fare sesso, lei teneva sempre su gli slip e se qualche volta tentavo d’intrufolarmi tra essi col mio cazzo duro, immediatamente mi stringeva le palle col palmo della mano, mentre con l’altra mimava il gesto del -no no, non si fa-. Complice quel dolore, io smettevo immediatamente di provarci, ma continuavo a segarmi il cazzo sui suoi slip sentendo, mitigato dalle sue mutande, il calore della sua figa.
Nelle lezioni che m’impartiva, mia sorella mi chiedeva sempre di farla godere prima che venissi io:
- “E’ una buona regola di cavalleria Me! Se farai sempre così, mai nessuna donna rinuncerà a te”.
Per me era divenuta una sorta di missione quella di farla godere e venire e, per farlo, utilizzavo tutto ciò avessi a disposizione che, come detto tranne il cazzo diretto in figa, erano la mia lingua e le mie dita.
Quello che adoravo fare, da sdraiati sul divano uno accanto all’altro, era sditalinarla mentre le strusciavo il cazzo sulla coscia e la guardavo in viso.
Adoravo vederle la faccia, coglierne le smorfie di piacere, ascoltare i suoi gemiti, i suoi mugugni. Mi eccitava sapere che, in quel momento, ero l’unico oggetto del suo piacere. Mi faceva sentire una specie di Dio in terra procurarle piacere e così continuavo a toccarla anche dopo i suoi stupendi sussulti, anche dopo il suo primo orgasmo.
Lei quando si sentiva infine soddisfatta dei suoi molteplici orgasmi, mi bloccava la mano, oramai zuppa e pregna di suoi umori, e me la stringeva tra le cosce serrandole. Poi si rilassava con gli occhi chiusi, gaudente in volto, sospirando.
Qualche minuto dopo, riavutasi, prendeva il mio cazzo in mano, mi guardava e sorrideva compiaciuta.
E sempre continuando a guardarmi e a ridere, come a voler smorzare la tensione, iniziava a menarmelo tra le dita, lo guardava, lo scappellava, mi accarezzava le palle, roteava con il polpastrello sulla mia cappella gonfia.
Io mi sentivo esplodere e non vedevo l’ora di farlo, ma avevo, grazie a lei, imparato a resistere e a godermi il piacere il più a lungo possibile.
Così guardavo come il mio cazzo si gonfiasse ogni qualvolta lei lo riprendeva, forte, col palmo della mano, dopo averlo mollato un po’.
Poi giungeva il momento fatale, quello che faceva cedere ogni mia resistenza.
Mia sorella si alzava dalla posizione da sdraiata e, sempre tenendomi ben saldo in mano il cazzo e ridendo, si chinava su di esso, sino a iniziare a baciarlo, leccarlo in punta, insalivarlo lungo l’asta per poi, finalmente, farlo sparire in bocca, inghiottendolo.
Era un momento magico, sublime per me.
Giungevo a non capire più nulla. Le tenevo la nuca e le spingevo in gola, più che potevo, il mio cazzo.
Bastavano pochi minuti affinché quello strepitoso pompino producesse l’effetto desiderato: quello di far schizzare dalle mie palle gonfissime, enormi quantità di calda, cremosa e saporita sborra che lei, golosamente, ingoiava, avida.
Quando qualche minuto dopo tiravo fuori il cazzo dalla sua bocca, oramai ritornato alla sua condizione di riposo, era pulitissimo e lucido della sua saliva.
Era in qual momento che mia sorella, avvicinandosi a me, mi baciava sulle labbra con la lingua e mi leccava il viso.
-“Se c’è una cosa che devi permettere alle tue donne, perché è eccitantissimo farlo” -mi diceva- “E’ permettere loro di baciarti e leccarti dopo averti fatto un pompino e bevuto. E’ così che diverrai il maschio che non vorranno mai perdere!”
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