Francesca: il mio sogno erotico - Parte I -
di
InusualMe
genere
etero
Il mio sogno erotico si chiamava Francesca: la mia dirimpettaia, una giovane donna che aveva poco più del doppio della mia età.
Ogni qualvolta la incontravo per le scale o, peggio, andavo a trovarla a casa, mi si ribolliva il sangue e un’eccitazione, incontrollata, rigonfiava la patta dei miei jeans non senza, a volte, qualche mio lieve imbarazzo.
E dire che non ero proprio il cosiddetto ragazzino, neomaggiorenne, forungoloso, morto di figa. Anzi!
Lo svezzamento avuto in famiglia per merito di mia sorella e le altre esperienze di sesso avute, sia grazie alla sua complicità che all’audacia che avevo conquistato con quel vissuto, mi portavano, talvolta, a rifiutare la figa, piuttosto che cercarla. Ma Francesca rimaneva il mio ‘sogno proibito’, il frutto impossibile da cogliere.
Nel mio condominio io ero, per tutti, il ‘ragazzo tuttofare’. Mi divertiva eseguire quelle piccole riparazioni in casa e, se qualcuno aveva necessità di riparare una tapparella, programmare un videoregistratore, montare un impianto HI-FI o altri piccoli lavoretti casalinghi, ecco che “Me” era sempre pronto e ben disposto ad aiutare chi si trovava nel bisogno.
Mi piaceva farlo perché, anche se non retribuita, la mia opera veniva sempre ricompensata; durante l’anno, difatti, ogni volta che i miei affezionati assistiti preparavano dei succulenti manicaretti, conoscendo la mia golosità, mi rendevano sempre partecipe della loro degustazione e poi nel periodo natalizio, ricevevo decine di regali dai miei carissimi ‘clienti’, che mi rendevano particolarmente contento.
Inutile sottolinearvi che quando mi chiamava Francesca, io ero felicissimo d’intervenire, dandole la priorità massima su chicchessia.
Francesca abitava sullo stesso pianerottolo dei miei, proprio nell’appartamento dirimpetto al nostro, all’epoca dei fatti aveva poco più di quaranta anni, io giovane universitario, venti.
Non era una donna bellissima da far girare la testa, ma possedeva charme e un gusto nel vestire che mi mandava letteralmente in visibilio. Era sempre abbigliata in modo attraente, sexy; ma mai volgare ed eccessiva. E poi aveva un sorriso fantastico.
Io la vedevo come una femmina da scopare, arrapante. Lei come il ragazzino che, praticamente, aveva visto crescere e che era anche l’amichetto della figliola con la quale giocavo a monopoli, nei pomeriggi di pioggia autunnali, anni prima.
Francesca viveva, in sostanza, da sola. Il marito era un ingegnere chimico che passava più della metà del suo tempo sulle piattaforme petrolifere, disperse, nell’oceano.
Io mi chiedevo come facesse una donna così ‘carica’ e ‘sensuale’ a resistere con questa condizione d’assenza. Sapevo, dalla mia prof erotica, che anche le donne hanno le identiche pulsioni sessuali dei maschietti, alle quali bisognava dare, in qualche modo, sfogo.
Così immaginavano Francesca che si masturbava sul letto, da sola, pensando chissà a chi a cosa e, automaticamente, mi ritrovavo col cazzo duro e gonfio.
Questi pensieri li facevo, ancora più, quando stavo a casa sua, mentre le sistemavo l’asta della tenda caduta, o le programmavo il video registratore.
Sì avete capito bene. Quando ero a casa sua stavo sempre col cazzo duro tra le mutande e dovevo fare attenzione a non farle scorgere il mio, eccitante, imbarazzo.
A lavoro finito Francesca mi faceva accomodare in cucina per offrirmi qualcosa da bere e, una volta, mi propose un liquore alla nocciola che faceva sua mamma: “Lo devi assolutamente assaggiare” mi disse “E' come bere la nutella, solo un po’ più alcolica’.
Io le dissi che non ero un amante della nutella e delle noccioline, ma vista la sua insistenza, acconsentii all’assaggio, pregustando già il disgusto che avrei provato, una volta assaggiato quel liquore.
Quando vidi che per prendere la bottiglia Francesca era salita su una sedia e si sporgeva verso l'alto pensile della cucina, in punta di piedi per meglio giungere al collo della stessa, cambiai immediatamente idea.
Quel liquore divenne immediatamente, ancora prima di assaggiarlo, bontà assoluta.
Infatti il movimento di Francesca per afferrare quella bottiglia, mi regalò la più inaspettata e celestiale tra le visioni che io ricordi… e ne avevo viste di cose!
Vidi le sue gambe nude, perfette, drittissime. I suoi polpacci, perfettamente disegnati dalla sua frequentazione in palestra. Le sue cosce sode, lisce, brillanti in quanto colpite dai raggi del sole che perforavano la finestra. E infine, seppur minimamente, i suoi glutei, coperti da uno slip azzurro.
Ci mancò poco dall’avere un mancamento e dovevo essere davvero rosso e paonazzo in viso, perché quando torno giù, fiera e contenta con la bottiglia in mano, guardandomi mi chiese se fosse tutto ok e se stessi bene.
Se solo avesse dato uno sguardo sotto al tavolo, dove avevo le mie gambe, si sarebbe accorta che il cazzo mi stava scoppiando tra i pantaloni e che non stavo bene, ma benissimo.
Quel rossore era la gran voglia di scoparla che mi ribolliva dentro; ma di certo non avevo il coraggio di dirglielo, osando così tanto.
Le risposi balbettando qualcosa tipo “Sì, sì… tutto ok. Solo avevo paura cadessi dalla sedia e mi sono preoccupato…”.
Lei mi sorrise e versò nei bicchieri, per entrambi, il liquore. Bevemmo dopo il classico cin-cin, mentre mi raccontava di sua figlia che aveva scelto di studiare lontana dalla città, lasciandola più sola che mai.
Una volta giunto a casa, al pensiero di quanto avevo visto prima, dovetti segarmi; l’eccitazione era così tanta che, quasi automaticamente, andai al cesso e tiratomi fuori il cazzo lo menai sino, in pochissimo tempo, a venire schizzando un’enorme quantità di sperma.
Non pensai nemmeno che, da lì a poco, sarei dovuto uscire con la mia morosa del tempo e, di certo, saremmo finiti col fare sesso.
Immediatamente dopo quella stupenda sega, quello stessi giorno, decisi che prima o poi, avrei scopato Francesca.
Quel gesto, quel salire sulla sedia e mostrarmi quel suo belvedere, non poteva essere del tutto casuale, pensai.
...Voi, per scoprire se avevo pensato bene o male, dovrete attendere la prossima puntata e magari dirmi, commentando, se avete o meno voglia di saperlo.
Ogni qualvolta la incontravo per le scale o, peggio, andavo a trovarla a casa, mi si ribolliva il sangue e un’eccitazione, incontrollata, rigonfiava la patta dei miei jeans non senza, a volte, qualche mio lieve imbarazzo.
E dire che non ero proprio il cosiddetto ragazzino, neomaggiorenne, forungoloso, morto di figa. Anzi!
Lo svezzamento avuto in famiglia per merito di mia sorella e le altre esperienze di sesso avute, sia grazie alla sua complicità che all’audacia che avevo conquistato con quel vissuto, mi portavano, talvolta, a rifiutare la figa, piuttosto che cercarla. Ma Francesca rimaneva il mio ‘sogno proibito’, il frutto impossibile da cogliere.
Nel mio condominio io ero, per tutti, il ‘ragazzo tuttofare’. Mi divertiva eseguire quelle piccole riparazioni in casa e, se qualcuno aveva necessità di riparare una tapparella, programmare un videoregistratore, montare un impianto HI-FI o altri piccoli lavoretti casalinghi, ecco che “Me” era sempre pronto e ben disposto ad aiutare chi si trovava nel bisogno.
Mi piaceva farlo perché, anche se non retribuita, la mia opera veniva sempre ricompensata; durante l’anno, difatti, ogni volta che i miei affezionati assistiti preparavano dei succulenti manicaretti, conoscendo la mia golosità, mi rendevano sempre partecipe della loro degustazione e poi nel periodo natalizio, ricevevo decine di regali dai miei carissimi ‘clienti’, che mi rendevano particolarmente contento.
Inutile sottolinearvi che quando mi chiamava Francesca, io ero felicissimo d’intervenire, dandole la priorità massima su chicchessia.
Francesca abitava sullo stesso pianerottolo dei miei, proprio nell’appartamento dirimpetto al nostro, all’epoca dei fatti aveva poco più di quaranta anni, io giovane universitario, venti.
Non era una donna bellissima da far girare la testa, ma possedeva charme e un gusto nel vestire che mi mandava letteralmente in visibilio. Era sempre abbigliata in modo attraente, sexy; ma mai volgare ed eccessiva. E poi aveva un sorriso fantastico.
Io la vedevo come una femmina da scopare, arrapante. Lei come il ragazzino che, praticamente, aveva visto crescere e che era anche l’amichetto della figliola con la quale giocavo a monopoli, nei pomeriggi di pioggia autunnali, anni prima.
Francesca viveva, in sostanza, da sola. Il marito era un ingegnere chimico che passava più della metà del suo tempo sulle piattaforme petrolifere, disperse, nell’oceano.
Io mi chiedevo come facesse una donna così ‘carica’ e ‘sensuale’ a resistere con questa condizione d’assenza. Sapevo, dalla mia prof erotica, che anche le donne hanno le identiche pulsioni sessuali dei maschietti, alle quali bisognava dare, in qualche modo, sfogo.
Così immaginavano Francesca che si masturbava sul letto, da sola, pensando chissà a chi a cosa e, automaticamente, mi ritrovavo col cazzo duro e gonfio.
Questi pensieri li facevo, ancora più, quando stavo a casa sua, mentre le sistemavo l’asta della tenda caduta, o le programmavo il video registratore.
Sì avete capito bene. Quando ero a casa sua stavo sempre col cazzo duro tra le mutande e dovevo fare attenzione a non farle scorgere il mio, eccitante, imbarazzo.
A lavoro finito Francesca mi faceva accomodare in cucina per offrirmi qualcosa da bere e, una volta, mi propose un liquore alla nocciola che faceva sua mamma: “Lo devi assolutamente assaggiare” mi disse “E' come bere la nutella, solo un po’ più alcolica’.
Io le dissi che non ero un amante della nutella e delle noccioline, ma vista la sua insistenza, acconsentii all’assaggio, pregustando già il disgusto che avrei provato, una volta assaggiato quel liquore.
Quando vidi che per prendere la bottiglia Francesca era salita su una sedia e si sporgeva verso l'alto pensile della cucina, in punta di piedi per meglio giungere al collo della stessa, cambiai immediatamente idea.
Quel liquore divenne immediatamente, ancora prima di assaggiarlo, bontà assoluta.
Infatti il movimento di Francesca per afferrare quella bottiglia, mi regalò la più inaspettata e celestiale tra le visioni che io ricordi… e ne avevo viste di cose!
Vidi le sue gambe nude, perfette, drittissime. I suoi polpacci, perfettamente disegnati dalla sua frequentazione in palestra. Le sue cosce sode, lisce, brillanti in quanto colpite dai raggi del sole che perforavano la finestra. E infine, seppur minimamente, i suoi glutei, coperti da uno slip azzurro.
Ci mancò poco dall’avere un mancamento e dovevo essere davvero rosso e paonazzo in viso, perché quando torno giù, fiera e contenta con la bottiglia in mano, guardandomi mi chiese se fosse tutto ok e se stessi bene.
Se solo avesse dato uno sguardo sotto al tavolo, dove avevo le mie gambe, si sarebbe accorta che il cazzo mi stava scoppiando tra i pantaloni e che non stavo bene, ma benissimo.
Quel rossore era la gran voglia di scoparla che mi ribolliva dentro; ma di certo non avevo il coraggio di dirglielo, osando così tanto.
Le risposi balbettando qualcosa tipo “Sì, sì… tutto ok. Solo avevo paura cadessi dalla sedia e mi sono preoccupato…”.
Lei mi sorrise e versò nei bicchieri, per entrambi, il liquore. Bevemmo dopo il classico cin-cin, mentre mi raccontava di sua figlia che aveva scelto di studiare lontana dalla città, lasciandola più sola che mai.
Una volta giunto a casa, al pensiero di quanto avevo visto prima, dovetti segarmi; l’eccitazione era così tanta che, quasi automaticamente, andai al cesso e tiratomi fuori il cazzo lo menai sino, in pochissimo tempo, a venire schizzando un’enorme quantità di sperma.
Non pensai nemmeno che, da lì a poco, sarei dovuto uscire con la mia morosa del tempo e, di certo, saremmo finiti col fare sesso.
Immediatamente dopo quella stupenda sega, quello stessi giorno, decisi che prima o poi, avrei scopato Francesca.
Quel gesto, quel salire sulla sedia e mostrarmi quel suo belvedere, non poteva essere del tutto casuale, pensai.
...Voi, per scoprire se avevo pensato bene o male, dovrete attendere la prossima puntata e magari dirmi, commentando, se avete o meno voglia di saperlo.
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