La sabbia di Pilmiro (cap.3 di 4)
di
Diagoras
genere
sentimentali
Quando la riaccompagnai in camera era tardi, ma la madre di Erika era ancora alzata e la stava aspettando, sicuramente per aiutare la figlia a mettersi a letto.
Temevo di trovarla infastidita per non aver riportato Erika ad un’ora più decente, ma, con mia grande sorpresa, la donna si dimostrò assolutamente tranquilla.
E quando vide lo sguardo felice e sognante della figlia, libera, pur se per poche ore, dalle sue difficoltà quotidiane, anche nei suoi occhi spuntarono due lacrime.
Di gioia.
E di sollievo.
Fu così che ebbe inizio la mia storia con Erika.
Prendemmo ad uscire insieme tutte le sere.
Mi ero fatto prestare la macchina da un amico, visto che, a quei tempi, io l’auto non l’avevo: d’altronde, le dimensioni così ridotte dell’isola non mi obbligavano di certo all’uso di una macchina.
Ma, vista l’impossibilità di Erika a camminare, mi era necessario un mezzo di locomozione per poter uscire con lei.
La sera, dopo aver finito di lavorare, m’incontravo con lei, l’accompagnavo fino alla macchina e la facevo sedere accanto a me: chiudevo quindi la carrozzina e la infilavo nel bagagliaio, mettevo in moto e partivo, andandocene in giro per tutta l’isola.
Portavo Erika nelle taverne a mangiare il pesce, nei negozi di souvenir, o spingevo la sua carrozzina lungo le stradine dei piccoli villaggi, per farle vedere gli angoli più remoti e caratteristici della mia isola.
Ero felice di stare con lei, di abbracciarla, di stringerla a me, di sentire la sua voce e di restare stordito dal suo sorriso.
Era una felicità totale e sconosciuta.
Sentivo di amarla con tutto me stesso, ma non volevo pensare al futuro,
perchè ero convinto che un futuro, per noi, non ci sarebbe mai stato.
Dovevo vivere intensamente quei meravigliosi giorni con lei, con la drammatica consapevolezza che il domani ci avrebbe inesorabilmente separato.
Erika si era trasformata.
Sempre allegra e sorridente, era tornata ad essere quella ragazza che un tempo, prima dell’incidente, sicuramente era stata: una ragazza solare, piena di voglia di vivere e di amare.
E vedendola così, anche i suoi genitori si sentivano sollevati, contenti come non lo erano più stati, forse, da quel maledetto giorno che aveva segnato la vita della figlia e le loro esistenze.
I giorni della vacanza di Erika passarono troppo rapidamente, fino alla sera in cui ci ritrovammo alla vigilia della sua partenza.
E, per quell'ultima sera, le avevo organizzato una piccola sorpresa, per cercare di attenuare, per quanto possibile, la tristezza e la malinconia della nostra imminente separazione.
Dopo aver cenato in una piccola taverna, parlando poco fra noi per non dover affrontare la realtà della sua ormai prossima partenza, con la macchina avevamo raggiunto la spiaggia di Pilmiro.
La sabbia fine e bianca, il mare sempre placido e tranquillo, due scogliere piuttosto alte che la chiudono sui lati, Pilmiro è un minuscolo angolo di paradiso.
Dal punto dove finisce la strada e si lascia la macchina, bisogna percorrere circa settecento metri a piedi prima di arrivare alla spiaggia, profonda una ventina e larga non più di cento.
Di giorno ci si arriva comodamente con la barca, ed i turisti vi si affollano, mentre la sera è sempre deserta.
Lasciammo la carrozzina in auto e, presa in braccio Erika, la trasportai fin sulla spiaggia. Non c'era anima viva e, a parte lo sciabordio del mare illuminato dalla luna, non si sentiva alcun rumore.
Solo i grilli e qualche cicala.
Per il resto, il silenzio era assoluto.
Feci sedere Erika sulla sabbia per il tempo necessario ad aprire il largo telo da mare che avevo portato.
Poi la ripresi in braccio, e la misi seduta sul telo.
Sedetti anch'io, accanto a lei, e restammo per lunghi minuti ad osservare il mare e le stelle, in un silenzio imbarazzato.
Fu la ragazza a romperlo per prima, a trovare il coraggio per affrontare l’argomento che da ore sapevamo di non poter evitare.
" Sono state giornate splendide, Dimitri. Meravigliose. Erano quattro anni che non mi sentivo così felice. Sono tornata a vivere, credimi. E quanto ne avevo bisogno… ".
Le cinsi le spalle con il braccio e la strinsi forte a me.
Non sapevo che dirle.
E qualunque parola fosse uscita dalla mia bocca, mi sarebbe suonata vuota ed inutile.
Avevo già i miei pensieri ed i miei sentimenti da mettere a posto: ora lei sarebbe partita, e quello di cui avevo paura all'inizio sarebbe inevitabilmente accaduto.
Ci saremmo lasciati, così, come se nulla fosse successo tra noi.
Come se le risate, gli abbracci, i baci e le carezze che c’eravamo scambiati appartenessero ad un’altra vita, una vita nella quale l’amore poteva essere vissuto nella sua completezza, una vita senza incidenti e senza partenze, una vita più giusta e nella quale il destino non avesse affondato la lama del suo affilato coltello.
E non volevo illudere Erika, come non volevo illudere me stesso, raccontandole cose non vere.
Ero pazzo di lei, ma capivo che il futuro non ci apparteneva.
Lei sarebbe tornata in Germania; io sarei rimasto sull'isola.
E presto tutto sarebbe stato solo un ricordo.
Un fotogramma sempre più sbiadito nella pellicola delle nostre esistenze.
Sentii la sua mano sulla mia guancia.
" Ti amo, Dimitri. Ma questo non basterà, e ce ne rendiamo conto tutti e due. Ma voglio che tu sappia il bene che mi ha fatto stare con te. Sarebbe stato bello, amore mio, ma… ".
" Anch’io ti amo, Erika. Da impazzire. Quello che ci porterà il futuro io non lo so, e mi spaventa il solo pensarlo, ma ora godiamoci quest’ultima sera che abbiamo per stare insieme. "
E così dicendo la baciai.
E la strinsi ancora di più a me.
Quasi disperatamente.
" Voglio fare l'amore con te " mi disse improvvisamente Erika, così, semplicemente, con voce rotta dall’emozione.
Sapevo che sarebbe stato un errore fatale, e di cui mi sarei pentito amaramente, ma anch’io volevo quello che voleva lei.
La desideravo con così tanta intensità da essere quasi spaventato dai miei stessi sentimenti.
Lo avremmo fatto, avremmo fatto l'amore, perchè così era scritto nel nostro destino.
In quei momenti il nostro domani non esisteva più.
Né per lei, né per me.
Mi sbottonò la camicia, e la sua mano prese a vagare sul mio petto, carezzandomi, morbida, calda e delicata.
Le sfilai la maglietta e le sganciai il reggiseno, scoprendole i due seni, sodi e perfetti: Erika si sdraiò con il busto sul telo, attirandomi a sè.
Le passai le mani sui seni, quindi li percorsi con la bocca, titillandole con la lingua i capezzoli subito duri; Erika chiuse gli occhi e iniziò a sospirare, la sua mano affondata nei miei capelli.
La baciai e la leccai lungamente, perso in lei e nel mio amore per lei.
Poi le sfilai i pantaloni e le mutandine, lasciandola nuda di fronte ai miei occhi.
Era splendida, meravigliosa, il suo corpo rischiarato dalla debole luce lunare.
Adagiata sul telo, Erika aspettava che io la prendessi, impossibilitata a muoversi come di certo lei avrebbe voluto fare.
Mi chinai a baciarle le gambe, magre e dai muscoli inerti; avrebbero potuto essere lunghe ed affusolate, dai muscoli guizzanti e scolpiti.
Magari, per gioco, lei sarebbe potuta fuggita lungo la spiaggia, nuda, per farsi raggiungere da me, ridendo felice di quel gioco...
" Prendimi, Dimitri. Fammi sentire viva e normale. Anche se in queste condizioni, io sono una donna. Amami. ti prego... " .
Furono momenti bellissimi e al tempo stesso terribili.
Vederla così, indifesa e desiderosa solo di un pò d’amore, sentire in lei la consapevolezza che quel maledetto incidente le aveva reciso la vita, obbligandola ad un’immobilità orribile e definitiva, tutto questo mi faceva star male.
Ma fu proprio in quei momenti che capii definitivamente che avrei fatto l'amore con lei non per pena o compassione, ma perchè l'amavo come non sarei mai più riuscito ad amare nessun’altra ragazza.
Contro ogni logica e contro ogni razionalità.
La amavo.
E solo questo per me contava.
Mi spogliai completamente anch’io, e, con il timore di poterle fare del male, mi allungai delicatamente su di lei.
Baciandole le labbra, le appoggiai il pene, spasmodicamente eretto, al sesso, ma le gambe chiuse di Erika m’impedivano la penetrazione.
Dandomi dell'idiota e maledicendo la mia scarsa attenzione, mi risollevai da lei, che ridacchiava divertita del mio imbarazzo, e, piano piano, le divaricai un pochino le gambe.
Quindi mi stesi nuovamente su Erika e, con estrema delicatezza, la penetrai.
La sentii rabbrividire, le sue braccia mi strinsero e le sue mani presero a percorrermi la schiena, le unghie quasi a graffiarmela.
Lentamente, attento a non farle del male, iniziai a muovermi dentro di lei, in quella sua dolce intimità, calda e bagnata, abbracciandola e baciandola.
La sua pelle, a contatto con la mia, era calda e liscia, morbida e profumata.
La sentii gemere ed ansimare, mormorare il mio nome e giurarmi amore eterno; con calma, entrando ed uscendo gentilmente dalla sua vagina, la portai ad un orgasmo intenso e prolungato.
Quando nei suoi occhi lessi tutta la soddisfazione che i nostri corpi le avevano regalato, accelerai il ritmo per arrivare anch’io al punto di non ritorno.
E quando vi giunsi, uscii rapidamente da lei e, appoggiandole il pene sul ventre, le schizzai sulla pelle tutto il mio seme caldo.
Mi distesi accanto a lei, e restammo abbracciati a lungo, in silenzio, ad ascoltare il mare ed il frangersi lieve delle onde.
Furono momenti unici ed indimenticabili.
All’improvviso mi venne in mente che avrei dovuto ripulirla di tutto lo sperma che le macchiava la pelle.
La guardai e vidi che anche lei mi fissava, persa in chissà quali pensieri.
Mi alzai e la presi con delicatezza in braccio.
" Andiamo a lavarci " le dissi ridendo, e baciandola sul collo.
" Non vorrai... " .
Era il ritratto della felicità
" Certo. Non puoi ripartire senza aver fatto almeno un bagno nel mio splendido mare ".
E così entrai in acqua, con lei tra le mie braccia.
M’immersi nell'acqua tiepida, tenendola stretta a me.
In acqua, Erika mi sembrava una piuma, leggera ed impalpabile.
" Pronta ? Trattieni il respiro... " .
" Dimitri, ma cosa... " protestò Erika scherzosamente.
La portai sott'acqua per alcuni secondi.
Quando riemergemmo le asciugai gli occhi con i miei baci e poi trovai le sue labbra, salate e disponibili.
Ridemmo e scherzammo a lungo, immersi in quel mare, unico testimone del nostro amore.
Rifacemmo l'amore, poi, in acqua, con un trasporto ed una passione che non avevo mai provato e che non credevo potesse esistere.
- continua -
diagorasrodos@libero.it
Temevo di trovarla infastidita per non aver riportato Erika ad un’ora più decente, ma, con mia grande sorpresa, la donna si dimostrò assolutamente tranquilla.
E quando vide lo sguardo felice e sognante della figlia, libera, pur se per poche ore, dalle sue difficoltà quotidiane, anche nei suoi occhi spuntarono due lacrime.
Di gioia.
E di sollievo.
Fu così che ebbe inizio la mia storia con Erika.
Prendemmo ad uscire insieme tutte le sere.
Mi ero fatto prestare la macchina da un amico, visto che, a quei tempi, io l’auto non l’avevo: d’altronde, le dimensioni così ridotte dell’isola non mi obbligavano di certo all’uso di una macchina.
Ma, vista l’impossibilità di Erika a camminare, mi era necessario un mezzo di locomozione per poter uscire con lei.
La sera, dopo aver finito di lavorare, m’incontravo con lei, l’accompagnavo fino alla macchina e la facevo sedere accanto a me: chiudevo quindi la carrozzina e la infilavo nel bagagliaio, mettevo in moto e partivo, andandocene in giro per tutta l’isola.
Portavo Erika nelle taverne a mangiare il pesce, nei negozi di souvenir, o spingevo la sua carrozzina lungo le stradine dei piccoli villaggi, per farle vedere gli angoli più remoti e caratteristici della mia isola.
Ero felice di stare con lei, di abbracciarla, di stringerla a me, di sentire la sua voce e di restare stordito dal suo sorriso.
Era una felicità totale e sconosciuta.
Sentivo di amarla con tutto me stesso, ma non volevo pensare al futuro,
perchè ero convinto che un futuro, per noi, non ci sarebbe mai stato.
Dovevo vivere intensamente quei meravigliosi giorni con lei, con la drammatica consapevolezza che il domani ci avrebbe inesorabilmente separato.
Erika si era trasformata.
Sempre allegra e sorridente, era tornata ad essere quella ragazza che un tempo, prima dell’incidente, sicuramente era stata: una ragazza solare, piena di voglia di vivere e di amare.
E vedendola così, anche i suoi genitori si sentivano sollevati, contenti come non lo erano più stati, forse, da quel maledetto giorno che aveva segnato la vita della figlia e le loro esistenze.
I giorni della vacanza di Erika passarono troppo rapidamente, fino alla sera in cui ci ritrovammo alla vigilia della sua partenza.
E, per quell'ultima sera, le avevo organizzato una piccola sorpresa, per cercare di attenuare, per quanto possibile, la tristezza e la malinconia della nostra imminente separazione.
Dopo aver cenato in una piccola taverna, parlando poco fra noi per non dover affrontare la realtà della sua ormai prossima partenza, con la macchina avevamo raggiunto la spiaggia di Pilmiro.
La sabbia fine e bianca, il mare sempre placido e tranquillo, due scogliere piuttosto alte che la chiudono sui lati, Pilmiro è un minuscolo angolo di paradiso.
Dal punto dove finisce la strada e si lascia la macchina, bisogna percorrere circa settecento metri a piedi prima di arrivare alla spiaggia, profonda una ventina e larga non più di cento.
Di giorno ci si arriva comodamente con la barca, ed i turisti vi si affollano, mentre la sera è sempre deserta.
Lasciammo la carrozzina in auto e, presa in braccio Erika, la trasportai fin sulla spiaggia. Non c'era anima viva e, a parte lo sciabordio del mare illuminato dalla luna, non si sentiva alcun rumore.
Solo i grilli e qualche cicala.
Per il resto, il silenzio era assoluto.
Feci sedere Erika sulla sabbia per il tempo necessario ad aprire il largo telo da mare che avevo portato.
Poi la ripresi in braccio, e la misi seduta sul telo.
Sedetti anch'io, accanto a lei, e restammo per lunghi minuti ad osservare il mare e le stelle, in un silenzio imbarazzato.
Fu la ragazza a romperlo per prima, a trovare il coraggio per affrontare l’argomento che da ore sapevamo di non poter evitare.
" Sono state giornate splendide, Dimitri. Meravigliose. Erano quattro anni che non mi sentivo così felice. Sono tornata a vivere, credimi. E quanto ne avevo bisogno… ".
Le cinsi le spalle con il braccio e la strinsi forte a me.
Non sapevo che dirle.
E qualunque parola fosse uscita dalla mia bocca, mi sarebbe suonata vuota ed inutile.
Avevo già i miei pensieri ed i miei sentimenti da mettere a posto: ora lei sarebbe partita, e quello di cui avevo paura all'inizio sarebbe inevitabilmente accaduto.
Ci saremmo lasciati, così, come se nulla fosse successo tra noi.
Come se le risate, gli abbracci, i baci e le carezze che c’eravamo scambiati appartenessero ad un’altra vita, una vita nella quale l’amore poteva essere vissuto nella sua completezza, una vita senza incidenti e senza partenze, una vita più giusta e nella quale il destino non avesse affondato la lama del suo affilato coltello.
E non volevo illudere Erika, come non volevo illudere me stesso, raccontandole cose non vere.
Ero pazzo di lei, ma capivo che il futuro non ci apparteneva.
Lei sarebbe tornata in Germania; io sarei rimasto sull'isola.
E presto tutto sarebbe stato solo un ricordo.
Un fotogramma sempre più sbiadito nella pellicola delle nostre esistenze.
Sentii la sua mano sulla mia guancia.
" Ti amo, Dimitri. Ma questo non basterà, e ce ne rendiamo conto tutti e due. Ma voglio che tu sappia il bene che mi ha fatto stare con te. Sarebbe stato bello, amore mio, ma… ".
" Anch’io ti amo, Erika. Da impazzire. Quello che ci porterà il futuro io non lo so, e mi spaventa il solo pensarlo, ma ora godiamoci quest’ultima sera che abbiamo per stare insieme. "
E così dicendo la baciai.
E la strinsi ancora di più a me.
Quasi disperatamente.
" Voglio fare l'amore con te " mi disse improvvisamente Erika, così, semplicemente, con voce rotta dall’emozione.
Sapevo che sarebbe stato un errore fatale, e di cui mi sarei pentito amaramente, ma anch’io volevo quello che voleva lei.
La desideravo con così tanta intensità da essere quasi spaventato dai miei stessi sentimenti.
Lo avremmo fatto, avremmo fatto l'amore, perchè così era scritto nel nostro destino.
In quei momenti il nostro domani non esisteva più.
Né per lei, né per me.
Mi sbottonò la camicia, e la sua mano prese a vagare sul mio petto, carezzandomi, morbida, calda e delicata.
Le sfilai la maglietta e le sganciai il reggiseno, scoprendole i due seni, sodi e perfetti: Erika si sdraiò con il busto sul telo, attirandomi a sè.
Le passai le mani sui seni, quindi li percorsi con la bocca, titillandole con la lingua i capezzoli subito duri; Erika chiuse gli occhi e iniziò a sospirare, la sua mano affondata nei miei capelli.
La baciai e la leccai lungamente, perso in lei e nel mio amore per lei.
Poi le sfilai i pantaloni e le mutandine, lasciandola nuda di fronte ai miei occhi.
Era splendida, meravigliosa, il suo corpo rischiarato dalla debole luce lunare.
Adagiata sul telo, Erika aspettava che io la prendessi, impossibilitata a muoversi come di certo lei avrebbe voluto fare.
Mi chinai a baciarle le gambe, magre e dai muscoli inerti; avrebbero potuto essere lunghe ed affusolate, dai muscoli guizzanti e scolpiti.
Magari, per gioco, lei sarebbe potuta fuggita lungo la spiaggia, nuda, per farsi raggiungere da me, ridendo felice di quel gioco...
" Prendimi, Dimitri. Fammi sentire viva e normale. Anche se in queste condizioni, io sono una donna. Amami. ti prego... " .
Furono momenti bellissimi e al tempo stesso terribili.
Vederla così, indifesa e desiderosa solo di un pò d’amore, sentire in lei la consapevolezza che quel maledetto incidente le aveva reciso la vita, obbligandola ad un’immobilità orribile e definitiva, tutto questo mi faceva star male.
Ma fu proprio in quei momenti che capii definitivamente che avrei fatto l'amore con lei non per pena o compassione, ma perchè l'amavo come non sarei mai più riuscito ad amare nessun’altra ragazza.
Contro ogni logica e contro ogni razionalità.
La amavo.
E solo questo per me contava.
Mi spogliai completamente anch’io, e, con il timore di poterle fare del male, mi allungai delicatamente su di lei.
Baciandole le labbra, le appoggiai il pene, spasmodicamente eretto, al sesso, ma le gambe chiuse di Erika m’impedivano la penetrazione.
Dandomi dell'idiota e maledicendo la mia scarsa attenzione, mi risollevai da lei, che ridacchiava divertita del mio imbarazzo, e, piano piano, le divaricai un pochino le gambe.
Quindi mi stesi nuovamente su Erika e, con estrema delicatezza, la penetrai.
La sentii rabbrividire, le sue braccia mi strinsero e le sue mani presero a percorrermi la schiena, le unghie quasi a graffiarmela.
Lentamente, attento a non farle del male, iniziai a muovermi dentro di lei, in quella sua dolce intimità, calda e bagnata, abbracciandola e baciandola.
La sua pelle, a contatto con la mia, era calda e liscia, morbida e profumata.
La sentii gemere ed ansimare, mormorare il mio nome e giurarmi amore eterno; con calma, entrando ed uscendo gentilmente dalla sua vagina, la portai ad un orgasmo intenso e prolungato.
Quando nei suoi occhi lessi tutta la soddisfazione che i nostri corpi le avevano regalato, accelerai il ritmo per arrivare anch’io al punto di non ritorno.
E quando vi giunsi, uscii rapidamente da lei e, appoggiandole il pene sul ventre, le schizzai sulla pelle tutto il mio seme caldo.
Mi distesi accanto a lei, e restammo abbracciati a lungo, in silenzio, ad ascoltare il mare ed il frangersi lieve delle onde.
Furono momenti unici ed indimenticabili.
All’improvviso mi venne in mente che avrei dovuto ripulirla di tutto lo sperma che le macchiava la pelle.
La guardai e vidi che anche lei mi fissava, persa in chissà quali pensieri.
Mi alzai e la presi con delicatezza in braccio.
" Andiamo a lavarci " le dissi ridendo, e baciandola sul collo.
" Non vorrai... " .
Era il ritratto della felicità
" Certo. Non puoi ripartire senza aver fatto almeno un bagno nel mio splendido mare ".
E così entrai in acqua, con lei tra le mie braccia.
M’immersi nell'acqua tiepida, tenendola stretta a me.
In acqua, Erika mi sembrava una piuma, leggera ed impalpabile.
" Pronta ? Trattieni il respiro... " .
" Dimitri, ma cosa... " protestò Erika scherzosamente.
La portai sott'acqua per alcuni secondi.
Quando riemergemmo le asciugai gli occhi con i miei baci e poi trovai le sue labbra, salate e disponibili.
Ridemmo e scherzammo a lungo, immersi in quel mare, unico testimone del nostro amore.
Rifacemmo l'amore, poi, in acqua, con un trasporto ed una passione che non avevo mai provato e che non credevo potesse esistere.
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