Il Monsignore
di
Tibet
genere
etero
Il racconto è frutto della mia fantasia.
Monsignor Barbiati è un bell'uomo.
Alto, veste perfettamente il clergyman fatto su misura.
Porta splendidamente i suoi anni, palestra, parrucchiere, manicure, massaggi, lampade, terme, nulla trascura per migliorare il suo già eccellente aspetto.
Il bel viso glabro, gli occhi chiari colore dell'ardesia, la dentatura perfetta, la pelle liscia e tesa, i capelli brizzolati tenuti corti.
Tutto in lui denota agiatezza, potere, sicurezza.
L'intelligenza pronta, razionale, una superbia intellettuale che spesso lo rende inviso ai suoi interlocutori ma solo a coloro ai quali la lascia intravedere, non certo ai suoi superiori con i quali ha un comportamento neutro e mostra disponibilità.
Occupa un incarico di primaria importanza nell'Istituto per le Missioni, un incarico politico che lo porta spesso per il mondo, a volte in incognito, a volte sotto altro nome.
E' un "negoziatore".
E' il “Negoziatore”, colui che tratta gli affari più oscuri e spinosi del Vaticano, compito nel quale deve usare cinismo e poco spirito di carità, né giustizia, nè nessun condizionamento religioso.
Sono le undici del mattino di un giorno di primavera.
-Monsignore...-.
Il suo segretario.
-C'è una signorina che chiede di vederla, Monsignore... non ha appuntamento. Le ho già detto che è impossibile farla ricevere e allora mi ha consegnato questa busta, dice che è importantissimo che Lei la legga...-
E' una piccola busta bianca chiusa.
Monsignor Barbiati la guarda, la gira fra le mani poi con un tagliacarte di avorio la apre.
Una semplice frase.
-Sono la figlia di Margaret Blond-.
Margaret!
Suona per il segretario.
-E' ancora qui la signorina? La faccia entrare...-.
Quando questi la introduce, si alza, le si fa incontro, le da la mano, la accompagna alle due poltrone sul bovindo che guarda Piazza Navona.
La ragazza?
Vent'anni.
E' bellissima.
E lui... rivede in lei Margaret e se stesso.
Ha già intuito ma aspetta conferma.
Dopo dei convenevoli lei gli porge una lettera, pesante, di carta telata, preziosa, lui ricorda il monogramma che orna la busta.
Si alza... la apre, contiene una lunga lettera, si avvicina alla finestra per leggerla.
Margaret gli scrive che nel caso lui legga questa lettera vorrà dire che lei non vive più, gli chiede di pensare alla loro figlia, la figlia nata dalla loro relazione, nata dal loro amore, scrive di loro.
L'uomo ricorda...
Ricorda la donna della sua vita, l'unica donna che ha amato, l'unica donna che ha mai avuto.
Si rivolge verso la ragazza e le porge le mani.
-Dimmi di lei... di tua madre...-.
La ragazza gli racconta.
La sua voce è rotta dalla emozione, gli dice che non ha mai saputo nulla di lui, la madre glielo ha nascosto, solo in punto di morte le ha dato la lettera e le ha raccontato di chi fosse figlia.
Gli racconta che le ultime parole della madre sono state per lui, suo unico e grande amore.
Le parole toccano il cuore arido dell'uomo.
E come la pioggia leggera, continua, persistente fa fiorire un assetato giardino, così le parole riescono a scalfire la sua corazza di uomo duro e senza sentimenti, la scalfittura diventa voragine e lui si sente precipitare... non trova il fondo!
Vede Margaret in lei, vede la sua amata, rivive in un attimo i mesi del loro amore.
Vuole riviverli con la memoria quei momenti.
La vuole vicino a se, vuole rivivere Margaret tramite lei.
Va alla scrivania e suona per il segretario.
-La macchina subito... al portone...-.
Passeggiano.
La primavera nella campagna romana sa essere d'incanto.
Pantaloni di gabardine lui, camicia azzurrina aperta sul collo, un cachemire portato sulle spalle.
Lei... jeans, blusa, un giubbino.
Parlano.
La mano di lui cerca quella della ragazza, la stringe, lei corrisponde e camminano così, mano nella mano.
Sono nella sua casa di campagna.
E' notte.
Lui nella sua stanza non può dormire, rivive quei momenti mai dimenticati, solo accantonati nella sua mente.
La passione che li divorava.
Il fuoco inestinguibile.
La rinuncia dolorosa.
Si alza...
Nel disimpegno prova la porta della camera della ragazza, la apre ed entra.
Lei... come una bambina ha lasciato accesa una piccola luce.
Lui la guarda a lungo.
Ammira il suo volto che richiama quello della madre.
Pensa a Margaret, vive tutti i suoi rimpianti.
Lungamente si ferma così, guardandola e pensando.
Poi esce e torna nella sua camera, torna alla sua incapacità di dormire, di avere pace, di essere costretto ora a pensare a quello che poteva essere e non è stato.
Le sue visite si ripetono, notte dopo notte.
Una notte mentre sta per uscire.
-Non te ne andare...-.
Si avvicina al letto.
-Sei sveglia? Da quanto?-
-Da quando sei entrato... ogni notte, mi fa piacere averti qui...-.
Allunga una mano verso di lui.
-Stenditi... accanto a me...-.
Ora solo il leggero lenzuolo li divide.
-Parlami..... dimmi di te e di mia madre...-
E' un fiume ora, le parole escono di getto, una cascata di ricordi.
Si sente rompere la voce, le lacrime scorrergli lungo le guance.
Racconta di lui, già influente funzionario della Diocesi a Firenze e lei giovanissima universitaria inglese, l'incontro e l'attrazione fisica senza vie d'uscita, i mesi d'amore, di felicità e d'angoscia.
Lei gli accarezza i viso e poi con dolcezza lo bacia.
-Dormi ora... dormi...-
Le sue braccia lo circondano protettive e lui si lascia lentamente prendere da un sonno liberatore.
Sente sopire il suo rimorso, allontanarsi la allora decisione egoistica di sacrificare il loro amore e la vita di lei per scegliere il potere, il piacere di disporre delle vite altrui. Di sentirsi importante, determinante per la sorte di tanta umanità.
Anche le lacrime di lei e le sue implorazioni di non lasciarla si attenuano nel suo senso di colpa.
Un brivido di freddo lo sveglia più tardi, è quasi l'alba, il braccio di lei gli circonda ancora il petto, si accorge subito del suo risveglio.
-Spogliati... vieni sotto il lenzuolo... sei gelato...-
Le sue mani l'aiutano, lo spogliano completamente.
E poi... nudo si accosta a lei, al tepore del suo corpo, alla morbidezza della sua carne, alla sua pelle vellutata.
Lei si toglie la leggera camicia che indossa.
Ora fra loro non c'è nessun ostacolo.
Il seno contro la sua spalla, il braccio sul suo petto, la mano che leggermente accarezza i capezzoli di lui, il pelo del suo torace, la mano che curiosa e tenera scende, trova... stringe.
E' naturale quanto succede in seguito.
Il suo membro che subitaneo si indurisce, da tenero virgulto diventa un ramo di carne rigido e pieno di nervature, la mano che lentamente ma con decisione, con forza, lo masturba che libera dalla pelle del prepuzio la cappella congestionata e la ricopre e la scopre e ancora... ancora.
Le mani di lui che cercano, violente quasi, stringono con forza il seno, i capezzoli diventati enormemente sensibili, li strizzano, li torturano poi la scoperta del suo sesso, quel tenero... quell'umidore e il profumo ineguagliabile della natura di donna.
E' umano quello che segue, la natura, la vita che esige il suo tributo.
Lui un uomo, lei una donna e il loro congiungimento.
Null'altro ha importanza.
Lui che la cerca e lei che lo accoglie.
Con naturalezza.
Poi... frenesia, passione, rantoli, gemiti e il piacere, forte, inebriante che li colpisce con violenza, tanto da lasciarli poi sfiniti, ansimanti, sbigottiti e felici.
Quindi la curiosità.
La scoperta dei loro corpi, i baci dati e ricevuti, le carezze interessate.
E accade di nuovo.
Il corpo possente di lui che copre quello esile di lei.
La penetrazione lunga, prolungata ora, i colpi del ventre dell'uomo contro quello di lei, il grosso pene che allarga, sforza, che tocca ogni angolo della femminilità di lei e nuovamente l'orgasmo liberatore... il sollievo.
E il dopo.
Solo gli innamorati sanno la bellezza del dopo, dello scambiarsi tenerezze e del parlare, del piacere di raccontarsi, nel rivelarsi, nel conoscere, dell'ascoltare, del stare stretti, abbracciati, la pelle di uno contro la pelle dell'altra.
E loro lo sono, sono padre e figlia e sono anche innamorati, vivono di un amore folle ma possibile.
Le chiede se può chiamarla Margaret.
E lei dice... si!
Barbiati pensa e decide e stavolta sceglie per se e per la figlia, in favore della loro unione, ha sbagliato con Margaret e non è intenzionato a ripetere l'errore.
No... vuole vivere da uomo e morire, quando sarà, da uomo.
E' potente Barbiati, molto, perché sa molte cose e sa muovere le leve giuste a Roma ed è ricco di famiglia, non condizionabile, chiede che lo lascino andare, libero, senza vincoli e giocoforza accettano, accettano tutto basta che tutto avvenga nel silenzio.
Barbiati rileva l'ipocrisia e ne è schifato, ma non gli interessa, vuole lasciare il clero, ritornare uomo.
Andranno a vivere all'estero, Cuba, Repubblica Domenicana, Stati Uniti, Messico, Brasile... il mondo.
Barbiati vive da uomo felice e fa felice la figlia ora sua moglie, la sua donna.
Completamente, intensamente.
Una unione perfetta. Un grande amore.
Fine della storia.
Monsignor Barbiati è un bell'uomo.
Alto, veste perfettamente il clergyman fatto su misura.
Porta splendidamente i suoi anni, palestra, parrucchiere, manicure, massaggi, lampade, terme, nulla trascura per migliorare il suo già eccellente aspetto.
Il bel viso glabro, gli occhi chiari colore dell'ardesia, la dentatura perfetta, la pelle liscia e tesa, i capelli brizzolati tenuti corti.
Tutto in lui denota agiatezza, potere, sicurezza.
L'intelligenza pronta, razionale, una superbia intellettuale che spesso lo rende inviso ai suoi interlocutori ma solo a coloro ai quali la lascia intravedere, non certo ai suoi superiori con i quali ha un comportamento neutro e mostra disponibilità.
Occupa un incarico di primaria importanza nell'Istituto per le Missioni, un incarico politico che lo porta spesso per il mondo, a volte in incognito, a volte sotto altro nome.
E' un "negoziatore".
E' il “Negoziatore”, colui che tratta gli affari più oscuri e spinosi del Vaticano, compito nel quale deve usare cinismo e poco spirito di carità, né giustizia, nè nessun condizionamento religioso.
Sono le undici del mattino di un giorno di primavera.
-Monsignore...-.
Il suo segretario.
-C'è una signorina che chiede di vederla, Monsignore... non ha appuntamento. Le ho già detto che è impossibile farla ricevere e allora mi ha consegnato questa busta, dice che è importantissimo che Lei la legga...-
E' una piccola busta bianca chiusa.
Monsignor Barbiati la guarda, la gira fra le mani poi con un tagliacarte di avorio la apre.
Una semplice frase.
-Sono la figlia di Margaret Blond-.
Margaret!
Suona per il segretario.
-E' ancora qui la signorina? La faccia entrare...-.
Quando questi la introduce, si alza, le si fa incontro, le da la mano, la accompagna alle due poltrone sul bovindo che guarda Piazza Navona.
La ragazza?
Vent'anni.
E' bellissima.
E lui... rivede in lei Margaret e se stesso.
Ha già intuito ma aspetta conferma.
Dopo dei convenevoli lei gli porge una lettera, pesante, di carta telata, preziosa, lui ricorda il monogramma che orna la busta.
Si alza... la apre, contiene una lunga lettera, si avvicina alla finestra per leggerla.
Margaret gli scrive che nel caso lui legga questa lettera vorrà dire che lei non vive più, gli chiede di pensare alla loro figlia, la figlia nata dalla loro relazione, nata dal loro amore, scrive di loro.
L'uomo ricorda...
Ricorda la donna della sua vita, l'unica donna che ha amato, l'unica donna che ha mai avuto.
Si rivolge verso la ragazza e le porge le mani.
-Dimmi di lei... di tua madre...-.
La ragazza gli racconta.
La sua voce è rotta dalla emozione, gli dice che non ha mai saputo nulla di lui, la madre glielo ha nascosto, solo in punto di morte le ha dato la lettera e le ha raccontato di chi fosse figlia.
Gli racconta che le ultime parole della madre sono state per lui, suo unico e grande amore.
Le parole toccano il cuore arido dell'uomo.
E come la pioggia leggera, continua, persistente fa fiorire un assetato giardino, così le parole riescono a scalfire la sua corazza di uomo duro e senza sentimenti, la scalfittura diventa voragine e lui si sente precipitare... non trova il fondo!
Vede Margaret in lei, vede la sua amata, rivive in un attimo i mesi del loro amore.
Vuole riviverli con la memoria quei momenti.
La vuole vicino a se, vuole rivivere Margaret tramite lei.
Va alla scrivania e suona per il segretario.
-La macchina subito... al portone...-.
Passeggiano.
La primavera nella campagna romana sa essere d'incanto.
Pantaloni di gabardine lui, camicia azzurrina aperta sul collo, un cachemire portato sulle spalle.
Lei... jeans, blusa, un giubbino.
Parlano.
La mano di lui cerca quella della ragazza, la stringe, lei corrisponde e camminano così, mano nella mano.
Sono nella sua casa di campagna.
E' notte.
Lui nella sua stanza non può dormire, rivive quei momenti mai dimenticati, solo accantonati nella sua mente.
La passione che li divorava.
Il fuoco inestinguibile.
La rinuncia dolorosa.
Si alza...
Nel disimpegno prova la porta della camera della ragazza, la apre ed entra.
Lei... come una bambina ha lasciato accesa una piccola luce.
Lui la guarda a lungo.
Ammira il suo volto che richiama quello della madre.
Pensa a Margaret, vive tutti i suoi rimpianti.
Lungamente si ferma così, guardandola e pensando.
Poi esce e torna nella sua camera, torna alla sua incapacità di dormire, di avere pace, di essere costretto ora a pensare a quello che poteva essere e non è stato.
Le sue visite si ripetono, notte dopo notte.
Una notte mentre sta per uscire.
-Non te ne andare...-.
Si avvicina al letto.
-Sei sveglia? Da quanto?-
-Da quando sei entrato... ogni notte, mi fa piacere averti qui...-.
Allunga una mano verso di lui.
-Stenditi... accanto a me...-.
Ora solo il leggero lenzuolo li divide.
-Parlami..... dimmi di te e di mia madre...-
E' un fiume ora, le parole escono di getto, una cascata di ricordi.
Si sente rompere la voce, le lacrime scorrergli lungo le guance.
Racconta di lui, già influente funzionario della Diocesi a Firenze e lei giovanissima universitaria inglese, l'incontro e l'attrazione fisica senza vie d'uscita, i mesi d'amore, di felicità e d'angoscia.
Lei gli accarezza i viso e poi con dolcezza lo bacia.
-Dormi ora... dormi...-
Le sue braccia lo circondano protettive e lui si lascia lentamente prendere da un sonno liberatore.
Sente sopire il suo rimorso, allontanarsi la allora decisione egoistica di sacrificare il loro amore e la vita di lei per scegliere il potere, il piacere di disporre delle vite altrui. Di sentirsi importante, determinante per la sorte di tanta umanità.
Anche le lacrime di lei e le sue implorazioni di non lasciarla si attenuano nel suo senso di colpa.
Un brivido di freddo lo sveglia più tardi, è quasi l'alba, il braccio di lei gli circonda ancora il petto, si accorge subito del suo risveglio.
-Spogliati... vieni sotto il lenzuolo... sei gelato...-
Le sue mani l'aiutano, lo spogliano completamente.
E poi... nudo si accosta a lei, al tepore del suo corpo, alla morbidezza della sua carne, alla sua pelle vellutata.
Lei si toglie la leggera camicia che indossa.
Ora fra loro non c'è nessun ostacolo.
Il seno contro la sua spalla, il braccio sul suo petto, la mano che leggermente accarezza i capezzoli di lui, il pelo del suo torace, la mano che curiosa e tenera scende, trova... stringe.
E' naturale quanto succede in seguito.
Il suo membro che subitaneo si indurisce, da tenero virgulto diventa un ramo di carne rigido e pieno di nervature, la mano che lentamente ma con decisione, con forza, lo masturba che libera dalla pelle del prepuzio la cappella congestionata e la ricopre e la scopre e ancora... ancora.
Le mani di lui che cercano, violente quasi, stringono con forza il seno, i capezzoli diventati enormemente sensibili, li strizzano, li torturano poi la scoperta del suo sesso, quel tenero... quell'umidore e il profumo ineguagliabile della natura di donna.
E' umano quello che segue, la natura, la vita che esige il suo tributo.
Lui un uomo, lei una donna e il loro congiungimento.
Null'altro ha importanza.
Lui che la cerca e lei che lo accoglie.
Con naturalezza.
Poi... frenesia, passione, rantoli, gemiti e il piacere, forte, inebriante che li colpisce con violenza, tanto da lasciarli poi sfiniti, ansimanti, sbigottiti e felici.
Quindi la curiosità.
La scoperta dei loro corpi, i baci dati e ricevuti, le carezze interessate.
E accade di nuovo.
Il corpo possente di lui che copre quello esile di lei.
La penetrazione lunga, prolungata ora, i colpi del ventre dell'uomo contro quello di lei, il grosso pene che allarga, sforza, che tocca ogni angolo della femminilità di lei e nuovamente l'orgasmo liberatore... il sollievo.
E il dopo.
Solo gli innamorati sanno la bellezza del dopo, dello scambiarsi tenerezze e del parlare, del piacere di raccontarsi, nel rivelarsi, nel conoscere, dell'ascoltare, del stare stretti, abbracciati, la pelle di uno contro la pelle dell'altra.
E loro lo sono, sono padre e figlia e sono anche innamorati, vivono di un amore folle ma possibile.
Le chiede se può chiamarla Margaret.
E lei dice... si!
Barbiati pensa e decide e stavolta sceglie per se e per la figlia, in favore della loro unione, ha sbagliato con Margaret e non è intenzionato a ripetere l'errore.
No... vuole vivere da uomo e morire, quando sarà, da uomo.
E' potente Barbiati, molto, perché sa molte cose e sa muovere le leve giuste a Roma ed è ricco di famiglia, non condizionabile, chiede che lo lascino andare, libero, senza vincoli e giocoforza accettano, accettano tutto basta che tutto avvenga nel silenzio.
Barbiati rileva l'ipocrisia e ne è schifato, ma non gli interessa, vuole lasciare il clero, ritornare uomo.
Andranno a vivere all'estero, Cuba, Repubblica Domenicana, Stati Uniti, Messico, Brasile... il mondo.
Barbiati vive da uomo felice e fa felice la figlia ora sua moglie, la sua donna.
Completamente, intensamente.
Una unione perfetta. Un grande amore.
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