La mia storia con lui - Capitolo 5

di
genere
gay

Capitolo 5
Autunno

Invariabilmente vestite dei colori del fuoco e della terra, giravano sonnolentemente sopra la strada. Una caduta di foglie sopra la mia testa, solo una carezza silenziosa, scivolando e graffiando le mie orecchie intirizzite mentre il bisbiglio di brezza novembrina soffiava tra gli alberi. Vestito di una maglia marrone scuro e pantaloni cachi, sedevo sui gradini della scuola, aspettando che l’autobus arrivasse. Le mie dita piegavano il biglietto che tenevo tra le mani come un origami. Sempre più studenti entravano mentre si avvicinavano le quattro. La partita di pallacanestro era destinata a fare il tutto esaurito. La nostra squadra doveva giocare in casa contro i rivali cittadini. Sorrisi, anche se non mi interessava la partita era un piacere pensare di guardare quei giocatori sudati saltare e ricadere insensatamente. Ancora una volta mi rammaricai per non aver mai provato per la squadra. Avevo l’altezza, e pensare a... quelle docce del doposcuola, sarebbero state un sogno. Ciononostante non avevo tentato, facevo il tifo e guardavo le protuberanze che rimbalzavano durante la partita. Ma quel giorno invece avevo scelto di andare a casa e finire il romanzo che avevo cominciato. Inoltre, io non ero precisamente il brillante ritratto di giovane studente vivace. Francamente pensavo di star bene così. Ce n’erano abbastanza di “quelli” nella mia scuola.
Il mio orologio diceva “tre e venti.” Cinque altri minuti e sarebbe arrivato l’autobus. Sbadigliai. Questi giorni di autunno, pensai, sono così felicemente pigri. Quei pensieri occuparono la mia testa finché qualcuno sedette vicino a me. Qualcosa di estraneo si infilò nei miei sogni ad occhi aperti e per un secondo lo detestai. Poi compresi che era Bruno, con un maglione nero e jeans, oh così deliziosamente stretti. Aveva un profumo delizioso, caldo ed invitante, eppure impeccabilmente virile. Guardai nel mare dei suoi occhi e sorrisi mentre gli dicevo: “Ciao”. Poi abbassai lo sguardo e fissai la forma disegnata dalle foglie sulla strada. Lui mi si avvicinò, il suo profumo mi faceva impazzire sempre di più. Ma dovevo perseverare e mantenni il mio silenzio finché l’autobus non di fermò. Quando mi sedetti sul bus mi chiesi perché dannazione aveva preso la briga aspettare il pullman, lui aveva la sua macchina. Mi confuse ancora di più quando saltò a bordo, diede un foglio di carta al conducente e mi oltrepassò sedendosi in fondo. Sospirai e pensai.
Era passata una settimana da quell’incontro fatale di noi quattro in casa di Ben. Non ci eravamo parlati da allora. I nostri occhi si incontravano rapidamente ed sorrisi furono forzati. Infatti il “ciao” a Bruno di cinque minuti prima era la prima parola che gli rivolgevo da quel giorno. Ed ora ero seduto, confuso, nel mezzo dell’autobus, la porta si chiuse, il motore si accese ed il bus partì. Cosa stavo facendo? Avevo fatto “sesso” con quel bel ragazzo... ed ora, lo ignoravo? Avevo paura che fosse così… e non mi piaceva. Ma in qualche modo, una parte di me voleva ignorarlo, cancellarlo dalla mia vita. Poi capii che mi sarebbe mancata qualche cosa, non sarei... stato io, se avessi fatto così. E con un sorriso deciso mi alzai.
“Siediti, stupido!” Urlò il conducente del bus incazzato guardandomi nello specchietto. Mi sedetti.
“Oh mio Dio!” Pensai: “Avrà un attacco di cuore, andremo fuori strada ed io non vedrò mai più di nuovo la luce di giorno.” Ancora una volta, pensieri pericolosi. Sorrisi ricordando il mio piano originale. Questa volta non mi alzai completamente ma camminai mezzo curvato fino ai sedili posteriori, facendomi cadere con un tonfo vicino ad un Bruno addormentato.
Il mio sedere che toccava la plastica del sedile lo svegliò. Sorrise. Il blu nei suoi occhi mi bruciarono il cuore. Mi trovai a lottare alla ricerca parole delle per rompere il silenzio.
“Ehi, Bruno, dove vai?” Chiesi con noncuranza.
“A casa tua.” Rispose.
Io ansimai. Lui ansimò per scherzo. Io lo schiaffeggiai leggermente sulla testa. Lui mi aprì i pantaloni, mi liberò dalla tensione del pene e scese su di me.
“Bruno... no... noo... Bruno...” Mi lamentai: “... fermati...”
Mi liberai da lui e spinsi il mio cazzo nei pantaloncini. Lui mostrò sorpresa quando ancora una volta mi alzai piegato in due e ritornai al mio posto a metà bus. Poi, mentre la mia fermata si stava avvicinando, raggruppai silenziosamente le mie cose e mi spostai alla porta anteriore. La mia testa girava. Milioni di pensieri occupavano i miei neuroni quando l’autobus si fermò all’inizio della mia via. Dopo che fui sceso, la porta si chiuse dietro a me ed io, in uno stato di eccitazione selvaggia mi girai per vedere il bus che si allontanava e Bruno seduto in fondo.
Avevo fatto la cosa giusta, ancora oggi me lo domando, dopo di allora io evitai Bruno e Bruno evitò me, Ben non si azzardò più, la lezione era stata sufficiente, ed io… io…
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scritto il
2018-05-14
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