La Dottoressa Angela - il Ladruncolo
di
Angela Kavinsky
genere
dominazione
«Dove cazzo sono finite?» sbraitai. Inglesine basse e lucide di pelle italiana, rigorosamente lavorate a mano e appena comprate in una boutique, mi erano costate quasi 200 euro.
«Tutto bene?» mi chiese goffamente Antonietta mentre tentava di spogliarsi della maglietta di poliestere bagnata di sudore. Ci eravamo conosciute in palestra e da allora ci allenavamo insieme.
«Le mie Prada…»
«Prada?» chiese lei mettendo in mostra il florido seno. «Vieni in palestra con le Prada e non hai nemmeno la decenza di chiuderle nell’armadietto?»
Mentre la osservavo passarsi l’asciugamano sotto il seno, scuotevo la testa per la disperazione. «Ero convinta di averlo fatto… cazzo… questo figlio di puttana…»
«Wow hey… questo figlio di puttana chi?» chiese lei.
«Sai Antonietta, non è la prima volta che mi succede» dissi io, seduta sulla panca di legno mentre mi toglievo le scarpe da ginnastica. «Ho già perso diverse paia di calze. Di cotone, di nylon, collant…»
«Mi stai dicendo che qualche pervertito…». Si fermò. Non sapeva come continuare la frase.
«Già… Ho paura che qualche feticista si aggiri per gli spogliatoi con lo scopo di rubare calze e scarpe».
«Mmh» mugugnò Antonietta. «Il pervertito ti ha preso di mira Angela. Non mi pare di aver mai perso le calze, né tantomeno le scarpe… Che mi dici di reggiseno e mutande?»
Controllai nell’armadietto, all’interno della borsa da ginnastica. C’era tutto, reggiseno, mutande, vestiti, cellulare, portafogli, chiavi.
«Al bastardo interessano solo calzini e scarpe».
Antonietta gettò sulla panca l’asciugamano e, con il grosso seno che ballonzolava, si diresse verso la doccia. «Robe da matti Angela, robe da matti».
Entrambe ci concedemmo una bella doccia fresca, per togliere dalla pelle il copioso sudore; avevamo svolto un allenamento che definirei “intensivo”.
«Eppure sono convinta di averle messe nell’armadietto… Il bastardo in questione deve averlo aperto».
«Ha rotto l’armadietto?» chiese Antonietta. Sentivo poco per via dello scrosciare dell’acqua.
«Non direi, anzi… Forse ha usato le chiavi!»
«Bah» concluse Antonietta. Le chiavi le avevo sempre avute io, che qualcuno ne avesse una copia?
Tutto d’un tratto, sentii un rumore provenire da fuori le docce. Non chiesi se c’era qualcuno, non dissi “chi va là?” come fanno i soldati. Uscii semplicemente dalla doccia, tutta nuda e bagnata, trasformando lo spogliatoio in un lago. Anche se ci fosse stato qualcuno, quello era lo spogliatoio delle donne. Nessuna si sarebbe scandalizzata.
«Il bastardo mi ha fregato le Nike!».
Antonietta uscì con calma dalla doccia, con un asciugamano sulla folta capigliatura.
Aprii l’armadietto. «Falso allarme, le Nike sono qui!».
«Per lo meno non dovrai tornare a casa a piedi nudi!» disse Antonietta ridendo. Poi tirò un urletto di sorpresa: «WOW, guarda un po’!»
Si piegò verso il basso, mostrandomi il voluminoso lato B, e raccolse da sotto la panca una delle mie amate inglesine. Sorrisi e mi piegai a mia volta, raccogliendo l’altra.
«MENO MALE! adoro queste scarpe!»
«Sono sempre state sotto la panca!» disse Antonietta.
«Assolutamente no!» replicai. «Me ne ricorderei… E poi prima ho controllato sotto la panca!»
Antonietta piegò la scarpetta che aveva tra le mani, osservandola da ogni angolazione come fosse un oggetto trovato su una scena del crimine, fino a quando una goccia di liquido oleoso le cadde sulla coscia.
«ma che cazzo… Oh merda!».
Guardai all’interno della scarpa tra le mie mani. Vi erano delle macchie di un liquido denso e trasparente. Nel frattempo Antonietta con un dito raccolse dalla coscia la goccia del liquido. Si portò il dito alle narici.
«Ti hanno sborrato nelle scarpe!» disse con volgarità e con gli occhi sbarrati. Il suo sguardo alienato stava per tramutarsi in una violenta risata.
«Ti hanno…mmh… sborrato nelle…mmh…HAHAHA! Non ci posso credere!»
Le strappai dalla mano la mia inglesina taglia 37. Entrambe avevano quel liquido denso all’interno. Ne avvicinai una al mio naso. Antonietta aveva ragione, era sperma.
«LO TROVI DIVERTENTE? Beh scusa tanto se non rido. Aldilà del fatto che ho un paio di scarpe da 200 euro piene di sperma, c’è un maniaco che si diverte non solo a rubarmi i calzini, non solo a rubarmi le scarpe, ma anche a farmele ritrovare piene del suo sperma! Io chiamo la polizia!»
«Scusa Angela… Hai ragione c’è davvero da avere paura! Ma prima di chiamare la polizia, non sarebbe meglio parlare con quelli che lavorano qui?»
Antonietta aveva ragione. Forse c’erano delle telecamere. Molto improbabile all’interno dello spogliatoio delle femmine, ma magari appena fuori dallo stesso.
.........
BAM, una ginocchiata dritta tra le cosce, mentre il poverino se ne stava piegato in ginocchio, con i lacrimoni agli occhi. Antonietta lo teneva per le braccia da dietro, e io ero libera di fargli tutto ciò che volevo. Avrebbe sofferto, questo era poco ma sicuro.
So cosa state pensando: «Angela hai saltato un paragrafo, o forse hai avuto un black-out». No tranquilli. Una volta raggiunta la reception, un giovanotto di 25 anni, probabilmente personal trainer, alto, fisico scolpito e asciutto, capelli neri come la pece e viso da bello e dannato, cercò di tenermi buona, nonostante fossi visibilmente adirata. Gli mostrai con non poca vergogna le scarpe ripiene di sperma, facendogli notare che non avrei potuto combinare io quello schifo (cosa piuttosto ovvia non trovate?). Gli chiesi se la palestra fosse fornita di telecamere…
Le sue risposte furono elusive: niente telecamere e gli oggetti incustoditi non sono responsabilità della palestra. Cercai di fargli capire che ero sicura di averle messe nell’armadietto, ma a lui non interessò. Lo minacciai di chiamare la polizia e la sua risposta fu: «faccia pure, è un suo diritto».
Due cose in quel ragazzo mi fecero subito sospettare di lui. In primis il fatto che le mie scarpe piene di sperma non lo disgustassero nemmeno un pochino (dovete ammettere che è una cosa piuttosto strana) e, soprattutto, quando fece un passo indietro rispetto al bancone, notai una vistosa macchia biancastra all’altezza del suo membro. Lo stronzo si era masturbato e si era sporcato i pantaloni; se lo avesse fatto a casa sua, avrebbe potuto indossare un paio di pantaloni puliti; segno che si era masturbato da poco, in palestra.
Superammo il bancone e lo spingemmo verso la stanza dietro alla reception, una specie di salottino adibito a stanza relax (fortunatamente senza nessuno al suo interno, altrimenti avrebbero anche potuto denunciarci), con un minuscolo divano e due distributori automatici di bibite e merendine. La cosa strana è che se avesse voluto fermarci, data la sua stazza fisica, avrebbe potuto tranquillamente farlo. Forse voleva che lo prendessi a calci.
«ALLORA? TI DIVERTI?»
Soffriva, ma non voleva arrendersi.
«PERCHÉ NON CONFESSI?» chiesi mentre continuavo a calciare il suo pacco.
Un calcio, poi un altro, poi un altro ancora. Tossiva come un forsennato; sembrava davvero senza fiato. Ero convinta che sarebbe svenuto se gli avessi rifilato un altro calcio, eppure non mi fermai. Il mio piede partì a fionda, con la punta della mia Nike destra pronta a frantumargli i testicoli. Sentii il mio piede raggiungere la destinazione, mentre il suo volto sembrava il ritratto della sofferenza.
Tutto d’un tratto, mentre il mio piede riduceva il suo membro a poltiglia, si liberò dalla morsa di Antonietta e agguantò con una mano la mia caviglia, con l’altra il mio polpaccio affusolato. Iniziò a baciarmi con la lingua il ginocchio e io rimasi impietrita su una gamba, come uno di quei buffi uccelli con le gambe lunghe e sottili. Tolse la mano dalla mia caviglia, mi sfilò la Nike e il calzino di cotone, poi tirò fuori dai pantaloni il suo pene completamente eretto, lungo almeno 20 centimetri, e lo appoggiò sul mio piede nudo. Rimasi basita. Sentivo il suo pene durissimo sbattere come un randello sul dorso del mio piede destro, mentre la sua lingua definiva la rotondità della mia rotula.
La vista di quel randello che sbatteva sul mio piede mi fece eccitare, e fu così che mi infilai la mano nelle mutande.
Nemmeno avevo notato che Antonietta si era rimessa in piedi e ci stava osservando.
«Io… io… io me ne vado…». Era così imbarazzata poverina. La guardai e feci di sì con la testa. «Ci vediamo la settimana prossima» le dissi con il sorriso sulle labbra. Ero abbastanza convinta che fosse un po’ eccitata, ma probabilmente più che altro confusa. Ero passata dalla rabbia alla masturbazione nel giro di pochi secondi. Io sono fatta così. Si coprì gli occhi, raccolse la sua borsa e uscì dalla stanza. La salutai, ma lei non rispose al saluto. Probabilmente non l’avrei più rivista; probabilmente dal giorno successivo avrebbe cambiato palestra. Era simpatica Antonietta, ma troppo puritana per i miei gusti.
Quando se ne fu andata, mi tolsi i pantaloni da yoga e le mutandine, mi inginocchiai sul divanetto e gli ordinai di avvicinarsi a me. Sentii prima il suo naso, poi la sua lingua entrarmi nel culo. La lingua era come una frusta. Sembrava felice di farlo. Io lo ero. Ancora il suo randello che picchiava, questa volta sulle piante dei miei piedi, mentre io mi titillavo la passera.
Fu rapido. La sua lingua su per il culo mi fece bagnare, mentre un getto violento di sperma caldo eruttò sulle mie piante come un vulcano. Emisi un gemito di liberazione, come solo una donna lussuriosa come me poteva fare. Mi baciava le natiche, mentre sentivo il suo pisello ancora sulle mie piante dei piedi, solo sempre più molle.
CIK CIAK fecero i miei piedi sporchi di sperma, mentre li poggiavo sul pavimento di marmo. Raccolsi la borsa e gli porsi un pacchetto di fazzolettini di carta. Li avrebbe usati per pulirmi i piedi e per pulirsi il pene (i miei piedi avevano comunque la priorità). Mentre li puliva, sembrava gli venisse ancora un po’ duro.
Ci vestimmo e uscimmo dalla stanzetta. Era tardi e la palestra era ormai deserta.
Poggiai le Prada sul bancone. «Queste devono essere come nuove per la prossima volta che ci vediamo, intesi?». Sembrava aver perso la parola, faceva solo sì con la testa. «E poi c’è questo…».
“Angela Kavinsky, Psicoterapeuta - Sessuologa”. Il mio biglietto da visita.
«Non vorrai passare tutta la vita a venire nelle scarpe delle donne! Parliamone, ti va?». Di nuovo sì con la testa.
Fuori era ormai buio, ma una piccola luce rossa si intravedeva nell’oscurità. Antonietta si faceva una sigaretta.
«Chi fa ginnastica non dovrebbe fumare cara…»
«Ma che cazzo avete fatto là dentro?»
«Ti va di bere qualcosa così ne parliamo?» le chiesi gentilmente.
«Mmmh…Ok!».
«Tutto bene?» mi chiese goffamente Antonietta mentre tentava di spogliarsi della maglietta di poliestere bagnata di sudore. Ci eravamo conosciute in palestra e da allora ci allenavamo insieme.
«Le mie Prada…»
«Prada?» chiese lei mettendo in mostra il florido seno. «Vieni in palestra con le Prada e non hai nemmeno la decenza di chiuderle nell’armadietto?»
Mentre la osservavo passarsi l’asciugamano sotto il seno, scuotevo la testa per la disperazione. «Ero convinta di averlo fatto… cazzo… questo figlio di puttana…»
«Wow hey… questo figlio di puttana chi?» chiese lei.
«Sai Antonietta, non è la prima volta che mi succede» dissi io, seduta sulla panca di legno mentre mi toglievo le scarpe da ginnastica. «Ho già perso diverse paia di calze. Di cotone, di nylon, collant…»
«Mi stai dicendo che qualche pervertito…». Si fermò. Non sapeva come continuare la frase.
«Già… Ho paura che qualche feticista si aggiri per gli spogliatoi con lo scopo di rubare calze e scarpe».
«Mmh» mugugnò Antonietta. «Il pervertito ti ha preso di mira Angela. Non mi pare di aver mai perso le calze, né tantomeno le scarpe… Che mi dici di reggiseno e mutande?»
Controllai nell’armadietto, all’interno della borsa da ginnastica. C’era tutto, reggiseno, mutande, vestiti, cellulare, portafogli, chiavi.
«Al bastardo interessano solo calzini e scarpe».
Antonietta gettò sulla panca l’asciugamano e, con il grosso seno che ballonzolava, si diresse verso la doccia. «Robe da matti Angela, robe da matti».
Entrambe ci concedemmo una bella doccia fresca, per togliere dalla pelle il copioso sudore; avevamo svolto un allenamento che definirei “intensivo”.
«Eppure sono convinta di averle messe nell’armadietto… Il bastardo in questione deve averlo aperto».
«Ha rotto l’armadietto?» chiese Antonietta. Sentivo poco per via dello scrosciare dell’acqua.
«Non direi, anzi… Forse ha usato le chiavi!»
«Bah» concluse Antonietta. Le chiavi le avevo sempre avute io, che qualcuno ne avesse una copia?
Tutto d’un tratto, sentii un rumore provenire da fuori le docce. Non chiesi se c’era qualcuno, non dissi “chi va là?” come fanno i soldati. Uscii semplicemente dalla doccia, tutta nuda e bagnata, trasformando lo spogliatoio in un lago. Anche se ci fosse stato qualcuno, quello era lo spogliatoio delle donne. Nessuna si sarebbe scandalizzata.
«Il bastardo mi ha fregato le Nike!».
Antonietta uscì con calma dalla doccia, con un asciugamano sulla folta capigliatura.
Aprii l’armadietto. «Falso allarme, le Nike sono qui!».
«Per lo meno non dovrai tornare a casa a piedi nudi!» disse Antonietta ridendo. Poi tirò un urletto di sorpresa: «WOW, guarda un po’!»
Si piegò verso il basso, mostrandomi il voluminoso lato B, e raccolse da sotto la panca una delle mie amate inglesine. Sorrisi e mi piegai a mia volta, raccogliendo l’altra.
«MENO MALE! adoro queste scarpe!»
«Sono sempre state sotto la panca!» disse Antonietta.
«Assolutamente no!» replicai. «Me ne ricorderei… E poi prima ho controllato sotto la panca!»
Antonietta piegò la scarpetta che aveva tra le mani, osservandola da ogni angolazione come fosse un oggetto trovato su una scena del crimine, fino a quando una goccia di liquido oleoso le cadde sulla coscia.
«ma che cazzo… Oh merda!».
Guardai all’interno della scarpa tra le mie mani. Vi erano delle macchie di un liquido denso e trasparente. Nel frattempo Antonietta con un dito raccolse dalla coscia la goccia del liquido. Si portò il dito alle narici.
«Ti hanno sborrato nelle scarpe!» disse con volgarità e con gli occhi sbarrati. Il suo sguardo alienato stava per tramutarsi in una violenta risata.
«Ti hanno…mmh… sborrato nelle…mmh…HAHAHA! Non ci posso credere!»
Le strappai dalla mano la mia inglesina taglia 37. Entrambe avevano quel liquido denso all’interno. Ne avvicinai una al mio naso. Antonietta aveva ragione, era sperma.
«LO TROVI DIVERTENTE? Beh scusa tanto se non rido. Aldilà del fatto che ho un paio di scarpe da 200 euro piene di sperma, c’è un maniaco che si diverte non solo a rubarmi i calzini, non solo a rubarmi le scarpe, ma anche a farmele ritrovare piene del suo sperma! Io chiamo la polizia!»
«Scusa Angela… Hai ragione c’è davvero da avere paura! Ma prima di chiamare la polizia, non sarebbe meglio parlare con quelli che lavorano qui?»
Antonietta aveva ragione. Forse c’erano delle telecamere. Molto improbabile all’interno dello spogliatoio delle femmine, ma magari appena fuori dallo stesso.
.........
BAM, una ginocchiata dritta tra le cosce, mentre il poverino se ne stava piegato in ginocchio, con i lacrimoni agli occhi. Antonietta lo teneva per le braccia da dietro, e io ero libera di fargli tutto ciò che volevo. Avrebbe sofferto, questo era poco ma sicuro.
So cosa state pensando: «Angela hai saltato un paragrafo, o forse hai avuto un black-out». No tranquilli. Una volta raggiunta la reception, un giovanotto di 25 anni, probabilmente personal trainer, alto, fisico scolpito e asciutto, capelli neri come la pece e viso da bello e dannato, cercò di tenermi buona, nonostante fossi visibilmente adirata. Gli mostrai con non poca vergogna le scarpe ripiene di sperma, facendogli notare che non avrei potuto combinare io quello schifo (cosa piuttosto ovvia non trovate?). Gli chiesi se la palestra fosse fornita di telecamere…
Le sue risposte furono elusive: niente telecamere e gli oggetti incustoditi non sono responsabilità della palestra. Cercai di fargli capire che ero sicura di averle messe nell’armadietto, ma a lui non interessò. Lo minacciai di chiamare la polizia e la sua risposta fu: «faccia pure, è un suo diritto».
Due cose in quel ragazzo mi fecero subito sospettare di lui. In primis il fatto che le mie scarpe piene di sperma non lo disgustassero nemmeno un pochino (dovete ammettere che è una cosa piuttosto strana) e, soprattutto, quando fece un passo indietro rispetto al bancone, notai una vistosa macchia biancastra all’altezza del suo membro. Lo stronzo si era masturbato e si era sporcato i pantaloni; se lo avesse fatto a casa sua, avrebbe potuto indossare un paio di pantaloni puliti; segno che si era masturbato da poco, in palestra.
Superammo il bancone e lo spingemmo verso la stanza dietro alla reception, una specie di salottino adibito a stanza relax (fortunatamente senza nessuno al suo interno, altrimenti avrebbero anche potuto denunciarci), con un minuscolo divano e due distributori automatici di bibite e merendine. La cosa strana è che se avesse voluto fermarci, data la sua stazza fisica, avrebbe potuto tranquillamente farlo. Forse voleva che lo prendessi a calci.
«ALLORA? TI DIVERTI?»
Soffriva, ma non voleva arrendersi.
«PERCHÉ NON CONFESSI?» chiesi mentre continuavo a calciare il suo pacco.
Un calcio, poi un altro, poi un altro ancora. Tossiva come un forsennato; sembrava davvero senza fiato. Ero convinta che sarebbe svenuto se gli avessi rifilato un altro calcio, eppure non mi fermai. Il mio piede partì a fionda, con la punta della mia Nike destra pronta a frantumargli i testicoli. Sentii il mio piede raggiungere la destinazione, mentre il suo volto sembrava il ritratto della sofferenza.
Tutto d’un tratto, mentre il mio piede riduceva il suo membro a poltiglia, si liberò dalla morsa di Antonietta e agguantò con una mano la mia caviglia, con l’altra il mio polpaccio affusolato. Iniziò a baciarmi con la lingua il ginocchio e io rimasi impietrita su una gamba, come uno di quei buffi uccelli con le gambe lunghe e sottili. Tolse la mano dalla mia caviglia, mi sfilò la Nike e il calzino di cotone, poi tirò fuori dai pantaloni il suo pene completamente eretto, lungo almeno 20 centimetri, e lo appoggiò sul mio piede nudo. Rimasi basita. Sentivo il suo pene durissimo sbattere come un randello sul dorso del mio piede destro, mentre la sua lingua definiva la rotondità della mia rotula.
La vista di quel randello che sbatteva sul mio piede mi fece eccitare, e fu così che mi infilai la mano nelle mutande.
Nemmeno avevo notato che Antonietta si era rimessa in piedi e ci stava osservando.
«Io… io… io me ne vado…». Era così imbarazzata poverina. La guardai e feci di sì con la testa. «Ci vediamo la settimana prossima» le dissi con il sorriso sulle labbra. Ero abbastanza convinta che fosse un po’ eccitata, ma probabilmente più che altro confusa. Ero passata dalla rabbia alla masturbazione nel giro di pochi secondi. Io sono fatta così. Si coprì gli occhi, raccolse la sua borsa e uscì dalla stanza. La salutai, ma lei non rispose al saluto. Probabilmente non l’avrei più rivista; probabilmente dal giorno successivo avrebbe cambiato palestra. Era simpatica Antonietta, ma troppo puritana per i miei gusti.
Quando se ne fu andata, mi tolsi i pantaloni da yoga e le mutandine, mi inginocchiai sul divanetto e gli ordinai di avvicinarsi a me. Sentii prima il suo naso, poi la sua lingua entrarmi nel culo. La lingua era come una frusta. Sembrava felice di farlo. Io lo ero. Ancora il suo randello che picchiava, questa volta sulle piante dei miei piedi, mentre io mi titillavo la passera.
Fu rapido. La sua lingua su per il culo mi fece bagnare, mentre un getto violento di sperma caldo eruttò sulle mie piante come un vulcano. Emisi un gemito di liberazione, come solo una donna lussuriosa come me poteva fare. Mi baciava le natiche, mentre sentivo il suo pisello ancora sulle mie piante dei piedi, solo sempre più molle.
CIK CIAK fecero i miei piedi sporchi di sperma, mentre li poggiavo sul pavimento di marmo. Raccolsi la borsa e gli porsi un pacchetto di fazzolettini di carta. Li avrebbe usati per pulirmi i piedi e per pulirsi il pene (i miei piedi avevano comunque la priorità). Mentre li puliva, sembrava gli venisse ancora un po’ duro.
Ci vestimmo e uscimmo dalla stanzetta. Era tardi e la palestra era ormai deserta.
Poggiai le Prada sul bancone. «Queste devono essere come nuove per la prossima volta che ci vediamo, intesi?». Sembrava aver perso la parola, faceva solo sì con la testa. «E poi c’è questo…».
“Angela Kavinsky, Psicoterapeuta - Sessuologa”. Il mio biglietto da visita.
«Non vorrai passare tutta la vita a venire nelle scarpe delle donne! Parliamone, ti va?». Di nuovo sì con la testa.
Fuori era ormai buio, ma una piccola luce rossa si intravedeva nell’oscurità. Antonietta si faceva una sigaretta.
«Chi fa ginnastica non dovrebbe fumare cara…»
«Ma che cazzo avete fatto là dentro?»
«Ti va di bere qualcosa così ne parliamo?» le chiesi gentilmente.
«Mmmh…Ok!».
1
voti
voti
valutazione
3
3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
CamGirl - Fratello feticista e Sorella arrapata soddisfano le tue fantasie davanti ad una Webcam (seconda parte)racconto sucessivo
La Donna Perfetta - La prima volta di Sasha
Commenti dei lettori al racconto erotico