Cuori in Tempesta - Prima parte
di
Angela Kavinsky
genere
etero
Se solo mi fossi portato degli occhiali da sole! Dopotutto non potevo immaginare che tutta quella neve potesse darmi tanto fastidio. Eravamo in viaggio da circa 3 ore e per tutto il tempo Camille non aveva fatto altro che sbraitarmi contro.
Le giuro dottoressa Kavinsky, se non fosse stata la sorella del mio migliore amico, probabilmente l’avrei fatta scendere dall’auto in mezzo a tutta quella neve.
«Vai piano in salita!» oppure «Fai attenzione alle indicazioni!» altrimenti «Questa auto fa schifo, perché non la cambi?»
Ma prima le faccio un piccolo riassunto. Il mio migliore amico Jean mi aveva convinto a organizzare assieme a lui un week-end in montagna. I suoi genitori avevano da poco acquistato una piccola baita nei pressi di Grenoble ed erano stati tanto irresponsabili da lasciare a Jean e a me di potervi trascorrere qualche giorno nel fine settimana. Jean aveva promesso che, oltre alla sua fidanzata Margot ci sarebbe stata anche una sua amica, Mireille, pronta a darsi alla pazza gioia con me. Insomma, un programma interessante! Poi però ecco l’inghippo: Il padre di Jean aveva ricevuto un importante chiamata di lavoro e aveva convinto il figlio a portare con sé la sorellina Camille, di 19 anni.
Si chiederà dottoressa perché io mi trovavo da solo in macchina con Camille. Presto detto: Il caro vecchio Jean era stato richiamato all’università… Non so bene per quale genere di problema, probabilmente per delle lezioni di recupero visto che Jean è di certo la persona più stupida che conosca! Bravo ragazzo e anche generoso, ma ignorante come un mulo. Comunque avevo promesso a Jean che, per la sera, il camino sarebbe stato colmo di legna ardente e che probabilmente avrebbe anche trovato pronto qualche manicaretto preparato da me, anche per stupire Mireille che, con la pancia piena e dopo qualche bicchiere di vino, magari avrebbe potuto farmi passare una notte di piacere. Per quanto riguarda Camille, al diavolo! Si sarebbe ubriacata e poi si sarebbe addormentata, come già successo altre volte.
«Cazzo Bernard, ma chi ti ha dato la patente? Comunque ferma la macchina! Siamo arrivati» Scese dall’auto, mentre io parcheggiavo lì vicino, in mezzo alla neve. la mia piccola e vissuta Renault Clio faticava in mezzo a tutta quella neve. Scesi dall’auto. Il paesaggio era bellissimo! Dietro alla piccola baita si alzavano le montagne e tra quelle montagne si accendevano un’infinità di luci, che immagino provenissero da tutti gli hotel ricolmi di turisti di Grenoble.
Dopo qualche Istante, Una raffica di vento gelido mi tagliò il volto, quasi facendomi perdere l’equilibrio. Camille, davanti a me, si era appigliata ad una delle sottili colonne di legno che sostenevano il tetto del pianerottolo davanti alla porta d’ingresso, quasi per paura di volare via. Cercai di raggiungerla, quando una figura si avvicinò lentamente a me. Si trattava di un uomo anziano, con addosso un elegante giubbotto che lo ricopriva dalla testa ai piedi.
«Hey giovanotto, come avete fatto ad arrivare qui?» disse con voce roca.
«Con l’auto…» dissi indicando la mia vecchia Clio color blu.
«Quindi siete riusciti a passare… No perché tutte le strade sono bloccate… lo hanno appena detto alla radio… Senti giovanotto, volevo solo avvertirti che è saltata la corrente; la bufera deve aver abbattuto un palo della corrente! Correte in casa e accendete subito il camino!». Poi si girò e iniziò a saltellare nella neve, che ormai arrivava alle ginocchia.
«Grazie per l’avvertimento!» gridai, ma se n’era già andato. Nel frattempo Camille stava ancora tentando di aprire la porta. Non appena ci riuscì, entrambi ci fiondammo dentro.
Lei scrollò la neve dal suo giubbottino imbottito, si tolse la cuffia col pon-pon gettandola sul tavolo e iniziò con frenesia a cliccare sull’interruttore della luce.
«Quel signore mi ha detto che è saltata la corrente!». Lei mi guardò. Pensò ad una scusa valida per potermi dare contro; poi, quando si accorse non ce n’erano, sbuffò.
«Tempo di merda… Perché… Perché? Non solo devo passare il fine settimana con Jean, quelle puttanelle di Margot e Mireille e… Con te! ma mi tocca pure farlo senza poter guardare la tv… Ma che sfiga…»
Non le risposi, ma la questione era reciproca; perché diavolo dovevamo portarci appresso questa palla al piede tra l’altro stronza come poche?
Le finestre tremavano e un pesante ronzio segnalava che il vento si stava alzando. Fortunatamente però vi era ancora parecchia luce fuori e potei muovermi all’interno della casa agevolmente, trovando subito dove tenevano la legna, oltre che delle candele di cera, accendifuoco e fiammiferi. Inutile dire che Camille non mi aiutò nemmeno per un secondo.
Deve sapere dottoressa che ho sempre trovato Camille una ragazza “atipica”. Non penso sia brutta. Di certo non è né molto alta né formosa, ma ha un fisico atletico e un visino rotondo molto dolce: occhioni azzurri, nasino a patata coperto da lentiggini, lunghi capelli rossi. Oserei dire che il suo viso è quasi angelico, ossia esattamente l’opposto del suo carattere. Da ragazzina non era così, poi la scuola probabilmente l’ha cambiata. È diventata una ragazzaccia, una ribelle. E non intendo sciocchezze tipo tatuaggi o piercing, ma cose del tipo… Beh, solo l’anno scorso Jean e i suoi genitori sono venuti a sapere che a scuola la chiamavano “la mano più veloce del west”. Divenne anche piuttosto popolare e Jean dovette avere a che fare con parecchi bulli che l’andavano a trovare a casa! Povero Jean!
Posizionai la legna nel camino e l’accessi quasi subito, ma per Camille ci avevo comunque impiegato troppo.
«Cazzo ce ne hai messo di tempo!»
«Avresti potuto tenere addosso il giubbino ancora per qualche minuto!» le dissi.
«Non pensavo ci volesse una vita per accendere il camino!»
Si sedette a gambe incrociate su un piccolo tappeto di fronte al camino, e la luce del fuoco illuminò quell’essere angelico e demoniaco allo stesso tempo che tremava come una foglia e sbatteva i denti come una vecchia macchina da scrivere.
Accesi due candele di cera e le posizionai sul tavolo mentre il fuoco riscaldava l’ambiente. Mi tolsi il giaccone e gli stivali mentre controllavo il cellulare. Non c’era campo.
Nel frattempo Camille si era allontanata dal fuoco di qualche centimetro e aveva steso le gambe, posizionando le piante dei piedi contro il fuoco. Non appena la vidi le intimai di fare attenzione.
«Stai attenta Camille» le dissi.
«Non rompere il cazzo!» mi rispose, poi fece un urlò straziante e la cosa mi fece preoccupare non poco.
Mi alzai dalla poltrona in pelle e mi avvicinai al fuoco. Le lacrime le scendevano sulle guance.
«Ma Camille, cosa c’è?»
«I piedi… Cazzo mi fanno malissimo se muovo le dita…» poi iniziò a singhiozzare.
Camille si era tolta gli stivali e se ne stava lì con i piedi contro il fuoco a piangere.
Quella troietta mi faceva tenerezza, così provai ad aiutarla. Prima appoggiai la mia mano sul suo ginocchio e poi tentai di sfilarle la calza pesante dal piede, ma lei mosse rabbiosamente la gamba e mi guardò con un ghigno diabolico.
«Brutto coglione mi fanno male le dita dei piedi per via del freddo! E tu mi togli le calze? Ma perché lo fai? Vuoi farmi congelare stronzo?».
In effetti si, non era una cattiva idea. Scherzi a parte, cercai di mantenere la calma.
«Camille, per una volta fidati di me». Lei continuava a frignare, ma mi stette a sentire. Alzai la gamba dal polpaccio e sfilai la pesante calza di lana.
«Capisco che tu abbia freddo ma cosa pensi che causi questo freddo? Forse il fatto che la calza è tutta bagnata?»
Sfilai la calza sinistra, mostrando una gambetta sottile e bianca quasi quanto la neve, mentre i piedini taglia 36 erano in verità quasi bluastri. Feci lo stesso con l’altra gamba. Camille smise di singhiozzare.
«Meglio?» dissi mentre le accarezzavo il piede, che era grosso quasi quanto la mia mano. Lei fece sì con la testa. Appoggiai la mano sotto la pianta del suo piede destro, notando che il fuoco lo aveva riscaldato per bene.
«Prova ora!» dissi osservando il suo bel viso. Mosse lentamente le piccole dita del piede. «Si, meglio!» disse mostrando un leggero sorriso.
In quel momento, forse perché quel piedino di certo meritava maggiori attenzioni, o forse perché Camille si era mostrata per la prima volta dolce e vulnerabile con me, qualcosa in me si… come posso dire dottoressa? Si “smosse”?
«Bella trovata questa…» disse.
«Beh sai, sono più grande di te quindi…»
«Ah! Quindi è una di quelle cose che impari a 23 anni, ma che a 19 non puoi conoscere!»
«Secondo me non dimostri 19 anni… Insomma io non ti sono mai stato simpatico ma… Sei molto matura per avere 19 anni!»
«Davvero?... Che idiota!»
«Dico sul serio!». Mentre parlavo con lei le porsi una piccola coperta di lana che lei si mise prontamente sulle spalle. Dirmi grazie non faceva parte della sua natura, ma capii che apprezzò il gesto
«Cos’è che dicevano di me l’anno scorso? Che ero la “mano più veloce di…”»
«Mmh… non lo so…»
«Dai Bernard, lo sapevano tutti, perfino i miei professori!»
«Non ricordo, e comunque non ho mai dato peso a certe cazzate… Quella scuola è piena di bulli. Jean mi ha sempre detto che eri una brava ragazza ed è quello che penso anche io!»
Camille sbuffò con gli occhi fissi sulle lingue di fuoco che divoravano la legna secca.
«Mio fratello è un imbecille… Gli voglio bene ma è uno stupido… E poi, che male ci sarebbe? Io sono una donna; è anche normale che mi piaccia fare le seghe…»
La vidi fare un piccolo sorriso e iniziai a sentirmi stranamente eccitato.
«Mio fratello Jean si arrabbiava con i bulli che mi venivano a trovare a casa. Era convinto di essere un gran figo, di riuscire a tenerli a bada… In realtà ero io a tenerli a bada!»
«Che intendi?» dissi deglutendo.
«Che loro con me sono sempre stati gentili; dei veri tesori! Sai per i bulli cos’è meglio di prendere a botte quel coglione di mio fratello Jean?»
Mi guardò e mimò con la mano il gesto della masturbazione.
Nella penombra iniziai a sentirlo duro. Quella troietta era riuscita a farmi eccitare. Ora anche solo vederla muovere le dita dei piedi davanti al fuoco mi faceva venire voglia di tirarlo fuori.
«Cazzo… mia madre a 19 anni era già incinta; non era nemmeno sposata con mio padre… E perché faccio qualche sega sono io la zoccola!»
Iniziai a chiedermi come mai da un momento all’altro fosse diventata un fiume in piena. Prima non spiccicava parola se non per insultarmi, ora mi raccontava cose decisamente intime e private. Forse era per la storia dei piedi. Era talmente preoccupata e dolorante che era come se le avessi salvato la vita.
Me ne stavo rintanato vicino al ripostiglio, in cerca di grossi ceppi da bruciare, quando lei pronunciò delle parole che mi mozzarono il fiato.
«Sai Bernard, tu sei stato così gentile con me, così carino… Se c’è qualcosa che vuoi che io faccia per te… Me lo devi solo chiedere…»
In quel momento provai a pensare nella mia mente a quella sventola dell’amica di Margot, Mireille: alta, bella… E stupida quasi quanto la sua amica e Jean. Una di quelle che la sera non si perde una puntata di Jersey Shore o Riccanza o quelle altre stronzate che danno su MTV perché “è convinta che creino le tendenze”.
Camille invece… Le era bastato pronunciare poche parole per farmi letteralmente sbavare.
Mi avvicinai a lei.
«Camille, non capisco che cosa intendi… Voglio dire, mi ha fatto piacere aiutarti!»
Nel frattempo la luce fuori era svanita, e le candele e la luce del fuoco spezzavano l’oscurità più totale. La bufera pareva addirittura essersi incattivita.
Lei si voltò verso di me. Ora, oltre alla coperta di lana, indossava ancora la sua cuffia con pon pon che nel frattempo si era asciugata.
Mi sedetti sulla poltrona. Lei si avvicinò strusciando il sedere per terra. Dovetti aprire le gambe per permetterle di avvicinarsi. Da seduta sul pavimento, alzò la gamba sottile e non troppo lunga, porgendomi il piede tra le mani. Abbassai lo sguardo. Lei mi fissò. «Allora, ora il mio piede sembra stare meglio, ma voglio il parere dell’esperto».
Ora il piedino aveva ripreso un aspetto naturale. Mentre lo accarezzavo, lei alzò anche l’altra gamba e appoggiò l’altro piede sulla mia coscia.
La prima cosa che pensai fu che probabilmente avrei dovuto lanciarmi a terra sopra di lei. Ero abbastanza certo che lei mi avrebbe accolto tra le sue gambe, più che tra le sue braccia. Mentre fuori infuriava la bufera, io avrei potuto tranquillamente scoparmi la dolce Camille davanti al caldo fuoco del camino, ingoiando con piacere i peli rossi della sua fica prima, e montandola con vigore poi.
Lei sorrideva. Con la mano destra massaggiavo il suo piedino, mentre con la sinistra le facevo (non so per quale motivo) il risvolto ai jeans, mostrando centimetro dopo centimetro la sua pelle candida.
Mentre si mordicchiava le unghie delle mani, mi poggiò l’altro piede (quello che non stavo massaggiando) sopra il cazzo. La mia patta dei pantaloni iniziò a gonfiarsi. Ora era quasi dolorante chiuso nei pantaloni. Mosse il piede verso l’alto, come per misurarne la lunghezza. Sembrava pensare fosse una misura più che soddisfacente a giudicare dall’ennesimo sorriso.
Ora era ufficiale. Camille mi voleva. Fino ad un’ora fa pensavo che passare il week-end con quella troietta sarebbe stato un supplizio, e che l’unica cosa che volevo davvero era Mireille e la sua fichetta bagnata. Ora invece mi sarei volentieri coricato per terra, con Camille seduta sulla mia faccia e la mia lingua nel suo buco del culo.
Mi perdoni dottoressa per il mio linguaggio scurrile, ma il solo pensiero mi fa impazzire.
Sorrisi a mia volta, presi il suo piedino per il tallone e lo avvicinai alla bocca, mentre l’altro piedino continuava a sollazzare il mio cazzo.
«È guarito direi, anzi, questo piedino birichino sta fin troppo bene ora…»
Il suo piccolo alluce stava per entrare nella mia bocca. Avrei mordicchiato quel piedino solo per sentirla ridere, e lo avrei baciato per mostrarle che era riuscita a conquistarmi. Di fatto era lei a comandare.
«Aiuto!» disse ridendo, ma non mi sarei fermato. Tirai fuori la lingua. Lo avrei anche leccato quel piedino e per bene, per dimostrarle…
«DON’T WANNA BE AN AMERICAN IDIOT!»
Camille piantò un urlo mentre toglieva dalla mia mano e dalla mia bocca il suo piedino; poi batté la schiena a terra. Io iniziai a sentire il cuore battere a mille. Dovetti appoggiare la schiena allo schienale e le mani sui braccioli per calmarmi.
«DON’T WANNA BE AN AMERICAN IDIOT! DUM DUM DUM»
Fanculo Green Day, pensai. Camille si alzò dal pavimento e a piedi nudi raggiunse il giubbino appeso all’appendiabiti, dopodiché estrasse dalla tasca un iphone nuovo di zecca che brillava nel buio.
«Ma che cazzo di suoneria!»
«I Green Day sono il mio gruppo preferito!»
«Ho capito ma mi è venuto un’infarto!»
Camille Portò il telefono all’orecchio. Il volume della conversazione era così alto che perfino da ben lontano riuscivo a sentirlo.
«CAZZO! Finalmente qualcuno ha risposto al cazzo di telefono!»
«Jean? Ma… Guarda che il telefono non prendeva! È la prima chiamata che ricevo… State arrivando?»
«Col cavolo che stiamo arrivando! La protezione civile ha chiuso tutte le strade! Ci hanno rimandato indietro! Ora stiamo tornando a casa… Voi piuttosto come state? Bernard? Visto che nessuno rispondeva o quasi pensato che foste rimasti per strada…»
«Nah… Siamo arrivati circa un’oretta fa… Aspetta, te lo passo»
Ancora seduto sulla poltrona il cuore batteva forte, per non parlare del cazzo le cui vene sentivo pulsare. Ma almeno non avevo più il fiatone.
«Hey amico… Tutto a posto? Tu e le ragazze state bene? Senti voglio solo dirti che qui va tutto bene; abbiamo un tetto sulla testa e il fuoco scalda alla grande. Non preoccuparti».
«Odio quella stronzetta ma se dovesse capitargli qualcosa non so cosa farei… Mi sono preoccupato da morire! Senti Bernard, ti ringrazio davvero tanto, non so cosa farei senza di te! ti devo un favore grosso quanto una casa! Ora riporto a casa queste 2 rompicoglioni… ci vediamo e sentiamo prestissimo! Ti voglio bene amico!»
Riconsegnai il telefono a Camille che parlò ancora un po’ col fratello e che non lesinò belle parole nei miei confronti. In pratica disse che ero stato bravo e che l’avevo trattata bene. Mi fece piacere anche se avrei preferito una sana scopata. Mi alzai dalla poltrona e mi diressi al bagno. Avevo tenuto l’uccello stretto nei pantaloni per troppo tempo, e ora cominciava a farmi male. Ancora prima di entrare in bagno abbassai la zip per farlo respirare. Aprii la porta del bagno. Camille, che ancora parlava al telefono col fratello, si piazzò a lato della porta, prese la maniglia della stessa e la chiuse con forza.
«Si si ho capito… Il camino sempre acceso… E non uscire assolutamente… Jean cazzo perché dovrei uscire?»
Rimasi sbigottito. Sottovoce le dissi: «Devo andare a fare pipì!» lei mi guardo di traverso e con la mano mi fece segno di stare fermo.
«Jean ora vado… Di a mamma e papà che è tutto ok! Ciao!». Poi lasciò il telefono su un mobile.
«Dove credi di andare?»
«Devo fare pipì» le dissi. Camille mi prese la mano. Mi riportò davanti al camino in pietra e, in piedi davanti a me, mi fissò negli occhi.
«Tu non devi fare pipì… Ti volevi liberare in un altro modo». La dolce Camille mi aveva beccato. Dopotutto, “la mano più veloce del west” sapeva perfettamente cosa un uomo volesse fare in quei momenti.
Si inginocchiò davanti a me, ma non prima di essersi levata il maglione.
«Adesso fa fin troppo caldo!» disse.
Illuminata dalle fiamme che ardevano e con il sottofondo del vento, Camille infilò la mano attraverso la zip già abbassata. Sentii la sua piccola mano fredda agguantare il mio membro, che quasi scottava.
«Bernard ti ho sempre immaginato con il cazzo grosso… Felice di non rimanere delusa!»
Estrasse la mano, poi sbottonò i pantaloni e li abbassò, e lo stesso fece con le mutande.
“La mano più veloce del west aveva una pistola puntata alla testa” (perdoni la battuta dottoressa!).
Tirò la pelle già tirata all’indietro, con la cappella del tutto libera. Appoggiò il nasino a patata su di essa e lo strusciò. Come fosse un grosso microfono, iniziò a parlarci.
«Hai sentito che faccio delle gran seghe… Che mi dici di valutare un bel pompino?»
Non dissi nulla, ero tirato come una corda di violino. Lei diede una leccata alla cappella, poi, sempre con il sorriso sulle labbra, me lo succhiò con gusto. Sentii come un brivido lungo la schiena e non era il freddo. Ogni volta che usciva cercava di prenderne sempre un po’ di più, fino a quando dopo diversi tentativi lo prese tutto in bocca. Non ho idea di come ci riuscì, so solo che resistere era diventato impossibile. Con le dita giocava con le mie palle come fossero biglie, poi mi fece una bella sega, intimandomi però di non venire.
«Mi verrai in bocca, così non sporchiamo». Mentre segava, iniziò a succhiare le palle. Iniziò poi con la lingua dalla base, lentamente, come se avesse davanti un lecca-lecca di forma fallica.
«Camille non ce la faccio più!» le dissi. La presi dalle guance e senza alcuna delicatezza glielo infilai in bocca. La guardai per evitare che fosse sgradevole ma lei succhiava. Da quel momento in poi più che un pompino pareva che mi stessi scopando la sua faccia. Ero io, non lei, a fare il movimento avanti e indietro.
Devo ammetterlo dottoressa: fui indelicato.
Lei mi fissava. Glielo tirai fuori. «È troppo?»
«No scemo, non vedi che mi piace?». Quasi senza lasciarla finire di parlare, ricominciai. La presi per i lunghi capelli rossi e quando fu il momento glieli tirai con forza.
Urlai a pieni polmoni; nessuno mi avrebbe sentito. Mi misi in punta di piedi e guardai il soffitto come se stessi per prendere il volo. Con movimenti lenti, lasciai che si svuotasse tutto. Lei fece degli strani versi. Gli occhi quasi fuori dalle orbite e l’aria di una che è appena stata investita da un camion. Appena glielo tirai fuori le venne voglia di vomitare, ma si mise la mano davanti alla bocca e corse in bagno. Le corsi dietro. Eravamo in semi oscurità, così portai in bagno un portacandela.
«Tutto ok?».
Camille iniziò a sputare nel lavandino. Un po’ di saliva, ma soprattutto sperma.
«Ti ho fatto male?»
Lei si voltò verso di me. «Ma che dici? sei stato grande!». Sputò ancora un paio di volte. «In effetti ne ho fatte di queste cose ma… È la prima volta che ho la sensazione di essere stata scopata in bocca!»
Con un asciugamano si asciugò il volto, poi si sistemò i capelli. Io mi accorsi di avere ancora il cazzo di fuori e sebbene fosse ancora ricoperto di saliva, me lo infilai nelle mutande.
«Pensavo di aver esagerato…»
«Tranquillo… te lo avrei fatto capire».
«Camille ti rendi conto di quello che abbiamo fatto?»
Fuori la neve aveva quasi raggiunto le finestre, e quindi doveva essere alta almeno un metro e mezzo. Le luci di Grenoble erano fioche. La mia Clio era letteralmente scomparsa nel bianco.
«Credo che dovremmo mangiare qualcosa». Per Camille era come se non fosse successo nulla. Io invece stavo entrando in paranoia. La sorella del mio migliore amico, la ragazza stronza e stramba che non aveva mai visto in quel modo.
Tirò fuori dalla dispensa un sacchetto di patatine. Me lo porse. «Pare che tu abbia visto un fantasma… E invece hai appena scopato, quindi è strana quell’espressione sulla tua faccia!»
«Ma io…»
«Ma cosa? Se ti avesse spompinato l’amica della ragazza di mio fratello… come si chiama… Mireille? se l’avesse fatto lei?»
«Forse hai ragione». Mi rubò dalle mani il sacchetto di patatine.
«Bernard io e te dovremmo semplicemente godercela. Siamo chiusi qui dentro e di certo lo saremo per i prossimi 2 o 3 giorni. Ma abbiamo legna da ardere e cibo quindi… Perché non ce la godiamo?»
Mi fece sedere sul divano, si coricò e aprì il pacchetto di patatine.
«Dunque… Prima stavi dicendo qualcosa in merito ai miei piedini birichini o sbaglio?»
Presi il suo piede che aveva appoggiato sulle mie cosce e iniziai a massaggiarlo, poi lo baciai.
«Immagina se fossi qui con quell’idiota di Mireille… Lei di certo non ti avrebbe fatto quello che ti ho fatto io…». Le succhiai il secondo dito del piede e le sorrisi.
«Hai ragione… Sono contento di essere qui con te Camille. E stanotte mi piacerebbe dormire con te». Camille si infilò una patatina tra le dita dei piedi e me la portò alla bocca. «Permesso accordato!».
Le giuro dottoressa Kavinsky, se non fosse stata la sorella del mio migliore amico, probabilmente l’avrei fatta scendere dall’auto in mezzo a tutta quella neve.
«Vai piano in salita!» oppure «Fai attenzione alle indicazioni!» altrimenti «Questa auto fa schifo, perché non la cambi?»
Ma prima le faccio un piccolo riassunto. Il mio migliore amico Jean mi aveva convinto a organizzare assieme a lui un week-end in montagna. I suoi genitori avevano da poco acquistato una piccola baita nei pressi di Grenoble ed erano stati tanto irresponsabili da lasciare a Jean e a me di potervi trascorrere qualche giorno nel fine settimana. Jean aveva promesso che, oltre alla sua fidanzata Margot ci sarebbe stata anche una sua amica, Mireille, pronta a darsi alla pazza gioia con me. Insomma, un programma interessante! Poi però ecco l’inghippo: Il padre di Jean aveva ricevuto un importante chiamata di lavoro e aveva convinto il figlio a portare con sé la sorellina Camille, di 19 anni.
Si chiederà dottoressa perché io mi trovavo da solo in macchina con Camille. Presto detto: Il caro vecchio Jean era stato richiamato all’università… Non so bene per quale genere di problema, probabilmente per delle lezioni di recupero visto che Jean è di certo la persona più stupida che conosca! Bravo ragazzo e anche generoso, ma ignorante come un mulo. Comunque avevo promesso a Jean che, per la sera, il camino sarebbe stato colmo di legna ardente e che probabilmente avrebbe anche trovato pronto qualche manicaretto preparato da me, anche per stupire Mireille che, con la pancia piena e dopo qualche bicchiere di vino, magari avrebbe potuto farmi passare una notte di piacere. Per quanto riguarda Camille, al diavolo! Si sarebbe ubriacata e poi si sarebbe addormentata, come già successo altre volte.
«Cazzo Bernard, ma chi ti ha dato la patente? Comunque ferma la macchina! Siamo arrivati» Scese dall’auto, mentre io parcheggiavo lì vicino, in mezzo alla neve. la mia piccola e vissuta Renault Clio faticava in mezzo a tutta quella neve. Scesi dall’auto. Il paesaggio era bellissimo! Dietro alla piccola baita si alzavano le montagne e tra quelle montagne si accendevano un’infinità di luci, che immagino provenissero da tutti gli hotel ricolmi di turisti di Grenoble.
Dopo qualche Istante, Una raffica di vento gelido mi tagliò il volto, quasi facendomi perdere l’equilibrio. Camille, davanti a me, si era appigliata ad una delle sottili colonne di legno che sostenevano il tetto del pianerottolo davanti alla porta d’ingresso, quasi per paura di volare via. Cercai di raggiungerla, quando una figura si avvicinò lentamente a me. Si trattava di un uomo anziano, con addosso un elegante giubbotto che lo ricopriva dalla testa ai piedi.
«Hey giovanotto, come avete fatto ad arrivare qui?» disse con voce roca.
«Con l’auto…» dissi indicando la mia vecchia Clio color blu.
«Quindi siete riusciti a passare… No perché tutte le strade sono bloccate… lo hanno appena detto alla radio… Senti giovanotto, volevo solo avvertirti che è saltata la corrente; la bufera deve aver abbattuto un palo della corrente! Correte in casa e accendete subito il camino!». Poi si girò e iniziò a saltellare nella neve, che ormai arrivava alle ginocchia.
«Grazie per l’avvertimento!» gridai, ma se n’era già andato. Nel frattempo Camille stava ancora tentando di aprire la porta. Non appena ci riuscì, entrambi ci fiondammo dentro.
Lei scrollò la neve dal suo giubbottino imbottito, si tolse la cuffia col pon-pon gettandola sul tavolo e iniziò con frenesia a cliccare sull’interruttore della luce.
«Quel signore mi ha detto che è saltata la corrente!». Lei mi guardò. Pensò ad una scusa valida per potermi dare contro; poi, quando si accorse non ce n’erano, sbuffò.
«Tempo di merda… Perché… Perché? Non solo devo passare il fine settimana con Jean, quelle puttanelle di Margot e Mireille e… Con te! ma mi tocca pure farlo senza poter guardare la tv… Ma che sfiga…»
Non le risposi, ma la questione era reciproca; perché diavolo dovevamo portarci appresso questa palla al piede tra l’altro stronza come poche?
Le finestre tremavano e un pesante ronzio segnalava che il vento si stava alzando. Fortunatamente però vi era ancora parecchia luce fuori e potei muovermi all’interno della casa agevolmente, trovando subito dove tenevano la legna, oltre che delle candele di cera, accendifuoco e fiammiferi. Inutile dire che Camille non mi aiutò nemmeno per un secondo.
Deve sapere dottoressa che ho sempre trovato Camille una ragazza “atipica”. Non penso sia brutta. Di certo non è né molto alta né formosa, ma ha un fisico atletico e un visino rotondo molto dolce: occhioni azzurri, nasino a patata coperto da lentiggini, lunghi capelli rossi. Oserei dire che il suo viso è quasi angelico, ossia esattamente l’opposto del suo carattere. Da ragazzina non era così, poi la scuola probabilmente l’ha cambiata. È diventata una ragazzaccia, una ribelle. E non intendo sciocchezze tipo tatuaggi o piercing, ma cose del tipo… Beh, solo l’anno scorso Jean e i suoi genitori sono venuti a sapere che a scuola la chiamavano “la mano più veloce del west”. Divenne anche piuttosto popolare e Jean dovette avere a che fare con parecchi bulli che l’andavano a trovare a casa! Povero Jean!
Posizionai la legna nel camino e l’accessi quasi subito, ma per Camille ci avevo comunque impiegato troppo.
«Cazzo ce ne hai messo di tempo!»
«Avresti potuto tenere addosso il giubbino ancora per qualche minuto!» le dissi.
«Non pensavo ci volesse una vita per accendere il camino!»
Si sedette a gambe incrociate su un piccolo tappeto di fronte al camino, e la luce del fuoco illuminò quell’essere angelico e demoniaco allo stesso tempo che tremava come una foglia e sbatteva i denti come una vecchia macchina da scrivere.
Accesi due candele di cera e le posizionai sul tavolo mentre il fuoco riscaldava l’ambiente. Mi tolsi il giaccone e gli stivali mentre controllavo il cellulare. Non c’era campo.
Nel frattempo Camille si era allontanata dal fuoco di qualche centimetro e aveva steso le gambe, posizionando le piante dei piedi contro il fuoco. Non appena la vidi le intimai di fare attenzione.
«Stai attenta Camille» le dissi.
«Non rompere il cazzo!» mi rispose, poi fece un urlò straziante e la cosa mi fece preoccupare non poco.
Mi alzai dalla poltrona in pelle e mi avvicinai al fuoco. Le lacrime le scendevano sulle guance.
«Ma Camille, cosa c’è?»
«I piedi… Cazzo mi fanno malissimo se muovo le dita…» poi iniziò a singhiozzare.
Camille si era tolta gli stivali e se ne stava lì con i piedi contro il fuoco a piangere.
Quella troietta mi faceva tenerezza, così provai ad aiutarla. Prima appoggiai la mia mano sul suo ginocchio e poi tentai di sfilarle la calza pesante dal piede, ma lei mosse rabbiosamente la gamba e mi guardò con un ghigno diabolico.
«Brutto coglione mi fanno male le dita dei piedi per via del freddo! E tu mi togli le calze? Ma perché lo fai? Vuoi farmi congelare stronzo?».
In effetti si, non era una cattiva idea. Scherzi a parte, cercai di mantenere la calma.
«Camille, per una volta fidati di me». Lei continuava a frignare, ma mi stette a sentire. Alzai la gamba dal polpaccio e sfilai la pesante calza di lana.
«Capisco che tu abbia freddo ma cosa pensi che causi questo freddo? Forse il fatto che la calza è tutta bagnata?»
Sfilai la calza sinistra, mostrando una gambetta sottile e bianca quasi quanto la neve, mentre i piedini taglia 36 erano in verità quasi bluastri. Feci lo stesso con l’altra gamba. Camille smise di singhiozzare.
«Meglio?» dissi mentre le accarezzavo il piede, che era grosso quasi quanto la mia mano. Lei fece sì con la testa. Appoggiai la mano sotto la pianta del suo piede destro, notando che il fuoco lo aveva riscaldato per bene.
«Prova ora!» dissi osservando il suo bel viso. Mosse lentamente le piccole dita del piede. «Si, meglio!» disse mostrando un leggero sorriso.
In quel momento, forse perché quel piedino di certo meritava maggiori attenzioni, o forse perché Camille si era mostrata per la prima volta dolce e vulnerabile con me, qualcosa in me si… come posso dire dottoressa? Si “smosse”?
«Bella trovata questa…» disse.
«Beh sai, sono più grande di te quindi…»
«Ah! Quindi è una di quelle cose che impari a 23 anni, ma che a 19 non puoi conoscere!»
«Secondo me non dimostri 19 anni… Insomma io non ti sono mai stato simpatico ma… Sei molto matura per avere 19 anni!»
«Davvero?... Che idiota!»
«Dico sul serio!». Mentre parlavo con lei le porsi una piccola coperta di lana che lei si mise prontamente sulle spalle. Dirmi grazie non faceva parte della sua natura, ma capii che apprezzò il gesto
«Cos’è che dicevano di me l’anno scorso? Che ero la “mano più veloce di…”»
«Mmh… non lo so…»
«Dai Bernard, lo sapevano tutti, perfino i miei professori!»
«Non ricordo, e comunque non ho mai dato peso a certe cazzate… Quella scuola è piena di bulli. Jean mi ha sempre detto che eri una brava ragazza ed è quello che penso anche io!»
Camille sbuffò con gli occhi fissi sulle lingue di fuoco che divoravano la legna secca.
«Mio fratello è un imbecille… Gli voglio bene ma è uno stupido… E poi, che male ci sarebbe? Io sono una donna; è anche normale che mi piaccia fare le seghe…»
La vidi fare un piccolo sorriso e iniziai a sentirmi stranamente eccitato.
«Mio fratello Jean si arrabbiava con i bulli che mi venivano a trovare a casa. Era convinto di essere un gran figo, di riuscire a tenerli a bada… In realtà ero io a tenerli a bada!»
«Che intendi?» dissi deglutendo.
«Che loro con me sono sempre stati gentili; dei veri tesori! Sai per i bulli cos’è meglio di prendere a botte quel coglione di mio fratello Jean?»
Mi guardò e mimò con la mano il gesto della masturbazione.
Nella penombra iniziai a sentirlo duro. Quella troietta era riuscita a farmi eccitare. Ora anche solo vederla muovere le dita dei piedi davanti al fuoco mi faceva venire voglia di tirarlo fuori.
«Cazzo… mia madre a 19 anni era già incinta; non era nemmeno sposata con mio padre… E perché faccio qualche sega sono io la zoccola!»
Iniziai a chiedermi come mai da un momento all’altro fosse diventata un fiume in piena. Prima non spiccicava parola se non per insultarmi, ora mi raccontava cose decisamente intime e private. Forse era per la storia dei piedi. Era talmente preoccupata e dolorante che era come se le avessi salvato la vita.
Me ne stavo rintanato vicino al ripostiglio, in cerca di grossi ceppi da bruciare, quando lei pronunciò delle parole che mi mozzarono il fiato.
«Sai Bernard, tu sei stato così gentile con me, così carino… Se c’è qualcosa che vuoi che io faccia per te… Me lo devi solo chiedere…»
In quel momento provai a pensare nella mia mente a quella sventola dell’amica di Margot, Mireille: alta, bella… E stupida quasi quanto la sua amica e Jean. Una di quelle che la sera non si perde una puntata di Jersey Shore o Riccanza o quelle altre stronzate che danno su MTV perché “è convinta che creino le tendenze”.
Camille invece… Le era bastato pronunciare poche parole per farmi letteralmente sbavare.
Mi avvicinai a lei.
«Camille, non capisco che cosa intendi… Voglio dire, mi ha fatto piacere aiutarti!»
Nel frattempo la luce fuori era svanita, e le candele e la luce del fuoco spezzavano l’oscurità più totale. La bufera pareva addirittura essersi incattivita.
Lei si voltò verso di me. Ora, oltre alla coperta di lana, indossava ancora la sua cuffia con pon pon che nel frattempo si era asciugata.
Mi sedetti sulla poltrona. Lei si avvicinò strusciando il sedere per terra. Dovetti aprire le gambe per permetterle di avvicinarsi. Da seduta sul pavimento, alzò la gamba sottile e non troppo lunga, porgendomi il piede tra le mani. Abbassai lo sguardo. Lei mi fissò. «Allora, ora il mio piede sembra stare meglio, ma voglio il parere dell’esperto».
Ora il piedino aveva ripreso un aspetto naturale. Mentre lo accarezzavo, lei alzò anche l’altra gamba e appoggiò l’altro piede sulla mia coscia.
La prima cosa che pensai fu che probabilmente avrei dovuto lanciarmi a terra sopra di lei. Ero abbastanza certo che lei mi avrebbe accolto tra le sue gambe, più che tra le sue braccia. Mentre fuori infuriava la bufera, io avrei potuto tranquillamente scoparmi la dolce Camille davanti al caldo fuoco del camino, ingoiando con piacere i peli rossi della sua fica prima, e montandola con vigore poi.
Lei sorrideva. Con la mano destra massaggiavo il suo piedino, mentre con la sinistra le facevo (non so per quale motivo) il risvolto ai jeans, mostrando centimetro dopo centimetro la sua pelle candida.
Mentre si mordicchiava le unghie delle mani, mi poggiò l’altro piede (quello che non stavo massaggiando) sopra il cazzo. La mia patta dei pantaloni iniziò a gonfiarsi. Ora era quasi dolorante chiuso nei pantaloni. Mosse il piede verso l’alto, come per misurarne la lunghezza. Sembrava pensare fosse una misura più che soddisfacente a giudicare dall’ennesimo sorriso.
Ora era ufficiale. Camille mi voleva. Fino ad un’ora fa pensavo che passare il week-end con quella troietta sarebbe stato un supplizio, e che l’unica cosa che volevo davvero era Mireille e la sua fichetta bagnata. Ora invece mi sarei volentieri coricato per terra, con Camille seduta sulla mia faccia e la mia lingua nel suo buco del culo.
Mi perdoni dottoressa per il mio linguaggio scurrile, ma il solo pensiero mi fa impazzire.
Sorrisi a mia volta, presi il suo piedino per il tallone e lo avvicinai alla bocca, mentre l’altro piedino continuava a sollazzare il mio cazzo.
«È guarito direi, anzi, questo piedino birichino sta fin troppo bene ora…»
Il suo piccolo alluce stava per entrare nella mia bocca. Avrei mordicchiato quel piedino solo per sentirla ridere, e lo avrei baciato per mostrarle che era riuscita a conquistarmi. Di fatto era lei a comandare.
«Aiuto!» disse ridendo, ma non mi sarei fermato. Tirai fuori la lingua. Lo avrei anche leccato quel piedino e per bene, per dimostrarle…
«DON’T WANNA BE AN AMERICAN IDIOT!»
Camille piantò un urlo mentre toglieva dalla mia mano e dalla mia bocca il suo piedino; poi batté la schiena a terra. Io iniziai a sentire il cuore battere a mille. Dovetti appoggiare la schiena allo schienale e le mani sui braccioli per calmarmi.
«DON’T WANNA BE AN AMERICAN IDIOT! DUM DUM DUM»
Fanculo Green Day, pensai. Camille si alzò dal pavimento e a piedi nudi raggiunse il giubbino appeso all’appendiabiti, dopodiché estrasse dalla tasca un iphone nuovo di zecca che brillava nel buio.
«Ma che cazzo di suoneria!»
«I Green Day sono il mio gruppo preferito!»
«Ho capito ma mi è venuto un’infarto!»
Camille Portò il telefono all’orecchio. Il volume della conversazione era così alto che perfino da ben lontano riuscivo a sentirlo.
«CAZZO! Finalmente qualcuno ha risposto al cazzo di telefono!»
«Jean? Ma… Guarda che il telefono non prendeva! È la prima chiamata che ricevo… State arrivando?»
«Col cavolo che stiamo arrivando! La protezione civile ha chiuso tutte le strade! Ci hanno rimandato indietro! Ora stiamo tornando a casa… Voi piuttosto come state? Bernard? Visto che nessuno rispondeva o quasi pensato che foste rimasti per strada…»
«Nah… Siamo arrivati circa un’oretta fa… Aspetta, te lo passo»
Ancora seduto sulla poltrona il cuore batteva forte, per non parlare del cazzo le cui vene sentivo pulsare. Ma almeno non avevo più il fiatone.
«Hey amico… Tutto a posto? Tu e le ragazze state bene? Senti voglio solo dirti che qui va tutto bene; abbiamo un tetto sulla testa e il fuoco scalda alla grande. Non preoccuparti».
«Odio quella stronzetta ma se dovesse capitargli qualcosa non so cosa farei… Mi sono preoccupato da morire! Senti Bernard, ti ringrazio davvero tanto, non so cosa farei senza di te! ti devo un favore grosso quanto una casa! Ora riporto a casa queste 2 rompicoglioni… ci vediamo e sentiamo prestissimo! Ti voglio bene amico!»
Riconsegnai il telefono a Camille che parlò ancora un po’ col fratello e che non lesinò belle parole nei miei confronti. In pratica disse che ero stato bravo e che l’avevo trattata bene. Mi fece piacere anche se avrei preferito una sana scopata. Mi alzai dalla poltrona e mi diressi al bagno. Avevo tenuto l’uccello stretto nei pantaloni per troppo tempo, e ora cominciava a farmi male. Ancora prima di entrare in bagno abbassai la zip per farlo respirare. Aprii la porta del bagno. Camille, che ancora parlava al telefono col fratello, si piazzò a lato della porta, prese la maniglia della stessa e la chiuse con forza.
«Si si ho capito… Il camino sempre acceso… E non uscire assolutamente… Jean cazzo perché dovrei uscire?»
Rimasi sbigottito. Sottovoce le dissi: «Devo andare a fare pipì!» lei mi guardo di traverso e con la mano mi fece segno di stare fermo.
«Jean ora vado… Di a mamma e papà che è tutto ok! Ciao!». Poi lasciò il telefono su un mobile.
«Dove credi di andare?»
«Devo fare pipì» le dissi. Camille mi prese la mano. Mi riportò davanti al camino in pietra e, in piedi davanti a me, mi fissò negli occhi.
«Tu non devi fare pipì… Ti volevi liberare in un altro modo». La dolce Camille mi aveva beccato. Dopotutto, “la mano più veloce del west” sapeva perfettamente cosa un uomo volesse fare in quei momenti.
Si inginocchiò davanti a me, ma non prima di essersi levata il maglione.
«Adesso fa fin troppo caldo!» disse.
Illuminata dalle fiamme che ardevano e con il sottofondo del vento, Camille infilò la mano attraverso la zip già abbassata. Sentii la sua piccola mano fredda agguantare il mio membro, che quasi scottava.
«Bernard ti ho sempre immaginato con il cazzo grosso… Felice di non rimanere delusa!»
Estrasse la mano, poi sbottonò i pantaloni e li abbassò, e lo stesso fece con le mutande.
“La mano più veloce del west aveva una pistola puntata alla testa” (perdoni la battuta dottoressa!).
Tirò la pelle già tirata all’indietro, con la cappella del tutto libera. Appoggiò il nasino a patata su di essa e lo strusciò. Come fosse un grosso microfono, iniziò a parlarci.
«Hai sentito che faccio delle gran seghe… Che mi dici di valutare un bel pompino?»
Non dissi nulla, ero tirato come una corda di violino. Lei diede una leccata alla cappella, poi, sempre con il sorriso sulle labbra, me lo succhiò con gusto. Sentii come un brivido lungo la schiena e non era il freddo. Ogni volta che usciva cercava di prenderne sempre un po’ di più, fino a quando dopo diversi tentativi lo prese tutto in bocca. Non ho idea di come ci riuscì, so solo che resistere era diventato impossibile. Con le dita giocava con le mie palle come fossero biglie, poi mi fece una bella sega, intimandomi però di non venire.
«Mi verrai in bocca, così non sporchiamo». Mentre segava, iniziò a succhiare le palle. Iniziò poi con la lingua dalla base, lentamente, come se avesse davanti un lecca-lecca di forma fallica.
«Camille non ce la faccio più!» le dissi. La presi dalle guance e senza alcuna delicatezza glielo infilai in bocca. La guardai per evitare che fosse sgradevole ma lei succhiava. Da quel momento in poi più che un pompino pareva che mi stessi scopando la sua faccia. Ero io, non lei, a fare il movimento avanti e indietro.
Devo ammetterlo dottoressa: fui indelicato.
Lei mi fissava. Glielo tirai fuori. «È troppo?»
«No scemo, non vedi che mi piace?». Quasi senza lasciarla finire di parlare, ricominciai. La presi per i lunghi capelli rossi e quando fu il momento glieli tirai con forza.
Urlai a pieni polmoni; nessuno mi avrebbe sentito. Mi misi in punta di piedi e guardai il soffitto come se stessi per prendere il volo. Con movimenti lenti, lasciai che si svuotasse tutto. Lei fece degli strani versi. Gli occhi quasi fuori dalle orbite e l’aria di una che è appena stata investita da un camion. Appena glielo tirai fuori le venne voglia di vomitare, ma si mise la mano davanti alla bocca e corse in bagno. Le corsi dietro. Eravamo in semi oscurità, così portai in bagno un portacandela.
«Tutto ok?».
Camille iniziò a sputare nel lavandino. Un po’ di saliva, ma soprattutto sperma.
«Ti ho fatto male?»
Lei si voltò verso di me. «Ma che dici? sei stato grande!». Sputò ancora un paio di volte. «In effetti ne ho fatte di queste cose ma… È la prima volta che ho la sensazione di essere stata scopata in bocca!»
Con un asciugamano si asciugò il volto, poi si sistemò i capelli. Io mi accorsi di avere ancora il cazzo di fuori e sebbene fosse ancora ricoperto di saliva, me lo infilai nelle mutande.
«Pensavo di aver esagerato…»
«Tranquillo… te lo avrei fatto capire».
«Camille ti rendi conto di quello che abbiamo fatto?»
Fuori la neve aveva quasi raggiunto le finestre, e quindi doveva essere alta almeno un metro e mezzo. Le luci di Grenoble erano fioche. La mia Clio era letteralmente scomparsa nel bianco.
«Credo che dovremmo mangiare qualcosa». Per Camille era come se non fosse successo nulla. Io invece stavo entrando in paranoia. La sorella del mio migliore amico, la ragazza stronza e stramba che non aveva mai visto in quel modo.
Tirò fuori dalla dispensa un sacchetto di patatine. Me lo porse. «Pare che tu abbia visto un fantasma… E invece hai appena scopato, quindi è strana quell’espressione sulla tua faccia!»
«Ma io…»
«Ma cosa? Se ti avesse spompinato l’amica della ragazza di mio fratello… come si chiama… Mireille? se l’avesse fatto lei?»
«Forse hai ragione». Mi rubò dalle mani il sacchetto di patatine.
«Bernard io e te dovremmo semplicemente godercela. Siamo chiusi qui dentro e di certo lo saremo per i prossimi 2 o 3 giorni. Ma abbiamo legna da ardere e cibo quindi… Perché non ce la godiamo?»
Mi fece sedere sul divano, si coricò e aprì il pacchetto di patatine.
«Dunque… Prima stavi dicendo qualcosa in merito ai miei piedini birichini o sbaglio?»
Presi il suo piede che aveva appoggiato sulle mie cosce e iniziai a massaggiarlo, poi lo baciai.
«Immagina se fossi qui con quell’idiota di Mireille… Lei di certo non ti avrebbe fatto quello che ti ho fatto io…». Le succhiai il secondo dito del piede e le sorrisi.
«Hai ragione… Sono contento di essere qui con te Camille. E stanotte mi piacerebbe dormire con te». Camille si infilò una patatina tra le dita dei piedi e me la portò alla bocca. «Permesso accordato!».
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