Burn the witch
di
Angela Kavinsky
genere
pulp
1692 - Parristown
Nessuno lì aveva mai letto i testi del reverendo Mather. Non ve ne era bisogno. Il fanatismo spingeva le menti più deboli a contrastare l’inspiegabile con l’inutile arma della paura e, il più delle volte, con il fuoco.
«Bruciate la strega!» gridava il fattore. «Ardete viva la sposa del demonio!» sbraitava con la bava alla bocca la moglie del pescatore.
Il vento della crudeltà umana più bieca giungeva sin lì da Salem, dove bruciare giovani ragazze pareva più un passatempo che un doloroso percorso che conduceva alla salvezza.
«facciamolo subito!» gridava il sindaco. «Altrimenti stanotte il demonio verrà a riprendersela!».
Jane se ne stava inginocchiata, con la testa e le mani infilate nel giogo che il falegname aveva costruito apposta per lei, per evitare che potesse fuggire e dare alle fiamme ogni singola capanna di Parristown.
Il sole stava per scomparire dietro il campanile della piccola chiesa quando Adam, con tutti gli occhi addosso, scosse la testa. «No, ora no!» disse sorridendo. Senza rimorso le sue parole. Senza pena per la ragazza che si era preso e che aveva condannato.
Adam era un essere crudele e orribile. Benchè appena fuori dal minuscolo cimitero, su uno spiazzo di erba vergine e increspata dal vento, tutti puzzassero di sudore per la lunga giornata di lavoro nei campi, il fetore di Adam si poteva sentire per tutto l’Essex, ma che dico? Per tutto il Massachusetts!
Aveva 38 anni. Esattamente il doppio della sua povera vittima, che piangeva copiose lacrime piegata nel giogo. Alto quanto il sole di mezzogiorno, magro come una spiga di grano, aveva un naso che pareva un falcetto tanto era appuntito e i denti sporgenti come un castoro.
Quando Jane, a soli 19 anni, aveva visto il suo grembo gonfiarsi, subito avrebbe dato la colpa ad Adam.
«Non sono sua moglie, eppur mi ha presa. Porto suo figlio nel mio ventre».
Lo avrebbe detto di certo. Ma non ne ebbe il tempo. In tempi così oscuri, un uomo battezzato mai e poi mai avrebbe potuto prendere una ragazza in quel modo e passarla liscia. Questo lui lo sapeva.
Era molto più comodo dire che era la sposa del demonio. Che era stato un demonio ad ingravidarla. In un certo senso era vero. Era lui il demonio.
E lei, così bella, così candida, era stata tanto stolta da lasciarglielo fare.
Aveva appena accompagnato la sua amata sorella a casa. Betty, cieca dalla nascita e con gli occhi bianchi come il fiore del cotone.
Dopo averla lasciata alle cure amorevoli della madre, era tornata alla per raccogliere un po’ di fieno per le bestie di suo padre.
Non appena entrata nella stalla, dopo pochi istanti, aveva sentito due mani come uncini afferrarle i fianchi. Il suo naso appuntito pungerle il collo, le sue labbra viscide baciarla dietro le orecchie.
«Adam cosa fate? Se mio padre ci vede sarete in un mare di guai!» ma a lui non importava. La prese per le spalle e la girò verso di sé. Il suo volto paffuto e sorridente lo fece eccitare. Le strappò la camicia fino a mostrare le rotondità del seno.
«Vi prego Adam, non rovinate le mie vesti!». Adam pareva sordo. Leccò con trasporto il petto della giovane donna, poi la spinse all’indietro facendola rimbalzare su un mucchio di fieno. Lei si mise a ridere. Si inginocchiò davanti a lei e le sfilò gli stivali sporchi di sterco di vacca. Strappò le calze bianche, succhiando ogni dito del piede paffuto, che a notare parevano piccoli fagioli bianchi.
Lei rideva, la stupida, mentre lui si toglieva i calzoni e mostrava il membro eretto. Lei si spaventò. Non ne aveva mai visto uno, e di certo mai si sarebbe sognata di vederlo prima di essersi sposata; ma ormai lui era lì, davanti a lei, e la cosa la eccitò come mai prima d’ora. Tutto ciò che la madre le aveva insegnato sulla castità le sparì dalla mente. Ogni inibizione scomparve.
Era impacciata, non sapeva cosa fare. Le mani mulinavano, spargendo fieno ovunque. Lui si avvicinò con il membro tra le mani. Glielo appoggiò sul labbro, appena sotto il naso. Lei inspirò. Quell’odore disgustoso, non sapeva per quale motivo, le piacque. Lo prese in bocca, mentre lui girò la testa, osservando le dita dei piedi cicciottelli arricciarsi dal godimento. Mentre succhiava, le di lei mani slacciarono le proprie vesti, fino a rimanere solo in mutandoni. I due grossi seni ballonzolavano. I capezzoli rosa ritti facevano contrasto con la pelle candida come la neve. A quella visione Adam tolse il suo membro dalla bocca di Jane, benché lei ci avesse preso gusto, poi, ancora con indosso la camicia, si piegò su di lei. Le levò i mutandoni e Infilò il grosso membro nel suo “fodero” per così dire, e lei urlò.
«Fermo!» disse spingendogli il petto. «Sento dolore. Le donne sentono dolore quando vengono prese?». Lui annuì e iniziò a spingere. Jane avrebbe gradito una spiegazione più esaustiva del perché di quel male, ma poco dopo il male si tramutò in piacere. Iniziò a sorridere come una stupida e strinse il sedere dell’uomo con le proprie gambe mentre lui, come un fabbro, batteva il martello con violenza.
Quell’arnese lungo e duro dentro di lei le faceva pensare a quando lui avrebbe parlato con suo padre, a quanto sarebbe stata bella la casa in legno costruita dopo il matrimonio, ma soprattutto a quanto l’avrebbe deliziata ogni giorno con il suo grosso membro da cavallo. Lui stringeva con forza, quasi affondando le unghie, i suoi glutei voluminosi e rotondi. Poi, quasi come se qualcosa lo avesse posseduto, iniziò a dare delle pacche violente e dolorose ai glutei. Lei gridò dal male. Tirò fuori il membro e con tutta la forza che aveva nelle braccia la sollevò, facendola girare a pancia in giù. Pretese che si mettesse a 4 zampe, come il cane di suo padre. Le ginocchia e i palmi delle mani graffiati dal fieno secco.
Mentre lui si stuzzicava la punta del membro con le dita, osservò tutto ciò che Jane aveva da offrire: i piedini cicciottelli che aveva già assaggiato, i polpacci grossi, le cosce che andava a formare un sedere grande e rotondo.
L’orifizio del sedere era screpolato e rosso, ma comunque invitante. Adam vi infilò il membro con noncuranza. Poteva osservare come la punta del pene dovesse venir pressata e deformata per potervi entrare, ma lui ne fu ben felice. Allora Jane tirò un altro urlo, ben più forte del primo.
«NO MIO AMATO, NO! Non posso accettare che una donna soffra tanto per compiacere un uomo; ti prego fermati. Sento solo dolore e nessun accenno di piacere». Povera ingenua Jane, quel mostro non si sarebbe fermato. Nonostante anche lui provasse dolore non si fermò, anzi, piegandosi in avanti piazzò la mano callosa sulla bocca della poveretta per evitare che urlasse. Sentiva il suo membro come fosse schiacciato da una pressa, ma sopportava e godeva.
Lo tirò fuori dall’orifizio e la povera Jane, con gli occhi quasi fuori dalle orbite, sobbalzò. Sentiva che sarebbe venuto di lì a poco e iniziò a pensare che vedere l’innocente Jane bere il suo nettare sarebbe stato bello, ma mai quanto sentire ancora attorno a sé il perfetto fodero per il suo arnese.
La collinetta di Jane, bagnata e nascosta, circondata da un folto cespuglietto scuro e incavata in un rotolino di grasso sia da una parte che dall’altra, lo attendeva con ansia.
Entrò con violenza, tant’è che Jane finì in avanti, con la faccia immersa nel fieno. La violenza con cui la sua pancia sbatteva contro il di lei sedere faceva immaginare quanto fosse violento l’impatto del suo membro nella di lei passera. Stava forse godendo? O cercava solo di sputare il fieno che le era finito in bocca?
Era disgustoso vedere con quale noncuranza si occupasse solamente del proprio piacere, mentre Jane veniva cavalcata come una puledra.
Un rivolo di sangue fuoriuscì dalla collinetta e bagnò il fieno sottostante, segno che quella era la prima volta che Jane si concedeva. Forse sarebbe anche stata l’ultima.
Adam osservò il soffitto del granaio; iniziava a spingere sempre più veloce, fino a quando dovette mettersi una mano sulla bocca per non urlare.
L’aveva fatto. Si era preso la dolce Jane.
Si sentì come prosciugato, come se il suo membro fosse una bottiglia di latte che sgorgava in un bicchiere. Sembrava non volersi fermare. Ad ogni botta partiva un getto, come una fontana inesauribile d’acqua.
Una volta finito, si rimise i pantaloni e scappò come un ladro. Lei, ignuda sul letto di fieno, sorrideva al soffitto, felice di aver soddisfatto un uomo; era questo il compito di una donna, pensò.
Ma torniamo a quella calda estate del 1692:
«Perché non dovremmo bruciarla subito? È chiaramente una strega!»
Certo! Per il colto sindaco era molto più probabile che il demonio l’avesse messa incinta piuttosto che uno dei suoi amati concittadini fosse un bugiardo nonché un uomo dalle dubbie virtù.
«Poiché senza acqua né cibo, domani sarà più incline a confessare!» disse il furbo Adam. E così tutti si convinsero; perfino il sole, che tramontò per lasciar spazio alla luna.
E, in quella luminosa notte, mentre tutti dormivano chiusi a chiave nelle proprie case per paura del demonio, lui era lì, ad osservarla. Era grassa, morbida; la pelle bianca brillava al chiaro di luna.
Lì, bloccata nel giogo.
Proprio come l’aveva avuta qualche mese prima, piegata in avanti come un cane, ora poteva essere ancora sua.
«Ti prego Adam, liberami!» disse sottovoce la poveretta.
Adam rimase immobile per qualche secondo a pensarci. Pensò che non aveva mai goduto come con Jane, e che gli sarebbe piaciuto stare ancora con lei, persino vivere con una come lei. Ma come? Non poteva salvarla senza confessare, e allora sarebbe stato lui ad essere arso vivo. E se fossero scappati insieme? Impossibile. Avrebbero dovuto nascondersi nei boschi per tutta la vita, poiché in tutto l’Essex fino ad Haverhill, tutti si sarebbe impegnati a dar loro la caccia. E allora, con un ghigno diabolico, tirò fuori il membro eretto dai pantaloni e si avvicinò a Jane, che iniziò a piangere.
Pianse per tutta la notte. Il mattino seguente tutti gli abitanti di Parristown uscirono dalle loro case al primo canto del gallo. Con un nodo alla gola e le mani tremanti, raggiunsero il giogo.
Il suo corpo era ancora lì, nel giogo; il legno si era imbevuto del suo sangue. Le sue mani ferme, immobili. Al centro, non vi era traccia della testa.
I cittadini di Parristown iniziarono a sentirsi male; alcuni di essi vomitarono. Era una scena disgustosa.
Betty, la sorella di Jane, si fece largo tra le persone nauseate.
«Non c’entra il demonio; sono state le creature della foresta!»
I cittadini sembrarono non dar credito alla ragazza. Poi, quando il sindaco fece qualche passo aldilà del giogo, notò che quella non era Jane. Il corpo lungo, scheletrico. I pantaloni abbassati. Non vi era traccia delle rotondità di Jane.
«Hanno fatto giustizia! Io li ho visti!» continuò Betty. «L’hanno portata nel bosco. Lì le fate l’aiuteranno a crescere suo figlio!»
I cittadini di Parristown passarono dalla ripugnanza al terrore puro.
Betty sorrideva.
Avrebbe potuto essere una strega. In effetti, anche Jane avrebbe potuto esserlo. Se all’inizio l’accusare Jane di stregoneria era stato solo un vigliacco gesto di fanatismo, ora le persone del villaggio iniziavano a crederci davvero.
Creature della foresta, fate… Streghe. Di qualsiasi cosa si trattasse, ormai era chiaro: Parristown era maledetta.
A nessuno mai venne la sciagurata idea di fare uno sgarbo a Betty, né tantomeno nessuno si mise a cercare Jane nei boschi. Ormai, le fate si sarebbero prese cura di lei.
Nessuno lì aveva mai letto i testi del reverendo Mather. Non ve ne era bisogno. Il fanatismo spingeva le menti più deboli a contrastare l’inspiegabile con l’inutile arma della paura e, il più delle volte, con il fuoco.
«Bruciate la strega!» gridava il fattore. «Ardete viva la sposa del demonio!» sbraitava con la bava alla bocca la moglie del pescatore.
Il vento della crudeltà umana più bieca giungeva sin lì da Salem, dove bruciare giovani ragazze pareva più un passatempo che un doloroso percorso che conduceva alla salvezza.
«facciamolo subito!» gridava il sindaco. «Altrimenti stanotte il demonio verrà a riprendersela!».
Jane se ne stava inginocchiata, con la testa e le mani infilate nel giogo che il falegname aveva costruito apposta per lei, per evitare che potesse fuggire e dare alle fiamme ogni singola capanna di Parristown.
Il sole stava per scomparire dietro il campanile della piccola chiesa quando Adam, con tutti gli occhi addosso, scosse la testa. «No, ora no!» disse sorridendo. Senza rimorso le sue parole. Senza pena per la ragazza che si era preso e che aveva condannato.
Adam era un essere crudele e orribile. Benchè appena fuori dal minuscolo cimitero, su uno spiazzo di erba vergine e increspata dal vento, tutti puzzassero di sudore per la lunga giornata di lavoro nei campi, il fetore di Adam si poteva sentire per tutto l’Essex, ma che dico? Per tutto il Massachusetts!
Aveva 38 anni. Esattamente il doppio della sua povera vittima, che piangeva copiose lacrime piegata nel giogo. Alto quanto il sole di mezzogiorno, magro come una spiga di grano, aveva un naso che pareva un falcetto tanto era appuntito e i denti sporgenti come un castoro.
Quando Jane, a soli 19 anni, aveva visto il suo grembo gonfiarsi, subito avrebbe dato la colpa ad Adam.
«Non sono sua moglie, eppur mi ha presa. Porto suo figlio nel mio ventre».
Lo avrebbe detto di certo. Ma non ne ebbe il tempo. In tempi così oscuri, un uomo battezzato mai e poi mai avrebbe potuto prendere una ragazza in quel modo e passarla liscia. Questo lui lo sapeva.
Era molto più comodo dire che era la sposa del demonio. Che era stato un demonio ad ingravidarla. In un certo senso era vero. Era lui il demonio.
E lei, così bella, così candida, era stata tanto stolta da lasciarglielo fare.
Aveva appena accompagnato la sua amata sorella a casa. Betty, cieca dalla nascita e con gli occhi bianchi come il fiore del cotone.
Dopo averla lasciata alle cure amorevoli della madre, era tornata alla per raccogliere un po’ di fieno per le bestie di suo padre.
Non appena entrata nella stalla, dopo pochi istanti, aveva sentito due mani come uncini afferrarle i fianchi. Il suo naso appuntito pungerle il collo, le sue labbra viscide baciarla dietro le orecchie.
«Adam cosa fate? Se mio padre ci vede sarete in un mare di guai!» ma a lui non importava. La prese per le spalle e la girò verso di sé. Il suo volto paffuto e sorridente lo fece eccitare. Le strappò la camicia fino a mostrare le rotondità del seno.
«Vi prego Adam, non rovinate le mie vesti!». Adam pareva sordo. Leccò con trasporto il petto della giovane donna, poi la spinse all’indietro facendola rimbalzare su un mucchio di fieno. Lei si mise a ridere. Si inginocchiò davanti a lei e le sfilò gli stivali sporchi di sterco di vacca. Strappò le calze bianche, succhiando ogni dito del piede paffuto, che a notare parevano piccoli fagioli bianchi.
Lei rideva, la stupida, mentre lui si toglieva i calzoni e mostrava il membro eretto. Lei si spaventò. Non ne aveva mai visto uno, e di certo mai si sarebbe sognata di vederlo prima di essersi sposata; ma ormai lui era lì, davanti a lei, e la cosa la eccitò come mai prima d’ora. Tutto ciò che la madre le aveva insegnato sulla castità le sparì dalla mente. Ogni inibizione scomparve.
Era impacciata, non sapeva cosa fare. Le mani mulinavano, spargendo fieno ovunque. Lui si avvicinò con il membro tra le mani. Glielo appoggiò sul labbro, appena sotto il naso. Lei inspirò. Quell’odore disgustoso, non sapeva per quale motivo, le piacque. Lo prese in bocca, mentre lui girò la testa, osservando le dita dei piedi cicciottelli arricciarsi dal godimento. Mentre succhiava, le di lei mani slacciarono le proprie vesti, fino a rimanere solo in mutandoni. I due grossi seni ballonzolavano. I capezzoli rosa ritti facevano contrasto con la pelle candida come la neve. A quella visione Adam tolse il suo membro dalla bocca di Jane, benché lei ci avesse preso gusto, poi, ancora con indosso la camicia, si piegò su di lei. Le levò i mutandoni e Infilò il grosso membro nel suo “fodero” per così dire, e lei urlò.
«Fermo!» disse spingendogli il petto. «Sento dolore. Le donne sentono dolore quando vengono prese?». Lui annuì e iniziò a spingere. Jane avrebbe gradito una spiegazione più esaustiva del perché di quel male, ma poco dopo il male si tramutò in piacere. Iniziò a sorridere come una stupida e strinse il sedere dell’uomo con le proprie gambe mentre lui, come un fabbro, batteva il martello con violenza.
Quell’arnese lungo e duro dentro di lei le faceva pensare a quando lui avrebbe parlato con suo padre, a quanto sarebbe stata bella la casa in legno costruita dopo il matrimonio, ma soprattutto a quanto l’avrebbe deliziata ogni giorno con il suo grosso membro da cavallo. Lui stringeva con forza, quasi affondando le unghie, i suoi glutei voluminosi e rotondi. Poi, quasi come se qualcosa lo avesse posseduto, iniziò a dare delle pacche violente e dolorose ai glutei. Lei gridò dal male. Tirò fuori il membro e con tutta la forza che aveva nelle braccia la sollevò, facendola girare a pancia in giù. Pretese che si mettesse a 4 zampe, come il cane di suo padre. Le ginocchia e i palmi delle mani graffiati dal fieno secco.
Mentre lui si stuzzicava la punta del membro con le dita, osservò tutto ciò che Jane aveva da offrire: i piedini cicciottelli che aveva già assaggiato, i polpacci grossi, le cosce che andava a formare un sedere grande e rotondo.
L’orifizio del sedere era screpolato e rosso, ma comunque invitante. Adam vi infilò il membro con noncuranza. Poteva osservare come la punta del pene dovesse venir pressata e deformata per potervi entrare, ma lui ne fu ben felice. Allora Jane tirò un altro urlo, ben più forte del primo.
«NO MIO AMATO, NO! Non posso accettare che una donna soffra tanto per compiacere un uomo; ti prego fermati. Sento solo dolore e nessun accenno di piacere». Povera ingenua Jane, quel mostro non si sarebbe fermato. Nonostante anche lui provasse dolore non si fermò, anzi, piegandosi in avanti piazzò la mano callosa sulla bocca della poveretta per evitare che urlasse. Sentiva il suo membro come fosse schiacciato da una pressa, ma sopportava e godeva.
Lo tirò fuori dall’orifizio e la povera Jane, con gli occhi quasi fuori dalle orbite, sobbalzò. Sentiva che sarebbe venuto di lì a poco e iniziò a pensare che vedere l’innocente Jane bere il suo nettare sarebbe stato bello, ma mai quanto sentire ancora attorno a sé il perfetto fodero per il suo arnese.
La collinetta di Jane, bagnata e nascosta, circondata da un folto cespuglietto scuro e incavata in un rotolino di grasso sia da una parte che dall’altra, lo attendeva con ansia.
Entrò con violenza, tant’è che Jane finì in avanti, con la faccia immersa nel fieno. La violenza con cui la sua pancia sbatteva contro il di lei sedere faceva immaginare quanto fosse violento l’impatto del suo membro nella di lei passera. Stava forse godendo? O cercava solo di sputare il fieno che le era finito in bocca?
Era disgustoso vedere con quale noncuranza si occupasse solamente del proprio piacere, mentre Jane veniva cavalcata come una puledra.
Un rivolo di sangue fuoriuscì dalla collinetta e bagnò il fieno sottostante, segno che quella era la prima volta che Jane si concedeva. Forse sarebbe anche stata l’ultima.
Adam osservò il soffitto del granaio; iniziava a spingere sempre più veloce, fino a quando dovette mettersi una mano sulla bocca per non urlare.
L’aveva fatto. Si era preso la dolce Jane.
Si sentì come prosciugato, come se il suo membro fosse una bottiglia di latte che sgorgava in un bicchiere. Sembrava non volersi fermare. Ad ogni botta partiva un getto, come una fontana inesauribile d’acqua.
Una volta finito, si rimise i pantaloni e scappò come un ladro. Lei, ignuda sul letto di fieno, sorrideva al soffitto, felice di aver soddisfatto un uomo; era questo il compito di una donna, pensò.
Ma torniamo a quella calda estate del 1692:
«Perché non dovremmo bruciarla subito? È chiaramente una strega!»
Certo! Per il colto sindaco era molto più probabile che il demonio l’avesse messa incinta piuttosto che uno dei suoi amati concittadini fosse un bugiardo nonché un uomo dalle dubbie virtù.
«Poiché senza acqua né cibo, domani sarà più incline a confessare!» disse il furbo Adam. E così tutti si convinsero; perfino il sole, che tramontò per lasciar spazio alla luna.
E, in quella luminosa notte, mentre tutti dormivano chiusi a chiave nelle proprie case per paura del demonio, lui era lì, ad osservarla. Era grassa, morbida; la pelle bianca brillava al chiaro di luna.
Lì, bloccata nel giogo.
Proprio come l’aveva avuta qualche mese prima, piegata in avanti come un cane, ora poteva essere ancora sua.
«Ti prego Adam, liberami!» disse sottovoce la poveretta.
Adam rimase immobile per qualche secondo a pensarci. Pensò che non aveva mai goduto come con Jane, e che gli sarebbe piaciuto stare ancora con lei, persino vivere con una come lei. Ma come? Non poteva salvarla senza confessare, e allora sarebbe stato lui ad essere arso vivo. E se fossero scappati insieme? Impossibile. Avrebbero dovuto nascondersi nei boschi per tutta la vita, poiché in tutto l’Essex fino ad Haverhill, tutti si sarebbe impegnati a dar loro la caccia. E allora, con un ghigno diabolico, tirò fuori il membro eretto dai pantaloni e si avvicinò a Jane, che iniziò a piangere.
Pianse per tutta la notte. Il mattino seguente tutti gli abitanti di Parristown uscirono dalle loro case al primo canto del gallo. Con un nodo alla gola e le mani tremanti, raggiunsero il giogo.
Il suo corpo era ancora lì, nel giogo; il legno si era imbevuto del suo sangue. Le sue mani ferme, immobili. Al centro, non vi era traccia della testa.
I cittadini di Parristown iniziarono a sentirsi male; alcuni di essi vomitarono. Era una scena disgustosa.
Betty, la sorella di Jane, si fece largo tra le persone nauseate.
«Non c’entra il demonio; sono state le creature della foresta!»
I cittadini sembrarono non dar credito alla ragazza. Poi, quando il sindaco fece qualche passo aldilà del giogo, notò che quella non era Jane. Il corpo lungo, scheletrico. I pantaloni abbassati. Non vi era traccia delle rotondità di Jane.
«Hanno fatto giustizia! Io li ho visti!» continuò Betty. «L’hanno portata nel bosco. Lì le fate l’aiuteranno a crescere suo figlio!»
I cittadini di Parristown passarono dalla ripugnanza al terrore puro.
Betty sorrideva.
Avrebbe potuto essere una strega. In effetti, anche Jane avrebbe potuto esserlo. Se all’inizio l’accusare Jane di stregoneria era stato solo un vigliacco gesto di fanatismo, ora le persone del villaggio iniziavano a crederci davvero.
Creature della foresta, fate… Streghe. Di qualsiasi cosa si trattasse, ormai era chiaro: Parristown era maledetta.
A nessuno mai venne la sciagurata idea di fare uno sgarbo a Betty, né tantomeno nessuno si mise a cercare Jane nei boschi. Ormai, le fate si sarebbero prese cura di lei.
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