Montecalvario blues: "Videosorveglianza"
di
renart
genere
masturbazione
Carmine Cammarota (cfr. il racconto "Il portinaio") se ne sta svaccato su una vecchia poltroncina girevole in guardiola, davanti ai monitor delle telecamere interne. Alterna una sorsata di lager in lattina ad una boccata di toscano aromatizzato al caffè e di tanto in tanto rutta sonoramente, grattandosi una molle e pelosa porzione di ventre non trattenuta da una canottiera lercia, dal colore indefinibile. Un vecchio ventilatore smuove aria calda, alitandogli tra le ciocche dei capelli unti e grigiastri, tenuti alla meglio sulla nuca con un elastico. Sui cinquanta – ma l’alcol, la cattiva alimentazione, una fetta di vita consumata sui marciapiedi e sulle panchine di innumerevoli stazioni ferroviarie gli gravano sulla groppa almeno un decennio in più - due lauree chiuse in chissà quale cassetto, nella sua vita precedente Carmine era stato un brillante professore universitario, una star nel suo Dipartimento, che riempiva le aule con i corsi di filosofia politica, sempre in giro per le più prestigiose Università del globo che scazzottavano tra loro per strappargli un ciclo di conferenze. Poi una matricola – della quale non ricorda nemmeno il nome, ma che nei suoi ricordi si materializza in uno sguardo satanico che gli ammicca da dietro una spalla, mentre lui sbafa e ansima sui suoi biondi e lisci capelli setosi e profumati, tenendola per i fianchi levigati a forma di violono e affondando il ventre fra le chiappe tonde e dure - lo mise nei casini per una storia di sesso e coca, e il prof. da un giorno all'altro vide la sua carriera stroncarsi di colpo. Dopo qualche anno di vagabondaggio, rientrò nel circuito dell’istruzione, ma come personale ATA, bidello insomma, ma non passa molto - per la serie il lupo perde il pelo ma non il vizio (e si capisce, a questo punto, di che pelo stiamo parlando!) - che si ritrova ancora a girovagare bar bar senza un lavoro e con pochi spiccioli in tasca.
Viveva di espedienti, Carmine Cammarota, portando la spesa alle vecchie per i vicoli di Montecalvario o ramazzando a fine serata il locale di qualche gestore che lo aveva preso in simpatia. Raramente rimediava lezioni private di latino o greco o qualsiasi altra materia che rientrasse nella sua ampia sfera di competenze. Più spesso gli capitava di vendere traduzioni di versioni a liceali scansafatiche e ben messi a grano – e quelli erano i ricavi migliori, prima che la diffusione di internet rendesse poco spendibile la sua conoscenza delle lingue cosiddette morte. Poi, il colpo di culo: un amico – un vecchio amico, un phantasma apparso dal gorgo della sua vita precedente – lo incontra ubriaco per strada, lo riconosce, se lo porta a casa, gli dà una ripulita, da mangiare e un vestito nuovo e lo raccomanda, infine, ad una sua conoscente, una ricca matrona del quartiere alto che gli rimedia un lavoro da portiere in uno degli stabili di sua proprietà sito in via Toledo, di quelli con la doppia faccia, una che dà sulla strada dabbene dello shopping, l’altra sulla vita dei Quartieri, sulla vita che brulica e fermenta in un odore forte, aggressivo, violento, palpitante, che ti si azzecca addosso come l’afa. Il miglior lavoro che abbia mai avuto, disse Carmine stringendo le mani del suo amico-benefattore, quasi con le lacrime agli occhi.
Ed eccolo lì adesso, il vecchio Cammarota, mano immersa nei boxer a massaggiarsi le palle, sigaro fumante penzoloni tra le labbra, occhio acquoso e mezzo addormentato ipnotizzato sul video lattiginoso che gli rimanda l’immagine delle macchine parcheggiate nell’autorimessa. Sta lì per prendere sonno, quando il rumore di un motore che sgasa proprio sotto la telecamera lo scuote.
L’auto parcheggia nel suo lotto riservato e ne scende la sig.ra De Rosa seguita da un uomo, un giovanotto, per l'esattezza, moro e dalla carnagione saracena. Gran tocco di femmina la sig.ra De Rosa, pensa Carmine, stropicciandosi gli occhi nel momento in cui i due cominciano a togliersi rapidamente i vestiti e le bocce tonde e sode della donna esplodono nel loro biancore, rischiarando la penombra fuligginosa del garage. Stanno per cominciare l’ineluttabile, quando la macchina dell’avv. Fracassi parcheggia una decina di metri da loro. I due amanti si genuflettono rapidamente, rivestendosi alla buona. Scampato il pericolo di essere sorpresi in flagrante, riprendono a maneggiarsi più infoiati di prima. Lei scivola, forse la scarpa o ha bevuto un po’ troppo e, prona sul cofano ancora tiepido, offre il culo al focoso amante. Questi, ben piazzato sulle gambe, raccoglie immediatamente l’invito, impugna con la destra il cazzo bello duro e con la sinistra si tiene su la maglietta, mentre comincia a stantuffarla di buona lena. Hanno qualche impaccio con le mutande di lei, e nello sfilarle la donna si ritrova distesa di schiena sul cofano. Il cambio di posizione non dispiace al novello cicisbeo, che riprende a fottersela con buon ritmo. E quanto le piace, alla sig.ra De rosa, che ansima forte e si morde il labbro inferiore per trattenere i singulti, mentre si tira addosso il maschio arrapato, gli allaccia le gambe alle reni possenti, le braccia al collo taurino, e gli si avvinghia contro attorcigliandovisi come un’edera rampicante, assecondandone i colpi col proprio bacino. Lui la penetra furente, con decisi uppercut di ventre, che la sollevano dal cofano dandogli la possibilità di abbrancarle le belle chiappe. A quest’immagine, Carmine decide che è arrivato il momento di cacciarlo fuori. È già duro, arcuato e venoso, sormontato da una cappella gonfia e violacea come una prugna matura. Comincia a menarselo forsennatamente, sbavandosi sulla barba sale&pepe e grugnendo come un porco con l’enfisema. Quando lei gli ridà le spalle e se lo tira contro per una gamba mentre l’uomo riprende a lavorarsela fra le chiappe, e si volta per un istante verso la telecamera, mostrando un’espressione deformata dal piacere, Carmine Cammarota non ci vede più, e si scartavetra l’uccello compulsivamente, sentendo l’orgasmo bollente fermentargli nelle viscere. Troiamaiala, ghigna nel vedere la donna con le ginocchia piegate che va incontro ai colpi del cazzo, digrignando i denti ed incitando il suo stallone, che prende a montarla sempre più velocemente fino a schizzarle dentro tutto lo sbrodo dei coglioni, inarcando ripetutamente la schiena per le ultime botte e per gli spasmi che cominciano a risalire la spina dorsale come una scarica elettrica. Nel momento in cui la sig.ra De Rosa schianta sul cofano della macchina, soddisfacentemente sfinita, Carmine Cammarota schizza il suo piacere sulla canottiera, abbandonandosi a sua volta contro lo schienale della poltroncina girevole.
Viveva di espedienti, Carmine Cammarota, portando la spesa alle vecchie per i vicoli di Montecalvario o ramazzando a fine serata il locale di qualche gestore che lo aveva preso in simpatia. Raramente rimediava lezioni private di latino o greco o qualsiasi altra materia che rientrasse nella sua ampia sfera di competenze. Più spesso gli capitava di vendere traduzioni di versioni a liceali scansafatiche e ben messi a grano – e quelli erano i ricavi migliori, prima che la diffusione di internet rendesse poco spendibile la sua conoscenza delle lingue cosiddette morte. Poi, il colpo di culo: un amico – un vecchio amico, un phantasma apparso dal gorgo della sua vita precedente – lo incontra ubriaco per strada, lo riconosce, se lo porta a casa, gli dà una ripulita, da mangiare e un vestito nuovo e lo raccomanda, infine, ad una sua conoscente, una ricca matrona del quartiere alto che gli rimedia un lavoro da portiere in uno degli stabili di sua proprietà sito in via Toledo, di quelli con la doppia faccia, una che dà sulla strada dabbene dello shopping, l’altra sulla vita dei Quartieri, sulla vita che brulica e fermenta in un odore forte, aggressivo, violento, palpitante, che ti si azzecca addosso come l’afa. Il miglior lavoro che abbia mai avuto, disse Carmine stringendo le mani del suo amico-benefattore, quasi con le lacrime agli occhi.
Ed eccolo lì adesso, il vecchio Cammarota, mano immersa nei boxer a massaggiarsi le palle, sigaro fumante penzoloni tra le labbra, occhio acquoso e mezzo addormentato ipnotizzato sul video lattiginoso che gli rimanda l’immagine delle macchine parcheggiate nell’autorimessa. Sta lì per prendere sonno, quando il rumore di un motore che sgasa proprio sotto la telecamera lo scuote.
L’auto parcheggia nel suo lotto riservato e ne scende la sig.ra De Rosa seguita da un uomo, un giovanotto, per l'esattezza, moro e dalla carnagione saracena. Gran tocco di femmina la sig.ra De Rosa, pensa Carmine, stropicciandosi gli occhi nel momento in cui i due cominciano a togliersi rapidamente i vestiti e le bocce tonde e sode della donna esplodono nel loro biancore, rischiarando la penombra fuligginosa del garage. Stanno per cominciare l’ineluttabile, quando la macchina dell’avv. Fracassi parcheggia una decina di metri da loro. I due amanti si genuflettono rapidamente, rivestendosi alla buona. Scampato il pericolo di essere sorpresi in flagrante, riprendono a maneggiarsi più infoiati di prima. Lei scivola, forse la scarpa o ha bevuto un po’ troppo e, prona sul cofano ancora tiepido, offre il culo al focoso amante. Questi, ben piazzato sulle gambe, raccoglie immediatamente l’invito, impugna con la destra il cazzo bello duro e con la sinistra si tiene su la maglietta, mentre comincia a stantuffarla di buona lena. Hanno qualche impaccio con le mutande di lei, e nello sfilarle la donna si ritrova distesa di schiena sul cofano. Il cambio di posizione non dispiace al novello cicisbeo, che riprende a fottersela con buon ritmo. E quanto le piace, alla sig.ra De rosa, che ansima forte e si morde il labbro inferiore per trattenere i singulti, mentre si tira addosso il maschio arrapato, gli allaccia le gambe alle reni possenti, le braccia al collo taurino, e gli si avvinghia contro attorcigliandovisi come un’edera rampicante, assecondandone i colpi col proprio bacino. Lui la penetra furente, con decisi uppercut di ventre, che la sollevano dal cofano dandogli la possibilità di abbrancarle le belle chiappe. A quest’immagine, Carmine decide che è arrivato il momento di cacciarlo fuori. È già duro, arcuato e venoso, sormontato da una cappella gonfia e violacea come una prugna matura. Comincia a menarselo forsennatamente, sbavandosi sulla barba sale&pepe e grugnendo come un porco con l’enfisema. Quando lei gli ridà le spalle e se lo tira contro per una gamba mentre l’uomo riprende a lavorarsela fra le chiappe, e si volta per un istante verso la telecamera, mostrando un’espressione deformata dal piacere, Carmine Cammarota non ci vede più, e si scartavetra l’uccello compulsivamente, sentendo l’orgasmo bollente fermentargli nelle viscere. Troiamaiala, ghigna nel vedere la donna con le ginocchia piegate che va incontro ai colpi del cazzo, digrignando i denti ed incitando il suo stallone, che prende a montarla sempre più velocemente fino a schizzarle dentro tutto lo sbrodo dei coglioni, inarcando ripetutamente la schiena per le ultime botte e per gli spasmi che cominciano a risalire la spina dorsale come una scarica elettrica. Nel momento in cui la sig.ra De Rosa schianta sul cofano della macchina, soddisfacentemente sfinita, Carmine Cammarota schizza il suo piacere sulla canottiera, abbandonandosi a sua volta contro lo schienale della poltroncina girevole.
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