Sulla piazza di Platanos (cap.3 di 4)
di
Diagoras
genere
sentimentali
Un cane si avvicina lentamente a Stergos, e strofina amorevolmente il muso sulla gamba dell’uomo.
E’ un bastardino, di piccola taglia, dalle lunghe e spelacchiate orecchie.
Gli occhi lattiginosi mi fanno intuire le cateratte e la veneranda età dell’animale.
Stergos lo accarezza, gli mormora un “a cuccia, Argos”, e la bestiola si sdraia ai suoi piedi, chiudendo gli occhi con un sospiro di beatitudine.
Anziano il padrone, e anziano anche il cane fedele.
Per il vecchio Argos, il suo padrone è tutto.
E qualcosa mi dice che anche per Stergos la compagnia del cane è una delle poche cose che gli sia rimasta in questa vita.
“I giorni di quell’estate del 1919 passavano monotoni: solo i rapporti tra Tabetha ed Alexandròs erano ogni giorno diversi, sempre più intensi, sempre più forti: dalla semplice conoscenza, i due giovani passarono all’amicizia vera e propria, quindi alla complicità, poi all’affetto e, alla fine, fra loro fu amore.
E, in un torrido pomeriggio di fine agosto, Alexandròs, il contadino analfabeta ma bello come un dio mitologico, baciò Tabetha, la ragazza dell’alta società ateniese, splendida come una dea dell’Olimpo.
Si trovavano in quella zona del parco della casa di cui prima ti dicevo, e che garantiva loro una certa tranquillità.
Alexandròs e Tabetha stavano parlando all’ombra di una gigantesca quercia, quando le loro bocche, improvvisamente, s’incollarono in un bacio, prima timido ed impacciato, poi intenso ed appassionato.
Il cuore che batteva a mille, Tabetha si staccò con difficoltà da lui e, confusa e piena di vergogna, scappò verso la casa, l’ombrellino parasole che ondeggiava impazzito alla corsa della ragazza”.
Le cicale.
Il caldo.
Il vento.
L’ouzo.
Il cane che dorme ai nostri piedi.
E Stergos che mi guarda.
“Tabetha non uscì da casa per tre giorni, lamentando un inesistente mal di testa, ma temendo, in realtà, d’incontrare il ragazzo, e sapendo che il desiderio di lui non le sarebbe stato controllabile in alcun modo.
Alexandròs, invece, non potendo sottrarsi al lavoro, cercava, quasi inconsciamente, di restare sempre attorno alla grande casa, temendo di andare sotto quella quercia e di non trovare Tabetha, la donna che sentiva di amare e che lui, modesto figlio di contadini, non poteva permettersi di amare.
Ma al quarto giorno, come succede da che mondo e mondo, la gioventù, l’amore e il desiderio presero il sopravvento e, con percorsi interiori diversi ma coincidenti, Tabetha e Alexandròs si ritrovarono, timidi ed impacciati, all’ombra delle foglie della quercia che li aveva visti baciarsi.
E quello che accadde, straniero, lo puoi ben immaginare.
Alexandròs prese Tabetha per mano e, di corsa, la condusse verso una baracca di legno, all’estremo limite del parco, baracca che veniva usata come deposito per gli attrezzi e come essiccatoio per la frutta.
E lì, nella penombra afosa e polverosa, Tabetha ed Alexandròs si amarono”.
Stergos s’interrompe e, lentamente, si alza dalla sedia.
“Torno subito, straniero. Alla mia età, le necessità fisiche non si controllano più così facilmente. Aspettami, però, che la storia non è ancora conclusa”.
E, così dicendo, si avvia verso la porta della taverna, trascinando una gamba che l’artrite ha reso rigida e sicuramente dolente.
Volto lo sguardo sulla piazzetta, e poi sul mare, fino alla costa indistinta di Halki.
La storia che Stergos mi sta raccontando mi affascina e m’incuriosisce: malgrado lui mi abbia detto che tutto accadde veramente, il dubbio di essermi imbattuto in una leggenda continua ad affacciarsi nella mia testa.
Il cane di Stergos continua a dormire, il respiro affannoso, e, mentre attendo il ritorno del suo padrone, con gli occhi indiscreti della mente, quasi provando vergogna per quel mio pensiero, entro nel capanno dove Tabetha ed Alexandròs stanno facendo l’amore…
( … un raggio di sole filtra tra le sconnesse assi di legno del capanno.
La polvere sembra danzare, lieve ed eterea, mentre i due giovani si abbracciano, esplorandosi le bocche con le lingue impazienti.
Le mani di Alexandròs scorrono sulla schiena di Tabetha, sulla stoffa del leggero vestito di lino che lei indossa, cercando i lacci, allentando i nodi, tirando i fiocchi.
Sanno di amarsi, e sanno che le conseguenze di quel loro sentimento proibito saranno inevitabili: ma in quel momento il mondo esterno sembra scomparso, e il loro amore l’unica cosa che abbia importanza.
Prima la pelle delle spalle, poi quella delle scapole, e poi, sotto le mani frementi di lui, la liscia epidermide della vita della ragazza.
Lui la spoglia, con sorprendente delicatezza, con le sue ruvide mani segnate dal lavoro e dalla fatica.
E Tabetha sente quelle dita, gentili nelle movenze, ma grossolane al tatto, percorrerle il corpo, spogliarla di tutti gli indumenti, ed è consapevole del desiderio che scoppia nel suo cuore, ed in quella parte di sé che ancora non è mai stata violata.
Alexandròs si inebria del suo profumo, del suo odore di pulito, del suo aroma di sapone, ma anche del suo afrore di giovane donna eccitata.
E le mani di Tabetha accarezzano la pelle scura di lui, una pelle abbronzata, cotta dal sole e dalla salsedine, odorosa di mare e di sudore, di povertà e di bellezza.
Sono completamente nudi, entrambi, quando Alexandròs la distende sul pavimento di legno: la bocca del ragazzo percorre la diafana pelle del collo di Tabetha, strappandole sospiri e gemiti, e facendola precipitare in una dimensione a lei sconosciuta, ma inconsciamente desiderata da sempre.
Tabetha sa che quello che accadrà (e lei vuole, anela, desidera che questo accada) segnerà irrimediabilmente la sua vita: il notaio, che lei odia senza quasi neppure conoscerlo, non la sposerà più, ripudiandola ancora prima del matrimonio, disprezzandola come se lei fosse una di quelle donne del Pireo che si concedono per poche monete ai marinai di passaggio.
Tabetha sa che l’ira del padre sarà terribile, e che anche la madre, questa volta, nulla farà per giustificarla.
Ma Tabetha sa, anche, che concedersi ad Alexandròs è quello che lei desidera più ardentemente, la prima vera ribellione ad un mondo che non le ha lasciato mai alcuna scelta.
Perdere la verginità in quel capanno polveroso rappresenta un salto nel buio, un taglio con il passato, una sfida al suo futuro.
La bocca del ragazzo è scesa sui seni, la lingua che gioca con i capezzoli prepotentemente eretti per l’eccitazione; Alexandròs sente di vivere in un sogno, di stringere tra le braccia una donna così lontana dal suo mondo da non apparirgli reale, ma solo una proiezione delle sue più irrealizzabili fantasie di giovane e povero isolano.
Eppure Tabetha è lì con lui, viva, calda, reale, con la sua pelle morbida e vellutata che si offre alle sue labbra e alla sua lingua, ed il futuro, le conseguenze dei loro gesti, gli appaiono sfocate, indistinte, di nessuna importanza se paragonate alla passione che li sta bruciando.
Il corpo di Tabetha freme sempre di più, mentre la bocca di Alexandròs la esplora, inesperta ma impaziente.
E quando la ragazza si apre completamente a lui, offrendosi a quel ragazzo che sente di amare incondizionatamente, Alexandròs sa essere gentile e delicato, deflorandola con poco dolore, e cancellando, in un attimo, tutte le sue paure.
I corpi sudati, stretti in un tutt’uno, Tabetha e Alexandròs si amano freneticamente, posseduti dal desiderio, travolti dal piacere… )
“A cosa stai pensando, straniero ?”.
Stergos è tornato, e le sue parole mi scuotono di colpo da quel sogno erotico che stavo facendo ad occhi aperti.
Mi ritrovo un pò imbarazzato per i miei pensieri, quasi mi sentissi un guardone che viaggia a ritroso nel tempo, spiando l’amplesso dei due innamorati.
“ Pensavo alla storia che mi stai raccontando. Continua, Stergos, ti prego”.
Dopo aver bevuto un’altra sorsata di ouzo, il vecchio riprende a parlare, a raccontarmi quei fatti che sembra conoscere così bene.
“ Dunque… ti dicevo… i due ragazzi si amarono in quel capanno, in quel giorno di quella lontana estate: si amarono per pochi minuti, o forse per ore. Questo, a me, non è dato di sapere.
Resta che quell’unico episodio segnò indelebilmente le loro giovani vite.
Anche perché, quando, felici ed accaldati, allegri ed eccitati, uscirono da quel capanno che era stata la loro alcova, qualcuno della servitù li vide, ed intuì ciò che era successo. E le voci, quei maledetti pettegolezzi che iniziano come sussurri e finiscono con il diventare fragorosi tuoni, presero ben presto a circolare, sino a giungere in poco tempo alle orecchie del padre di lei, il signore e padrone di Halki, Dimitri Krenatis.
E la situazione, come tu puoi ben immaginare, straniero, precipitò”.
Argos, il bastardino, si agita nel sonno.
Starà facendo qualche sogno canino, imperscrutabile per noi umani.
Ma il suo padrone sa come calmare il suo amico.
Stergos si china e lo accarezza, ed il cane smette di tremare e, con un ennesimo sospiro, riprende a dormire tranquillamente.
“L’ira del padre di Tabetha fu terribile.
Picchiò la figlia fino a farle confessare, in un’orribile serata, quello che era successo fra lei ed Alexandròs.
La umiliò, la insultò, la percosse ed infine la rispedì di corsa ad Atene, sperando che lo scandalo fosse messo a tacere. Sapeva che la perdita della verginità della figlia avrebbe segnato la sua famiglia ed il suo nome, ma sperava ugualmente di poter circoscrivere l’incendio che sicuramente si sarebbe sviluppato.
E così Tabetha, accompagnata da due donne che prestavano servizio presso i Krenatis, fu messa su un battello e rimandata ad Atene.
Ma il peggio doveva ancora venire.
Perché, a quel punto, la folle rabbia del padre della ragazza si riversò sulla famiglia di Alexandròs.
Il vecchio Vassili, padre del giovane, fu mandato a chiamare e gli fu imposto, pena la cacciata dall’isola dell’intera famiglia, di allontanare Alexandròs da Halki, e di non farlo tornare mai più.
Il povero Vassili non ebbe scelta.
Aveva altri quattro figli da sfamare, ed il misero lavoro di contadino era l’unica ricchezza materiale che possedesse.
Alexandròs, una notte, salì su una barca di pescatori, e lasciò Halki per sempre.
Non fece, in effetti, molta strada, perché la barca lo lasciò qui, su quel tratto di spiaggia sabbiosa che puoi vedere laggiù.
Tutti, qui, sapevano cosa gli era successo e tutti, chi più, chi meno, cercarono di aiutarlo, offrendogli qualche lavoro nei campi ed un tetto sotto il quale ripararsi.
Fu dura, per Alexandròs.
Molto.
Ma mai si pentì di quello che aveva fatto.
Perché, pur non avendo più nulla, e allontanato dalla sua famiglia, il desiderio e l’amore per Tabetha continuavano a crescere, come continuava a crescere la consapevolezza che non l’avrebbe mai più rivista.
Era sicuro che la donna, di cui si era così follemente innamorato, fosse per lui persa per sempre.
E, invece… ”.
Inizio a credere che Stergos sia un attore consumato.
Le sue pause arrivano improvvise e ti sorprendono sempre, lasciandoti quel tanto di curiosità necessario a farti desiderare che lui continui al più presto nel suo racconto.
Sicuramente, lui avrà narrato questa storia migliaia di volte, e con gli anni avrà affinato questa sua sorprendente capacità.
Resto in attesa, in silenzio, rispettando i suoi tempi.
Perché voglio sapere com’è finita la storia d’amore tra Tabetha e Alexandròs, e non mi alzerei per nessuna ragione al mondo da questa sgangherata sedia prima che Stergos sia giunto alla fine del suo racconto.
- continua -
diagorasrodos@libero.it
E’ un bastardino, di piccola taglia, dalle lunghe e spelacchiate orecchie.
Gli occhi lattiginosi mi fanno intuire le cateratte e la veneranda età dell’animale.
Stergos lo accarezza, gli mormora un “a cuccia, Argos”, e la bestiola si sdraia ai suoi piedi, chiudendo gli occhi con un sospiro di beatitudine.
Anziano il padrone, e anziano anche il cane fedele.
Per il vecchio Argos, il suo padrone è tutto.
E qualcosa mi dice che anche per Stergos la compagnia del cane è una delle poche cose che gli sia rimasta in questa vita.
“I giorni di quell’estate del 1919 passavano monotoni: solo i rapporti tra Tabetha ed Alexandròs erano ogni giorno diversi, sempre più intensi, sempre più forti: dalla semplice conoscenza, i due giovani passarono all’amicizia vera e propria, quindi alla complicità, poi all’affetto e, alla fine, fra loro fu amore.
E, in un torrido pomeriggio di fine agosto, Alexandròs, il contadino analfabeta ma bello come un dio mitologico, baciò Tabetha, la ragazza dell’alta società ateniese, splendida come una dea dell’Olimpo.
Si trovavano in quella zona del parco della casa di cui prima ti dicevo, e che garantiva loro una certa tranquillità.
Alexandròs e Tabetha stavano parlando all’ombra di una gigantesca quercia, quando le loro bocche, improvvisamente, s’incollarono in un bacio, prima timido ed impacciato, poi intenso ed appassionato.
Il cuore che batteva a mille, Tabetha si staccò con difficoltà da lui e, confusa e piena di vergogna, scappò verso la casa, l’ombrellino parasole che ondeggiava impazzito alla corsa della ragazza”.
Le cicale.
Il caldo.
Il vento.
L’ouzo.
Il cane che dorme ai nostri piedi.
E Stergos che mi guarda.
“Tabetha non uscì da casa per tre giorni, lamentando un inesistente mal di testa, ma temendo, in realtà, d’incontrare il ragazzo, e sapendo che il desiderio di lui non le sarebbe stato controllabile in alcun modo.
Alexandròs, invece, non potendo sottrarsi al lavoro, cercava, quasi inconsciamente, di restare sempre attorno alla grande casa, temendo di andare sotto quella quercia e di non trovare Tabetha, la donna che sentiva di amare e che lui, modesto figlio di contadini, non poteva permettersi di amare.
Ma al quarto giorno, come succede da che mondo e mondo, la gioventù, l’amore e il desiderio presero il sopravvento e, con percorsi interiori diversi ma coincidenti, Tabetha e Alexandròs si ritrovarono, timidi ed impacciati, all’ombra delle foglie della quercia che li aveva visti baciarsi.
E quello che accadde, straniero, lo puoi ben immaginare.
Alexandròs prese Tabetha per mano e, di corsa, la condusse verso una baracca di legno, all’estremo limite del parco, baracca che veniva usata come deposito per gli attrezzi e come essiccatoio per la frutta.
E lì, nella penombra afosa e polverosa, Tabetha ed Alexandròs si amarono”.
Stergos s’interrompe e, lentamente, si alza dalla sedia.
“Torno subito, straniero. Alla mia età, le necessità fisiche non si controllano più così facilmente. Aspettami, però, che la storia non è ancora conclusa”.
E, così dicendo, si avvia verso la porta della taverna, trascinando una gamba che l’artrite ha reso rigida e sicuramente dolente.
Volto lo sguardo sulla piazzetta, e poi sul mare, fino alla costa indistinta di Halki.
La storia che Stergos mi sta raccontando mi affascina e m’incuriosisce: malgrado lui mi abbia detto che tutto accadde veramente, il dubbio di essermi imbattuto in una leggenda continua ad affacciarsi nella mia testa.
Il cane di Stergos continua a dormire, il respiro affannoso, e, mentre attendo il ritorno del suo padrone, con gli occhi indiscreti della mente, quasi provando vergogna per quel mio pensiero, entro nel capanno dove Tabetha ed Alexandròs stanno facendo l’amore…
( … un raggio di sole filtra tra le sconnesse assi di legno del capanno.
La polvere sembra danzare, lieve ed eterea, mentre i due giovani si abbracciano, esplorandosi le bocche con le lingue impazienti.
Le mani di Alexandròs scorrono sulla schiena di Tabetha, sulla stoffa del leggero vestito di lino che lei indossa, cercando i lacci, allentando i nodi, tirando i fiocchi.
Sanno di amarsi, e sanno che le conseguenze di quel loro sentimento proibito saranno inevitabili: ma in quel momento il mondo esterno sembra scomparso, e il loro amore l’unica cosa che abbia importanza.
Prima la pelle delle spalle, poi quella delle scapole, e poi, sotto le mani frementi di lui, la liscia epidermide della vita della ragazza.
Lui la spoglia, con sorprendente delicatezza, con le sue ruvide mani segnate dal lavoro e dalla fatica.
E Tabetha sente quelle dita, gentili nelle movenze, ma grossolane al tatto, percorrerle il corpo, spogliarla di tutti gli indumenti, ed è consapevole del desiderio che scoppia nel suo cuore, ed in quella parte di sé che ancora non è mai stata violata.
Alexandròs si inebria del suo profumo, del suo odore di pulito, del suo aroma di sapone, ma anche del suo afrore di giovane donna eccitata.
E le mani di Tabetha accarezzano la pelle scura di lui, una pelle abbronzata, cotta dal sole e dalla salsedine, odorosa di mare e di sudore, di povertà e di bellezza.
Sono completamente nudi, entrambi, quando Alexandròs la distende sul pavimento di legno: la bocca del ragazzo percorre la diafana pelle del collo di Tabetha, strappandole sospiri e gemiti, e facendola precipitare in una dimensione a lei sconosciuta, ma inconsciamente desiderata da sempre.
Tabetha sa che quello che accadrà (e lei vuole, anela, desidera che questo accada) segnerà irrimediabilmente la sua vita: il notaio, che lei odia senza quasi neppure conoscerlo, non la sposerà più, ripudiandola ancora prima del matrimonio, disprezzandola come se lei fosse una di quelle donne del Pireo che si concedono per poche monete ai marinai di passaggio.
Tabetha sa che l’ira del padre sarà terribile, e che anche la madre, questa volta, nulla farà per giustificarla.
Ma Tabetha sa, anche, che concedersi ad Alexandròs è quello che lei desidera più ardentemente, la prima vera ribellione ad un mondo che non le ha lasciato mai alcuna scelta.
Perdere la verginità in quel capanno polveroso rappresenta un salto nel buio, un taglio con il passato, una sfida al suo futuro.
La bocca del ragazzo è scesa sui seni, la lingua che gioca con i capezzoli prepotentemente eretti per l’eccitazione; Alexandròs sente di vivere in un sogno, di stringere tra le braccia una donna così lontana dal suo mondo da non apparirgli reale, ma solo una proiezione delle sue più irrealizzabili fantasie di giovane e povero isolano.
Eppure Tabetha è lì con lui, viva, calda, reale, con la sua pelle morbida e vellutata che si offre alle sue labbra e alla sua lingua, ed il futuro, le conseguenze dei loro gesti, gli appaiono sfocate, indistinte, di nessuna importanza se paragonate alla passione che li sta bruciando.
Il corpo di Tabetha freme sempre di più, mentre la bocca di Alexandròs la esplora, inesperta ma impaziente.
E quando la ragazza si apre completamente a lui, offrendosi a quel ragazzo che sente di amare incondizionatamente, Alexandròs sa essere gentile e delicato, deflorandola con poco dolore, e cancellando, in un attimo, tutte le sue paure.
I corpi sudati, stretti in un tutt’uno, Tabetha e Alexandròs si amano freneticamente, posseduti dal desiderio, travolti dal piacere… )
“A cosa stai pensando, straniero ?”.
Stergos è tornato, e le sue parole mi scuotono di colpo da quel sogno erotico che stavo facendo ad occhi aperti.
Mi ritrovo un pò imbarazzato per i miei pensieri, quasi mi sentissi un guardone che viaggia a ritroso nel tempo, spiando l’amplesso dei due innamorati.
“ Pensavo alla storia che mi stai raccontando. Continua, Stergos, ti prego”.
Dopo aver bevuto un’altra sorsata di ouzo, il vecchio riprende a parlare, a raccontarmi quei fatti che sembra conoscere così bene.
“ Dunque… ti dicevo… i due ragazzi si amarono in quel capanno, in quel giorno di quella lontana estate: si amarono per pochi minuti, o forse per ore. Questo, a me, non è dato di sapere.
Resta che quell’unico episodio segnò indelebilmente le loro giovani vite.
Anche perché, quando, felici ed accaldati, allegri ed eccitati, uscirono da quel capanno che era stata la loro alcova, qualcuno della servitù li vide, ed intuì ciò che era successo. E le voci, quei maledetti pettegolezzi che iniziano come sussurri e finiscono con il diventare fragorosi tuoni, presero ben presto a circolare, sino a giungere in poco tempo alle orecchie del padre di lei, il signore e padrone di Halki, Dimitri Krenatis.
E la situazione, come tu puoi ben immaginare, straniero, precipitò”.
Argos, il bastardino, si agita nel sonno.
Starà facendo qualche sogno canino, imperscrutabile per noi umani.
Ma il suo padrone sa come calmare il suo amico.
Stergos si china e lo accarezza, ed il cane smette di tremare e, con un ennesimo sospiro, riprende a dormire tranquillamente.
“L’ira del padre di Tabetha fu terribile.
Picchiò la figlia fino a farle confessare, in un’orribile serata, quello che era successo fra lei ed Alexandròs.
La umiliò, la insultò, la percosse ed infine la rispedì di corsa ad Atene, sperando che lo scandalo fosse messo a tacere. Sapeva che la perdita della verginità della figlia avrebbe segnato la sua famiglia ed il suo nome, ma sperava ugualmente di poter circoscrivere l’incendio che sicuramente si sarebbe sviluppato.
E così Tabetha, accompagnata da due donne che prestavano servizio presso i Krenatis, fu messa su un battello e rimandata ad Atene.
Ma il peggio doveva ancora venire.
Perché, a quel punto, la folle rabbia del padre della ragazza si riversò sulla famiglia di Alexandròs.
Il vecchio Vassili, padre del giovane, fu mandato a chiamare e gli fu imposto, pena la cacciata dall’isola dell’intera famiglia, di allontanare Alexandròs da Halki, e di non farlo tornare mai più.
Il povero Vassili non ebbe scelta.
Aveva altri quattro figli da sfamare, ed il misero lavoro di contadino era l’unica ricchezza materiale che possedesse.
Alexandròs, una notte, salì su una barca di pescatori, e lasciò Halki per sempre.
Non fece, in effetti, molta strada, perché la barca lo lasciò qui, su quel tratto di spiaggia sabbiosa che puoi vedere laggiù.
Tutti, qui, sapevano cosa gli era successo e tutti, chi più, chi meno, cercarono di aiutarlo, offrendogli qualche lavoro nei campi ed un tetto sotto il quale ripararsi.
Fu dura, per Alexandròs.
Molto.
Ma mai si pentì di quello che aveva fatto.
Perché, pur non avendo più nulla, e allontanato dalla sua famiglia, il desiderio e l’amore per Tabetha continuavano a crescere, come continuava a crescere la consapevolezza che non l’avrebbe mai più rivista.
Era sicuro che la donna, di cui si era così follemente innamorato, fosse per lui persa per sempre.
E, invece… ”.
Inizio a credere che Stergos sia un attore consumato.
Le sue pause arrivano improvvise e ti sorprendono sempre, lasciandoti quel tanto di curiosità necessario a farti desiderare che lui continui al più presto nel suo racconto.
Sicuramente, lui avrà narrato questa storia migliaia di volte, e con gli anni avrà affinato questa sua sorprendente capacità.
Resto in attesa, in silenzio, rispettando i suoi tempi.
Perché voglio sapere com’è finita la storia d’amore tra Tabetha e Alexandròs, e non mi alzerei per nessuna ragione al mondo da questa sgangherata sedia prima che Stergos sia giunto alla fine del suo racconto.
- continua -
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