La noia
di
Aletheia
genere
esibizionismo
Il treno è in ritardo.
È arrivato quaranta minuti dopo il suo orario e qualche problema lo trattiene sempre un po' troppo nelle stazioni successive, il che non fa che aumentare l'agonia del viaggio.
C'è parecchia gente, fa caldo, l'aria è invasa da tanti odori, non proprio gradevolissimi.
Nella penombra del vagone tento di buttare giù due parole, ma ho dimenticato gli auricolari a casa e purtroppo non posso scrivere ascoltando la mia canzone preferita: continuo a distrarmi, ora per guardare le luci nelle case degli altri, ora per controllare la valigia, poi di nuovo per sistemarmi il maglione.
È nuovo, uno di quei capi che lasciano scoperte le spalle ed il collo, nero, morbido e confortevole, l'unico difetto è che è troppo corto per i miei gusti.
Sono abituata a vestire con felpe comode, lunghe, con cui non ho bisogno di stare attenta al fatto che si alzino troppo e mi scoprano la pancetta, ma da quando sono più a mio agio col mio corpo ho deciso d'introdurre qualcosa di nuovo.
A lui piace la nuova me. A dire il vero gli piacevo anche quando ero più in carne e ogni tanto mi ricorda che se iniziano a calarmi le tette non è più d'accordo con la fase che sto affrontando, ma non gli dispiace vedermi così.
Mi appoggio con i gomiti al tavolino del treno e l'immancabile spiffero alla base della schiena mi comunica che il maglioncino si è di nuovo alzato.
Poco male, alla mia sinistra c'è lui e non credo nessuno verrà scandalizzato da un po' di pelle scoperta, ammesso che sia possibile notare qualcosa da dove sono gli astanti.
Continuo ad arrovellarmi per trovare qualcosa da dire, lui mi posa una mano proprio lì, dove la mia schiena chiara sbircia tra la stoffa. A metà tra il solletico e la risposta alle sue impronte su di me, un brivido si dirama senza una direzione particolare tra le fibre del mio corpo, come un fulmine che si apre a terra cercando qualcosa d'interessante da incenerire.
Alzo gli occhi su di lui ed è lì, che mi guarda con un sorriso furbetto, uno di quelli che sulla bocca di qualcun altro mi risulterebbero ostili, ma che in lui vogliono dire tanto amore quanto desiderio.
Lo lascio accarezzarmi la schiena da sotto il maglione: per un attimo penso al fatto che sono sudata e appiccicosa, ma i brividi che sento diradano sul nascere la consueta nebbia di seghe mentali che tenta sempre di rovinarmi la festa.
Sento che pizzica la chiusura del reggiseno e lo fulmino con lo sguardo: non voglio che me lo slacci, non so se sarei capace di far finta di niente e temo si noterebbe qualcosa nella mia espressione.
Ma... possibile che a casa, sotto le coperte, non sia mai capace di farlo, quasi nemmeno con due mani, dalla foga che abbiamo, e qui sia stato benedetto da Houdini?!
Spalanco gli occhi e lotto con l'istinto di non inveirgli contro, le guance e le orecchie che mi si dipingono di rosso vivo.
Ma tanto - penso - cosa potrebbe mai fare? C'è troppa gente...
Bisogna stare molto attenti a quello che si pensa o che si crede: qualche volta l'universo si mette a origliare e, in base all'indole del momento, provvede per sistemare tutte le piccole tessere di un domino che non vede l'ora di far cadere.
Il treno ferma a Milano Centrale: i viaggiatori del riquadro parallelo al nostro scendono e, pur essendo ancora circondati da altri passeggeri, la zona visibile rimane vuota.
La sua mano destra abbandona la mia schiena, la sinistra mi invita delicatamente ad appoggiarmi al sedile e a lasciarla entrare: il reggiseno, dal canto suo, si muove e fa spazio al nuovo ospite.
«E se qualcuno si alzasse...? O se passasse il controllore?!» chiedo con sguardo supplice.
«Hai iniziato tu al cinema, dovevi pensarci prima...» è la sua risposta.
Basta poco a rendere più piacevole un viaggio, come la mano del tuo uomo che ti tocca delicatamente un seno, ignorando le possibili conseguenze imbarazzantissime...
O il fatto che il ragazzo seduto nel quadrante successivo, riflesso nel finestrino, si sia probabilmente accorto del giochino che stiamo facendo...
È arrivato quaranta minuti dopo il suo orario e qualche problema lo trattiene sempre un po' troppo nelle stazioni successive, il che non fa che aumentare l'agonia del viaggio.
C'è parecchia gente, fa caldo, l'aria è invasa da tanti odori, non proprio gradevolissimi.
Nella penombra del vagone tento di buttare giù due parole, ma ho dimenticato gli auricolari a casa e purtroppo non posso scrivere ascoltando la mia canzone preferita: continuo a distrarmi, ora per guardare le luci nelle case degli altri, ora per controllare la valigia, poi di nuovo per sistemarmi il maglione.
È nuovo, uno di quei capi che lasciano scoperte le spalle ed il collo, nero, morbido e confortevole, l'unico difetto è che è troppo corto per i miei gusti.
Sono abituata a vestire con felpe comode, lunghe, con cui non ho bisogno di stare attenta al fatto che si alzino troppo e mi scoprano la pancetta, ma da quando sono più a mio agio col mio corpo ho deciso d'introdurre qualcosa di nuovo.
A lui piace la nuova me. A dire il vero gli piacevo anche quando ero più in carne e ogni tanto mi ricorda che se iniziano a calarmi le tette non è più d'accordo con la fase che sto affrontando, ma non gli dispiace vedermi così.
Mi appoggio con i gomiti al tavolino del treno e l'immancabile spiffero alla base della schiena mi comunica che il maglioncino si è di nuovo alzato.
Poco male, alla mia sinistra c'è lui e non credo nessuno verrà scandalizzato da un po' di pelle scoperta, ammesso che sia possibile notare qualcosa da dove sono gli astanti.
Continuo ad arrovellarmi per trovare qualcosa da dire, lui mi posa una mano proprio lì, dove la mia schiena chiara sbircia tra la stoffa. A metà tra il solletico e la risposta alle sue impronte su di me, un brivido si dirama senza una direzione particolare tra le fibre del mio corpo, come un fulmine che si apre a terra cercando qualcosa d'interessante da incenerire.
Alzo gli occhi su di lui ed è lì, che mi guarda con un sorriso furbetto, uno di quelli che sulla bocca di qualcun altro mi risulterebbero ostili, ma che in lui vogliono dire tanto amore quanto desiderio.
Lo lascio accarezzarmi la schiena da sotto il maglione: per un attimo penso al fatto che sono sudata e appiccicosa, ma i brividi che sento diradano sul nascere la consueta nebbia di seghe mentali che tenta sempre di rovinarmi la festa.
Sento che pizzica la chiusura del reggiseno e lo fulmino con lo sguardo: non voglio che me lo slacci, non so se sarei capace di far finta di niente e temo si noterebbe qualcosa nella mia espressione.
Ma... possibile che a casa, sotto le coperte, non sia mai capace di farlo, quasi nemmeno con due mani, dalla foga che abbiamo, e qui sia stato benedetto da Houdini?!
Spalanco gli occhi e lotto con l'istinto di non inveirgli contro, le guance e le orecchie che mi si dipingono di rosso vivo.
Ma tanto - penso - cosa potrebbe mai fare? C'è troppa gente...
Bisogna stare molto attenti a quello che si pensa o che si crede: qualche volta l'universo si mette a origliare e, in base all'indole del momento, provvede per sistemare tutte le piccole tessere di un domino che non vede l'ora di far cadere.
Il treno ferma a Milano Centrale: i viaggiatori del riquadro parallelo al nostro scendono e, pur essendo ancora circondati da altri passeggeri, la zona visibile rimane vuota.
La sua mano destra abbandona la mia schiena, la sinistra mi invita delicatamente ad appoggiarmi al sedile e a lasciarla entrare: il reggiseno, dal canto suo, si muove e fa spazio al nuovo ospite.
«E se qualcuno si alzasse...? O se passasse il controllore?!» chiedo con sguardo supplice.
«Hai iniziato tu al cinema, dovevi pensarci prima...» è la sua risposta.
Basta poco a rendere più piacevole un viaggio, come la mano del tuo uomo che ti tocca delicatamente un seno, ignorando le possibili conseguenze imbarazzantissime...
O il fatto che il ragazzo seduto nel quadrante successivo, riflesso nel finestrino, si sia probabilmente accorto del giochino che stiamo facendo...
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