Incontro al bar
di
Mr.Goodbye
genere
etero
Due anni.
Due anni e sette mesi per la precisione.
Dall'ultima volta che ci siamo visti. Quell'ultima volta in cui il nostro rapporto, la nostra relazione, giunse al suo tragico epilogo. Non ho rancori. Come ha detto qualcun altro “l'amore fa per noi, ma separatamente.”
Lo sa Dio (e anche tutti i nostri amici) quanto ci abbiamo provato. Fino alla disperazione. Per quanto a letto fossimo semplicemente ineguagliabili, fuori, nella vita di tutti i giorni, il più grande disastro mai visto. Abbiamo idee troppo distanti su come gestire la vita. Abbiamo ricevuto educazioni troppo differenti. Ma, sopra ogni altro aspetto, siamo stati troppo concentrati su noi stessi, troppo egoisti, per essere disposti a superare le nostre divergenze e costruire qualcosa che andasse oltre il miglior sesso che si possa immaginare.
È finita.
Non mi dispiace che sia andata così, ma non per questo ho smesso di pensarti.
Ho avuto altre storie, altre donne, altre avventure. Con nessuna sono riuscito ad arrivare dove mi portavi tu. E anche se la mia donna, ora, è impeccabile sotto molti aspetti, a letto non è come te. E di te è l'unica cosa che mi manca.
Fa un freddo assassino qui fuori dal bar. Potrei entrare e aspettarti al caldo, lo so, ma voglio vederti arrivare, voglio vederti parcheggiare, voglio vederti attraversate la strada e camminarmi incontro. Voglio vedere il tuo viso e sovrapporlo ai miei ricordi.
Sono agitato. Nervoso. Devo riconoscere che, per quanto desiderassi incontrarti e vederti ancora, dall'altra ho paura. Non so nemmeno di cosa. Forse che tu possa piacermi ancora, di rimanerci sotto ancora e ricominciare un calvario esasperante.
No.
Siamo cresciuti e cambiati. Non sei più la donna che voglio al mio fianco. E allora perché sono così agitato? Perché ci conosciamo troppo bene e siamo troppo consapevoli dei punti deboli dell'altro. Sappiamo esattamente come comportarci se vogliamo far colpo o esattamente cosa dire per spezzare le difese. Siamo completamente nudi l'uno per l'altra.
L'arrivo della tua auto mi toglie questi pensieri dalla testa, ma il cuore aumenta i battiti. Neanche mi sono accorto che le mie gambe hanno iniziato a camminare e ti sto venendo incontro. Ti osservo svoltare nel parcheggio e fermarti accanto alla mia. Armeggi con il telefono, la borsa, indossi la berrettina e scendi, chiudi l'auto e ti giri verso di me.
Hai cambiato acconciatura, ma il tuo viso è sempre quello. I tuoi occhi… il tuo sorriso… il tuo naso… le tue labbra… sei sempre bella.
Un'onda di ricordi mi assale, ma sono consapevole che è tutto parte del passato. Per un attimo mi torna alla mente quando, d'inverno, ti appallotolavi contro di me in cerca di calore. E finivamo a fare l'amore. Un ricordo che scopro, con sorpresa, scivolare via senza effetto.
“Ciao!”
Copri gli ultimi metri che ci separano. Sì. Ti scoperei. E lo farei fino a svenire. Semplice e pulito.
“Ciao!”
Ti sorrido, sono contento di vederti. E non posso che aprire le braccia e stringerti a me. Non con malizia, ma con sincero affetto. Esiti un attimo prima di rispondere al gesto. Quando ci ricomponiamo mi guardi perplessa.
“Tu… che abbracci?”
“Te l'avevo detto, ho lavorato su alcuni aspetti di me stesso.”
“Sì, ma così mi stupisci.”
“Stupisco prima di tutti me stesso. Ma ora andiamo dentro, si congela qui fuori.”
Camminiamo accanto, iniziando a chiacchierare. Apro la porta e ti lascio passare. Solo in quel momento mi rendo conto che hai messo la gonna e le calze. Collant o autoreggenti? Ti rovescerei su un tavolino per scoprirlo. E, conoscendoti, non riesco a credere che tu le abbia indossate senza sapere che mi avresti incuriosito.
Due caffè.
Il bar è deserto a quest'ora.
Ci sediamo al primo tavolino che ci ispira. Mi tolgo la giacca, tu la mantella e resti con un pesante maglione bianco. Ti siedi e ti noto accavallare le gambe. E se te le aprissi? Resisto alla tentazione, l'occhio non cade. Io giro la sedia e mi metto comodo di lato rispetto al tavolino.
Riprendiamo le chiacchiere.
Ti parlo di me e di quello che ho fatto in questo tempo. Evito con cura qualsiasi genere di contatto fisico. Ho paura della scossa che mi potresti darmi se la nostra pelle si sfiorasse. Mi chiedi della mia compagna, ti dico che l'ho cambiata. E tu muovi le gambe, metti entrambi i piedi a terra e unisci le ginocchia. Un caso? O l'hai fatto apposta sapendo che avrei ricordato quella sera in cui andammo a fare l'aperitivo e ti proibii di chiudere le gambe?
Mi parli di te, del tuo lavoro e del tuo ragazzo. Quando affronti l'argomento casa e il fatto che non vivete ancora insieme mi metti una mano su una coscia. Io ignoro il gesto, ma avrei tanta voglia di prenderti, spingerti contro il muro e prenderti.
Guardi il telefono.
“Ti chiedo scusa, ma ora devo andare.”
“Non c'è problema, figurati!”
Mi alzo e indosso la giacca. Mentre aspetto che tu ti sistemi guardo il telefono, curioso di sapere quanto tempo sia trascorso. Più di mezz'ora. Sono sorpreso.
“Eccomi.”
Pago i caffè e usciamo. Arrivare alle auto è questione di un attimo.
“Scusa se interrompo così l'incontro, ma devo andare a prendere il mio ragazzo.”
“Tranquilla, dovevamo solo prendere un caffè.”
Ma in un angolino di me mi chiedo perché hai dovuto sottolinearlo.
“Sicuro?”
“Sicuro. Un abbraccio?”
“Ci sta.”
Ci abbracciamo e ci scambiamo due baci sulle guance.
“Mi ha fatto piacere rivederti.”
“Anche a me.”
Tempo scaduto. Mi giro, salgo in auto e mi metto un attimo al telefono.
Un attimo dopo la portiera del passeggero si apre e sali a bordo. Ti guardo sorpreso.
“Beh?”
“Pensavo una cosa…”
“Dimmi.”
Le tue ginocchia sono scostate. In un certo si può dire che hai le gambe aperte.
“Tu hai pagato entrambi i caffè. Non dovevi.”
Posi la mano sulla leva del cambio. Proprio lei. Proprio quella che ti sei scopata mentre io, seduto dietro, ti guardavo.
“Ma scherzi!”
“Dovremmo prenderne un altro, così pareggiamo.”
Vaffanculo.
Ti metto una mano dietro la nuca, ti tiro a me e ti ficco la lingua in bocca.
Quello che viene dopo, con ogni probabilità, è quanto di più sbagliato e stupido possiamo commettere, ma nessuno dei due ha la forza di opporsi a quello che la nostra carne brama.
Pieno giorno. Alla bella vista di chiunque passi. Roba da manette, insomma. L’unica fortuna è che ho avuto la testa di parcheggiare lontano dalla strada principale, nel lato più lontano di questo cazzo di parcheggio.
Sono attimi concitati e frenetici quelli in cui, senza che il bacio si interrompa, riusciamo, in qualche modo, a scivolare nei sedili posteriori. Le tue mani non stanno ferme un istante e si spostano subito ai miei pantaloni, iniziando a slacciarli. Non posso dire che le mie siano da meno. Ti accarezzo la schiena, scivolo al tuo culo e ne prendo possesso, stringendo le natiche con forza e decisione. Un attimo dopo sono sulle tue cosce, velate dalle calze. Non so quante volte le percorro, assaporandomi ogni centimetro del tuo corpo.
Le tue mani mi slacciano la cintura e i bottoni dei jeans. Anche se un po’ a fatica si insinuano sotto i boxer e, mentre con una mano ne tieni allargato l’elastico, con l’altra prendi il mio membro e lo stringi con cura, lo accarezzi con passione. Sospiro. Un brivido mi attraversa tutta la schiena. Mi sono mancate le tue attenzioni.
“Ti voglio.”
“Prendimi.”
Ora è il mio turno di infilarmi sotto i tuoi vestiti e non mi sorprende scoprire che non sono collant quelli che indossi, ma autoreggenti.
Sorrido, sapendo che la tua non è stata una scelta casuale.
Sorridi, consapevole del mio pensiero.
Il tuo sesso è bagnato, le tue mutande sono bagnate. Mutande che nel tempo di un sospiro non indossi più.
C’è odore di sesso nell’abitacolo.
Abbasso i pantaloni, i boxer, mi libero di ogni impedimento. Chi se ne frega se siamo a rischio. Chi se ne frega se qualcuno ci potrà vedere. Se anche finiremo nei guai, ne sarà comunque valsa la pena.
Mi guardi negli occhi. I tuoi, come i miei, ardono di desiderio.
“Siamo folli.”
Cosa vuoi che faccia? Ti prendo il viso tra le mani e tu tappo la bocca con la mia lingua.
Un attimo dopo ti alzi la gonna in vita e Sali a cavalcioni su di me.
Il momento in cui i nostri corpi si uniscono rimane (e sono convinto rimarrà sempre) l’esperienza più sconvolgente di questa vita. Non è sesso, non è amore, è qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio. Gli orologi si fermano. L’universo si congela in quell’unico istante.
Le nostre lingue non smettono di cercarsi un solo istante.
Le nostre mani si stringono le une e alle altre.
È un piacere che va ben oltre la semplice carne.
Non lo so per quanto tempo ti muovi sopra e contro di me.
Non lo so per quanto tempo il tuo piacere diventa il mio.
Ti sento muoverti, scivolare con il bacino alla ricerca del piacere. Lo spingi indietro quando vuoi sentirti più piena, scivoli in avanti quanti vuoi goderti il mio membro che entra dentro di te e ti riempie.
“Vieni”, sussurro.
Sorridi divertita.
“Sono già venuta.”
“Cosa? Quando?”
“Nemmeno te ne sei accorto… sei fuori allenamento.”
“Sei stata per anni senza darmela, cosa pretendi?”
“Un altro orgasmo.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Così sia.”
Da quanto tempo non scopavo in auto? Secoli, potrei dire. E ora ricordo anche perché. La scomodità. Mi guardo attorno. Non si vede anima viva. Vorrei metterti sotto e fotterti a modo mio, ma rischiamo di essere troppo compromessi nel caso si dovesse avvicinare qualcuno.
Se fai una cazzata devi farla fino in fondo.
Fanculo.
Con un colpo delle reni inverto le posizioni prima che tu te ne possa rendere conto.
“Adesso ti scopo come dico io.”
“Era ora cazzo…”
Punti una mano contro la portiera, così da non finire per sbattere la testa.
Vederti così, mezza nuda e scomposta, con le gambe oscenamente aperte sul sedile e il sesso che cola umori senza ritegno è… wow… altro che film porno!
Ti guardo, mi godo questa visione.
“Sembri proprio una troia così.”
“Vaffanculo.”
Scivolo dentro di te con un colpo forte e deciso.
Gemi. Chiudi gli occhi. Godi.
Sei la visione più bella di questo mondo.
I miei occhi non potranno mai vedere nulla di più sublime.
Esco.
Le tue gambe mi stringono per non farmi andare via.
“Beh?”
“Torna dentro.”
Una supplica? Un desiderio? Una volontà? Non ti capisco, ma mi piace lo stesso che tu lo dica.
Spingo. Poco. Solo per fartelo sentire. Poi esco.
“No…”
“Dillo.”
Mi guardi con quella tua espressione furba e maliziosa che tante volte mi ha fatto vibrare l’anima.
“Torna dentro.”
Spingo.
Ansimi.
Spingo ancora.
Gemi.
Inizio a scoparti, senza pause, cercando solo il tuo piacere.
“Vengo”, mi sussurri a un certo punto. Non ce la faccio. Infilo una mano sotto il tuo maglione e ti afferro un seno.
“Sui sedili dell’auto.”
“Sì…”
“Come una troia.”
“Vaffanculo.”
Affondo più forte.
Gemi.
“Vieni?”
“Sì…”
La tua mano mi stringe un fianco.
“Dillo.”
“Vaffanculo.”
Spingo più forte. A momenti sbatti la testa.
“Dillo e vieni.”
“Vaffanculo.”
Spingo più forte e mi fermo ben piantato dentro di te.
Gridi.
Sei incredibile.
“Dillo.”
Apri gli occhi e mi guardi.
“Sto godendo… sui sedili di un’auto…”
Ti fermi. Esiti. Lo so perché. Questo tuo modo di fare, se possibile, me lo fa venire ancora più duro. E, se possibile, spingo ancora di più.
“Oddio non così…”
Chiudi gli occhi, giri la testa e ogni dettaglio, in te, trasuda piacere e sesso.
“Dillo.”
“Io… io… vengo… sui sedili di un’auto… come una troia…”
L’hai fatto. L’hai detto. Non lo so quanti battiti stia scadendo il mio cuore. Non lo so quanto sia in fiamme il mio sangue. Io affondo dentro di te.
E vedere il piacere che ti pervade e ti travolge è quanto di meglio si possa chiedere in questa vita.
Resto fermo dentro di te.
Attendo con piacere che il tuo orgasmo si calmi.
Ti passi una mano tra i capelli.
“Oddio…”
“Bentornata.”
Mi piego su di te e ti bacio.
“Grazie. Ma tu?”
“Io cosa?”
“Tu non sei ancora venuto.”
“Lascia che rimedi.”
“Cos’hai in mente?”
“Voglio… voglio ingoiarti.”
Resto un attimo di sasso a una dichiarazione tanto esplicita.
“Lo sai… adoro farlo. E con te è un sacco di tempo che non lo faccio.”
Cosa posso dire? Nulla. Esco da te e mi metto comodo.
Un attimo dopo le tue labbra si chiudono sul mio membro.
Appoggio la testa e mi rilasso.
È vero, nessuna riesce a batterti in questo.
La tua bocca… le tue labbra… la tua lingua… i tuoi occhi…
“Adesso sono io che vengo.”
“Uh uh.”
È tutto quello che dici mentre lo accogli fino in gola. A quel movimento io non posso più resistere e mi abbandono a te.
E tu, in silenzio e con passione, ingoi silenziosamente tutto il mio seme.
“Così siamo pari”, mi dici mentre ti alzi e ti aggiusti i vestiti. Sorrido. Ci guardiamo. Anche io devo rivestirmi.
“Prima o poi vedrò la tua figa colare il mio sperma.”
Sorridi divertita.
“Prima o poi.”
“Hai visto le mie mutande?”
“Queste? Non ti servono più.”
Hai il tempo di capire cosa voglio fare e provare a fermarmi, ma io ho già abbassato il finestrino e lanciato via le tue mutande.
Mia è stata l'idea del caffè. Avevo pensato in piazza, un luogo pubblico, un territorio neutrale ed esposto dove, sotto gli occhi di tutti, ci sarebbe stato impossibile cedere alla debolezza della carne.
Tua l'idea di andare in un paesino fuori città, in un bar deserto.
Ancora una volta hai vinto tu.
Due anni e sette mesi per la precisione.
Dall'ultima volta che ci siamo visti. Quell'ultima volta in cui il nostro rapporto, la nostra relazione, giunse al suo tragico epilogo. Non ho rancori. Come ha detto qualcun altro “l'amore fa per noi, ma separatamente.”
Lo sa Dio (e anche tutti i nostri amici) quanto ci abbiamo provato. Fino alla disperazione. Per quanto a letto fossimo semplicemente ineguagliabili, fuori, nella vita di tutti i giorni, il più grande disastro mai visto. Abbiamo idee troppo distanti su come gestire la vita. Abbiamo ricevuto educazioni troppo differenti. Ma, sopra ogni altro aspetto, siamo stati troppo concentrati su noi stessi, troppo egoisti, per essere disposti a superare le nostre divergenze e costruire qualcosa che andasse oltre il miglior sesso che si possa immaginare.
È finita.
Non mi dispiace che sia andata così, ma non per questo ho smesso di pensarti.
Ho avuto altre storie, altre donne, altre avventure. Con nessuna sono riuscito ad arrivare dove mi portavi tu. E anche se la mia donna, ora, è impeccabile sotto molti aspetti, a letto non è come te. E di te è l'unica cosa che mi manca.
Fa un freddo assassino qui fuori dal bar. Potrei entrare e aspettarti al caldo, lo so, ma voglio vederti arrivare, voglio vederti parcheggiare, voglio vederti attraversate la strada e camminarmi incontro. Voglio vedere il tuo viso e sovrapporlo ai miei ricordi.
Sono agitato. Nervoso. Devo riconoscere che, per quanto desiderassi incontrarti e vederti ancora, dall'altra ho paura. Non so nemmeno di cosa. Forse che tu possa piacermi ancora, di rimanerci sotto ancora e ricominciare un calvario esasperante.
No.
Siamo cresciuti e cambiati. Non sei più la donna che voglio al mio fianco. E allora perché sono così agitato? Perché ci conosciamo troppo bene e siamo troppo consapevoli dei punti deboli dell'altro. Sappiamo esattamente come comportarci se vogliamo far colpo o esattamente cosa dire per spezzare le difese. Siamo completamente nudi l'uno per l'altra.
L'arrivo della tua auto mi toglie questi pensieri dalla testa, ma il cuore aumenta i battiti. Neanche mi sono accorto che le mie gambe hanno iniziato a camminare e ti sto venendo incontro. Ti osservo svoltare nel parcheggio e fermarti accanto alla mia. Armeggi con il telefono, la borsa, indossi la berrettina e scendi, chiudi l'auto e ti giri verso di me.
Hai cambiato acconciatura, ma il tuo viso è sempre quello. I tuoi occhi… il tuo sorriso… il tuo naso… le tue labbra… sei sempre bella.
Un'onda di ricordi mi assale, ma sono consapevole che è tutto parte del passato. Per un attimo mi torna alla mente quando, d'inverno, ti appallotolavi contro di me in cerca di calore. E finivamo a fare l'amore. Un ricordo che scopro, con sorpresa, scivolare via senza effetto.
“Ciao!”
Copri gli ultimi metri che ci separano. Sì. Ti scoperei. E lo farei fino a svenire. Semplice e pulito.
“Ciao!”
Ti sorrido, sono contento di vederti. E non posso che aprire le braccia e stringerti a me. Non con malizia, ma con sincero affetto. Esiti un attimo prima di rispondere al gesto. Quando ci ricomponiamo mi guardi perplessa.
“Tu… che abbracci?”
“Te l'avevo detto, ho lavorato su alcuni aspetti di me stesso.”
“Sì, ma così mi stupisci.”
“Stupisco prima di tutti me stesso. Ma ora andiamo dentro, si congela qui fuori.”
Camminiamo accanto, iniziando a chiacchierare. Apro la porta e ti lascio passare. Solo in quel momento mi rendo conto che hai messo la gonna e le calze. Collant o autoreggenti? Ti rovescerei su un tavolino per scoprirlo. E, conoscendoti, non riesco a credere che tu le abbia indossate senza sapere che mi avresti incuriosito.
Due caffè.
Il bar è deserto a quest'ora.
Ci sediamo al primo tavolino che ci ispira. Mi tolgo la giacca, tu la mantella e resti con un pesante maglione bianco. Ti siedi e ti noto accavallare le gambe. E se te le aprissi? Resisto alla tentazione, l'occhio non cade. Io giro la sedia e mi metto comodo di lato rispetto al tavolino.
Riprendiamo le chiacchiere.
Ti parlo di me e di quello che ho fatto in questo tempo. Evito con cura qualsiasi genere di contatto fisico. Ho paura della scossa che mi potresti darmi se la nostra pelle si sfiorasse. Mi chiedi della mia compagna, ti dico che l'ho cambiata. E tu muovi le gambe, metti entrambi i piedi a terra e unisci le ginocchia. Un caso? O l'hai fatto apposta sapendo che avrei ricordato quella sera in cui andammo a fare l'aperitivo e ti proibii di chiudere le gambe?
Mi parli di te, del tuo lavoro e del tuo ragazzo. Quando affronti l'argomento casa e il fatto che non vivete ancora insieme mi metti una mano su una coscia. Io ignoro il gesto, ma avrei tanta voglia di prenderti, spingerti contro il muro e prenderti.
Guardi il telefono.
“Ti chiedo scusa, ma ora devo andare.”
“Non c'è problema, figurati!”
Mi alzo e indosso la giacca. Mentre aspetto che tu ti sistemi guardo il telefono, curioso di sapere quanto tempo sia trascorso. Più di mezz'ora. Sono sorpreso.
“Eccomi.”
Pago i caffè e usciamo. Arrivare alle auto è questione di un attimo.
“Scusa se interrompo così l'incontro, ma devo andare a prendere il mio ragazzo.”
“Tranquilla, dovevamo solo prendere un caffè.”
Ma in un angolino di me mi chiedo perché hai dovuto sottolinearlo.
“Sicuro?”
“Sicuro. Un abbraccio?”
“Ci sta.”
Ci abbracciamo e ci scambiamo due baci sulle guance.
“Mi ha fatto piacere rivederti.”
“Anche a me.”
Tempo scaduto. Mi giro, salgo in auto e mi metto un attimo al telefono.
Un attimo dopo la portiera del passeggero si apre e sali a bordo. Ti guardo sorpreso.
“Beh?”
“Pensavo una cosa…”
“Dimmi.”
Le tue ginocchia sono scostate. In un certo si può dire che hai le gambe aperte.
“Tu hai pagato entrambi i caffè. Non dovevi.”
Posi la mano sulla leva del cambio. Proprio lei. Proprio quella che ti sei scopata mentre io, seduto dietro, ti guardavo.
“Ma scherzi!”
“Dovremmo prenderne un altro, così pareggiamo.”
Vaffanculo.
Ti metto una mano dietro la nuca, ti tiro a me e ti ficco la lingua in bocca.
Quello che viene dopo, con ogni probabilità, è quanto di più sbagliato e stupido possiamo commettere, ma nessuno dei due ha la forza di opporsi a quello che la nostra carne brama.
Pieno giorno. Alla bella vista di chiunque passi. Roba da manette, insomma. L’unica fortuna è che ho avuto la testa di parcheggiare lontano dalla strada principale, nel lato più lontano di questo cazzo di parcheggio.
Sono attimi concitati e frenetici quelli in cui, senza che il bacio si interrompa, riusciamo, in qualche modo, a scivolare nei sedili posteriori. Le tue mani non stanno ferme un istante e si spostano subito ai miei pantaloni, iniziando a slacciarli. Non posso dire che le mie siano da meno. Ti accarezzo la schiena, scivolo al tuo culo e ne prendo possesso, stringendo le natiche con forza e decisione. Un attimo dopo sono sulle tue cosce, velate dalle calze. Non so quante volte le percorro, assaporandomi ogni centimetro del tuo corpo.
Le tue mani mi slacciano la cintura e i bottoni dei jeans. Anche se un po’ a fatica si insinuano sotto i boxer e, mentre con una mano ne tieni allargato l’elastico, con l’altra prendi il mio membro e lo stringi con cura, lo accarezzi con passione. Sospiro. Un brivido mi attraversa tutta la schiena. Mi sono mancate le tue attenzioni.
“Ti voglio.”
“Prendimi.”
Ora è il mio turno di infilarmi sotto i tuoi vestiti e non mi sorprende scoprire che non sono collant quelli che indossi, ma autoreggenti.
Sorrido, sapendo che la tua non è stata una scelta casuale.
Sorridi, consapevole del mio pensiero.
Il tuo sesso è bagnato, le tue mutande sono bagnate. Mutande che nel tempo di un sospiro non indossi più.
C’è odore di sesso nell’abitacolo.
Abbasso i pantaloni, i boxer, mi libero di ogni impedimento. Chi se ne frega se siamo a rischio. Chi se ne frega se qualcuno ci potrà vedere. Se anche finiremo nei guai, ne sarà comunque valsa la pena.
Mi guardi negli occhi. I tuoi, come i miei, ardono di desiderio.
“Siamo folli.”
Cosa vuoi che faccia? Ti prendo il viso tra le mani e tu tappo la bocca con la mia lingua.
Un attimo dopo ti alzi la gonna in vita e Sali a cavalcioni su di me.
Il momento in cui i nostri corpi si uniscono rimane (e sono convinto rimarrà sempre) l’esperienza più sconvolgente di questa vita. Non è sesso, non è amore, è qualcosa che va oltre il tempo e lo spazio. Gli orologi si fermano. L’universo si congela in quell’unico istante.
Le nostre lingue non smettono di cercarsi un solo istante.
Le nostre mani si stringono le une e alle altre.
È un piacere che va ben oltre la semplice carne.
Non lo so per quanto tempo ti muovi sopra e contro di me.
Non lo so per quanto tempo il tuo piacere diventa il mio.
Ti sento muoverti, scivolare con il bacino alla ricerca del piacere. Lo spingi indietro quando vuoi sentirti più piena, scivoli in avanti quanti vuoi goderti il mio membro che entra dentro di te e ti riempie.
“Vieni”, sussurro.
Sorridi divertita.
“Sono già venuta.”
“Cosa? Quando?”
“Nemmeno te ne sei accorto… sei fuori allenamento.”
“Sei stata per anni senza darmela, cosa pretendi?”
“Un altro orgasmo.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Così sia.”
Da quanto tempo non scopavo in auto? Secoli, potrei dire. E ora ricordo anche perché. La scomodità. Mi guardo attorno. Non si vede anima viva. Vorrei metterti sotto e fotterti a modo mio, ma rischiamo di essere troppo compromessi nel caso si dovesse avvicinare qualcuno.
Se fai una cazzata devi farla fino in fondo.
Fanculo.
Con un colpo delle reni inverto le posizioni prima che tu te ne possa rendere conto.
“Adesso ti scopo come dico io.”
“Era ora cazzo…”
Punti una mano contro la portiera, così da non finire per sbattere la testa.
Vederti così, mezza nuda e scomposta, con le gambe oscenamente aperte sul sedile e il sesso che cola umori senza ritegno è… wow… altro che film porno!
Ti guardo, mi godo questa visione.
“Sembri proprio una troia così.”
“Vaffanculo.”
Scivolo dentro di te con un colpo forte e deciso.
Gemi. Chiudi gli occhi. Godi.
Sei la visione più bella di questo mondo.
I miei occhi non potranno mai vedere nulla di più sublime.
Esco.
Le tue gambe mi stringono per non farmi andare via.
“Beh?”
“Torna dentro.”
Una supplica? Un desiderio? Una volontà? Non ti capisco, ma mi piace lo stesso che tu lo dica.
Spingo. Poco. Solo per fartelo sentire. Poi esco.
“No…”
“Dillo.”
Mi guardi con quella tua espressione furba e maliziosa che tante volte mi ha fatto vibrare l’anima.
“Torna dentro.”
Spingo.
Ansimi.
Spingo ancora.
Gemi.
Inizio a scoparti, senza pause, cercando solo il tuo piacere.
“Vengo”, mi sussurri a un certo punto. Non ce la faccio. Infilo una mano sotto il tuo maglione e ti afferro un seno.
“Sui sedili dell’auto.”
“Sì…”
“Come una troia.”
“Vaffanculo.”
Affondo più forte.
Gemi.
“Vieni?”
“Sì…”
La tua mano mi stringe un fianco.
“Dillo.”
“Vaffanculo.”
Spingo più forte. A momenti sbatti la testa.
“Dillo e vieni.”
“Vaffanculo.”
Spingo più forte e mi fermo ben piantato dentro di te.
Gridi.
Sei incredibile.
“Dillo.”
Apri gli occhi e mi guardi.
“Sto godendo… sui sedili di un’auto…”
Ti fermi. Esiti. Lo so perché. Questo tuo modo di fare, se possibile, me lo fa venire ancora più duro. E, se possibile, spingo ancora di più.
“Oddio non così…”
Chiudi gli occhi, giri la testa e ogni dettaglio, in te, trasuda piacere e sesso.
“Dillo.”
“Io… io… vengo… sui sedili di un’auto… come una troia…”
L’hai fatto. L’hai detto. Non lo so quanti battiti stia scadendo il mio cuore. Non lo so quanto sia in fiamme il mio sangue. Io affondo dentro di te.
E vedere il piacere che ti pervade e ti travolge è quanto di meglio si possa chiedere in questa vita.
Resto fermo dentro di te.
Attendo con piacere che il tuo orgasmo si calmi.
Ti passi una mano tra i capelli.
“Oddio…”
“Bentornata.”
Mi piego su di te e ti bacio.
“Grazie. Ma tu?”
“Io cosa?”
“Tu non sei ancora venuto.”
“Lascia che rimedi.”
“Cos’hai in mente?”
“Voglio… voglio ingoiarti.”
Resto un attimo di sasso a una dichiarazione tanto esplicita.
“Lo sai… adoro farlo. E con te è un sacco di tempo che non lo faccio.”
Cosa posso dire? Nulla. Esco da te e mi metto comodo.
Un attimo dopo le tue labbra si chiudono sul mio membro.
Appoggio la testa e mi rilasso.
È vero, nessuna riesce a batterti in questo.
La tua bocca… le tue labbra… la tua lingua… i tuoi occhi…
“Adesso sono io che vengo.”
“Uh uh.”
È tutto quello che dici mentre lo accogli fino in gola. A quel movimento io non posso più resistere e mi abbandono a te.
E tu, in silenzio e con passione, ingoi silenziosamente tutto il mio seme.
“Così siamo pari”, mi dici mentre ti alzi e ti aggiusti i vestiti. Sorrido. Ci guardiamo. Anche io devo rivestirmi.
“Prima o poi vedrò la tua figa colare il mio sperma.”
Sorridi divertita.
“Prima o poi.”
“Hai visto le mie mutande?”
“Queste? Non ti servono più.”
Hai il tempo di capire cosa voglio fare e provare a fermarmi, ma io ho già abbassato il finestrino e lanciato via le tue mutande.
Mia è stata l'idea del caffè. Avevo pensato in piazza, un luogo pubblico, un territorio neutrale ed esposto dove, sotto gli occhi di tutti, ci sarebbe stato impossibile cedere alla debolezza della carne.
Tua l'idea di andare in un paesino fuori città, in un bar deserto.
Ancora una volta hai vinto tu.
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