Regina di Cuori

di
genere
pulp

«Parla.»
«Cosa vuoi che ti dica?.»
«Non importa. Parla..»
Eravamo su una panchina, di un viale alberato, poco lontani da un laghetto artificiale, la superficie spezzata da ninfee color pastello, defilati dietro un grande albero, forse un ippocastano carico di grossi ricci verde acido.
Lei era seduta, le gambe accavallate, avvolte in una lunga gonna nera, con una mano tra i miei capelli, mentre io, steso, con la testa sulla sua coscia, mi gustavo quel dolce momento di una calda sera primaverile.
Il cielo era illuminato da mille stelle con la Luna che, con quel suo affascinante archetto luminoso, sembrava sorriderci.
«Dunque?»
Non riuscivo a vedere il suo viso, se non da una scomoda prospettiva dal basso, ma sapevo che stava sorridendo. Un sorriso degno d’essere immortalato.
«Non so che dirti…»
Avevo sospirato godendomi il momento di pace e tranquillità, cosa tutt’altro che comune al tempo in cui viviamo.
«Poco importa che dici, quel che conta è il suono della tua voce.»
«Tu sei tutto matto.»
Aveva accompagnato quelle parole con una risata cristallina. Adoravo la sua voce. Anche il suo modo di ridere era splendido. Era mai possibile che esistesse una simile creatura così esente da difetti? Ne ero ammaliato.
«Può essere. Ma chi può dire chi sia il matto chi il sano?»
Aveva piegato la testa e ci eravamo guardati negli occhi per un fugace momento, quasi timorosi di quel contatto.
«Io lo dico. Tu sei matto.»
Avevo tirato gli addominali, mi ero tirato su, stendendo le braccia dietro di me e appoggiando i palmi delle mani sul legno della panchina. Eravamo viso a viso.
«Dammi un bacio.»

Come eravam giunti a questo? Come eravamo arrivati qui?

Tutto era iniziato al bar sulle mura. Sorseggiavo un Americano, nemmeno uno dei migliori che abbia mai bevuto, in attesa di un amico che non si sarebbe presentato. Ti avevo vista passare distrattamente, solo per concederti uno sguardo incuriosito quando eri giunta al banco, con una tua amica, a chiedere un Moscow Mule.
«Ma allora ci vuoi andare davvero?»
Già la tua voce mi aveva colpito più del tuo aspetto. O delle orribili ballerine che portavi ai piedi.
«Perché no?»
La tua amica aveva ordinato un anonimo Spritz prima di risponderti.
«Sarà di una noia…»
«Io penso che sarà, invece, molto interessante.»
Avevi rubato due patatine stringendole tra indice e pollice e il mio sguardo si era perso, per un istante, sulle tue labbra piene e dall’aspetto morbido.
«Letture. Stiamo parlando di letture...»
La tua amica aveva chiuso la bocca intorno alla cannuccia.
«Se ti annoi ti pago tutta una serata.»
Ti era scappato, forse per caso, il nome della vostra prossima meta. Della mia prossima meta.
Quel che era seguito… è facile da immaginare.
Uno sguardo. Un sorriso. Uno sguardo ancora. Una bevuta. Presto diventate due. Forse una di troppo. O forse solo quella che serviva a incoraggiarci, là dove altrimenti non avremmo osato. La tua amica ben presto persa di vista e svanita dal palco. E così, a fine serata, da quel bar uscimmo insieme, solo io e te, a passeggio per i vicoli del centro.
Fino al viale.
Fino alla panchina.

Ecco come siam giunti qui.

«Tu sei tutto matto.»
Ridi. Adoro la tua voce. Anche la tua risata è splendida. Dove sei stata fino ad ora?
«Può essere. Ma chi può dire chi sia il matto chi il sano?»
«Io lo dico. Tu sei matto.»
I tuoi occhi scuri, in quest’ombra notturna, sembrano particolarmente magici.
«Dammi un bacio.»
Tiri indietro la testa, come a volerti chiamar fuori da una situazione compromettente.
«E perché dovrei? Io non bacio i matti.»
«Troppo tardi. Sei già tra i matti.»
«Assolutamente no, io non ci sto coi matti!»
«Sbagli. Qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta.»
Abbassi il capo e torni a guardarmi negli occhi. Neri più della notte stessa. I nostri visi sono di nuovo così vicini...
«Come fai a dire che sono matta?»
Alzo le spalle, divertito da quella strana conversazione.
«Non ci sono alternative. Qui siamo tutti matti!»
«Tu dici?»
«Dico che dovresti darmi un bacio.»
Le nostre labbra si sfiorano. Le tue sono così morbide, così invitanti, così calde. Come la tua voce. È così... melodica... armoniosa... meravigliosa… sembra quella di una sirena di Omero!


Per un attimo restiamo immobili, assaporando ogni sfumatura di quel contatto così… straordinario.
Il rumore di una macchina che passa, anche troppo veloce, sul carreggiata.
Due ragazzi che, gridando tra loro, escono da un locale poco distante, trascinandosi dietro la musica come nembi di una nuvola che svaniscono.
Un uccello fa sentire il suo allegro canto a quest’ora improbabile.
E il profumo della tua pelle.
Inspiro, riempio i polmoni. Sai di… cannella e caramello.
Il suono del tuo respiro.
La pelle, morbida come seta, della tua guancia sotto i miei polpastrelli.
Un attimo dopo dischiudiamo le labbra, timidamente, timorosi di osare troppo, timorosi che l’altro scappi via. Eppure… non appena ci rendiamo che le nostre paura non diventeranno realtà, prendiamo coraggio e ci abbandoniamo all’alto.

Non so dire quanto sia durato quel bacio. Una vita, molto probabilmente.

Lentamente torniamo in noi. Lentamente il ritmo cala. Lentamente le labbra si allontanano.
Ci guardiamo negli occhi.
«Io… non abito lontano...»
Lo dici trepidante, consapevole dell’azzardo che stai facendo. Ti accarezzo una guancia.
«Inviti a casa tua tutti i matti che incontri?»
Per un attimo, qualcosa, nella tua espressione, cambia. Quasi non ho il tempo di afferrare quella sfumatura e, forse, l’ho solo immaginata. Poi un tuo sorriso spazza via ogni mio dubbio.
«Certo.»
«E non hai paura…?»
«Certo che no. Stregatto veglia su di me.
Mi tiro su alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia.
«Stregatto, proprio lui, che tra tutti è il più matto!»
Ti sento ridere.
Ti vedo ridere.
E ti trovo bella. Non ci sono altre parole per descriverti.
Sei bella.
E viva.
Ogni più piccolo dettaglio, in te, è… armonioso.
Credo che potrei stare ore ad ammirarti.
«Inizio a pensare che sia tu il più matto.»
Mi canzoni bonariamente e la pacca sulla spalla che mi rifili ridendo ha qualcosa di… sensuale e provocatorio.
Ho voglia di afferrarti per il polso, trascinarti a me e stringerti tra le mia braccia, fino a farti mia, qui, dove siamo ora. E che il mondo si fotta!
Ma qualcosa mi blocca, mi frena. Qualcosa mi dice che sarebbe sbagliato, che non è così che devono andare le cose.
Balzo in piedi, mi giro verso di te e mi inchino.
«Mia Signora, dopo di lei.»
Ti osservo mentre, con gesti misurati, ti alzi in piedi, ti lisci la lunga gonna nera e posi la tua mano nel mio palmo, con un leggero, signorile, inchino.
«Sì, sei davvero matto, ora ne ho la conferma.»
Eccoci a camminare mano nella mano.
Attraversiamo il viale, proseguendo lungo un vicolo pieno di auto parcheggiate. Costeggiamo una piazzetta, soffermandoci davanti a una vetrina di borse di lusso per rubarci un bacio. Ti accarezzo la schiena, scendo verso il basso, ma scivoli via dal mio abbraccio come fossi una nuvola. Pochi passi avanti a me mi guidi, leggera, fino al portone di casa. E, proprio come una nuvola, i tuoi passi non fanno alcun rumore.
«Eccoci.»
Mi fa accomodare in un appartamento piccolo, grazioso, caldo e accogliente.
Non c’è il tempo, tuttavia, di apprezzare quel piccolo rifugio.
Il desiderio ci avvolge, la passione esplode.
I vestiti volano via, sparsi per tutta la casa come stelle impazzite.
Il tuo corpo emerge alla luce in tutto il suo splendore.
Quale meraviglia!
Ti stringo a me, ti bacio.
Ci perdiamo l’uno nell’altra.

Non so quanto tempo sia passato quando riapro gli occhi.
L’orologio non ho idea dove sia finito e il telefono è nella tasca dei pantaloni, troppo lontani in questo momento.
Hai la testa sul mio torace, ti cingo le spalle con un braccio.
C’è odore di sesso nell’aria.
Ti accarezzo i capelli.
Questa notte ha dell’incredibile…
Fai un respiro profondo, stiri le gambe e alzi il viso. I tuoi occhi nei miei.
«Ciao matto.»
Ti bacio la fronte.
«Non vedo Stregatto da nessuna parte...»
Mi accarezzi il torace mentre un sorriso malizioso compare sul tuo volto.
«Solo perché tu non lo vedi non vuol dire che non ci sia.»
Ma hai un tono della voce strano, che non riesco a capire, decifrare, come se…
Prima che possa dar voce ai miei dubbi allunghi il collo e sfiori le mie labbra con le tue.
«Aspetta mio matto...»
Esci dal letto, nuda, regalandomi un alquanto gradevole panorama su uno dei migliori fondo-schiena su cui abbia mai posato il mio sguardo e, con passo felino, raggiungi un armadio di legno chiaro, ho il sospetto che abbia origini svedesi. Ti guardo ancora senza capire.
«Un gatto nell’armadio?»
Lo trovo buffo e improbabile, ma vista la serata non mi stupisco più di tanto. Ti fai per un attimo pensierosa, sorridi e mi guardi.
«Più o meno.»
«Uno Stregatto… di peluche?»
Appoggi la schiena al mobile, mostrandoti in tutta la sua affascinante nudità. Uno spettacolo davvero niente male. Porti le mani dietro la schiena, sulle maniglie del mobile. La tua espressione muta ancora, acquisendo una sfumatura al tempo stesso tronfia e sinistra che mi piace assai poco. Perché ci trovo qualcosa di sbagliato in questo?
«Vedi, mio matto, devi sapere una cosa.»
No, nemmeno il tono mi piace. Mi guardo attorno, la situazione inizia a piacermi sempre meno.
«Cosa?»
«Ho mentito.»
Ottimo. Ci conosciamo da poche ore e siamo già alle menzogne. Un buon inizio…
«Spiegati, non capisco...»
Abbassi il capo, i capelli si riversano in avanti in una cascata fluente.
«Stregatto. Non è qui per proteggermi.»
Qualsiasi sia lo scherzo continuo a non capire e, anzi, inizio a sentirmi a disagio, molto a disagio. Credo sia giunto il momento di togliere il disturbo. Allungo una mano, recupero i boxer e li infilo in fretta.
Quando alzi il capo la sfumatura del gioco è scomparsa dal tuo viso e ora sei seria, dannatamente troppo seria perché possa trovare divertente questo sviluppo.
«Beh sì… confesso che un po’ lo immaginavo...»
«Quello che non sai… è che ho un accordo con la Regina di Cuori.»
C’è gioia, soddisfazione, mentre lo dici. Gli occhi ti brillano. Ma è quel riflesso sinistro che non mi piace per niente. È ora di levare il disturbo.
«Mi sa che qui il matto non sono io.»
Mi alzo in piedi, recupero i jeans e li infilo alla svelta. Dove ho messo la maglia?
«Io invece penso proprio di sì...»
Eccola! Attraverso la camera e infilo la t-shirt alla svelta. Sto al gioco, ti lascio parlare e intanto io mi levo di torno. In fretta. Altro che neurodeliri...
«Beh… in ogni caso credo che sia sempre un ottimo affare avere un accordo con un reale. Ma visto che me l’hai accennato penso tu voglia parlarmene, o sbaglio?»
I tuoi occhi non perdono una mia mossa. La tua espressione non cambia, anzi, sembri essere sempre più soddisfatta, eccitata, come se si stesse per rivelare la sorpresa del secolo. Io sono certo di non voler essere presente in quel momento.
«No… non sbagli.«
«Illuminami allora mia Signora.»
Ecco le scarpe. Le calzo al volo, ci penserò poi ad allacciarle.
«Detto fatto.»
Mi rivolgi un leggero inchino e scivolai di fianco, aprendo un’anta dell’armadio.
Quello che si rivela alla vista mi gela il sangue nelle vene e mi viene naturale fare un passo indietro.
«Che cosa cazzo è quella?»
In realtà so benissimo cos’è quella cosa orribile in bella mostra.
È la testa di Stregatto.
Mozzata.
Ridi, soddisfatta e divertita.
Qualunque sia questo scherzo, è davvero di pessimo gusto.
«Che cazzo sta succedendo?»
Cerco di ricordare il tuo nome… ma solo ora mi rendo conto che… non l’ho mai saputo. Non me l’hai mai detto!
È ora di andarsene, e in fretta.
Sto sudando freddo. Sento le mani tremare.
Suonano il campanello.
Mi guardo attorno in cerca di una via di fuga diversa dalla porta, ma le finestre hanno tutte le sbarre.
E tu sei lì, nuda, a guardarmi in quel modo inquietante.
«Te l’ho detto… ho un accordo con la Regina.»
Maledizione, non vedo altre uscite.
«Che accordo?»
«Facile. Io porto i matti...»
Mentre parli ti sposti di pochi passi e apri la porta.
Chi non conosce la Regina di Cuori? Chi non conosce la sua risata folle e isterica? Chi non conosce quel suo sorriso da psicopatica, quel suo ghigno malefico e infernale? Ma vederla di fronte a sé è tutt’altro che una fiaba.
Pieghi il busto in avanti mantenendo le gambe dritte e lo sguardo perverso su di me.
«… e lei li decapita.»
Arretro, in cerca di una via di fuga che non esiste.
No.
Non può essere vero.
La Regina avanza nel piccolo appartamento con un paio di piccoli passi. Ancora una volta poso gli occhi sulla ragazza.
«Chi sei? Tu chi cazzo sei?»
«Io? Io sono Alice.»
Ridi.
Urlo.
Con quanto fiato ho in gola.
Fino a perdere i sensi.

- editato -
scritto il
2019-03-17
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