Lamia

di
genere
pulp




Sono settimane che sto inscatolando libri, il quarto e spero ultimo trasloco della mia vita, sono settimane ho detto, ma a me, paiono mesi, anni, ogniuno di quei volumi mi ricorda qualcosa, ha una storia, un posto particolare dove l'ho scovato, un volto di chi me lo ha regalato...
Tutta la mia biblioteca potrebbe entrare in una chiavetta USB, lo so e sarebbe meno ingombrante, ma come spiegare a chi non legge, a chi non capisce, a chi non sa, quanta dipendenza può generare il peso di un libro tra le mani, l'odore della carta, sempre diverso, le emozioni mai uguali all'apertura della copertina.
Quando lo spazio langue, è fatale che i volumi finiscano in doppia fila, i miei in alcuni casi sono anche in tripla, ed allora quel particolare scaffale diviene una capsula del tempo, così come un archeologo riordina in uno scavo i cocci di un vaso da ricomporre con amorevole cura, io ricolloco i miei ricordi ad ogni copertina riscoperta... sino a che...
Non è un grosso volume, è un edizione tascabile, dal suo interno ne cade una cartolina, la raccolgo da terra, si tratta di una vista del Partenone di Atene, probabilmente ripreso dal Licabetto.
“Gli Dei e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita delle civiltà” di Károly Kerényi, una prima edizione del 1963, un brivido percorre la mia schiena, e la mente torna indietro al 1988 quando mi trovavo ad Atene per l'Erasums.
All'epoca ero uno studente di ingegneria e tra i prini in Italia avevo avuto la possibilità di frequentare i corsi all'Università tecnica nazionale di Atene, il NTUA, o più semplicemente chiamata Politecnico di Atene, all'epoca la più antica e prestigiosa istituzione della Grecia.
Il rapporto cambio Dracma/Lira era tutto sommato buono, come il costo della vita laggiù, vivevo in un appartamentino al terzo piano di una palazzina a poche centinaia di metri dal mare.
Dividevo l'affitto con Ian Walsh, un simpatico ragazzo irlandese coetaneo, anche lui lì con l'Erasmus, che avevo soprannominato “Ferrari”, la cosa era nata da un gioco di parole che riguardava il colore dei suoi capelli, “red head” che io tradussi letteralmente come “Testa Rossa” come il noto modello della Ferrari 512.
E come la rossa di Maranello, Ian era un vero sportivo, che alla sua passione sfegatata per i motori, coniugava quella per le donne, capitava quindi spesso e volentieri, che rientrando in casa, trovassi un calzino appeso alla maniglia della porta della sua camera, il segnale convenuto che si stava dando da fare.
Le sue conquiste abituali, erano altre studentesse straniere come noi per lo più, ma se capitava non disdegnava di mietere tra la flora locale, aveva un inglese fluente, anche se viziato dal pesante accento gaelico e ad Atene non era raro che la gente capisse e parlasse inglese se tu ti rivolgevi a loro in quella lingua.
Ricordo che all'epoca la televisione di stato, a differenza di quella italiana, doppiava assai poco e tutto era sottotitolato.
Al piano di sotto viveva il nostro padrone di casa, un anziano greco, professore di storia in pensione e sua moglie, un italiana partita come turista ed innamorata di quella terra, insegnante a riposo lei pure; la coppia non aveva figli, fu quindi una sorta di processo naturale che visto che ero un connazionale della moglie e la giovialità esplosiva di Ian che ci presero a benvolere, cosa che ci fruttò spesso degli inviti a pranzo da loro.
Personalmente io passavo molto del mio tempo in quelle occasioni a conversare con Asimakis, il professore, mentre Ian fingeva di intortare la moglie, Tecla, con grande divertimento di quest'ultima, che si schermiva ridendo, rammentando il viavai di “korítsia” (Ragazze) su e giù per le scale dal nostro appartamento, al mio amico.
Asimakis lo guardava scuotendo la testa con quel suo mezzo sorriso, come a dire che non c'è speranza, - to péos tou taxidévei pio grígora apó ton enkéfaló tou – (Il suo cazzo corre più del suo cervello) soleva ripetere spesso sogghignando.
A quell'epoca a volte la sera, frequentavamo un locale nel quartiere Kolonaki, poco sotto il Monte Licabetto, a volte prendevamo la crimagliera e andavamo al bar che vi era sulla sommità, dal quale si godeva una vista di Atene stupenda.
Fu in una di queste occasioni che Ian fece una delle sue conquiste goderecce, l'ultima della sua vita.
Tutto era cominciato durante una festa tra universitari in un locale ai piedi del Licabetto, io ero stato ammaliato da una corvina e sanguigna galiziana, che per una volta mi dava corda e mi faceva ben sperare per il resto della serata, Ian suo solito aveva abbordato una bruna dai lineamenti tipicamente ellenici, sebbene la carnagione fosse assai più chiara.
Quella volta la intravidi solo per un attimo, quello che mi colpì fu il suo sguardo, che incrociai per non più di un millisecondo, ne rimasi ipnotizzato e nel contempo sgomento, fui ridestato da Carmen, la galiziana, che aveva una gran voglia, lei pure, di chiudere con il botto la serata, poco ci mancò che non mi consumasse il cazzo a forza di pompini, prosciugandomi e non per modo di dire, di ogni energia.
Ian rientrò la mattina dopo all'alba, “Ferrari” era sfatto! - quante erano? - gli chiesi sornione mentre facevo colazione ed aspettavo che il fondo del caffè si depositasse nel bicchiere.
solo una, solo una Marco, ma credimi se fossimo stati in due ...non cambiava nulla...averne di donne così, poi mi semnbra che neppure tu ti possa lamentare -
Carmen era andata via un ora prima del suo rientro, annuii ridacchiando – si neppure io posso lamentarmi -
Era domenica e Asimakis e Tecla ci avevano invitato a pranzo, avevano preparato souvlaki (la versione locale degli arrosticini), horiatiki (insalata) e Galaktoboureko come dessert (una specie di torta molto dolce); per non presentarci a mani vuote arrivammo con alcune bottiglie di birra, il vecchio professore infatti non beveva vino, da quando da giovanissimo si era preso una sbronza epocale con il Retzina.
Il pranzo si svolse gaiamente con il professore che mi raccontava aneddoti circa i suoi due anni di galera che si era fatto come dissidente durante il “regime dei colonnelli”, e Tecla che chiedeva incuriosita a Ian lumi sulle sue ultime conquiste, e qui avvenne la prima cosa strana.
Dovete sapere che il nostro testa rossa era spesso prodigo di particolari sulle sue conquiste che infiocchettava con delicati artifici verbali, cosa che non mancava di deliziare la padrona di casa e suo marito, lasciandoli con la pancia in mano dalle risate, ma questa volta era come se non avesse nulla da raccontare, il che visto le due borse sotto gli occhi, modello valigie, era tutto dire.
Non diedi molto peso alla cosa, magari Ian era preso e questo lo faceva essere più riservato?
Quel che so e che lo vidi sempre di meno in casa, ormai ci incrociavamo sempre più di rado e iniziò anche a disertare i pranzi e i caffè con i nostri vicini, potete quindi capire la mia sorpresa quando un paio di settimane più tardi lo trovai in casa, a letto e quasi non lo riconobbi.
Il robusto ragazzo irlandese, vitale che conoscevo era una sorta di ricordo, al suo posto c'era un uomo emaciato, dai lineamenti scavati e anche i suoi capelli così tinti di fiamma erano...sbiaditi?
Accidenti Ferrari, che hai? Ma è colpa di quella ninfomane con cui ti vedi? - scherzai per sdrammatizzare
Sorrise in modo strano – Yalena...- rispose, - credo sia solo un po' d'influenza - sul momento non capii se era un ammisssione o un pensiero sfuggitogli tra le labbra.
Scesi di sotto e dissi Tecla che Ian non stava bene e che quindi avremmo dovuto declinare l'invito domenicale, ma quest'ultima ci aveva adottato, quindi salì su con me per sincerarsi delle sue condizioni e poi andò a chiamare il medico e preparò qualcosa per entrambi – voi ragazzi lasciati a voi stessi mangiate solo schifezze – sentenziò.
Quella volta Ian si riprese, recuperò il colorito in qualche giorno e prese anche un po' di peso, Tecla ci aveva messo all'ingrasso, Ferrari, perchè si riprendesse, io come medicina preventiva.
Frattanto continuavo a vedermi con Carmen, e il calzino comparì con maggior frequenza sulla maniglia della porta della mia camera, ma a settembre lei dovette tornare a Pontevedra, quindi la sera prima della partenza mi fece il regalo della verginità del suo culo.
Vi dico solo che Ian ebbe a sfottermi per una settimana degli urli di lei, ed io non nascosi un certo orgoglio quando la guardai di spalle al chek-in dell'aeroporto di Atene-Ellinikon, allontanarsi con passo malfermo; Tecla volle conoscere tutti i particolari, visto che probabilmente avevo inquinato acusticamente la quiete del condominio, ma in questo mi venne in aiuto il mio amico che narrò per i presenti, gesta degne di Leonida alle Termopili coaudiuvato nella sua campagna militare da Rocco Siffredi.
Il mio amico irlandese usciva poco, era rimasto anche un po' indietro con il suo piano di studi e si era messo sotto.
Vivevamo poco distanti dal mare, gli scogli erano separati dalla strada da un muretto ed attraversata quella vi era una piccola tavola calda che ad ogni ora spandeva effluvi di polpo arrosto, poco lontano c'era un mercato rionale, nel quale amavo immergermi, per i nostri acquisti.
Un giorno, mentre ero fuori a fare la spesa nei pressi di casa, una ragazza mi salutò – kaliméra tu sei l'amico di Ian vero? - subito non la riconobbi, poi rividi nella memoria quel viso in quel locale in Kolonaki, - Yalena ? - azzardai per istinto .
Sorrise, ci sono tanti tipi di sorriso, quello solare, quello spensierato, quello sardonico, quello glaciale, e poi vi è quello di un predatore, qualcosa che ti paralizza, che ti fa gelare il sangue nelle vene, non vi è nulla di razionale in questo, ma succede.
- vedo che ti ha parlato di me – anche nel suo stentato inglese si percepii il suo compiacimento, - gli puoi dire che ho tanta voglia di vederlo? Parakaló – poi nel completare la frase mi sfiora una guancia, come affettuosamente, ed è allora che successe.
Di colpo non ero più li in mezzo al mercato rionale a qualche chilometro dal Pireo.Mi trovavo con lei in mezzo ad un prato, nudi entrambi, sdraiato a terra tra l'erba alta, mi sovrastava, bella come una dea.
I suoi capelli neri raccolti in una coda e i suoi capezzoli scuri, erano di un contrasto abbacinante con quella pelle così chiara.
Impalata sopra di me si muoveva sinuosa, mi resi conto di desiderarla in modo disumano, ossessivo, feroce, ma al contempo ne ero paralizzato, e là dove la nostra carne s'incontrava non percepivo quel calore familiare, ma più un abbraccio gelido.
A dire il vero mi sentii come se la mia anima fosse precipitata dentro l'acqua ghiacciata del mare invernale, stretto in un abbraccio mortale.
Lei mi guardava, non interrompeva il contatto con i miei occhi neppure per un attimo, mentre mi cavalcava selvaggia come una erinnni, alla fine venni con dolore, e sgomento.
Guardai di nuovo, come ridestato, ma lei non c'era più, abbassai lo sguardo e vidi sotto i bermuda la mia erezione smontarsi e una macchia di liquido seminale allargarsi nella stoffa della patta, provai a coprire goffamente con la sporta della spesa, ponendola davanti.
Corsi a casa, tremavo scosso dai brividi di freddo, ma era qualcos'altro, paura? No terrore … cazzo non aveva senso.
Entrai e trovo Ian che sta studiando sul terrazzo, fuori nel mare passavano gli aliscafi diretti al Pireo e qualche vecchio traghetto dismesso dalle linee italiane che faceva la spola tra le isole.
Posai la spesa e corsi a cambiarmi in camera mia, Ian mi chiamò, gli dissi che sto arrivando, non potei dirgli quello che mi era successo, come potevo spiegare a lui quello che non riusciva a trovare una collocazione razionale nella mia mente? Mi avrebbe preso per scemo, mi sciacquai la faccia in bagno con l'acqua fredda...acqua fredda, mai come quell'abbraccio … poi mi guardai allo specchio sperando di non apparire troppo fuori di testa e tornai di là.
Ferrari era ancora in cucina che stava riponendo la spesa a posto, - Grazie Marco, vedo che hai conosciuto Yalena – mentre mi parla mi mostra un foglio di carta, un biglietto che io non ho infilato dentro...lo aveva fatto lei quando... - stasera esco mi vedo con lei, era preoccupata che non mi ero più fatto vedere, eheheheh chi prova Ian non ne può più fare a meno – sentenzia ridacchiando compiaciuto.
Non dissi nulla, che avrei potuto dire?
La settimana successiva avevo uno stage di quindici giorni presso la Olympic Airlines, la compagnia aerea di bandiera, un progetto della mia facoltà, quindi non ci vedemmo quasi mai.
Era la parte conclusiva della mia esperienza, e circa un mese dopo sarei tornato in Italia.
Se devo essere sincero, temevo che lui portasse Yalena su in casa da noi, ma i miei timori erano infondati, ma lo scoprì solo dopo, l'ultimo giorno del progetto mi trovavo in un hangar dell'Ellinikon quando un addetto mi disse che mi cercavano al telefono.
Faceva ancora molto caldo, nonostante fosse quasi ottobre, era Asimakis: dovevo venire appena possibile a casa, non scese nei particolari, ma capì che era successo qualcosa di grave.
Tecla era salita su da noi per portarci qualcosa di preparato da lei, e avendo le chiavi era entrata, come era successo altre volte, nessun calzino sulle maniglie delle porte quindi non poteva fare grossi danni, chiamò per nome Ian, sapeva che io ero altrove, ma non rispondeva nessuno.
Lo aveva trovato nel suo letto, all'inizio credette che fosse rimasto nuovamente vittima di una sindrome influenzale, ma quando lo scosse per svegliarlo si rese presto conto che era morto.
Quando lo rividi per l'identificazione, era quasi irriconoscibile, praticamente la fotocopia peggiorata della prima volta.
Arrivò il fratello da Kilkenny per riportare la salma in patria, gli somigliava moltissimo tranne per l'altezza decisamente maggiore, io rimasi solo e in uno stato di prostrazione, Asimakis e Tecla mi furono assai vicini in quei giorni e cercarono di lasciarmi con i miei pensieri il meno possibile.
La verità è che non riuscivo a dormire bene, mi svegliavo coperto di sudore gelato e di soprassalto senza ricordare i miei incubi, una volta sola mi parve di intravedere il ricordo del viso di Yalena.
Una sera a cena, ero perso nei miei pensieri, non riuscivo a scacciare dalla testa quell'episodio al mercato e, datemi pure del pazzo, a credere che se Ian fosse morto era colpa mia perchè lo avevo lasciato solo.
Arimakis mi stava parlando, ma presto si rese conto che non lo ascoltavo, - Marco cosa c'è che ti turba? Quello che è successo fa parte dei casi della vita … - non lo lasciai finire.
Asimakis devo dirle una cosa, ma mi prenderà per pazzo -
L'anziano professore mi guardò studiandomi per un attimo – solitamente chi esordisce con questa frase non lo è quasi mai, lascia giudicare a me, symfonoúme -
Incoraggiato presi a raccontargli il primo incontro con Yalena nel locale in Kolonaki, e poi l'incontro al mercato, cosa che confesso, mi diede un immeso imbarazzo.
Tecla ascoltava silente mentre rassettava, ma fu arrivato a quel punto che la vidi farsi rapida il segno della croce, il vecchio professore all'inizio non disse nulla, poi si alzò dalla sedia ed andò alla sua libreria, a pensarci bene assai simile alla mia di oggi.
Passò in rassegna con lo sguardo assorto i volumi, inforcando e togliendo alcune volte gli occhiali da lettura, e poi ne trasse fuori uno: “Gli Dei e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita delle civiltà” di Károly Kerényi edizione del 1963, quella che sto tenedo in mano ora.
Giovane amico mio credo la troverai una lettura interessante, purtroppo non ho in libreia il libro di Jhon Keats che cercavo, ma non credo sarebbe molto utile – Prese una cartolina che aveva sul tavolino e la pose tra le pagine a mo di segnalibro porgendomelo – tienilo in ricordo del tuo viaggio qui e della nostra amicizia -
Superfluo dire che non lessi quel libro, non subito perlomeno, finii la mia relazione chiuso in casa, con Tecla che si era fatta carico di prepararmi personalmente da mangiare “perchè non avessi distrazioni”.
Qualche giorno più tardi fu la mia volta di partire e lasciare Atene, Asimakis e sua moglie mi accompagnarono al terminal traghetti al Pireo, dove era ormeggiato il mio per Brindisi, ma non potendo andare oltre il check-in ci salutammo ai cancelli, Tecla mi abbracciò stretto che credevo mi volesse stritolare, mi sistemò la giacca scusandosi e poi si accomiatò insieme al marito.
Mi avviai al punto d'imbarco, una mano mi toccò sulla spalla, pensai fossero i miei padroni di casa che volevano dirmi ancora qualcosa.
Mi girai per trovarmi di fronte Yalena, non so descrivere la paura irrazionale che mi pervase e nel contempo una sordida eccitazione-attrazione, di nuovo scivolai in quel sogno-non-sogno vissuto al mercato – te ne vai? Non puoi … -
Eravamo nudi questa volta su una spiaggia in riva al mare, lei mi stava ponendo entrambe le mani sulle scapole per forzarmi ad inginocchiarmi, con l'evidente intento di farsi leccare la fica.
Volevo farlo ardentemente e nel contempo ne ero atterrito, bramavo il sapore dei suoi succhi vaginali, l'eccitazione stava montando di pari passo ad un terrore paralizzante, se da una parte volevo darmi a lei con tutto me stesso, dall'altro mi sentivo stretto in un abbraccio gelato. Lei percorse un mio braccio abbassandosi verso il fianco, forse con l'intento di arrivare al mio cazzo....
Di colpo si ritrasse, eravamo di nuovo in mezzo a quel formicaio umano che si muoveva senza vederci, il suo era uno sguardo feroce, ferito, cattivo di rabbia.
Non so dove trovai la forza, il coraggio di ridestarmi da quella paralisi, di girarmi ed andare verso il banco della dogana per far ispezionare i bagagli, non mi voltai indietro.
Una poliziotta dai tratti maschili mi perquisì, dalla mia tasca estrasse una sacchetta, stavo per dire che non era mia, che non sapevo come fosse finita lì, poi l'aprì e si fece scivolare il contenuto in una mano: sale grosso e bacche di rosa canina.
La donna mi guardò con un mezzo sorriso - fysalída enántia sto kakó máti? (amuleto per il malocchio?) - non risposi, sorrisi imbarazzato.
Tecla aveva fatto scivolare il sacchetto nella mia giacca quando mi aveva abbracciato e forse, mi aveva salvato la vita.
Il libro l'ho letto...e non una volta sola, quel viso qualche notte, torna ancora a trovarmi.
scritto il
2019-04-05
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