Isabel, la malata di sesso - cap.2 (Simon)
di
FrancoT
genere
etero
A differenza di Raoul, Simon non mi aveva mai portata nel suo mondo domestico, nel suo ambiente. Ero stata nella sua sede, in pieno centro di Siviglia, dalla quale dirigeva sia il marketing che gli ordini dei suoi dodici negozi di intimo, più quattro in franchising che possedeva in tutta l’Andalusia.
Simon era più giovane di me di un paio di anni ma la differenza non si notava. Lo avevo conosciuto per lavoro ed avevo deciso quasi subito che avrebbe dovuto essere mio. Ormai era qualche anno che avevamo questo strano rapporto che mescolava lavoro e sesso. Certe volte litigavamo forte per quanto riguardava gli aspetti lavorativi. Ordini consegnati in ritardo, sconti pretesi e non concessi, rifiuto di aderire alle promozioni che la mia azienda imponeva a chi distribuiva il nostro prodotto. Ma i nostri litigi terminavano nel corso della giornata lavorativa.
Simon era un uomo piacente ed affascinante, ma non lo potrei definire bello. Aveva però un grande carisma. Spesso mi chiedevo chi glielo facesse fare di sposarsi visto che ero certa che fosse un traditore seriale. Ogni volta che scendevo a Siviglia finivamo per scopare e sono sicura che durante le mie assenze, che talvolta duravano mesi, non restasse certamente con le mani in mano. Una volta in città lo avevo incontrato a passeggio con la futura moglie. Ci eravamo fermati, avevamo fatto le presentazioni ufficiali e bevuto addirittura un caffè in un bar lungo il viale principale di Siviglia. Anna, la sua futura moglie, era davvero una ragazza bella e gradevole. Estremamente educata e gentile, aveva davvero poco in comune con Simon che per temperamento e carattere era davvero bisbetico. Amava il rischio, la velocità, i bolidi a motore e tutto ciò che possiamo definire adrenalinico. Quel giorno stesso in cui avevo fatto la conoscenza di Anna, aveva voluto che alla sera scopassimo nell’auto parcheggiata nel garage del condominio in cui viveva lei. Il rischio di essere scoperti aveva accresciuto l’eccitazione del momento. Non mi ero preoccupata della cosa anche perché non erano un mio problema le donne degli uomini con cui mi accoppiavo. Era un loro problema ed a me dei loro sentimenti e del fatto che venissero tradite a ripetizione non interessava nulla. La natura mi aveva concesso questa fortuna di essere piacente e desiderata dal mondo maschile ed io non avevo alcuna intenzione di pormi delle remore per limitarmi.
Quando sono scesa a Siviglia un mese fa, Simon è venuto a prendermi in aeroporto. Guidava il suo nuovo Suv, un Mercedes piuttosto grande e confortevole.
“Quando l’ho acquistato”, mi aveva detto mentre mi aveva fatta salire, dopo avermi baciata formalmente ma in modo piuttosto equivoco, senza preoccuparsi che qualcuno ci vedesse ed caricato la mia valigia “ho pensato a quante scopate ci avremmo fatto qui sopra”.
“Beh, è abbastanza grande e spazioso”, avevo ammesso.
Allora lui aveva allungato la sua mano destra e mentre usciva dal parcheggio l’aveva infilata sotto alla mia gonna.
“Vedo che sei già calda, possiamo parcheggiare e provarlo subito”.
“Scordatelo”, gli avevo detto togliendogli la mano dalle mie zone intime “Ho un appuntamento presto in città e non ci voglio arrivare stravolta da una scopata in macchina. Ci vediamo domani sera”.
“Perché non stasera?”.
“Perché stasera finisco tardi e poi devo lavorare in albergo”.
Mentivo, come ero brava a fare da un sacco di anni. Quella sera infatti mi sarei scopata Raoul in albergo, sulla scrivania della moglie ed avrei dedicato la sera successiva a Simon ed alla sua automobile nuova di zecca.
“Per me ti scopi qualcun altro”.
“Se anche fosse non credo che sarebbe un tuo problema. Non credo che nemmeno tu sia uno che sta con le mani in mano, giusto?”.
“Quando fai così la zoccola e mi fai ingelosire, mi fai impazzire ancora di più. Roba da parcheggiare la macchina a lato della strada e violentarti”.
“Continua a guidare e portami in albergo, altro che violentarmi!”.
Ne avevamo riso e poi mi aveva lasciata in albergo con l’accordo di vederci al pomeriggio del giorno successivo presso il suo ufficio. Quel pomeriggio avevo lavorato, poi mi ero dedicata a Raoul in albergo ed alla sera avevo veramente lavorato nella mia stanza.
Al pomeriggio del giorno successivo, mi ero recata nel suo ufficio, come da accordi.
Ci ero arrivata in taxi. Avevo indossato una gonna in suede piuttosto corta con dei lacci anteriori ed una dolcevita nera, dei collant color carne e delle scarpe sempre in suede dello stesso tono della gonna. Ero bella ed incredibilmente femminile e notai sia lo sguardo del taxista che quello del receptionist del palazzo in cui Simon aveva gli uffici.
Quando ero entrata Simon era venuto ad accogliermi come se non mi vedesse da mesi. Mi aveva squadrata da capo a piedi e dopo avermi stretto la mano, mentre ci scambiavamo due baci di cortesia, come fanno due amici, mi aveva sussurrato all’orecchio:”Sei una troia”. Io avevo sorriso. Conoscevo il personaggio e le sue uscite e sapevo a cosa alludeva. Poi avevo salutato una per una le cinque impiegate del suo ufficio. Era certa che egli si scopasse almeno due di queste, le più belle e formose sicuramente. Erano il suo tipo classico ed era uno a cui piaceva mescolare rischio e professione. Mi avevano guardata con uno sguardo in cui non mancavano la gelosia e l’invidia femminile, il che confermava la mia tesi.
Il suo ufficio era pieno di foto sue, dei suoi negozi e di lui e della fidanzata.
“Lavoriamo?”, avevo chiesto poggiando la borsa con il pc sulla sedia davanti alla sua scrivania.
“Non sarebbe meglio prima prendere l’auto ed andare da qualche parte a bere un caffè?”.
“Non credo proprio. Sono venuta per lavorare. Prima. Poi per divertirci”.
“Tu vuoi farmi morire”, mi aveva risposto.
“Perderei un cliente ed anche un amante. Farti morire non rientra nei miei programmi perché è una pessima idea”, avevo concluso. Poi avevo accavallato le gambe come sapevo ben fare, aperto il pc e cominciato a lavorare.
Avevamo lavorato tre ore ed il suo testosterone era sempre stato alle stelle. In un paio di occasioni avevamo litigato ed in un altro paio avevo dovuto dirgli che la pausa caffè l’avremmo presa alla fine del lavoro.
Quando il lavoro era quasi completato, gli avevo chiesto:”Vuoi che andiamo a prenderci un caffè o un aperitivo con sorpresa?”.
Lui aveva accettato subito. Ma quella domanda spostava la decisione su di lui ed egli ne era consapevole. Aveva infilato una mano da dietro sotto la mia gonna ancora mentre eravamo in ascensore. Davanti a me c’era una donna che non vedeva cosa accadeva dietro a sé ed io non potevo fare nulla. Lo avevo lasciato palpeggiarmi il culo ed infilare la mano da dietro tra le mie gambe per quei cinque piani. Quando eravamo giunti nei garage, eravamo usciti dall’ascensore come se niente fosse e ci eravamo diretti al suo Suv nero, con i vetri scuri.
“Se non volessi gustarmi un bel panorama mentre mi succhi il cazzo, ti violenterei direttamente qui in garage”, mi aveva detto mentre metteva in moto il bolide.
“Dipende se te lo lascerei fare”.
Simon era così. A lui piaceva quel machismo imperante. Non avrebbe mai usato violenza su di me e su nessuna donna, ma gli piaceva dimostrare di detenere lo scettro del potere. Non sapeva minimamente che non deteneva, almeno con me, alcun potere ma a me piaceva fargli pensare che lui su di me potesse tutto. Così quando eravamo giunti in collina, poco fuori città, eravamo saliti sui sedili posteriori del Suv che, effettivamente, erano spaziosissimi. Ci eravamo baciati e lui mi aveva sfilato la gonna, poi io avevo preso il sopravvento e gli avevo aperto i pantaloni ed abbassato i boxer blu.
“Avevo davvero voglia di succhiarti il cazzo”, gli avevo detto prima di abbassarmi su di lui e prendere in bocca il suo membro già eretto.
A Simon questi approcci volgari piacevano. Gli piaceva pensare che stavamo facendo quello che lui aveva pianificato di fare. Non capiva che stavamo facendo quello solo perché a me andava di farlo. Guardava il panorama davanti a se mentre io mi dedicavo a gestire a sua erezione. Quando aveva infilato la mano dentro al mio collant e si era accorto che sotto ad esso non indossavo l’intimo, mi aveva detto:”Sei davvero una troia. Sei stata tutto il tempo in ufficio da me senza mutande sotto?”.
“Mmh, mmh”, avevo asserito senza smettere di succhiarlo.
Da dietro era arrivato alla mia fica ed io mi ero leggermente spostata sul sedile per agevolarlo nel raggiungere la mia zona del piacere. Avevo sentito le sue dita insinuarsi dentro ed attorno al mio sesso, carezzandomi con dolcezza ma anche con autorità. Con le dita era bravo ma lo era meglio a scopare.
“Sei già tutta bagnata”.
“Per forza”, gli avevo risposto staccandomi per un attimo dal suo apparato riproduttore e mettendomi a sedere di fatto sopra alla sua mano destra.
“Adesso non vedo l’ora di cavalcarti su questa nuova macchina fantastica”.
“Strappati il collant dai, sai che amo quando lo fai”.
Lui allora aveva tolto la mano da dietro ed io avevo aperto le cosce a beneficio della sua vista, poi avevo preso il collant con le unghie e tirandolo lo avevo lacerato mettendo in mostra la mia passera.
“Amo il tuo pelo. Lo sai vero Elisabeth?”.
“Io amo invece quando ti cavalco e quando mi chiami Elisabeth”.
A quel punto ero salita a cavalcioni su di lui e mi ero fatta impalare. Quella posizione era il suo cavallo di battaglia. Sapeva muoversi e sapeva spingersi dentro di me nel modo giusto, con un ritmo ed una frequenza che mi portavano alle stelle. Amavo alzarmi ed abbassarmi su di lui sentendo il suo cazzo che mi riempiva tutta.
Penso che saremo andati avanti quasi per mezz’ora. Nel frattempo i nostri telefoni erano suonati ripetutamente ma nessuno di noi ci aveva badato. Io avevo goduto almeno due volte, poi le sue spinte si erano fatte più vigorose ed avevo capito che anche per lui era giunto il momento topico.
Allora lo avevo guardato negli occhi e gli avevo chiesto:”Vuoi che ti faccia godere? Stai per riempirmi del tuo sperma, vero? Fallo, dai, riempimi”.
Erano bastati pochi colpi di reni perché Simon eiaculasse copiosamente dentro al mio corpo.
Vista la quantità doveva essere passato un po’ di tempo dal suo ultimo orgasmo. Ci erano voluti due fazzoletti per ripulirmi completamente.
“Cazzo che scopata fantastica!”, aveva detto mentre si sistemava i pantaloni.
“Sono d’accordo”.
“Ci rivediamo domani?”.
“No, domani non posso”.
Era vero. Non avevo impegni e non volevo vedere Raoul. Volevo solo prendermi del tempo per me stessa. Pensavo ad una routine di bellezza. Massaggi, trattamenti vari, una sistemata ai capelli.
“Quando riparti?”.
“Venerdì. Più o meno a questo orario”.
Forse giovedì avrei rivisto Raoul, ma la cosa non era certa.
“Ci rivediamo?”.
“Se mi accompagni in aeroporto, magari ci possiamo fermare nel parcheggio prima che prenda il volo”, gli avevo risposto.
Lui aveva sorriso. Poi era andata veramente così. Ci eravamo dati appuntamento in una zona del centro ed io mi ero fatta trovare con la valigia che lui aveva buttato nel baule.
“Sei sempre bellissima”, mi aveva detto baciandomi in mezzo alla strada, incurante del fatto che qualcuno lo vedesse. Poi mi aveva fatta salire sul suo Suv, direttamente dietro, come se lui fosse un tassista.
“Così sembra un taxi”.
“Proprio quello che voglio”, mi aveva risposto.
Avevamo percorso quei quindici chilometri fino all’aeroporto ridendo e scherzando.
“Hai le mutande oggi?”.
“Secondo te?”.
“Sei davvero porca. Secondo me non le hai”,
“Prova a capirlo”, gli avevo risposto. Poi avevo cominciato ad accavallare e scavallare le gambe. Simon aveva orientato lo specchietto retrovisore verso il basso e lo vedevo mentre i suoi occhi cercavano di capire cosa accadesse tra le mie cosce. Indossavo un vestito nero con dei piccoli fiorellini bianchi, estremamente leggero con la gonna svolazzante piuttosto corta e sotto ad essa avevo solo le autoreggenti nere, senza nient’altro, nemmeno il reggiseno. Avevo capito che si stava eccitando parecchio, allora sollevai le braccia e mi sistemai i capelli in una coda di cavallo veloce.
“Cazzo, non hai nemmeno il reggiseno!”, mi aveva detto accorgendosi dei miei capezzoli che sembravano perforare il tessuto leggero del vestito.
“Te ne sei accorto?”.
“Se non hai il reggiseno, non hai nemmeno le mutande. Fammi vedere, dai….”.
Mi conosceva davvero bene Simon. Io e lui eravamo davvero molto simili. Entrambi cercavamo il piacere e non ci interessava nulla degli altri o dei sentimenti altrui. Poco prima di giungere all’aeroporto avevo aperto le cosce e sollevato il vestito, per fargli vedere che aveva ragione.
“Ti sei scopata qualcun altro oggi o lo hai fatto solo per me?”.
“Tu sei il terzo della giornata. Al primo ho regalato il reggiseno, al secondo le mutande!”.
Simon aveva riso. Capiva quando scherzavo anche se quel giorno, al ristorante, avevo rischiato di corteggiare pesantemente il cameriere che avrei volentieri portato nella mia stanza. Poi avevo resistito perché avevo un appuntamento di lavoro, ma ci sarei stata volentieri.
Quando però ci eravamo accoppiati nel Suv, in fondo al parcheggio dell’aeroporto, quel cameriere mi era tornato in mente. Simon ce l’aveva messa tutta e mi aveva fatta godere in ognuna delle posizioni che avevamo assunto. Per ultimo mi aveva scopata facendomi mettere in ginocchio sul sedile posteriore. Lui si era posizionato dietro di me e mi aveva pompata con foga e veemenza finché non avevamo goduto insieme. Da dietro mi aveva preso le tette tra le mani, strizzandomi i capezzoli.
“Quando ci rivedremo la prossima volta, tu sarai un uomo sposato ed avrai la fede al dito”, gli avevo detto salutandolo “Avrai giurato fedeltà alla tua donna. Non ci potremo più vedere”.
“La fedeltà è fedeltà a seconda del punto da cui la si guarda”, mi aveva risposto.
Quando mi ero seduta al mio posto in business class, ero sola.
Sapevo di sesso e il non aver avuto seduto vicino a me delle persone era stata una fortuna.
Non mi piaceva che gli altri capissero che ero appena stata scopata.
Lo avrei rivisto sicuramente e la cosa mi rendeva comunque contenta. Simon, come molti altri uomini, sapeva farmi sentire desiderata.
Quella sera però pensai a quel cameriere. Mi aveva squadrata da capo a piedi ed i suoi occhi si erano insinuati tra le forme del mio corpo. Avevo sentito crescere l’eccitazione dentro di me ed avevo capito che lui sarebbe stato uno degli uomini della mia vita. Avevo capito che mi voleva, questo era certo. Era solo mancato il tempo, ma ero certa che al mio prossimo viaggio a Siviglia avrei trovato il tempo da dedicare a quel ragazzo.
Simon era più giovane di me di un paio di anni ma la differenza non si notava. Lo avevo conosciuto per lavoro ed avevo deciso quasi subito che avrebbe dovuto essere mio. Ormai era qualche anno che avevamo questo strano rapporto che mescolava lavoro e sesso. Certe volte litigavamo forte per quanto riguardava gli aspetti lavorativi. Ordini consegnati in ritardo, sconti pretesi e non concessi, rifiuto di aderire alle promozioni che la mia azienda imponeva a chi distribuiva il nostro prodotto. Ma i nostri litigi terminavano nel corso della giornata lavorativa.
Simon era un uomo piacente ed affascinante, ma non lo potrei definire bello. Aveva però un grande carisma. Spesso mi chiedevo chi glielo facesse fare di sposarsi visto che ero certa che fosse un traditore seriale. Ogni volta che scendevo a Siviglia finivamo per scopare e sono sicura che durante le mie assenze, che talvolta duravano mesi, non restasse certamente con le mani in mano. Una volta in città lo avevo incontrato a passeggio con la futura moglie. Ci eravamo fermati, avevamo fatto le presentazioni ufficiali e bevuto addirittura un caffè in un bar lungo il viale principale di Siviglia. Anna, la sua futura moglie, era davvero una ragazza bella e gradevole. Estremamente educata e gentile, aveva davvero poco in comune con Simon che per temperamento e carattere era davvero bisbetico. Amava il rischio, la velocità, i bolidi a motore e tutto ciò che possiamo definire adrenalinico. Quel giorno stesso in cui avevo fatto la conoscenza di Anna, aveva voluto che alla sera scopassimo nell’auto parcheggiata nel garage del condominio in cui viveva lei. Il rischio di essere scoperti aveva accresciuto l’eccitazione del momento. Non mi ero preoccupata della cosa anche perché non erano un mio problema le donne degli uomini con cui mi accoppiavo. Era un loro problema ed a me dei loro sentimenti e del fatto che venissero tradite a ripetizione non interessava nulla. La natura mi aveva concesso questa fortuna di essere piacente e desiderata dal mondo maschile ed io non avevo alcuna intenzione di pormi delle remore per limitarmi.
Quando sono scesa a Siviglia un mese fa, Simon è venuto a prendermi in aeroporto. Guidava il suo nuovo Suv, un Mercedes piuttosto grande e confortevole.
“Quando l’ho acquistato”, mi aveva detto mentre mi aveva fatta salire, dopo avermi baciata formalmente ma in modo piuttosto equivoco, senza preoccuparsi che qualcuno ci vedesse ed caricato la mia valigia “ho pensato a quante scopate ci avremmo fatto qui sopra”.
“Beh, è abbastanza grande e spazioso”, avevo ammesso.
Allora lui aveva allungato la sua mano destra e mentre usciva dal parcheggio l’aveva infilata sotto alla mia gonna.
“Vedo che sei già calda, possiamo parcheggiare e provarlo subito”.
“Scordatelo”, gli avevo detto togliendogli la mano dalle mie zone intime “Ho un appuntamento presto in città e non ci voglio arrivare stravolta da una scopata in macchina. Ci vediamo domani sera”.
“Perché non stasera?”.
“Perché stasera finisco tardi e poi devo lavorare in albergo”.
Mentivo, come ero brava a fare da un sacco di anni. Quella sera infatti mi sarei scopata Raoul in albergo, sulla scrivania della moglie ed avrei dedicato la sera successiva a Simon ed alla sua automobile nuova di zecca.
“Per me ti scopi qualcun altro”.
“Se anche fosse non credo che sarebbe un tuo problema. Non credo che nemmeno tu sia uno che sta con le mani in mano, giusto?”.
“Quando fai così la zoccola e mi fai ingelosire, mi fai impazzire ancora di più. Roba da parcheggiare la macchina a lato della strada e violentarti”.
“Continua a guidare e portami in albergo, altro che violentarmi!”.
Ne avevamo riso e poi mi aveva lasciata in albergo con l’accordo di vederci al pomeriggio del giorno successivo presso il suo ufficio. Quel pomeriggio avevo lavorato, poi mi ero dedicata a Raoul in albergo ed alla sera avevo veramente lavorato nella mia stanza.
Al pomeriggio del giorno successivo, mi ero recata nel suo ufficio, come da accordi.
Ci ero arrivata in taxi. Avevo indossato una gonna in suede piuttosto corta con dei lacci anteriori ed una dolcevita nera, dei collant color carne e delle scarpe sempre in suede dello stesso tono della gonna. Ero bella ed incredibilmente femminile e notai sia lo sguardo del taxista che quello del receptionist del palazzo in cui Simon aveva gli uffici.
Quando ero entrata Simon era venuto ad accogliermi come se non mi vedesse da mesi. Mi aveva squadrata da capo a piedi e dopo avermi stretto la mano, mentre ci scambiavamo due baci di cortesia, come fanno due amici, mi aveva sussurrato all’orecchio:”Sei una troia”. Io avevo sorriso. Conoscevo il personaggio e le sue uscite e sapevo a cosa alludeva. Poi avevo salutato una per una le cinque impiegate del suo ufficio. Era certa che egli si scopasse almeno due di queste, le più belle e formose sicuramente. Erano il suo tipo classico ed era uno a cui piaceva mescolare rischio e professione. Mi avevano guardata con uno sguardo in cui non mancavano la gelosia e l’invidia femminile, il che confermava la mia tesi.
Il suo ufficio era pieno di foto sue, dei suoi negozi e di lui e della fidanzata.
“Lavoriamo?”, avevo chiesto poggiando la borsa con il pc sulla sedia davanti alla sua scrivania.
“Non sarebbe meglio prima prendere l’auto ed andare da qualche parte a bere un caffè?”.
“Non credo proprio. Sono venuta per lavorare. Prima. Poi per divertirci”.
“Tu vuoi farmi morire”, mi aveva risposto.
“Perderei un cliente ed anche un amante. Farti morire non rientra nei miei programmi perché è una pessima idea”, avevo concluso. Poi avevo accavallato le gambe come sapevo ben fare, aperto il pc e cominciato a lavorare.
Avevamo lavorato tre ore ed il suo testosterone era sempre stato alle stelle. In un paio di occasioni avevamo litigato ed in un altro paio avevo dovuto dirgli che la pausa caffè l’avremmo presa alla fine del lavoro.
Quando il lavoro era quasi completato, gli avevo chiesto:”Vuoi che andiamo a prenderci un caffè o un aperitivo con sorpresa?”.
Lui aveva accettato subito. Ma quella domanda spostava la decisione su di lui ed egli ne era consapevole. Aveva infilato una mano da dietro sotto la mia gonna ancora mentre eravamo in ascensore. Davanti a me c’era una donna che non vedeva cosa accadeva dietro a sé ed io non potevo fare nulla. Lo avevo lasciato palpeggiarmi il culo ed infilare la mano da dietro tra le mie gambe per quei cinque piani. Quando eravamo giunti nei garage, eravamo usciti dall’ascensore come se niente fosse e ci eravamo diretti al suo Suv nero, con i vetri scuri.
“Se non volessi gustarmi un bel panorama mentre mi succhi il cazzo, ti violenterei direttamente qui in garage”, mi aveva detto mentre metteva in moto il bolide.
“Dipende se te lo lascerei fare”.
Simon era così. A lui piaceva quel machismo imperante. Non avrebbe mai usato violenza su di me e su nessuna donna, ma gli piaceva dimostrare di detenere lo scettro del potere. Non sapeva minimamente che non deteneva, almeno con me, alcun potere ma a me piaceva fargli pensare che lui su di me potesse tutto. Così quando eravamo giunti in collina, poco fuori città, eravamo saliti sui sedili posteriori del Suv che, effettivamente, erano spaziosissimi. Ci eravamo baciati e lui mi aveva sfilato la gonna, poi io avevo preso il sopravvento e gli avevo aperto i pantaloni ed abbassato i boxer blu.
“Avevo davvero voglia di succhiarti il cazzo”, gli avevo detto prima di abbassarmi su di lui e prendere in bocca il suo membro già eretto.
A Simon questi approcci volgari piacevano. Gli piaceva pensare che stavamo facendo quello che lui aveva pianificato di fare. Non capiva che stavamo facendo quello solo perché a me andava di farlo. Guardava il panorama davanti a se mentre io mi dedicavo a gestire a sua erezione. Quando aveva infilato la mano dentro al mio collant e si era accorto che sotto ad esso non indossavo l’intimo, mi aveva detto:”Sei davvero una troia. Sei stata tutto il tempo in ufficio da me senza mutande sotto?”.
“Mmh, mmh”, avevo asserito senza smettere di succhiarlo.
Da dietro era arrivato alla mia fica ed io mi ero leggermente spostata sul sedile per agevolarlo nel raggiungere la mia zona del piacere. Avevo sentito le sue dita insinuarsi dentro ed attorno al mio sesso, carezzandomi con dolcezza ma anche con autorità. Con le dita era bravo ma lo era meglio a scopare.
“Sei già tutta bagnata”.
“Per forza”, gli avevo risposto staccandomi per un attimo dal suo apparato riproduttore e mettendomi a sedere di fatto sopra alla sua mano destra.
“Adesso non vedo l’ora di cavalcarti su questa nuova macchina fantastica”.
“Strappati il collant dai, sai che amo quando lo fai”.
Lui allora aveva tolto la mano da dietro ed io avevo aperto le cosce a beneficio della sua vista, poi avevo preso il collant con le unghie e tirandolo lo avevo lacerato mettendo in mostra la mia passera.
“Amo il tuo pelo. Lo sai vero Elisabeth?”.
“Io amo invece quando ti cavalco e quando mi chiami Elisabeth”.
A quel punto ero salita a cavalcioni su di lui e mi ero fatta impalare. Quella posizione era il suo cavallo di battaglia. Sapeva muoversi e sapeva spingersi dentro di me nel modo giusto, con un ritmo ed una frequenza che mi portavano alle stelle. Amavo alzarmi ed abbassarmi su di lui sentendo il suo cazzo che mi riempiva tutta.
Penso che saremo andati avanti quasi per mezz’ora. Nel frattempo i nostri telefoni erano suonati ripetutamente ma nessuno di noi ci aveva badato. Io avevo goduto almeno due volte, poi le sue spinte si erano fatte più vigorose ed avevo capito che anche per lui era giunto il momento topico.
Allora lo avevo guardato negli occhi e gli avevo chiesto:”Vuoi che ti faccia godere? Stai per riempirmi del tuo sperma, vero? Fallo, dai, riempimi”.
Erano bastati pochi colpi di reni perché Simon eiaculasse copiosamente dentro al mio corpo.
Vista la quantità doveva essere passato un po’ di tempo dal suo ultimo orgasmo. Ci erano voluti due fazzoletti per ripulirmi completamente.
“Cazzo che scopata fantastica!”, aveva detto mentre si sistemava i pantaloni.
“Sono d’accordo”.
“Ci rivediamo domani?”.
“No, domani non posso”.
Era vero. Non avevo impegni e non volevo vedere Raoul. Volevo solo prendermi del tempo per me stessa. Pensavo ad una routine di bellezza. Massaggi, trattamenti vari, una sistemata ai capelli.
“Quando riparti?”.
“Venerdì. Più o meno a questo orario”.
Forse giovedì avrei rivisto Raoul, ma la cosa non era certa.
“Ci rivediamo?”.
“Se mi accompagni in aeroporto, magari ci possiamo fermare nel parcheggio prima che prenda il volo”, gli avevo risposto.
Lui aveva sorriso. Poi era andata veramente così. Ci eravamo dati appuntamento in una zona del centro ed io mi ero fatta trovare con la valigia che lui aveva buttato nel baule.
“Sei sempre bellissima”, mi aveva detto baciandomi in mezzo alla strada, incurante del fatto che qualcuno lo vedesse. Poi mi aveva fatta salire sul suo Suv, direttamente dietro, come se lui fosse un tassista.
“Così sembra un taxi”.
“Proprio quello che voglio”, mi aveva risposto.
Avevamo percorso quei quindici chilometri fino all’aeroporto ridendo e scherzando.
“Hai le mutande oggi?”.
“Secondo te?”.
“Sei davvero porca. Secondo me non le hai”,
“Prova a capirlo”, gli avevo risposto. Poi avevo cominciato ad accavallare e scavallare le gambe. Simon aveva orientato lo specchietto retrovisore verso il basso e lo vedevo mentre i suoi occhi cercavano di capire cosa accadesse tra le mie cosce. Indossavo un vestito nero con dei piccoli fiorellini bianchi, estremamente leggero con la gonna svolazzante piuttosto corta e sotto ad essa avevo solo le autoreggenti nere, senza nient’altro, nemmeno il reggiseno. Avevo capito che si stava eccitando parecchio, allora sollevai le braccia e mi sistemai i capelli in una coda di cavallo veloce.
“Cazzo, non hai nemmeno il reggiseno!”, mi aveva detto accorgendosi dei miei capezzoli che sembravano perforare il tessuto leggero del vestito.
“Te ne sei accorto?”.
“Se non hai il reggiseno, non hai nemmeno le mutande. Fammi vedere, dai….”.
Mi conosceva davvero bene Simon. Io e lui eravamo davvero molto simili. Entrambi cercavamo il piacere e non ci interessava nulla degli altri o dei sentimenti altrui. Poco prima di giungere all’aeroporto avevo aperto le cosce e sollevato il vestito, per fargli vedere che aveva ragione.
“Ti sei scopata qualcun altro oggi o lo hai fatto solo per me?”.
“Tu sei il terzo della giornata. Al primo ho regalato il reggiseno, al secondo le mutande!”.
Simon aveva riso. Capiva quando scherzavo anche se quel giorno, al ristorante, avevo rischiato di corteggiare pesantemente il cameriere che avrei volentieri portato nella mia stanza. Poi avevo resistito perché avevo un appuntamento di lavoro, ma ci sarei stata volentieri.
Quando però ci eravamo accoppiati nel Suv, in fondo al parcheggio dell’aeroporto, quel cameriere mi era tornato in mente. Simon ce l’aveva messa tutta e mi aveva fatta godere in ognuna delle posizioni che avevamo assunto. Per ultimo mi aveva scopata facendomi mettere in ginocchio sul sedile posteriore. Lui si era posizionato dietro di me e mi aveva pompata con foga e veemenza finché non avevamo goduto insieme. Da dietro mi aveva preso le tette tra le mani, strizzandomi i capezzoli.
“Quando ci rivedremo la prossima volta, tu sarai un uomo sposato ed avrai la fede al dito”, gli avevo detto salutandolo “Avrai giurato fedeltà alla tua donna. Non ci potremo più vedere”.
“La fedeltà è fedeltà a seconda del punto da cui la si guarda”, mi aveva risposto.
Quando mi ero seduta al mio posto in business class, ero sola.
Sapevo di sesso e il non aver avuto seduto vicino a me delle persone era stata una fortuna.
Non mi piaceva che gli altri capissero che ero appena stata scopata.
Lo avrei rivisto sicuramente e la cosa mi rendeva comunque contenta. Simon, come molti altri uomini, sapeva farmi sentire desiderata.
Quella sera però pensai a quel cameriere. Mi aveva squadrata da capo a piedi ed i suoi occhi si erano insinuati tra le forme del mio corpo. Avevo sentito crescere l’eccitazione dentro di me ed avevo capito che lui sarebbe stato uno degli uomini della mia vita. Avevo capito che mi voleva, questo era certo. Era solo mancato il tempo, ma ero certa che al mio prossimo viaggio a Siviglia avrei trovato il tempo da dedicare a quel ragazzo.
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