Aragoste
di
Briciola 86
genere
zoofilia
ARAGOSTE
Amanda viveva in un piccolo paesino di fronte al mare, nella amava due cose il mare e il sesso, il primo era facile appagarlo, viveva in quel posto fantastico, ma il secondo era un po' più difficile per lo stesso motivo. La sua vita scorreva serena, con passeggiate in riva al mare, tramonti colorati, e pesce freschissimo che si dilettava a cucinare con amore ed accuratezza.
Un giorno Roberto, rappresentante porta a porta, bussò alla sua, fu un colpo di fulmine! Lei più che piacente, 25 anni, fresca fresca d’università e d’una grazia tutta sua. Non di margheritina appena schiusa, per intenderci, piuttosto d’ibrido tra una bianca camelia e una pianta carnivora dal profumo inebriante. Carnagione chiarissima, lunghi capelli biondi e ondulati, labbra polpose, grandi occhi verde alga. Lui un uomo solido, robusto, il viso squadrato, lo sguardo severo, quasi arrogante. Ma quelle pieghe sensuali agli angoli della bocca, le mani tozze e forti, da marinaio, non sfuggirono alla signorina Amanda.
La sera stessa lo invitò a cena, mangiarono aragoste, bevvero vino bianco frizzante e la stessa notte scoparono come due murene in calore.
Roberto non ‘s’era sbagliato, quella splendida carne chiara sapeva fremere come un anemone, agitarsi lenta e sensuale più d’una medusa, incollarsi come una stella marina sulla preda e risucchiare ogni goccia di linfa vitale. Al pari di un’ostrica perlifera s’apriva con difficoltà, ma era poi capace d’abbandonarsi come un campo d’alghe alle correnti, spumeggiare più di un’onda ed infine brillare tale a una scogliera corallina di riflessi turchesi e paillette di sole.
Lui sapeva accarezzare e mordere. La mordicchiava dietro all’orecchio e nello stesso tempo l’inchiodava come il Cristo in croce. E come il Cristo in croce lei, più soffriva dei mali terreni più esultava delle gioie dei cieli!
Amanda aveva preparato quella cena con tanto amore, aveva scelto le aragoste, perché dicevano fossero afrodisiache, e lei voleva spezzare quella barriera che si portava addosso da sempre, voleva godere di quel sesso visto sul web o letto sui libri, e sentirsi pienamente soddisfatta e riempita da un uomo e non soltanto dalle sue dita.
Quando Roberto arrivò tutto era pronto, il vino in frigo, la pasta in pentola e l’aragosta che riempiva la cucina e tutta la casa con il suo profumo dolciastro che inebriava i sensi già eccitati e in attesa di Amanda.
Cenarono scopandosi occhi negli occhi, ogni boccone era un passo in più verso quell'eccitazione che li divorava, Amanda aveva la fica in un lago di umori e faceva un enorme sforzo per non saltargli addosso, e succhiargli il cazzo con ancora le linguine in bocca, si impose di resistere fino alla fine della cena che Roberto sembrava gradire, quando mise in tavola l’aragosta, l’eccitazione e il desiderio si potevano tagliare con il coltello, gustarono senza staccarsi gli occhi di dosso, le teneri carni rosee del crostaceo, poi passarono alle zampe che Amanda succhiava pensando di avere tra le labbra il cazzo di Roberto, che cercava di contenersi, ma era sempre più palese che ormai era al limite, gli occhi su quelle labbra che succhiavano con sensualità furono la classica goccia che…
Non riuscendo più a resistere si alzò e abbassando la cerniera piazzò il suo cazzo ormai violaceo per la lunga attesa accanto al viso di Amanda, che non si lasciò sfuggire l’occasione, abbandonò la zampetta ormai svuotata del suo succo, per riempirsi la bocca di quello che le veniva offerto e che aspettava da tutta la serata, anzi, da tutta la vita. Le mani di Roberto guidavano la testa di Amanda nei movimenti e nel ritmo, e quando questo fu sincronizzato con la sua eccitazione, si dedicò al bianco seno che faceva capolino dalla generosa scollatura del vestito, spostando le spalline verso l’esterno il vestito lasciò libero il seno sodo di cui si riempi le mani, pizzicando i capezzoli già ritti e spavaldi, mentre lei si godeva il suo cazzo che le scivolava in gola senza nessuno sforzo, con un grande sforzo di volontà lasciò la calda stretta delle sue labbra, per farla alzare e mentre la baciava giocando con quella lingua dal sapore di cazzo e di aragosta, le sfilò il vestito, accorgendosi che sotto non portava niente e che un rivolo di umori colava lungo l’interno delle sue cosce, non riuscì a fare altro che sollevarla da sotto le ascelle e poggiarla sul tavolo tra resti di crostacei e piatti.
Aveva gustato le teneri carni preparate da Amanda, adesso voleva gustare le teneri carni di Amanda, si tuffò tra quelle bianchissime cosce, con la lingua segui il rivolo che le bagnava le cosce e lentamente risalì verso la sorgente da cui era scaturito, una fica delicata e morbida accolse la sua lingua, le tenere labbra rosee segnavano l’ingresso di quella polla di desiderio che si apprestava a scoprire, spinse la lingua fra quelle sensuali labbra, spostandole lateralmente per mettere allo scoperto quel delicato bocciolo che proteggevano, sfiorandolo con la punta e leccandolo a piena lingua ne assaporò l’acidulo sapore, per poi spingersi ancora più in profondità dentro di lei, saziandosi di tutti quei succhi che lei produceva e di cui non si lasciva sfuggire neanche una goccia.
Amanda era in estasi, le sembrava di trovarsi in alto mere sballottata tra le onde di un oceano in tempesta, ondate di piacere si infrangevano nella sua fica, procurandole brividi e sensazioni cosi forti che le sembrava di svenire, e quasi le successe quando la lingua fu sostituita dal cazzo rovente di Lui, che la riempiva totalmente, non senti nessun dolore quando le delicata membrana che segnava la sua verginità andò in frantumi, il piacere di quella carne nella carne superava qualsiasi dolore. Roberto vide il rosso del suo sangue mescolato ad umori colorare il suo cazzo, e realizzando il motivo accelerò i suoi movimenti, che divennero convulsi e scomposti, fino ad un’ultima profonda spinta, che fu l’inizio del suo orgasmo, scaricò tutto il suo sperma dentro di lei, sentendola tremare e godere per alcuni lunghi e intensi minuti.
Roberto esausto scivolò fuori dalla fica di Amanda i si sedette sulla sedia, guardando il suo sperma misto ad umori e sangue virginale fuoriuscire da quella bocca verticale che lo incantava come le sirene attirano i marinai, avvicinò la sedia a cominciò a leccare tutto quello che aveva davanti, umori, sperma, sangue, carne, pelle, fica. Amanda ancora semi svenuta sul tavolo in cui aveva cenato, con le gambe larghe e la sua testa fra di esse, percepiva come in un sogno quella calda lingua che la esplorava, gemendo ritornò alla realtà, non potendo fare altro che avere un altro orgasmo sotto quella lingua che inesorabilmente le fustigava la fica, Roberto saziò della cena e della bevuta, allontanò il viso da quel paradiso, il loro occhi si incrociarono e ognuno lesse negli dell’altro la goduria, la sensualità e la fame che avevano.
Amanda approfittò di quel momento, per scendere dal tavolo ed inginocchiarsi tra le gambe semiaperte di lui, dove il suo cazzo intriso di liquidi stava semi rigido in attesa, per ringraziarlo del piacere che gli aveva dato e per prendersi il suo di piacere, prese il cazzo tra le mani e con la lingua iniziò un’opera di pulizia dettagliata e minuziosa, leccò le palle, ingoiandole una alla volta a girandosele dentro la bocca, leccò tutta la lunghezza di quel cazzo che lentamente riprendeva vigore e consistenza, lo infilò per intero in bocca con la cappella che le solleticava le tonsille, per poi indietreggiare e leccare il prepuzio con la lingua, girarci intorno e picchettare l’apertura in punta dove gocce di desiderio si ingrossavano luccicanti.
Quel giochino di lingua ebbe il risultato voluto, il cazzo di Roberto era di nuovo pronto per un secondo assalto, quando Amanda si diresse verso la finestra della stanza, poggiò i gomiti sul davanzale piegandosi ed offrendo il culo, Roberto non si fece pregare, si inginocchiò dietro di lei e leccò inumidendo quell'ingresso con gli umori che continuavano a colare dalla sua fica e la sua saliva, spingeva la lingua tra quelle chiappe bianche e morbide, cercando di entrare nel suo ano grinzoso, lecco la corolla esterna e penetrò dentro di esso con la punta della lingua, che sostituì subito dopo con il dito indice, poi aggiunse anche il medio, abituando quel muscolo all'invasione di qualcosa di più grosso e consistente, poi appoggiò la cappella all'ingresso di quel delizioso culo, e spinse con decisione. Entrò per metà dentro di lei, fermandosi temendo di averle fatto male, ma lei con voce rauca lo esortò a spingere ancora, voleva sentirlo tutto, voleva che il respiro le si fermasse in gola, voleva… godere all'infinito.
Un’altra spinta e le palle toccarono le sue natiche, era tutto dentro di lei, sentiva i muscoli dello sfintere stringergli il cazzo, sentiva i muscoli di Amanda tremare, il respiro fermarsi, cominciò a muoversi avanti e indietro con sempre più facilità, Amanda godeva senza sosta, gli orgasmi si susseguivano uno dopo l’altro, Roberto entrava fino in fondo in quel culo accogliente, seguendo l’incitamento di Amanda accelerava il ritmo sempre di più, sentiva il cuore scoppiargli nel petto e il cazzo scoppiargli in quel culo, affondava in quel buco liquido ormai come burro fuso, i suoi movimenti diventarono scomposti, e… come una balena abbandona il balenottero svezzato in pieno oceano, lanciò un urlo più disperato del solito e restò, rigido, pietrificato da un infarto!
Bocca e occhi sbarrati, cazzo infilato nel culo di lei. Non fu facile per Amanda divincolarsi da quel corpo, tanto più che - e al pensarci ne aveva ancora orrore - quell'arpione duro come metallo per qualche istante continuò a darle un piacere che nessun aggettivo può definire.
Per diverse settimane non volle veder nessuno. Restò segregata in quella casa poco più grande d’un guscio di conchiglia, alimentandosi appena.
Poi, lentamente Amanda ha ripreso una vita normale, passa la maggior parte del tempo in casa, esce per fare la spesa, va qualche volta al cinema, a prendere un gelato con le sole tre amiche con le quali ha veramente riannodato. Quando il mare è agitato, le piace passeggiare sulla scogliera. Guarda rimescolarsi quell'azzurro cupo dai riflessi del piombo e resta nel vento a respirare.
Spesso rimane in casa; poggia poi i gomiti sul parapetto e osserva il mare. Socchiude le palpebre e corre col pensiero ai soli piaceri che le sono rimasti nella vita, le uniche vere sue gioie nascoste da qualche parte in fondo a quella sconfinata distesa d’azzurro: le aragoste.
Che importanza potevano ormai avere ai suoi occhi i cocktail, le prime alla Scala, le serate mondane?
Il suo Roberto non c’era più, ne sentiva il tepore, la presenza. Ovunque. Ripensava alle braccia, le mani, le labbra di lui. E il suo odore... Nessun profumo poteva cancellare quella sottile fragranza di lontano e di mare.
Prendersi un amante? Ci aveva provato. Non era servito a niente; quelli erano solo altri uomini, plasticamente più belli, più giovani, più capaci forse, ma non erano lui.
Non le restavano che le aragoste per dare gusto alla sua esistenza. Il loro sapore le ricordava Roberto; sì, le veniva quasi da ridere a pensarlo, ma la carne dolce e salmastra di quei crostacei le portava alla mente la lingua di Berto, la consistenza dura e rugosa del guscio, la sua mascella non rasata, il sottile profumo speziato, il suo odore. Usciva sulla terrazza, guardava il mare e restava ad inebriarsi del blu del mare, del cielo, dei ricordi...
S’è imposta di mangiarle solo di domenica; una per pranzo da sola, Mario arrivava ogni domenica mattina puntuale alle 10. Sapeva che doveva portare alla signora Amanda l’aragosta più bella, fresca e grossa che avesse pescato. Lei l’aspettava con emozione. Già dalle 9 si metteva in terrazza e, pur sapendo quanto fosse puntuale, gettava di tanto in tanto uno sguardo verso la strada che s’inerpicava fino alla casa.
Lo pagava e prendeva il cesto dov'era adagiata, su un letto di ghiaccio tritato coperta d’alghe, l’aragosta viva. La guardava con uno sguardo d’innamorata e si dirigeva in cucina. Indossava uno speciale guanto “antiscivolo”, l’afferrava e la metteva su un vassoio, accanto ad un vasetto con burro.
Amanda andava col vassoio in soggiorno, lo poggiava su un tavolo basso vicino alla poltrona di fronte alla porta finestra aperta sul mare. L’aragosta continuava ad agitarsi mentre contraeva e rilasciava la coda, quasi aspettasse il momento buono per scattar via. Amanda metteva sulla poltrona un tessuto di tela cerata, poi si sedeva.
Il crostaceo la guardava con i suoi occhietti neri, lucidi.
Lei prendeva un gran respiro e faceva vagare per qualche istante lo sguardo fuori, verso il cielo, il mare...
Con la mano sinistra sollevava poi la gonna, toglieva le mutande e apriva le gambe. Prendeva un po’ di burro, lo spalmava sulle labbra del sesso ripensando alla lingua di Roberto che le lambiva la carne e succhiava il clitoride e, con precauzione infinita, inseriva l’intera coda dell’aragosta nella vagina.
Un’ondata di piacere le si propagava per tutto il corpo! Socchiudeva palpebre, labbra e soffocava un gemito. Senza più attendere, prendeva un accendino, faceva scattare la fiamma e, delicatamente, l’avvicinava sotto alla testa del crostaceo.
Un guizzo potente e quasi le sfuggiva di mano! Ma le sue dita guantate erano una morsa d’acciaio, più la fiamma s’avvicinava più l’aragosta s’agitava come un’ossessa, si scuoteva, si dibatteva con strattoni disperati, scatti violenti.
Soprattutto la coda, che graffiava le pareti della vagina, stuzzicava le piccole labbra, riempiva quel vuoto incolmabile che il cazzo di Roberto soltanto aveva saputo colmare, Amanda s’abbandonava sulla poltrona, stringeva e riapriva le cosce, ansimava, il bacino si contraeva, la bocca semiaperta liberava gemiti di sovrumana voluttà, fino in fondo gustava il suo nuovo, unico, grande, immenso amore: le aragoste!
La fiamma continuava a bruciare la parte inferiore della testa del crostaceo che scandiva i colpi di coda dentro la sua fica che trasudava umori di piacere, poi ogni movimento dell’animale cessava e Amanda esausta, il capo abbandonato, restava con dipinta sul viso un’unica espressione, la stessa della statua marmorea della Santa Teresa d’Avila del Bernini.
Una notte, un forte dolore nel basso ventre la sveglia, spasmi lancinanti, come colpi inferti da una lama. Com'era possibile che la pancia si fosse così gonfia?
Riesce ad alzarsi, piegata in due si dirige verso il bagno e comincia a vomitare ancor prima d’arrivarci, conati violenti d’una spuma verdastra, nauseante. Arriva al water e si libera di quel liquido acido che risalendo brucia esofago, naso e bocca. Un liquido spesso, colloso, d’acque putride.
Cosa poteva essere? Eppure la sera aveva mangiato appena uno yogurt. Doveva chiamare un dottore. Svuotato lo stomaco, si sente subito meglio. Si lava viso, tempie e nuca con acqua fresca, fa una doccia, mette una vestaglia e va sulla terrazza. Respira a pieni polmoni e guarda il cielo stellato, il mare tranquillo.
Ancora una fitta di dolore! Stomaco, intestini e soprattutto l’utero si contraggono in un solo, tremendo crampo. Il tempo d’allargare le gambe e inorridita vede la vagina espellere con un getto violento una sacca di membrana traslucida! La vescica, irrorata da un ramificarsi di venule bluastre, si catapulta a terra e si spacca. Fissa inorridita un numero incalcolabile di piccole uova semitrasparenti, gelatinose d’un rosa aranciato con all'interno due grumi neri. Sembrano tanti bulbi oculari che passato lo shock dell’impatto ora sembrano orientarsi verso di lei.
Le uova, una ad una, prendono a schiudersi con un “flop!” secco. E ad ogni “flop!” compare una minuscola, fragile, ma completa e in ogni punto ben formata aragosta!
Dello stesso colore delle adulte, forse d’una sfumatura più chiara e dal guscio leggermente traslucido. Amanda, sparito ogni dolore, resta a rimirare lo schiudersi d’un numero pressoché infinito di minuscole aragostine-figlie. Il panico le ha seccato la gola, pietrificato ogni molecola.
Con uno sforzo sovrumano riesce a premere i pugni sugli occhi. Quando solleva le palpebre, quei mostri in miniatura sono tutti lì a contemplarla con uno sguardo umanoide, quasi amoroso, riesce ad afferrare un vaso di gerani e, con quanta forza può, lo getta contro quella poltiglia rossastra.
La massa rosa pallido come animata da una sola volontà, s’apre a cerchio ed evita il vaso. Milioni d’occhietti restano intorno ai fiori spezzati guardandola attoniti.
Quegli occhietti si fanno aguzzi più di spilli. Ogni aragostina inizia ad battere la coda e a muoversi con un “tic tic” leggero e assordante come un volo di milioni di zanzare.
Per un momento, quegli infiniti occhietti neri sembrano consultarsi. Un solo potente movimento e pari ad uno sciame d’api si gettano su quella mamma snaturata che lancia un urlo bestiale.
Le piccoline che sentivano agitarsi dentro due soli desideri: latte materno e mare infinito, là non c’era né l’uno né l’altro, fu un solo movimento, improvviso e micidiale come una nube di cavallette che si getta su un campo di grano. Un’onda rossastra investì Amanda e in poco tempo di lei non restò neanche una mollichina d’osso.
Amanda viveva in un piccolo paesino di fronte al mare, nella amava due cose il mare e il sesso, il primo era facile appagarlo, viveva in quel posto fantastico, ma il secondo era un po' più difficile per lo stesso motivo. La sua vita scorreva serena, con passeggiate in riva al mare, tramonti colorati, e pesce freschissimo che si dilettava a cucinare con amore ed accuratezza.
Un giorno Roberto, rappresentante porta a porta, bussò alla sua, fu un colpo di fulmine! Lei più che piacente, 25 anni, fresca fresca d’università e d’una grazia tutta sua. Non di margheritina appena schiusa, per intenderci, piuttosto d’ibrido tra una bianca camelia e una pianta carnivora dal profumo inebriante. Carnagione chiarissima, lunghi capelli biondi e ondulati, labbra polpose, grandi occhi verde alga. Lui un uomo solido, robusto, il viso squadrato, lo sguardo severo, quasi arrogante. Ma quelle pieghe sensuali agli angoli della bocca, le mani tozze e forti, da marinaio, non sfuggirono alla signorina Amanda.
La sera stessa lo invitò a cena, mangiarono aragoste, bevvero vino bianco frizzante e la stessa notte scoparono come due murene in calore.
Roberto non ‘s’era sbagliato, quella splendida carne chiara sapeva fremere come un anemone, agitarsi lenta e sensuale più d’una medusa, incollarsi come una stella marina sulla preda e risucchiare ogni goccia di linfa vitale. Al pari di un’ostrica perlifera s’apriva con difficoltà, ma era poi capace d’abbandonarsi come un campo d’alghe alle correnti, spumeggiare più di un’onda ed infine brillare tale a una scogliera corallina di riflessi turchesi e paillette di sole.
Lui sapeva accarezzare e mordere. La mordicchiava dietro all’orecchio e nello stesso tempo l’inchiodava come il Cristo in croce. E come il Cristo in croce lei, più soffriva dei mali terreni più esultava delle gioie dei cieli!
Amanda aveva preparato quella cena con tanto amore, aveva scelto le aragoste, perché dicevano fossero afrodisiache, e lei voleva spezzare quella barriera che si portava addosso da sempre, voleva godere di quel sesso visto sul web o letto sui libri, e sentirsi pienamente soddisfatta e riempita da un uomo e non soltanto dalle sue dita.
Quando Roberto arrivò tutto era pronto, il vino in frigo, la pasta in pentola e l’aragosta che riempiva la cucina e tutta la casa con il suo profumo dolciastro che inebriava i sensi già eccitati e in attesa di Amanda.
Cenarono scopandosi occhi negli occhi, ogni boccone era un passo in più verso quell'eccitazione che li divorava, Amanda aveva la fica in un lago di umori e faceva un enorme sforzo per non saltargli addosso, e succhiargli il cazzo con ancora le linguine in bocca, si impose di resistere fino alla fine della cena che Roberto sembrava gradire, quando mise in tavola l’aragosta, l’eccitazione e il desiderio si potevano tagliare con il coltello, gustarono senza staccarsi gli occhi di dosso, le teneri carni rosee del crostaceo, poi passarono alle zampe che Amanda succhiava pensando di avere tra le labbra il cazzo di Roberto, che cercava di contenersi, ma era sempre più palese che ormai era al limite, gli occhi su quelle labbra che succhiavano con sensualità furono la classica goccia che…
Non riuscendo più a resistere si alzò e abbassando la cerniera piazzò il suo cazzo ormai violaceo per la lunga attesa accanto al viso di Amanda, che non si lasciò sfuggire l’occasione, abbandonò la zampetta ormai svuotata del suo succo, per riempirsi la bocca di quello che le veniva offerto e che aspettava da tutta la serata, anzi, da tutta la vita. Le mani di Roberto guidavano la testa di Amanda nei movimenti e nel ritmo, e quando questo fu sincronizzato con la sua eccitazione, si dedicò al bianco seno che faceva capolino dalla generosa scollatura del vestito, spostando le spalline verso l’esterno il vestito lasciò libero il seno sodo di cui si riempi le mani, pizzicando i capezzoli già ritti e spavaldi, mentre lei si godeva il suo cazzo che le scivolava in gola senza nessuno sforzo, con un grande sforzo di volontà lasciò la calda stretta delle sue labbra, per farla alzare e mentre la baciava giocando con quella lingua dal sapore di cazzo e di aragosta, le sfilò il vestito, accorgendosi che sotto non portava niente e che un rivolo di umori colava lungo l’interno delle sue cosce, non riuscì a fare altro che sollevarla da sotto le ascelle e poggiarla sul tavolo tra resti di crostacei e piatti.
Aveva gustato le teneri carni preparate da Amanda, adesso voleva gustare le teneri carni di Amanda, si tuffò tra quelle bianchissime cosce, con la lingua segui il rivolo che le bagnava le cosce e lentamente risalì verso la sorgente da cui era scaturito, una fica delicata e morbida accolse la sua lingua, le tenere labbra rosee segnavano l’ingresso di quella polla di desiderio che si apprestava a scoprire, spinse la lingua fra quelle sensuali labbra, spostandole lateralmente per mettere allo scoperto quel delicato bocciolo che proteggevano, sfiorandolo con la punta e leccandolo a piena lingua ne assaporò l’acidulo sapore, per poi spingersi ancora più in profondità dentro di lei, saziandosi di tutti quei succhi che lei produceva e di cui non si lasciva sfuggire neanche una goccia.
Amanda era in estasi, le sembrava di trovarsi in alto mere sballottata tra le onde di un oceano in tempesta, ondate di piacere si infrangevano nella sua fica, procurandole brividi e sensazioni cosi forti che le sembrava di svenire, e quasi le successe quando la lingua fu sostituita dal cazzo rovente di Lui, che la riempiva totalmente, non senti nessun dolore quando le delicata membrana che segnava la sua verginità andò in frantumi, il piacere di quella carne nella carne superava qualsiasi dolore. Roberto vide il rosso del suo sangue mescolato ad umori colorare il suo cazzo, e realizzando il motivo accelerò i suoi movimenti, che divennero convulsi e scomposti, fino ad un’ultima profonda spinta, che fu l’inizio del suo orgasmo, scaricò tutto il suo sperma dentro di lei, sentendola tremare e godere per alcuni lunghi e intensi minuti.
Roberto esausto scivolò fuori dalla fica di Amanda i si sedette sulla sedia, guardando il suo sperma misto ad umori e sangue virginale fuoriuscire da quella bocca verticale che lo incantava come le sirene attirano i marinai, avvicinò la sedia a cominciò a leccare tutto quello che aveva davanti, umori, sperma, sangue, carne, pelle, fica. Amanda ancora semi svenuta sul tavolo in cui aveva cenato, con le gambe larghe e la sua testa fra di esse, percepiva come in un sogno quella calda lingua che la esplorava, gemendo ritornò alla realtà, non potendo fare altro che avere un altro orgasmo sotto quella lingua che inesorabilmente le fustigava la fica, Roberto saziò della cena e della bevuta, allontanò il viso da quel paradiso, il loro occhi si incrociarono e ognuno lesse negli dell’altro la goduria, la sensualità e la fame che avevano.
Amanda approfittò di quel momento, per scendere dal tavolo ed inginocchiarsi tra le gambe semiaperte di lui, dove il suo cazzo intriso di liquidi stava semi rigido in attesa, per ringraziarlo del piacere che gli aveva dato e per prendersi il suo di piacere, prese il cazzo tra le mani e con la lingua iniziò un’opera di pulizia dettagliata e minuziosa, leccò le palle, ingoiandole una alla volta a girandosele dentro la bocca, leccò tutta la lunghezza di quel cazzo che lentamente riprendeva vigore e consistenza, lo infilò per intero in bocca con la cappella che le solleticava le tonsille, per poi indietreggiare e leccare il prepuzio con la lingua, girarci intorno e picchettare l’apertura in punta dove gocce di desiderio si ingrossavano luccicanti.
Quel giochino di lingua ebbe il risultato voluto, il cazzo di Roberto era di nuovo pronto per un secondo assalto, quando Amanda si diresse verso la finestra della stanza, poggiò i gomiti sul davanzale piegandosi ed offrendo il culo, Roberto non si fece pregare, si inginocchiò dietro di lei e leccò inumidendo quell'ingresso con gli umori che continuavano a colare dalla sua fica e la sua saliva, spingeva la lingua tra quelle chiappe bianche e morbide, cercando di entrare nel suo ano grinzoso, lecco la corolla esterna e penetrò dentro di esso con la punta della lingua, che sostituì subito dopo con il dito indice, poi aggiunse anche il medio, abituando quel muscolo all'invasione di qualcosa di più grosso e consistente, poi appoggiò la cappella all'ingresso di quel delizioso culo, e spinse con decisione. Entrò per metà dentro di lei, fermandosi temendo di averle fatto male, ma lei con voce rauca lo esortò a spingere ancora, voleva sentirlo tutto, voleva che il respiro le si fermasse in gola, voleva… godere all'infinito.
Un’altra spinta e le palle toccarono le sue natiche, era tutto dentro di lei, sentiva i muscoli dello sfintere stringergli il cazzo, sentiva i muscoli di Amanda tremare, il respiro fermarsi, cominciò a muoversi avanti e indietro con sempre più facilità, Amanda godeva senza sosta, gli orgasmi si susseguivano uno dopo l’altro, Roberto entrava fino in fondo in quel culo accogliente, seguendo l’incitamento di Amanda accelerava il ritmo sempre di più, sentiva il cuore scoppiargli nel petto e il cazzo scoppiargli in quel culo, affondava in quel buco liquido ormai come burro fuso, i suoi movimenti diventarono scomposti, e… come una balena abbandona il balenottero svezzato in pieno oceano, lanciò un urlo più disperato del solito e restò, rigido, pietrificato da un infarto!
Bocca e occhi sbarrati, cazzo infilato nel culo di lei. Non fu facile per Amanda divincolarsi da quel corpo, tanto più che - e al pensarci ne aveva ancora orrore - quell'arpione duro come metallo per qualche istante continuò a darle un piacere che nessun aggettivo può definire.
Per diverse settimane non volle veder nessuno. Restò segregata in quella casa poco più grande d’un guscio di conchiglia, alimentandosi appena.
Poi, lentamente Amanda ha ripreso una vita normale, passa la maggior parte del tempo in casa, esce per fare la spesa, va qualche volta al cinema, a prendere un gelato con le sole tre amiche con le quali ha veramente riannodato. Quando il mare è agitato, le piace passeggiare sulla scogliera. Guarda rimescolarsi quell'azzurro cupo dai riflessi del piombo e resta nel vento a respirare.
Spesso rimane in casa; poggia poi i gomiti sul parapetto e osserva il mare. Socchiude le palpebre e corre col pensiero ai soli piaceri che le sono rimasti nella vita, le uniche vere sue gioie nascoste da qualche parte in fondo a quella sconfinata distesa d’azzurro: le aragoste.
Che importanza potevano ormai avere ai suoi occhi i cocktail, le prime alla Scala, le serate mondane?
Il suo Roberto non c’era più, ne sentiva il tepore, la presenza. Ovunque. Ripensava alle braccia, le mani, le labbra di lui. E il suo odore... Nessun profumo poteva cancellare quella sottile fragranza di lontano e di mare.
Prendersi un amante? Ci aveva provato. Non era servito a niente; quelli erano solo altri uomini, plasticamente più belli, più giovani, più capaci forse, ma non erano lui.
Non le restavano che le aragoste per dare gusto alla sua esistenza. Il loro sapore le ricordava Roberto; sì, le veniva quasi da ridere a pensarlo, ma la carne dolce e salmastra di quei crostacei le portava alla mente la lingua di Berto, la consistenza dura e rugosa del guscio, la sua mascella non rasata, il sottile profumo speziato, il suo odore. Usciva sulla terrazza, guardava il mare e restava ad inebriarsi del blu del mare, del cielo, dei ricordi...
S’è imposta di mangiarle solo di domenica; una per pranzo da sola, Mario arrivava ogni domenica mattina puntuale alle 10. Sapeva che doveva portare alla signora Amanda l’aragosta più bella, fresca e grossa che avesse pescato. Lei l’aspettava con emozione. Già dalle 9 si metteva in terrazza e, pur sapendo quanto fosse puntuale, gettava di tanto in tanto uno sguardo verso la strada che s’inerpicava fino alla casa.
Lo pagava e prendeva il cesto dov'era adagiata, su un letto di ghiaccio tritato coperta d’alghe, l’aragosta viva. La guardava con uno sguardo d’innamorata e si dirigeva in cucina. Indossava uno speciale guanto “antiscivolo”, l’afferrava e la metteva su un vassoio, accanto ad un vasetto con burro.
Amanda andava col vassoio in soggiorno, lo poggiava su un tavolo basso vicino alla poltrona di fronte alla porta finestra aperta sul mare. L’aragosta continuava ad agitarsi mentre contraeva e rilasciava la coda, quasi aspettasse il momento buono per scattar via. Amanda metteva sulla poltrona un tessuto di tela cerata, poi si sedeva.
Il crostaceo la guardava con i suoi occhietti neri, lucidi.
Lei prendeva un gran respiro e faceva vagare per qualche istante lo sguardo fuori, verso il cielo, il mare...
Con la mano sinistra sollevava poi la gonna, toglieva le mutande e apriva le gambe. Prendeva un po’ di burro, lo spalmava sulle labbra del sesso ripensando alla lingua di Roberto che le lambiva la carne e succhiava il clitoride e, con precauzione infinita, inseriva l’intera coda dell’aragosta nella vagina.
Un’ondata di piacere le si propagava per tutto il corpo! Socchiudeva palpebre, labbra e soffocava un gemito. Senza più attendere, prendeva un accendino, faceva scattare la fiamma e, delicatamente, l’avvicinava sotto alla testa del crostaceo.
Un guizzo potente e quasi le sfuggiva di mano! Ma le sue dita guantate erano una morsa d’acciaio, più la fiamma s’avvicinava più l’aragosta s’agitava come un’ossessa, si scuoteva, si dibatteva con strattoni disperati, scatti violenti.
Soprattutto la coda, che graffiava le pareti della vagina, stuzzicava le piccole labbra, riempiva quel vuoto incolmabile che il cazzo di Roberto soltanto aveva saputo colmare, Amanda s’abbandonava sulla poltrona, stringeva e riapriva le cosce, ansimava, il bacino si contraeva, la bocca semiaperta liberava gemiti di sovrumana voluttà, fino in fondo gustava il suo nuovo, unico, grande, immenso amore: le aragoste!
La fiamma continuava a bruciare la parte inferiore della testa del crostaceo che scandiva i colpi di coda dentro la sua fica che trasudava umori di piacere, poi ogni movimento dell’animale cessava e Amanda esausta, il capo abbandonato, restava con dipinta sul viso un’unica espressione, la stessa della statua marmorea della Santa Teresa d’Avila del Bernini.
Una notte, un forte dolore nel basso ventre la sveglia, spasmi lancinanti, come colpi inferti da una lama. Com'era possibile che la pancia si fosse così gonfia?
Riesce ad alzarsi, piegata in due si dirige verso il bagno e comincia a vomitare ancor prima d’arrivarci, conati violenti d’una spuma verdastra, nauseante. Arriva al water e si libera di quel liquido acido che risalendo brucia esofago, naso e bocca. Un liquido spesso, colloso, d’acque putride.
Cosa poteva essere? Eppure la sera aveva mangiato appena uno yogurt. Doveva chiamare un dottore. Svuotato lo stomaco, si sente subito meglio. Si lava viso, tempie e nuca con acqua fresca, fa una doccia, mette una vestaglia e va sulla terrazza. Respira a pieni polmoni e guarda il cielo stellato, il mare tranquillo.
Ancora una fitta di dolore! Stomaco, intestini e soprattutto l’utero si contraggono in un solo, tremendo crampo. Il tempo d’allargare le gambe e inorridita vede la vagina espellere con un getto violento una sacca di membrana traslucida! La vescica, irrorata da un ramificarsi di venule bluastre, si catapulta a terra e si spacca. Fissa inorridita un numero incalcolabile di piccole uova semitrasparenti, gelatinose d’un rosa aranciato con all'interno due grumi neri. Sembrano tanti bulbi oculari che passato lo shock dell’impatto ora sembrano orientarsi verso di lei.
Le uova, una ad una, prendono a schiudersi con un “flop!” secco. E ad ogni “flop!” compare una minuscola, fragile, ma completa e in ogni punto ben formata aragosta!
Dello stesso colore delle adulte, forse d’una sfumatura più chiara e dal guscio leggermente traslucido. Amanda, sparito ogni dolore, resta a rimirare lo schiudersi d’un numero pressoché infinito di minuscole aragostine-figlie. Il panico le ha seccato la gola, pietrificato ogni molecola.
Con uno sforzo sovrumano riesce a premere i pugni sugli occhi. Quando solleva le palpebre, quei mostri in miniatura sono tutti lì a contemplarla con uno sguardo umanoide, quasi amoroso, riesce ad afferrare un vaso di gerani e, con quanta forza può, lo getta contro quella poltiglia rossastra.
La massa rosa pallido come animata da una sola volontà, s’apre a cerchio ed evita il vaso. Milioni d’occhietti restano intorno ai fiori spezzati guardandola attoniti.
Quegli occhietti si fanno aguzzi più di spilli. Ogni aragostina inizia ad battere la coda e a muoversi con un “tic tic” leggero e assordante come un volo di milioni di zanzare.
Per un momento, quegli infiniti occhietti neri sembrano consultarsi. Un solo potente movimento e pari ad uno sciame d’api si gettano su quella mamma snaturata che lancia un urlo bestiale.
Le piccoline che sentivano agitarsi dentro due soli desideri: latte materno e mare infinito, là non c’era né l’uno né l’altro, fu un solo movimento, improvviso e micidiale come una nube di cavallette che si getta su un campo di grano. Un’onda rossastra investì Amanda e in poco tempo di lei non restò neanche una mollichina d’osso.
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