L'avvocatessa III Cap: Il prof
di
IL PENSIONATO
genere
etero
L' A V V O C A T E S S A
(Cap. III IL PROF.)
Come ho già detto ( vedi cap. precedenti n.d.a.) lo studio l'ho ereditato alla morte di mio padre, avevo già iniziato a collaborare con lui e con il suo socio, Guido, per cui non mi trovai del tutto impreparata quando subentrai. Debbo dire però che Guido mi fu molto vicino sia per gli affari legali sia per consolarmi della enorme perdita di mio padre. Era stato il mio mentore per quanto riguardava gli studi ed anche per la mia eduzione sentimentale: mio padre, vedovo, non era adatto ad ascoltare una ragazza di vent'anni che aveva già scoperto il sesso; chiaramente non ero più vergine, nel senso stretto del termine, ma ancora non conoscevo le gioie del sesso. Quando avevo un problema sentimentale mi rivolgevo a Guido e a sua moglie Sonia, che, non avendo figli, mi avevano, per così dire, adottato quando morì mia madre. In quel periodo avevano circa quarantacinque anni lui e trentotto, trentanove lei, erano e sono una bella coppia: lui un poco sovrappeso, alto con tutti i capelli e delle bellissime mani lunghe ed affusolate, lei una rossa ben messa, morbida, con la pelle chiarissima e simpatiche lentiggini su un nasino alla francese, le labbra erano ben disegnate e carnose al punto giusto, niente a che vedere con quelle rifatte, che davano alla bocca un non so che di lascivo e peccaminoso.
Frequentavo il terzo anno di giurisprudenza quando ebbi una impass per colpa di un professore di diritto penale puntiglioso e prevenuto nei miei confronti, in quanto mi riteneva una “figlia di papà” conoscendo bene mio padre che era stato legale della controparte nella sua causa di divorzio dalla moglie, o forse proprio per quello, comunque sta di fatto che oramai erano ben tre appelli che mi bocciava con domande capziose e puntigliose. Mi rivolsi a Guido chiedendogli come avrei potuto fare per superare quello scoglio: mi accolse nel suo ufficio:”Cavolo Giovanna sei diventata una donna e che donna!!” mi disse, squadrandomi e fissando lo sguardo sui punti strategici: il viso, il seno e le gambe che quel giorno erano appena coperte da una microscopica minigonna. Mi fece accomodare nella poltroncina di fronte alla sua scrivania, accavallai le gambe e questo, naturalmente, fece ancora più salire la già vertiginosa minigonna scoprendo un abbondante pezzo delle mie lunghe gambe. Mi ascoltò, ma notai che gli occhi andavano spesso sulle mie gambe, e lo spettacolo lo faceva evidentemente agitare, visto come si muoveva sulla sua poltrona per cercare una posizione più comoda. “Va bene ho capito, disse, vedrò quello che posso fare, ma quel professore è un vero stronzo”. Dopo circa una settimana, mi chiamò e mi avvertì che tutto era risolto, ma che c'era un prezzo da pagare che mi avrebbe spiegato a voce. Il giorno dopo mi recai da Guido che, dopo che ebbi dato un rapido saluto a mio padre, mi ricevette nel suo studio: “Quel figlio di puttana vuole che tu vada a cena con lui. Si ricorda benissimo di te e se vuoi passare l'esame o cambi università o accetti le sue condizioni. Mi dispiace, ma non ho potuto ottenere di più. Comunque ho una mezza idea di come incastrarlo per sempre e fargli passare la voglia di questi giochetti, perché sono sicuro che non l'ha fatto solo con te. Fammi sapere, per tempo, dove ti vuole portare a cena. Mi dispiace Giovanna, è un porco, ma gli faremo passare la voglia! Vedi te come comportarti!” Capii immediatamente che cosa cercava il vecchio porco, quasi settantenne grasso ed unto. Chiesi un colloquio privato con il prof ed ottenutolo mi presentai vestita in modo molto provocante: camicetta e gonna senza abbigliamento intimo, dalla camicetta si intravedevano i capezzoli che spingevano il leggero tessuto ed i due seni turgidi , la gonna era stretta e metteva in risalto il mio personale. Mi accomodai sulla seggiola di fronte al vecchio e con malizia accavallai le gambe indugiando in modo tale che notasse che ero senza le mutandine, e lo notò senz'altro perché lo vidi che si allentava il colletto della camicia e per poco gli uscivano gli occhi dalle orbite. Si umettò le labbra e mi diede appuntamento per il fine settimana presso un agriturismo in campagna, abbastanza lontano dalla città. Lo comunicai a Guido che ringraziò e disse:” Mi dispiace Giovanna per tutto questo, ma ci vendicheremo; cerca di resistere, confido nel tuo buon senso. In bocca al lupo!!”
Passai i tre giorni che mancavano all'appuntamento a pensare come comportarmi, naturalmente quel vecchio porco avrebbe senz'altro fermato una camera di cui l'agriturismo era fornito e lì avrebbe voluto senz'altro consumare anche se non potevo immaginare come: allora non ero molto esperta, avevo avuto solo qualche rapporto fugace con colleghi universitari; con uno di loro avevo perso la mia verginità, ero arrivata illibata sino ai diciotto anni e non era stata una grande esperienza; tutto finito in dieci minuti. Tornando a noi poi come avrei dovuto comportarmi: fare la riottosa od assecondarlo? Non sapevo nemmeno cosa avesse in mente Guido per vendicarci. Arrivò il fatidico sabato, mi preparai decidendo, alla fine, che se gli dovevo cedere, che almeno mi divertissi a fargli venire un colpo apoplettico: da quando non aveva una “femmina” come me? Indossai la camicetta più attillata che avevo, una minigonna vertiginosa con calze scure appena sopra il ginocchio ed un intimo nero molto ridotto. Ci incontrammo fuori del locale, mi squadrò e mi parve di intravedere un lampo di cupidigia nel suo sguardo: mi prese sottobraccio, era più basso di me di almeno quindici centimetri, quasi del tutto calvo e quando facemmo il nostro ingresso nel locale, per la verità non molto affollato, attirammo gli sguardi di invidia degli uomini e di biasimo delle donne. Mi accompagnò al tavolo, mi spostò la sedia per farmi sedere, ma sicuramente per gettare un'occhiata alla mia scollatura ed alle mie cosce che si scoprirono ancora di più nel sedermi.
Si avvicinò il proprietario per le ordinazioni dimostrando una certa familiarità con il prof, segno che i due si conoscevano: chissà quante altre “vittime” aveva portato in quel locale; debbo dire che durante la cena si dimostrò un perfetto cavaliere sia nei modi sia nei discorsi che abbracciarono i più svariati argomenti: dall'attualità, alla storia alle materie universitarie. Notai che appena il mio bicchiere era vuoto lo riempiva di nuovo, voleva forse ubriacarmi? Passammo due ore seduti a tavola mangiando bene, per la verità, bevendo anche meglio ed alla fine giunse il momento fatidico: mi aiutò ad alzarmi, spostandomi galantemente la sedia, mi prese sottobraccio: mi accompagnò alle scale e salimmo al primo piano: feci la finta tonta:” Ma dove mi sta portando?” “Cara abbiamo bevuto troppo, non siamo in grado di guidare, un riposino non può farci che bene!!” Prese dalla tasca la chiave e mi fece accomodare in una stanza in vero un poco squallida con un letto matrimoniale due comodini un piccolo tavolo ed una sedia e qualche stampa dozzinale appesa alle pareti, c'era un'altra porta che sicuramente dava nel bagno della camera. Chiuse la porta a chiave e se la mise in tasca, poiché lo precedevo, sentii improvvisamente la sua mano introfularsi sotto la gonna e stringermi un gluteo: “Accidenti come sono duri,esclamò, sei veramente fantastica , ti prego non resistermi!” “Non è mia intenzione, anche se vorrei fare alla svelta, per cedere al suo ricatto, dare questo stramaledetto esame e a più non rivederla” risposi. “ Cara tutto a suo tempo, sono anziano ed ho le mie esigenze: intanto spogliati, ma con calma, mi raccomando!” Si sedette sul bordo del letto mentre io comincia a sbottonarmi la camicetta, me la tolsi con un gesto che secondo me era abbastanza sensuale, liberando due globi perfetti, non grandissimi, ma perfetti con capezzoli bruni ritti (questo mi dispiacque perché non volevo che pensasse che fossi eccitata):”Accarezzale!” Si vedeva che era abituato a farsi obbedire, cominciava a farsi strada dentro di me un sottile brivido di piacere, vuoi per la situazione vuoi per lo sguardo bramoso di un uomo che sembrava volermi divorare solo con gli occhi ( i miei compagni andavano subito al sodo e poco si interessavano delle mie sensazioni). Presi a carezzare i miei seni indugiando sui capezzoli che strinsi fra le dita, che poi titillai con la punta delle stesse, mi passai il palmo delle mani sulla mia pancia e scesi sotto la minigonna fino ad arrivare al sesso. Il prof, intanto, si era aperto la patta dei pantaloni e maneggiava il suo di sesso, ma, all'apparenza, con poco successo.
Mi sfilai la gonna e mi girai mettendogli quasi sul viso il mio sedere alto e sodo, sottolineato dal leggero filo del perizoma che con malizia spostai e piegandomi gli mostrai i miei giardini del piacere (oddio, allora non sapevo ancora che sarebbero diventati i giardini del piacere, di dietro ero ancora vergine!). Dandogli le spalle non vedevo quello che stava facendo, ma sentii le sue mani grassocce avvinghiarsi sul mio sedere, allargare i glutei ed il viso tuffarsi nel solco mentre la lingua mi leccava dall'alto verso i basso il bottoncino e la passera. Per umettare il mio sesso ci sputò, poi iniziò a penetrarmi con le dita: una, due tre iniziando a muoverle furiosamente, premendo, al contempo, sulle pareti della mia passerina: mio malgrado, sentii salire dentro di me un piacere che non credevo possibile; a quel punto decisi che, considerato che dovevo sottostargli, potevo godere anch'io. Provò a introdursi anche nello sfintere, ma io mi contrassi, e sembrò capire che per il momento era meglio desistere. Intanto il lavoro sul mio sesso stava dando i suoi frutti: mi stavo bagnando, gli impregnai le dita di umori, mi fece girare e con ostentazione portò quelle dita alla bocca leccandole senza smettere di guardarmi negli occhi. A guardarlo non era un grande spettacolo: il viso arrossato e sudaticcio, la pancia prominente, i pantaloni aperti da cui emergeva una virgola di carne appassita:” Prendilo in bocca!” L'ordine mi raggiunse come uno schiaffo, il vecchio intanto con le dita mi frugava nelle mie più recondite intimità, mi feci forza mi inginocchiai e presi a leccare con disgusto il suo pene molliccio: dopo un poco diede dei segni di risveglio e raggiunse un'erezione appena passabile ed allora presi l'iniziativa e mi ci sedetti sopra: riuscii a farmi possedere. Ad un tratto sentii bussare alla porta: “Avanti è aperto” ansimò il prof senza voltarsi, sapeva che stava entrando. (continua)
(Cap. III IL PROF.)
Come ho già detto ( vedi cap. precedenti n.d.a.) lo studio l'ho ereditato alla morte di mio padre, avevo già iniziato a collaborare con lui e con il suo socio, Guido, per cui non mi trovai del tutto impreparata quando subentrai. Debbo dire però che Guido mi fu molto vicino sia per gli affari legali sia per consolarmi della enorme perdita di mio padre. Era stato il mio mentore per quanto riguardava gli studi ed anche per la mia eduzione sentimentale: mio padre, vedovo, non era adatto ad ascoltare una ragazza di vent'anni che aveva già scoperto il sesso; chiaramente non ero più vergine, nel senso stretto del termine, ma ancora non conoscevo le gioie del sesso. Quando avevo un problema sentimentale mi rivolgevo a Guido e a sua moglie Sonia, che, non avendo figli, mi avevano, per così dire, adottato quando morì mia madre. In quel periodo avevano circa quarantacinque anni lui e trentotto, trentanove lei, erano e sono una bella coppia: lui un poco sovrappeso, alto con tutti i capelli e delle bellissime mani lunghe ed affusolate, lei una rossa ben messa, morbida, con la pelle chiarissima e simpatiche lentiggini su un nasino alla francese, le labbra erano ben disegnate e carnose al punto giusto, niente a che vedere con quelle rifatte, che davano alla bocca un non so che di lascivo e peccaminoso.
Frequentavo il terzo anno di giurisprudenza quando ebbi una impass per colpa di un professore di diritto penale puntiglioso e prevenuto nei miei confronti, in quanto mi riteneva una “figlia di papà” conoscendo bene mio padre che era stato legale della controparte nella sua causa di divorzio dalla moglie, o forse proprio per quello, comunque sta di fatto che oramai erano ben tre appelli che mi bocciava con domande capziose e puntigliose. Mi rivolsi a Guido chiedendogli come avrei potuto fare per superare quello scoglio: mi accolse nel suo ufficio:”Cavolo Giovanna sei diventata una donna e che donna!!” mi disse, squadrandomi e fissando lo sguardo sui punti strategici: il viso, il seno e le gambe che quel giorno erano appena coperte da una microscopica minigonna. Mi fece accomodare nella poltroncina di fronte alla sua scrivania, accavallai le gambe e questo, naturalmente, fece ancora più salire la già vertiginosa minigonna scoprendo un abbondante pezzo delle mie lunghe gambe. Mi ascoltò, ma notai che gli occhi andavano spesso sulle mie gambe, e lo spettacolo lo faceva evidentemente agitare, visto come si muoveva sulla sua poltrona per cercare una posizione più comoda. “Va bene ho capito, disse, vedrò quello che posso fare, ma quel professore è un vero stronzo”. Dopo circa una settimana, mi chiamò e mi avvertì che tutto era risolto, ma che c'era un prezzo da pagare che mi avrebbe spiegato a voce. Il giorno dopo mi recai da Guido che, dopo che ebbi dato un rapido saluto a mio padre, mi ricevette nel suo studio: “Quel figlio di puttana vuole che tu vada a cena con lui. Si ricorda benissimo di te e se vuoi passare l'esame o cambi università o accetti le sue condizioni. Mi dispiace, ma non ho potuto ottenere di più. Comunque ho una mezza idea di come incastrarlo per sempre e fargli passare la voglia di questi giochetti, perché sono sicuro che non l'ha fatto solo con te. Fammi sapere, per tempo, dove ti vuole portare a cena. Mi dispiace Giovanna, è un porco, ma gli faremo passare la voglia! Vedi te come comportarti!” Capii immediatamente che cosa cercava il vecchio porco, quasi settantenne grasso ed unto. Chiesi un colloquio privato con il prof ed ottenutolo mi presentai vestita in modo molto provocante: camicetta e gonna senza abbigliamento intimo, dalla camicetta si intravedevano i capezzoli che spingevano il leggero tessuto ed i due seni turgidi , la gonna era stretta e metteva in risalto il mio personale. Mi accomodai sulla seggiola di fronte al vecchio e con malizia accavallai le gambe indugiando in modo tale che notasse che ero senza le mutandine, e lo notò senz'altro perché lo vidi che si allentava il colletto della camicia e per poco gli uscivano gli occhi dalle orbite. Si umettò le labbra e mi diede appuntamento per il fine settimana presso un agriturismo in campagna, abbastanza lontano dalla città. Lo comunicai a Guido che ringraziò e disse:” Mi dispiace Giovanna per tutto questo, ma ci vendicheremo; cerca di resistere, confido nel tuo buon senso. In bocca al lupo!!”
Passai i tre giorni che mancavano all'appuntamento a pensare come comportarmi, naturalmente quel vecchio porco avrebbe senz'altro fermato una camera di cui l'agriturismo era fornito e lì avrebbe voluto senz'altro consumare anche se non potevo immaginare come: allora non ero molto esperta, avevo avuto solo qualche rapporto fugace con colleghi universitari; con uno di loro avevo perso la mia verginità, ero arrivata illibata sino ai diciotto anni e non era stata una grande esperienza; tutto finito in dieci minuti. Tornando a noi poi come avrei dovuto comportarmi: fare la riottosa od assecondarlo? Non sapevo nemmeno cosa avesse in mente Guido per vendicarci. Arrivò il fatidico sabato, mi preparai decidendo, alla fine, che se gli dovevo cedere, che almeno mi divertissi a fargli venire un colpo apoplettico: da quando non aveva una “femmina” come me? Indossai la camicetta più attillata che avevo, una minigonna vertiginosa con calze scure appena sopra il ginocchio ed un intimo nero molto ridotto. Ci incontrammo fuori del locale, mi squadrò e mi parve di intravedere un lampo di cupidigia nel suo sguardo: mi prese sottobraccio, era più basso di me di almeno quindici centimetri, quasi del tutto calvo e quando facemmo il nostro ingresso nel locale, per la verità non molto affollato, attirammo gli sguardi di invidia degli uomini e di biasimo delle donne. Mi accompagnò al tavolo, mi spostò la sedia per farmi sedere, ma sicuramente per gettare un'occhiata alla mia scollatura ed alle mie cosce che si scoprirono ancora di più nel sedermi.
Si avvicinò il proprietario per le ordinazioni dimostrando una certa familiarità con il prof, segno che i due si conoscevano: chissà quante altre “vittime” aveva portato in quel locale; debbo dire che durante la cena si dimostrò un perfetto cavaliere sia nei modi sia nei discorsi che abbracciarono i più svariati argomenti: dall'attualità, alla storia alle materie universitarie. Notai che appena il mio bicchiere era vuoto lo riempiva di nuovo, voleva forse ubriacarmi? Passammo due ore seduti a tavola mangiando bene, per la verità, bevendo anche meglio ed alla fine giunse il momento fatidico: mi aiutò ad alzarmi, spostandomi galantemente la sedia, mi prese sottobraccio: mi accompagnò alle scale e salimmo al primo piano: feci la finta tonta:” Ma dove mi sta portando?” “Cara abbiamo bevuto troppo, non siamo in grado di guidare, un riposino non può farci che bene!!” Prese dalla tasca la chiave e mi fece accomodare in una stanza in vero un poco squallida con un letto matrimoniale due comodini un piccolo tavolo ed una sedia e qualche stampa dozzinale appesa alle pareti, c'era un'altra porta che sicuramente dava nel bagno della camera. Chiuse la porta a chiave e se la mise in tasca, poiché lo precedevo, sentii improvvisamente la sua mano introfularsi sotto la gonna e stringermi un gluteo: “Accidenti come sono duri,esclamò, sei veramente fantastica , ti prego non resistermi!” “Non è mia intenzione, anche se vorrei fare alla svelta, per cedere al suo ricatto, dare questo stramaledetto esame e a più non rivederla” risposi. “ Cara tutto a suo tempo, sono anziano ed ho le mie esigenze: intanto spogliati, ma con calma, mi raccomando!” Si sedette sul bordo del letto mentre io comincia a sbottonarmi la camicetta, me la tolsi con un gesto che secondo me era abbastanza sensuale, liberando due globi perfetti, non grandissimi, ma perfetti con capezzoli bruni ritti (questo mi dispiacque perché non volevo che pensasse che fossi eccitata):”Accarezzale!” Si vedeva che era abituato a farsi obbedire, cominciava a farsi strada dentro di me un sottile brivido di piacere, vuoi per la situazione vuoi per lo sguardo bramoso di un uomo che sembrava volermi divorare solo con gli occhi ( i miei compagni andavano subito al sodo e poco si interessavano delle mie sensazioni). Presi a carezzare i miei seni indugiando sui capezzoli che strinsi fra le dita, che poi titillai con la punta delle stesse, mi passai il palmo delle mani sulla mia pancia e scesi sotto la minigonna fino ad arrivare al sesso. Il prof, intanto, si era aperto la patta dei pantaloni e maneggiava il suo di sesso, ma, all'apparenza, con poco successo.
Mi sfilai la gonna e mi girai mettendogli quasi sul viso il mio sedere alto e sodo, sottolineato dal leggero filo del perizoma che con malizia spostai e piegandomi gli mostrai i miei giardini del piacere (oddio, allora non sapevo ancora che sarebbero diventati i giardini del piacere, di dietro ero ancora vergine!). Dandogli le spalle non vedevo quello che stava facendo, ma sentii le sue mani grassocce avvinghiarsi sul mio sedere, allargare i glutei ed il viso tuffarsi nel solco mentre la lingua mi leccava dall'alto verso i basso il bottoncino e la passera. Per umettare il mio sesso ci sputò, poi iniziò a penetrarmi con le dita: una, due tre iniziando a muoverle furiosamente, premendo, al contempo, sulle pareti della mia passerina: mio malgrado, sentii salire dentro di me un piacere che non credevo possibile; a quel punto decisi che, considerato che dovevo sottostargli, potevo godere anch'io. Provò a introdursi anche nello sfintere, ma io mi contrassi, e sembrò capire che per il momento era meglio desistere. Intanto il lavoro sul mio sesso stava dando i suoi frutti: mi stavo bagnando, gli impregnai le dita di umori, mi fece girare e con ostentazione portò quelle dita alla bocca leccandole senza smettere di guardarmi negli occhi. A guardarlo non era un grande spettacolo: il viso arrossato e sudaticcio, la pancia prominente, i pantaloni aperti da cui emergeva una virgola di carne appassita:” Prendilo in bocca!” L'ordine mi raggiunse come uno schiaffo, il vecchio intanto con le dita mi frugava nelle mie più recondite intimità, mi feci forza mi inginocchiai e presi a leccare con disgusto il suo pene molliccio: dopo un poco diede dei segni di risveglio e raggiunse un'erezione appena passabile ed allora presi l'iniziativa e mi ci sedetti sopra: riuscii a farmi possedere. Ad un tratto sentii bussare alla porta: “Avanti è aperto” ansimò il prof senza voltarsi, sapeva che stava entrando. (continua)
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