Paolo. Cap X Ore antecedenti e dormiveglia. Parte seconda
di
bepi0449
genere
pulp
Dopo il bagno, mentre Paolo era fra le mani del barbiere per una pulizia più profonda, … più accurata e per l’epilazione della peluria perineale, delle ascelle e dove l’estetista ne vedeva la necessità; Nicola era ragguagliato sull’impostazione dell’evento; dopo relazionò Carmela e il figlio del fatto verificatosi nel pianoro in quel pomeriggio, informandoli inoltre delle sue intenzioni sul ragazzo. Quel giovane gli aveva ridato nuovo vigore, … lo aveva risvegliato dal torpore della senescenza; lo aveva ringiovanito, per cui Paolo doveva essere solo suo. Informò, che anche il piccolo desiderava tale soluzione e, visto il provino, non voleva più essere vestito, ricoperto di sperma, poiché non traeva emozioni superiori a quelle che poteva avere con lui, anzi …
“Siamo felici del suo rapporto con il giovinetto e concordiamo con le sue intenzioni; mentre per l’evento, a cui ora non possiamo più rinunciare o cancellare, è opportuno che il ragazzo sia coperto e acconciato per tale festino. Entrerà nella sala bendato, in modo che non possa vedere i convitati, se non verso il finale con l’aspersione e la sua nuova vestizione. Sarà oggetto di omaggi e di discrete richieste sin dalla sua accettazione fra gli invitati. E’ opportuno che subito dopo la cena, vi ritiriate. Deve riposare, poiché, domani, la giornata sarà pesante e molto impegnativa per tutti.”
Dopo la prima notte Paolo preferì nel riposo avere il medesimo abbigliamento del suo anziano mentore. Entrava nel letto con la testa sulla spalla, con un braccio e con una gamba sul corpo di Nicola, per posizionarsi successivamente con il bacino contro il pube peloso e sentirne il ramo caldo nella sua valle sacra. Aveva sperimentato nel dormire ad avere anche l’uomo sopra di lui, trovandosi sempre nel risveglio bagnato, immerso nelle urine che il patriarca preferiva rilasciare su di lui per il piacere che simile atto gli dava e al ragazzo non dispiaceva; anzi … tant’è vero che costui ringraziava prima con teneri, delicati, dolci bacini e poi accettando la danza delle lingue.
Nella notte antecedente l’evento, probabilmente per l’ansia e l’apprensione, il suo dormire era notevolmente agitato, … scosso. Si dimenava, si divincolava contorcendosi, allungandosi, flettendosi, offrendo i suoi angoli nascosti a sguardi, a prese, ad intrusioni, … a penetrazioni immaginarie. Dagli ansimi ai boccheggi, dai lamenti alle urla sino al suo sfinimento muscolare e totale abbandono fra le braccia di un Nicola turbato e allarmato. In tutto questo c’era la regia della Donna Carmela, poiché nel cibo che gli era stato dato vi aveva unito dei purgativi per agevolare gli inservienti nell’igiene intestinale, a cui sarebbe stato sottoposto dopo il risveglio.
“Paoletta … Paoletta, … che hai, … perché ti agiti, … ti scuoti, ti lamenti o brontoli, … fai sforzi e scarichi molle con suoni e spinte, aperture sonore? Piccolo mio, … mia luce e gioia, … perché ti angosci?”
“Ero …”
“Dove, … racconta. … hai sognato?”
“Il mio corpo ascoltava … ubbidiva ad inviti. Ero vestito con pantaloncini e una tunichetta bianca, orlata di rosso; l’aria era calda, … un po’ pesante, afosa, opprimente; … in lontananza suoni, tuoni, lampi richiamavano temporali, scrosci, piogge torrenziali. Procedevo in avanti incurante del tempo e del vento che di lì a poco iniziò a rumoreggiare, rombare, fischiare, sibilare. Avanzavo seguendo una voce, un … non so; anche se ostacolato, sferzato da un vento artico, dalla violenza dell’acqua, con l’abbigliamento che era un tutt’uno con la pelle, con i piedi che sprofondavano nel fango e nei torrentizi rigagnoli che sempre più ampi, rumorosi, limacciosi conquistavano il cammino. Piegato dallo sforzo del procedere, dalla fronte, dopo avermi bagnato le ciglia, scendeva verso la bocca un rivolo determinato ad entrarvi. Somigliava ad un membro nerboruto, massiccio, forte che subito dopo uscì per scendere, unto delle mie salive con movenze sinuose, languide verso il mio inguine. Lo avevo già incontrato e conosciuto, mentre avvertivo altri che, dopo avermi inzuppato, marcato gli indumenti, scendevano per scioglierli, squagliarli, liquefarli.
Nudo, indifeso, intirizzito, senza accorgermi, mi ritrovai carponi con, nel retto, quello e altri sul corpo, trasformati in tentacoli, simili a quelli di polipi. Non riuscivo a sfilarmelo, perché i miei arti venivano presi, allacciati, fissati e discostati da altri. Il mio addome si gonfiava, si dilatava, cresceva. Mi divincolavo contorcendomi, dibattendomi, gemendo per il dolore. Strillavo, ululavo, muggivo finché gli stessi non si ritirarono per una breve pausa; dal mio sfintere, allora, schizzarono lunghi spruzzi neri, limosi, maleodoranti. Riafferrato, riposseduto, di nuovo gonfiato sino ad essere tirato e disteso prono, … bocconi su un masso ricoperto di licheni, imbevuto di sostanze che emanavano un profumo dopante, stimolante, particolare, a me già noto. Mi abbandonarono lasciandomi svuotare del limo di cefalopode. Le mie mani d’istinto si portarono tra le natiche leggermente divaricate per tastare la melma nera, oleosa di polpo, che fuoriusciva cremosa dal crespo fiore giù per il perineo verso il sodo, glabro contenitore di testicoli.
Dagli orli delle piccole alghe minuti insetti mordevano angoli del mio fisico per succhiare, aspirare, stillare gocce secretive, provocandomi solletico e piaceri. Mi inarcavo, sospiravo, urlavo rimettendomi gattoni per sfuggire a quei cannibali; mentre rami sovrastanti di salici piangenti, che, allungatisi, sgusciando e guizzando come serpi, avvinghiatomi, mi costrinsero a distendermi supino, per poi sollevarmi e flettermi gli arti inferiori. Incurvato, prima sferzarono, scudisciarono, percossero le mie natiche, … il mio anello e poi, viste le lacrime e sentite le lamentele, offrirono l’apertura amata ad un ramo più robusto, massiccio, sinuoso, con una punta-testa: altro glande, altro pene. Costei estasiata, dapprima annusò, inspirò i profumi che il roseo fiore emanava, contraendosi e rintanandosi nel cappuccio, poi con lenti strusci, lievi sbaciucchi, piccoli sfiori ammorbidì, illanguidì, snervandolo, per ungerlo, pizzicarlo, morderlo in modo da poter entrare lentamente, sino in fondo; … e riuscire … per rientrare. Il mio addome si alzava ogni volta che giungeva a fine corsa e si abbassava, dandomi languore di vuoto e il desiderio di riaverlo, … di riprenderlo, di recuperarlo e lui, percependo l’aumento della brama e della voglia, ritornava per colpirmi più forte e più in profondità. Sì avvitava trivellandomi, forandomi, trapanandomi, straziandomi e, mordendo il mio interno, mi torturava con il suo liquido infuocato. Altri tentacoli, presomi, mi sollevarono per farmi poi scendere, impalare su quel perno arroventato e ristendere, mentre quello tambureggiava e picchiettava le mie viscere; e dopo iniziarono a pungere, forare, stringere e tirare i miei capezzolini per allungarli e gonfiarli, mentre proseguiva il banchetto degli artropodi.
Sul mio corpo spossato, senza espressione, se non quella di piaceri disumani, coperto di macchie, di fazzoletti lattiginosi, strusciando e sfregando, dapprima sopraggiunse, spinto dal tepore dei liquidi, una specie enorme di tartufo di mare che poi, aperte le sue valve senza mollusco, attirò il mio volto al suo interno serrandolo, bloccandolo. Non aveva frutto, ma vigorose cartilagini indurite, vecchie, senza secrezioni che dovevo inumidire, bagnare, intridere di salive, inturgidire e risvegliare a forza di slinguate, leccate, toccatine di lingua, risucchi. In quell’antro stretto di vecchia strega, senz’aria, maleodorante da pesce in decomposizione, caldo, … ebbi conati e sensazioni di asfissia; mentre l’altro proseguiva imperterrito a martellare, urtare, picchiare. Entrambi mi riempirono, farcirono, mi inondarono di secrezioni contemporaneamente, ed esaltato … pazzo di piacere ingurgitai anche gli immondi, nefandi umori dell’orgasmo di quella vecchia bivalve.”
“… ma questo sogno non motiva la dissenteria avuta.”
“Non so. La visione onirica proseguiva. Invero dopo quella prima violenza, quel polipo, … quel mostro di tentacoli, simili a membri sinuosi, dopo avermi visto semisvenuto, … forse esanime … intontito, … prese a muoversi su di me, scivolando, slittando con quel suo corpo limoso, pieno di viscido fango, scuro … con quelle innumerevoli seduzioni che si spostavano, si muovevano lisciandomi, limandomi, scartavetrandomi per ungere di creme marine i piccoli segni rossi provocati dalle sue ventose.
Preso, agguantato, riposseduto da un membro asinino, legato a quel mostro trasformatosi in una scimmia volante, simile a un bonobo, fui trasferito … spostato da quell’altare di parassiti vegetali ad un altro, morbido, soffice, fresco, profumato, … pieno … zeppo di viole bianche. Trattenuto per le braccia, ancorato a lui, stantuffato, spazzolato, pompato, scopato, chiavato, continuamente riempito o irrorato di sperma rovente … ero un oggetto di massaggio per il suo membro, per altri … e per la sua lingua. Si tramutava in continuazione: da scimmia ad aracnide. Prono o supino, di fianco con una coscia divaricata e sollevata, a capretta o inarcato, con le ginocchia piegatemi sul volto, in piedi o appeso con la testa in giù e le anche aperte per essere imbuto di una lingua trivella con lo scopo di asportare sostanze intestinali da gustare, centellinare, sorbire, dopo averle liquefatte, fluidificate, rese liquide. Assente, distaccato, fissavo quella testa che sorbiva, masticava, ingeriva la materia, muovendo impercettibilmente i cheliceri e i pedipalpi. … e poi, presomi il pisello con le sue quattro zampe anteriori, allungatolo, morso e succhiato il liquido prostatico … pre-eiaculatorio che fluiva abbondante, con la lingua alterata e modificata, entrò per l’uretra per suggere, aspirare, risucchiare il contenuto della vescica.
Ridiventato mostro scimmia, seduto a cavalcioni delle sue ginocchia lanose, con il retto sempre occupato, trattato, dissodato, scassato, arato; riempito dal culo e dalla bocca; bloccato e immobilizzato; costretto ad aprire le labbra ad una lingua- sonda che mi schiaffeggiava, picchiava, ungeva leccandomi o che, sgusciata dalla bocca per finirmi sul petto, riprendeva la strada della salita per rientrare, scorrere e scendere, tramite l’esofago, verso lo stomaco. Conati, vomito, … ogni qualvolta succedeva erano colpi, mazzate, botte al mio retto. Sembrava che, quando avevo un rigurgito, quel paiolo, che mi teneva legato, si ingrossasse, si gonfiasse, si dilatasse come succede ai cani, quando si gonfia il nodo per una monta più profonda, incisiva, penetrante, sicura. Muggiti, ululati, lamenti, gemiti e il tutto si manifestava mentre ero allo spiedo di un membro mostruoso e di una lingua-trivella. Ad ogni spinta, si sentiva il rumore di attaccaticcio, i -gnack gnack gnack-, del cazzo di quella scimmia-ramarro che si muoveva nel mio buco sporco, inzaccherato di sperma.
Mi sentivo pieno, schiacciato, sventrato da quei tentacoli ansimavo, latravo e venivo coperto proprio come una cagnetta in calore ed ero continuamente posto allo spiedo.
Rimesso nel letto poltiglia ero sottoposto da quei mostri ramarri-pesci ad accettare per coprirmi, … a ricevere le loro bianche coperte lattiginose, collose, vischiose anche da guanti rivoltati e ad ascoltare il manta: “sei mio, … sei mio, … sei mio”
Io non voglio essere come in quel sogno. Non sarò mai di quei mostri: solo tuo Nicola. Non sono un oggetto, un guanto, un imbuto di piacere. Io desidero anche dormire al tepore di un corpo, cullato dal suo movimento interno, riscaldato dal suo alitare, eccitato dalle sue reazioni, turbato dai suoi baci, … carezze, … dai suoi leggeri tocchi, … emozionato, sbigottito, scosso dall’eccitazione dei nostri sogni; sentire e vedere le tue mani, i tuoi occhi, le tue ciglia … e percepire il tuo profumo; disposto collimante, combaciante con il tuo fisico per poterti pettinare con le dita o accarezzare la fronte godendo della nostra aderenza, o a ranocchia con il volto verso il tuo pube per godere della sua delicatezza, …della sua grazia sia da moscio che da turgido mentre tu potrai gioire alla vista del mio fiore carnoso, luminoso, caldo, umido, scivoloso, stretto, ma cedevole per essere accogliente, seducente, soave con l’ospite che lo vorrà salutare e conoscere.
Ohhhhhhhh, … Nicola!”
“Ohh piccolo, quel sogno è la visione di quello che vivrai oggi e del tuo rifiuto per tale esperienza, poiché questo evento per te è vuoto, è privo di poesia e di anima, non ti dà calore e passione. Tu per quelli che ti fotteranno, sodomizzeranno, tromberanno, penetreranno e ti possederanno … sei un giocattolo, … un toys, … a toy for their pleasure.
Sìììì, … ti terrò per me solo; condividerò con te il mio giaciglio, il mio riposo. Nudi, discinti, senza abbigliamento ci riscalderemo, ci abbracceremo, ci coccoleremo e dormiremo uno stretto all’altro, avvinghiati, stretti, abbracciati e non ci saranno parti del nostro corpo vietate alle tue o mie visite.”
Nella casa c’era ancora il silenzio della notte. Una lunga pioggia delicata, fresca era scesa a cullare la fine del loro riposo.
Loro udivano, ma ancora non si svegliavano. Dolce dormire, dolce oziare al tepore delle lenzuola e dei sensi. Si sorridevano, dietro le palpebre chiuse, si cercavano nel letto toccando i loro recessi più nascosti. Picchiettando la pioggia faceva il solletico alla casa e diceva pian piano: destatevi; mormorava: svegliatevi; e poi: su, su, è l'ora, vestitevi; e loro fingevano ancora di dormire, perché nulla era piu dolce di quella carezza leggera e di quel loro dormiveglia.
Alla fine apersero gli occhi: dalle imposte schiuse furono salutati da un odore di terra bagnata, di humus di sottobosco, di porcini.
Quel mattino d'agosto era limpidissimo: durante la notte aveva piovuto; nel bosco e nei prati sovrastanti la casa regnava una dolce frescura. Le felci, l'erba, i tronchi, le betulle, gli aceri e le rocce lavate, spandevano un profumo quasi pungente; la brezza dava un aspetto variegato giallo-argentato alle chiome dei lecci; mentre il cielo sorrideva azzurro come un lago dagli sfondi trasparenti. Un gregge pascolava lontano fra tanta soavità di cielo, di bosco e di prati.
“Su, ci stanno attendendo per il bagno e per la colazione.”
“Anffffffffffff, …anfffffffff, … sì, ma …”
“Ce la farai, non temere. I sogni sono sogni, anche se a volte ci preannunciano il futuro; comunque io ti sarò sempre vicino e non permetterò che ti sia fatto del male. Non voglio pensare che la notte appena trascorsa
possa essere stata l’ultima assieme; devono essercene delle altre visto che entrambi desideriamo il letto in comune. Io ti aspergerò con il contenuto della vescica, poiché quello che avrò accumulato nelle mie ghiandole lo conserverò per noi e dove lo vorrai tu per i nostri momenti notturni.”
Paolo sarebbe stato presentato agli invitati nella sala delle feste con una tunichetta-saio bordata di rosso, tipo chierichetto, preparatagli dalla signora -Carmela- appositamente per l’evento. Sotto avrebbe indossato un pantaloncino, attillato e allacciato in vita a mo’ di “rundena”, unito ad una canotta a spalline larghe e i piedi in sandali alla francescana con lacci rossi. Tutto l’abbigliamento, compreso il cingolo, era di un bianco candido da affascinare, stupire e sedurre: comunicava innocenza, purezza, pudicizia, mentre il rosso della tunichetta e dei legacci era segno di donazione, di sacrificio, di passionalità, di vitalità, di istinto, di seduzione, …
La sala era una grotta sconosciuta nelle mappe, a cui si accedeva dall’abitazione tramite una stretta cavità, non molto lunga, allargata per il passaggio in piedi di due persone affiancate e con nicchie per statuette o altro comunicante erotismo. In essa la famiglia aveva fatto dei lavori che non alteravano minimamente l’ambiente, ma lo rendevano insonorizzato, molto confortevole per temperatura e per feste prolungate, al riparo da udito e occhi indiscreti. Era stata trovata casualmente, quando iniziarono i lavori di costruzione. Al suo interno era ubicata una cantinetta, da cui si poteva sbucare all’esterno strisciando o far entrare degli animali di bassa statura per eventi particolari; una cucina e un palchetto rotondo in tavola per presentazioni, costruito per eliminare dislivelli e asperità, alto pochi centimetri e tutt’attorno, a questo, tavoli trapezoidali, isosceli con le basi minori verso la roccia, su cui nelle feste erano già posti dei farmaci e dei toys, oltre a bevande e stuzzichini. Su di esso per l’evento era stato collocato e fissato un tavolo-altare solo per pochi intimi, oltre al contenitore cucchiaio, da Paolo già collaudato. Certi servizi sarebbero stati svolti da militari, noti a Cesare e associati alla loggia per la loro omosessualità.
“Io non ho paura di fare l’esperienza che avevo sognato, ma è … solo quel momento carnale, corporeo, sessuale e ... Con Lei sono sempre pronto a fare nuove esperienze, ma spinto da quello che batte, … non sentendomi oggetto, ma persona, … anche se ragazzo. Lei, per me è il nonno che non ho mai conosciuto, … il nonno che mi insegnerà, istruirà, educherà al piacere e alla comprensione. Ho assorbito tanto in questi giorni, ma ho capito che avere o posare il proprio corpo su quello di un altro, senza doversi aprire, è una cosa meravigliosa, … è … Lo schiudersi per donarsi deve essere reciproco, … mutuo, senza coercizioni, con solo delle limitazioni capaci di offendere il fisico.”
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