Mare d'inverno.
di
Adelina69
genere
saffico
Dopo quella nottata nello scantinato, io e Alberta non ci siamo più riviste. Ultimamente la reciproca voglia di riassaporare i nostri sapori si è ripresentata, l’unico mio timore, è che mentre io ho solo la voglia di trasgredire, mista all’invidia per Mia, che si sta spupazzando Dorotea come fosse una bambolina, temo che lei si sia innamorata, abbia voglia di qualcosa di sentimentale, alcune lo fanno con un amante più giovane e appassionato, lei ha scoperto questa sua attrattiva per le femmine, ha concentrato su di me tutte le sue brame.
Lascio che sia la mia vagina a decidere, e organizziamo una fuga clandestina a due, meta una piccola casetta che possiede in una località marina della costa toscana.
Due giorni , con la scusa lei,di una grossa fiera nel nord, di prodotti floreali, per me uno dei molti clienti a cui devo fare una consulenza finanziaria.
Ci troviamo a Firenze, alla stazione, solo che invece di prendere il freccia rossa per Milano, saltiamo sul regionale per la Versilia, poi, raggiungeremo a Marina di Pietrasanta, la casa di villeggiatura di Alberta, una villetta ad un piano con un piccolo giardino, sepolta sotto ai grossi pini secolari.
Mi mostra le foto dal cellulare, mentre viaggiamo sugli scomodi sedili del trenino.
Si è truccata in modo maniacale, è stata dalla parrucchiera, ha un completo di Armani in stile manageriale, profuma di Chanel numero cinque, sta sfoderando tutte le armi che possiede, per sedurmi, sento la sua voglia che mi arriva potente, la sua vagina che pulsa attraverso i vestiti.
Vorrebbe scoparmi qui sul treno, devo concentrarmi per mantenere il controllo della situazione.
Divago, le parlo del mio lavoro, anticipo che, più tardi mi dovrò connettere in teleconferenza con il cliente, la consulenza non era immaginaria.
Le chiedo cosa racconterà a casa, ma è già d’accordo con una sua collega di Perugia, si vedranno alla stazione al ritorno, prenderà anche per lei opuscoli e brocure, tornerà con tutto il materiale informativo che si recupera in queste fiere, si farà dare tutto doppio, lo scorso anno era stata lei a coprirla,
“ma lei ha amanti maschi”.
Me lo dice con uno strano sorriso, che un po’ mi fa paura, spero che la sua sia soltanto una scappatella dalla routine matrimoniale.
Scendiamo a Viareggio, c’è un taxi che ci aspetta, pochi chilometri e arriveremo a destinazione.
Alberta è smaniosa come una liceale, sul sedile posteriore si protende e si struscia, l’autista ogni tanto controlla dallo specchietto retrovisore, ha sgamato la situazione, le pizzico un fianco e le faccio cenno, un po’ a malincuore si ricompone, finalmente ci fermiamo in una stradina, in mezzo a villette con il giardino, bassi recinti con il cancellino di ferro battuto, tutta architettura anni sessanta, costruzioni basse con il tetto di tegole scure.
Ci siamo organizzate il resto della giornata, per fortuna la connessione è buona, potrò fare la mia teleconferenza, lei chiama la sua amica, si fa mandare le foto degli stand, parlano di piante e fiori, quando tornerà a casa saprà cosa raccontare.
Finisco a pomeriggio inoltrato, rispondo a un paio di messaggi di Mia, ripongo il portatile, chiamo Alberta, la sento che ancora conversa nella camera da letto.
“vieni ho staccato proprio ora”.
“Senti mettiamoci comode, apri quello sportello dell’armadio, ci sono delle tute invernali, prendiamo due cerate e andiamo a fare una passeggiata, ho voglia di respirare un po’ l’odore del mare”.
Camminiamo lungo alle stradine che costeggiano giardini e case basse, tutte molto simili a quella di Alberta.
Poi attraversiamo una larga strada che costeggia il mare, e oltrepassiamo alcuni stabilimenti balneari, per ritrovarci in uno slargo con in mezzo una fontana, da cui parte un lungo pontile, che finisce in mezzo al mare.
Ormai è quasi buio, si sono accese le luci dei lampioni, una fila di negozi e case basse si protrae dall’altra parte dello spiazzo, verso le montagne che proiettano un ombra scura.
La strada è lucida, riflette le luci al neon, Alberta mi prende per mano e ci incamminiamo sul pontile.
Il mare è piatto, l’aria ferma, un gabbiano svolazza e si ferma sulla balaustra, ci osserva mentre passiamo oltre, indifferente alla nostra presenza.
Alla fine del pontile un semicerchio chiude la strada verso il mare, un paio di panchine, un pescatore ripone l’attrezzatura, e si incammina verso casa.
Siamo sole, respiro profondamente l’aria salmastra, nessuna delle due ha voglia di parlare, ci godiamo per qualche momento la situazione, ascoltiamo le piccolissime onde che sciabordano sui pilastri di cemento.
Poi Alberta mi stringe a sé, ha aperto la grande cerata, e me la richiude dietro alla schiena, sono intrappolata dentro alla sua presa.
Ha sfilato le braccia dalle maniche, sento che mi apre la cerniera, le sue mani che si infilano sotto alla felpa, mi accorgo che ha solo una maglietta di cotone, sento le sue grosse poppe, le prendo nel palmo della mano, sono morbide, i capezzoli duri, incollo la bocca alla sua, iniziamo a frugarci nelle profondità del palato.
Le ho appena messo una mano in mezzo alle cosce, non ha le mutande, la sua fica carnosa e umida è nel mio palmo, la sento ansimare per un momento, quando qualcosa mi sfrega le gambe, abbasso lo sguardo e vedo un cagnolino bianco, che saltella e vorrebbe diventare il centro delle nostre attenzioni.
Una vecchietta tutta intabarrata arranca lungo il pontile, lo chiama con voce afona, il birbantello si è divertito a sfuggire al controllo della sua padrona, sente l’odore dei nostri cani sulle scarpe, non sa che ha interrotto, un orgasmo da troppe ore trattenuto.
“ Salciccio lascia stare le signore”!
“non si preoccupi non ci ha disturbate siamo abituate ai cani”.
La vecchietta si è avvicinata e rimette la sua belva al guinzaglio, ora ci scruta incuriosita, due donne troppo strette e avvinghiate per i suoi parametri normali.
Poi inaspettatamente, sorride,
“fate bene a riscaldarvi e a restare così vicine, siete ancora giovani, godetevi la vita!”
E si rimette in marcia, tornando verso la spiaggia, con Salciccio che le trotterella intorno tutto soddisfatto, spruzzando urina ad ogni lampione.
La osserviamo ancora un poco Alberta mi ribacia, rimetto la mano su quel caldo anfratto tra le sue cosce,
è umido, lei mi stringe con forza, sento le sue labbra e la sua lingua che aspirano la mia, il respiro che si fa affannoso, l’aria umida che esce dalle narici mi sta bagnando una guancia, continuo a premere e a palpare,
fino a che la sento sussultare, un piccolo fiotto caldo mi bagna la mano, ansima con forza, scivola un poco lungo la ringhiera del pontile, la sorreggo, tengo la mano appoggiata fino a quando non smette di pulsare.
Gironzoliamo nelle strade semideserte, i negozi sono quasi tutti chiusi, le poche luci accese riflettono i loro bagliori a volte colorati sui marciapiedi umidi,siamo alla ricerca di un posto dove cenare.
I pochi ristoranti che non chiudono nel periodo invernale non sono granchè attraenti, Alberta si ricorda di una specie di friggitoria tavola calda, che d’estate va molto di moda,
“una frittura di pesce spettacolare”.
Lo dice con la speranza remota di trovarla aperta, invece girato un angolo, quando stiamo per imboccare la viuzza che riporta verso casa, vediamo la grande insegna con la luce al neon, che sovrasta una vetrina tutta appannata di vapore, dentro si intravedono alcune figure, forse la cena è assicurata.
Il proprietario è un simpaticone, lancia improperi alla presunta moglie che alle prese con le vasche della friggitrice,brontola e lancia sguardi poco amichevoli, ci propone la frittura, e poi dice,
“mi sono rimaste due belle porzioni di caciucco, se le prendete vi faccio un prezzo speciale, per voi due belle signore”.
“Il vino della casa va bene?”
Facciamo un timido cenno di assenso, e lui si dilegua tutto soddisfatto.
Gli avventori sono un gruppo di operai meridionali, che divorano un enorme vassoio di frittura, e una coppia di anziani, due pensionati ,di quelli che vengono a svernare al mare, si sono concessi una serata in rosticceria.
La frittura è buonissima, e il caciucco davvero spettacolare.
Peccato per il vino, un bianco frizzante alla spina, una specie di attentato per la gastrite.
“Alberta questo vino è tremendo”
“così non ci ubriachiamo, dopo a letto voglio essere lucida”
Me lo dice con un sorriso strano, mi preparo per una notte infuocata.
Ha tolto la cerata ed è rimasta con una maglietta bianca di cotone, le sbircio le grosse poppe che rigonfiano l’indumento leggero, cerco di immaginarmela finalmente nuda dentro il letto, la voglio rivoltare come un calzino.
Divoriamo tutta la fauna ittica fritta e anche quella messa a bagno nel pomodoro.
Il rosticciere si complimenta, Alberta ha anche fatto la scarpetta nella tazza del caciucco,
“però non siete delle grosse bevitrici, il vino lo avete quasi a tutto avanzato”.
“siamo più portate per i supercolici”
“Ora vi porto io un rhummettino che vi rimette al mondo”
“Anche due caffè allora”.
Usciamo abbastanza brille, i rhummettini sono diventati tre, e poi è finito anche il mezzo litro di acido solforico camuffato da vino.
Alberta mi cammina al fianco, e fa degli strani saltelli, ogni tanto ridacchia, per fortuna voleva restare lucida, cerco di respirare a fondo l’aria umida e fresca della notte, penso a questa nostra notte clandestina, al destino misterioso degli amanti, ritagli ambigui e rubati, il fascino della clandestinità, l’oscura sensazione che circonda il rimorso e i sensi di colpa, quando si ritorna a casa, tra le braccia sicure della normalità.
Varchiamo la soglia della camera da letto, e ci spogliamo in silenzio, le cerate e le poche cose che ci ricoprono cadono in terra, per la prima volta saremo entrambe nude, in un letto comodo, faremo all’amore, dopo le fugaci palpatine sul pontile, e il raptus maniacale della prima volta, nel tugurio in mezzo ai campi.
Ha voglia di assaporarmi, ancora non mi ha toccata per davvero, mi sdraio sulla schiena e allargo le cosce, lei inizia ad esplorarmi, con la lingua e con le mani, ci sta pensando da settimane, chissà quante volte si è masturbata, mentre immaginava di leccarmi, di toccarmi, forse per la prima volta in vita sua sente il sapore di una fica, mi rilasso e non penso a nulla, voglio solo godermi questa notte, con questa donna che mi tormenta dalla prima volta che l’ho incontrata.
Il caffè ha borbottato nella moka, nella dispensa ho trovato un pacco di biscotti ancora chiuso, un rimasuglio dell’estate.
Li sto inzuppando nel liquido marrone, penso alla nottata appena trascorsa, indosso ho un maglione e un paio di pantaloni di un pigiama, che ho trovato nel cassetto di un canterano.
Alberta arriva silenziosa, si è messa un lungo paio di calzettoni di lana grigia, che la coprono fino a metà delle cosce, sopra ha una giacca di lana dello stesso colore, abbottonata sul davanti.
Le verso il caffè dalla grossa moka, il pupazzo con i mustacchi mi osserva sornione, anche lei inizia inzuppare i biscotti, mangiamo in silenzio, entrambe sappiamo che qualcosa è rimasto in sospeso, le nostre voglie ancora non si sono placate.
Sono sicura che mi abbia stregata, lo comprendo quando sposta la sedia e mi si piazza di fronte, sbottona il maglione e allarga le gambe, mi fissa con quello sguardo da puttana in calore, inizia a toccarsi le tette e quel leggero strato morbido che le ricopre il ventre, l’interno burroso delle cosce spalancate.
Non resisto nemmeno mezzo minuto, mi inginocchio davanti a lei, e incollo la bocca alla sua fica.
Lascio che sia la mia vagina a decidere, e organizziamo una fuga clandestina a due, meta una piccola casetta che possiede in una località marina della costa toscana.
Due giorni , con la scusa lei,di una grossa fiera nel nord, di prodotti floreali, per me uno dei molti clienti a cui devo fare una consulenza finanziaria.
Ci troviamo a Firenze, alla stazione, solo che invece di prendere il freccia rossa per Milano, saltiamo sul regionale per la Versilia, poi, raggiungeremo a Marina di Pietrasanta, la casa di villeggiatura di Alberta, una villetta ad un piano con un piccolo giardino, sepolta sotto ai grossi pini secolari.
Mi mostra le foto dal cellulare, mentre viaggiamo sugli scomodi sedili del trenino.
Si è truccata in modo maniacale, è stata dalla parrucchiera, ha un completo di Armani in stile manageriale, profuma di Chanel numero cinque, sta sfoderando tutte le armi che possiede, per sedurmi, sento la sua voglia che mi arriva potente, la sua vagina che pulsa attraverso i vestiti.
Vorrebbe scoparmi qui sul treno, devo concentrarmi per mantenere il controllo della situazione.
Divago, le parlo del mio lavoro, anticipo che, più tardi mi dovrò connettere in teleconferenza con il cliente, la consulenza non era immaginaria.
Le chiedo cosa racconterà a casa, ma è già d’accordo con una sua collega di Perugia, si vedranno alla stazione al ritorno, prenderà anche per lei opuscoli e brocure, tornerà con tutto il materiale informativo che si recupera in queste fiere, si farà dare tutto doppio, lo scorso anno era stata lei a coprirla,
“ma lei ha amanti maschi”.
Me lo dice con uno strano sorriso, che un po’ mi fa paura, spero che la sua sia soltanto una scappatella dalla routine matrimoniale.
Scendiamo a Viareggio, c’è un taxi che ci aspetta, pochi chilometri e arriveremo a destinazione.
Alberta è smaniosa come una liceale, sul sedile posteriore si protende e si struscia, l’autista ogni tanto controlla dallo specchietto retrovisore, ha sgamato la situazione, le pizzico un fianco e le faccio cenno, un po’ a malincuore si ricompone, finalmente ci fermiamo in una stradina, in mezzo a villette con il giardino, bassi recinti con il cancellino di ferro battuto, tutta architettura anni sessanta, costruzioni basse con il tetto di tegole scure.
Ci siamo organizzate il resto della giornata, per fortuna la connessione è buona, potrò fare la mia teleconferenza, lei chiama la sua amica, si fa mandare le foto degli stand, parlano di piante e fiori, quando tornerà a casa saprà cosa raccontare.
Finisco a pomeriggio inoltrato, rispondo a un paio di messaggi di Mia, ripongo il portatile, chiamo Alberta, la sento che ancora conversa nella camera da letto.
“vieni ho staccato proprio ora”.
“Senti mettiamoci comode, apri quello sportello dell’armadio, ci sono delle tute invernali, prendiamo due cerate e andiamo a fare una passeggiata, ho voglia di respirare un po’ l’odore del mare”.
Camminiamo lungo alle stradine che costeggiano giardini e case basse, tutte molto simili a quella di Alberta.
Poi attraversiamo una larga strada che costeggia il mare, e oltrepassiamo alcuni stabilimenti balneari, per ritrovarci in uno slargo con in mezzo una fontana, da cui parte un lungo pontile, che finisce in mezzo al mare.
Ormai è quasi buio, si sono accese le luci dei lampioni, una fila di negozi e case basse si protrae dall’altra parte dello spiazzo, verso le montagne che proiettano un ombra scura.
La strada è lucida, riflette le luci al neon, Alberta mi prende per mano e ci incamminiamo sul pontile.
Il mare è piatto, l’aria ferma, un gabbiano svolazza e si ferma sulla balaustra, ci osserva mentre passiamo oltre, indifferente alla nostra presenza.
Alla fine del pontile un semicerchio chiude la strada verso il mare, un paio di panchine, un pescatore ripone l’attrezzatura, e si incammina verso casa.
Siamo sole, respiro profondamente l’aria salmastra, nessuna delle due ha voglia di parlare, ci godiamo per qualche momento la situazione, ascoltiamo le piccolissime onde che sciabordano sui pilastri di cemento.
Poi Alberta mi stringe a sé, ha aperto la grande cerata, e me la richiude dietro alla schiena, sono intrappolata dentro alla sua presa.
Ha sfilato le braccia dalle maniche, sento che mi apre la cerniera, le sue mani che si infilano sotto alla felpa, mi accorgo che ha solo una maglietta di cotone, sento le sue grosse poppe, le prendo nel palmo della mano, sono morbide, i capezzoli duri, incollo la bocca alla sua, iniziamo a frugarci nelle profondità del palato.
Le ho appena messo una mano in mezzo alle cosce, non ha le mutande, la sua fica carnosa e umida è nel mio palmo, la sento ansimare per un momento, quando qualcosa mi sfrega le gambe, abbasso lo sguardo e vedo un cagnolino bianco, che saltella e vorrebbe diventare il centro delle nostre attenzioni.
Una vecchietta tutta intabarrata arranca lungo il pontile, lo chiama con voce afona, il birbantello si è divertito a sfuggire al controllo della sua padrona, sente l’odore dei nostri cani sulle scarpe, non sa che ha interrotto, un orgasmo da troppe ore trattenuto.
“ Salciccio lascia stare le signore”!
“non si preoccupi non ci ha disturbate siamo abituate ai cani”.
La vecchietta si è avvicinata e rimette la sua belva al guinzaglio, ora ci scruta incuriosita, due donne troppo strette e avvinghiate per i suoi parametri normali.
Poi inaspettatamente, sorride,
“fate bene a riscaldarvi e a restare così vicine, siete ancora giovani, godetevi la vita!”
E si rimette in marcia, tornando verso la spiaggia, con Salciccio che le trotterella intorno tutto soddisfatto, spruzzando urina ad ogni lampione.
La osserviamo ancora un poco Alberta mi ribacia, rimetto la mano su quel caldo anfratto tra le sue cosce,
è umido, lei mi stringe con forza, sento le sue labbra e la sua lingua che aspirano la mia, il respiro che si fa affannoso, l’aria umida che esce dalle narici mi sta bagnando una guancia, continuo a premere e a palpare,
fino a che la sento sussultare, un piccolo fiotto caldo mi bagna la mano, ansima con forza, scivola un poco lungo la ringhiera del pontile, la sorreggo, tengo la mano appoggiata fino a quando non smette di pulsare.
Gironzoliamo nelle strade semideserte, i negozi sono quasi tutti chiusi, le poche luci accese riflettono i loro bagliori a volte colorati sui marciapiedi umidi,siamo alla ricerca di un posto dove cenare.
I pochi ristoranti che non chiudono nel periodo invernale non sono granchè attraenti, Alberta si ricorda di una specie di friggitoria tavola calda, che d’estate va molto di moda,
“una frittura di pesce spettacolare”.
Lo dice con la speranza remota di trovarla aperta, invece girato un angolo, quando stiamo per imboccare la viuzza che riporta verso casa, vediamo la grande insegna con la luce al neon, che sovrasta una vetrina tutta appannata di vapore, dentro si intravedono alcune figure, forse la cena è assicurata.
Il proprietario è un simpaticone, lancia improperi alla presunta moglie che alle prese con le vasche della friggitrice,brontola e lancia sguardi poco amichevoli, ci propone la frittura, e poi dice,
“mi sono rimaste due belle porzioni di caciucco, se le prendete vi faccio un prezzo speciale, per voi due belle signore”.
“Il vino della casa va bene?”
Facciamo un timido cenno di assenso, e lui si dilegua tutto soddisfatto.
Gli avventori sono un gruppo di operai meridionali, che divorano un enorme vassoio di frittura, e una coppia di anziani, due pensionati ,di quelli che vengono a svernare al mare, si sono concessi una serata in rosticceria.
La frittura è buonissima, e il caciucco davvero spettacolare.
Peccato per il vino, un bianco frizzante alla spina, una specie di attentato per la gastrite.
“Alberta questo vino è tremendo”
“così non ci ubriachiamo, dopo a letto voglio essere lucida”
Me lo dice con un sorriso strano, mi preparo per una notte infuocata.
Ha tolto la cerata ed è rimasta con una maglietta bianca di cotone, le sbircio le grosse poppe che rigonfiano l’indumento leggero, cerco di immaginarmela finalmente nuda dentro il letto, la voglio rivoltare come un calzino.
Divoriamo tutta la fauna ittica fritta e anche quella messa a bagno nel pomodoro.
Il rosticciere si complimenta, Alberta ha anche fatto la scarpetta nella tazza del caciucco,
“però non siete delle grosse bevitrici, il vino lo avete quasi a tutto avanzato”.
“siamo più portate per i supercolici”
“Ora vi porto io un rhummettino che vi rimette al mondo”
“Anche due caffè allora”.
Usciamo abbastanza brille, i rhummettini sono diventati tre, e poi è finito anche il mezzo litro di acido solforico camuffato da vino.
Alberta mi cammina al fianco, e fa degli strani saltelli, ogni tanto ridacchia, per fortuna voleva restare lucida, cerco di respirare a fondo l’aria umida e fresca della notte, penso a questa nostra notte clandestina, al destino misterioso degli amanti, ritagli ambigui e rubati, il fascino della clandestinità, l’oscura sensazione che circonda il rimorso e i sensi di colpa, quando si ritorna a casa, tra le braccia sicure della normalità.
Varchiamo la soglia della camera da letto, e ci spogliamo in silenzio, le cerate e le poche cose che ci ricoprono cadono in terra, per la prima volta saremo entrambe nude, in un letto comodo, faremo all’amore, dopo le fugaci palpatine sul pontile, e il raptus maniacale della prima volta, nel tugurio in mezzo ai campi.
Ha voglia di assaporarmi, ancora non mi ha toccata per davvero, mi sdraio sulla schiena e allargo le cosce, lei inizia ad esplorarmi, con la lingua e con le mani, ci sta pensando da settimane, chissà quante volte si è masturbata, mentre immaginava di leccarmi, di toccarmi, forse per la prima volta in vita sua sente il sapore di una fica, mi rilasso e non penso a nulla, voglio solo godermi questa notte, con questa donna che mi tormenta dalla prima volta che l’ho incontrata.
Il caffè ha borbottato nella moka, nella dispensa ho trovato un pacco di biscotti ancora chiuso, un rimasuglio dell’estate.
Li sto inzuppando nel liquido marrone, penso alla nottata appena trascorsa, indosso ho un maglione e un paio di pantaloni di un pigiama, che ho trovato nel cassetto di un canterano.
Alberta arriva silenziosa, si è messa un lungo paio di calzettoni di lana grigia, che la coprono fino a metà delle cosce, sopra ha una giacca di lana dello stesso colore, abbottonata sul davanti.
Le verso il caffè dalla grossa moka, il pupazzo con i mustacchi mi osserva sornione, anche lei inizia inzuppare i biscotti, mangiamo in silenzio, entrambe sappiamo che qualcosa è rimasto in sospeso, le nostre voglie ancora non si sono placate.
Sono sicura che mi abbia stregata, lo comprendo quando sposta la sedia e mi si piazza di fronte, sbottona il maglione e allarga le gambe, mi fissa con quello sguardo da puttana in calore, inizia a toccarsi le tette e quel leggero strato morbido che le ricopre il ventre, l’interno burroso delle cosce spalancate.
Non resisto nemmeno mezzo minuto, mi inginocchio davanti a lei, e incollo la bocca alla sua fica.
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