Fire and water

di
genere
saffico

I quattro ragazzotti, con i capelli lunghi e l’aria trasandata, si agitano sul palco,l’amplificazione è volutamente un po’ scarna, dei vecchi Marshall a valvole, con la finta pelle nera che li ricopre logora, consumata agli angoli, la tela macchiata di muffa, e di chissà quali altre sostanze chimiche.
Tutto l’ambiente mi ricorda, un luogo estrapolato da una macchina del tempo, siamo nel secondo decennio degli anni duemila, inscatolati però nel millenovecentosettanta.
Erano settimane che Mia mi massacrava con questa sua voglia, venire in questa specie di scantinato per vedere la cover band del suo gruppo preferito, i Free.
Come mi immaginavo gli astanti sono una trentina di persone, tutti vecchi di merda, ex sfattoni, alcuni lo sembrano ancora.
Mia è una donna nata fuori tempo, almeno una trentina di anni in ritardo, rispetto a quello che avrebbe dovuto essere il suo mondo.
Passa le giornate ad ascoltare il rock della fine degli anni sessanta, tutto quello che è impresso sulla data di produzione, tra il sessantotto e il settantadue.
Il film sul concerto di Woodstock, lo riguarda almeno una volta alla settimana, la sua è quasi un ossessione.
Insomma, per me che ascolto prevalentemente solo jazz, potrebbe essere fastidioso, però a sua particolare discolpa, devo dire che alcune cose, anzi molte, mi piacciono, a ragion veduta si è scelta gli anni migliori, ormai molti suoni mi sono diventati famigliari, l’ho accontentata volentieri.
Ora bisogna sapere che questi Free, hanno inciso solo tre o quattro dischi, per poi sparire, anche se hanno lasciato un segno profondo, tra gli appassionati.
Mia dice che Andy Fraser il bassista sedicenne al loro lavoro di esordio, sia stato il migliore di tutta la storia del rock.
Ma i suoi giudizi vanno sempre presi con le dovute prudenze, anche se il tipo era indubbiamente un fuoriclasse assoluto.
Ancora non ho ben capito dove, si è procurata dell’erba, prima di uscire ha precofenzionato tre o quattro sigarettine di marijuana, sa che fumo molto di rado, si è allontanata sotto al piccolo palco, resto seduta su di uno sgabello di fronte al bancone di assi inchiodati, con la mia fida birra rossa alla spina.
Il locale è davvero un residuato bellico degli anni settanta, foto in bianco e nero di Jimy Hendrix e Janis Joplin, sacchi di iuta incollati alle pareti, tavoli fatti con assi riciclati, pavimento di legno.
Tutto estremamente infiammabile, mi chiedo come abbiano fatto ad ottenere il nulla osta dai vigili del fuoco.

Penso che i quattro suonino gratis, onde evitare una perdita economica netta della serata.
In ogni caso non sono per niente male, il cantante riesce ad imitare molto bene la voce gracchiante di Paul Rodger, le schitarrate di Kossof, sono riprodotte alla perfezione, anche il bassista sembra aver imparato a memoria i virtuosismi di Fraser.
Vedo Mia in prima fila con il suo vestiario neo hippie, che saltella tutta entusiasta, hanno detto che ora faranno tutto il loro disco più famoso, Fire and Water.
Finisco la birra,stanno per iniziare i complicati giri di basso di Mr. Big, quando sento una voce dietro di me che mi saluta, e una mano che mi sfiora la schiena,
“Buonasera, non mi aspettavo di trovarla qui!”
Mi giro e mi trovo di fronte la signora del vivaio, quella delle piante officinali, dove con Mia ci riforniamo anche di piantine per l’orto da trapiantare.
Quella su cui ho fatto più di un insano sogno erotico.
Mi sorride, con gli occhi azzurri che brillano, il caschetto biondo, i soliti jeans elasticizzati che le fasciano il culo strepitoso, un maglioncino colorato, dalla scollatura poco casta, da cui fanno capolino le generose mammelle che madre natura le ha donato.
Cerco il fiato per rispondere,
“Ah si, anche per me è una sorpresa, ma è la mia amica che è fissata con questa musica, l’ho dovuta per forza accompagnare”.
“Lei che ci fa qui?”
“Vede quel tipo laggiù con il cappello da cow boy e la giacca con le frange? Quello è mio marito, anche lui è fissato…….”
In effetti al vivaio l’avevo intravisto ma conciato in quel modo, di certo non l’avrei mai riconosciuto.
“Ha finito la birra…. Se vuole gliene offro una, anche io avrei voglia di bere qualcosa”
“Certo volentieri”
“Io la prendo bionda, lei?”
“rossa grazie”
Guarda un attimo verso Mia, la sua chioma riccia rosso castana risalta in mezzo ai pochi astanti,
mi ammicca maliziosa
“non avevo dubbi in proposito.”
Iniziamo a sorseggiare le bevande schiumose e fresche, hanno birra davvero buona in questo posto.
“A proposito io mi chiamo Alberta, lei lo so già il suo nome è Adele, l’ho visto sulla carta di credito”.
“le amiche mi chiamano Adelina”
“bene Adelina, possiamo darci del tu allora”
“ok Alberta diamoci del tu”.
La osservo, ha assunto quell’aspetto, e quella postura che riconosco ormai con quasi matematica certezza, nelle donne che hanno voglia di essere scopate.
Quella vaga sensazione che ho sempre avvertito durante i nostri brevi incontri al vivaio, quel suo soffermarsi troppo sulle mie parti intime con lo sguardo, soprattutto in estate, quando probabilmente per provocarla, sapendo che da lei mi sarei recata, sceglievo vestiti da porcella, tette mezze di fuori, leggins ultra stretti, con lo stampo della patata in primo piano.
Ora in territorio sconosciuto e neutrale, i sui freni inibitori sono saltati, e la sua voglia delle mie mani su di lei, della mia lingua che la esplora, traspare quasi senza pudori, aspetta solo che faccia un cenno anche velato, ha scordato il marito, Mia e tutto il resto, chissà da quanto tempo ha questo pensiero, celato represso e trattenuto.
“Però sono bravi questi ragazzotti” le dico facendo finta di non vedere.
“Insomma non saprei, di musica di capisco poco, sono venuta per accontentare mio marito, che invece è davvero fissato”
“ a te piacciono? “
“anche a me la musica non piace molto, pure io sono qui solo per Mia”
Mento spudoratamente.
“ah si chiama Mia la tua amica …… ma siete solo amiche, scusa se te lo chiedo, ma vi ho sempre viste solo voi due insieme”.
Vuole la conferma di quello che già sospetta, o forse sa, la scruto in fondo allo sguardo, socchiudo le palpebre, accenno un sorriso,
“lei è la mia donna, siamo due lesbicone, ma questo già lo sapevi ………..” ma non lo dico.
Resta un attimo in silenzio, tracanna un grosso sorso di birra, praticamente svuota il boccale.
“stasera ho una gran sete, ma più che altro ho voglia di ubriacarmi, che fai mi tieni compagnia?”
“molto volentieri Alberta….”
I ragazzotti sul palco fanno una pausa, Mia si presenta tutta eccitata,
“oh c’è la signora del vivaio, vedo che avete fatto comunella!”
“ti stai divertendo vedo” le dico piano in un orecchio mentre mi si avvicina, e mi lecca di nascosto un lobo, facendo finta di svelarmi qualche segreto.
“anche tu maialina, guarda che se te la scopi, poi ti ripago con la stessa moneta”
Le pizzico forte il culo, un tipo vestito da cow boy si è sistemato al fianco di Alberta, ora da vicino,lo riconosco, è il marito, che avevo intravisto trafficare con dei sacchi di terriccio al vivaio.
“hanno detto che ora faranno per chiudere il concerto tutto il primo disco”.
Mia saltella come una bimbetta, il cow boy la osserva con occhio distratto, sta pensando a qualcosa di immorale,forse non sa che sarò io a scopargli la moglie, e non il contrario.
Appena il tempo di una birretta, e i due corrono sotto al palco, il primo disco è considerato il migliore, anche se non quello che ha riscosso all’epoca il successo maggiore.
Mia mi ha infilato in una manica uno dei piccoli joint che ha preconfezionato, ogni volta mi lascia senza fiato per quanto mi vuole bene.
E’ ora che prenda la situazione in mano.
Mi avvicino ad Alberta, annuso il suo profumo dolce di bagno schiuma pregiato, le labbra a qualche millimetro le sussurro,
“andiamo a farci un giro, se ti va ho una canna, ce la fumiamo in santa pace”.
Mi segue senza dire nulla, saliamo la ripida scala che ci fa uscire dallo scantinato.
Fuori l’aria è umida, un brivido mi percorre la schiena, accendo la canna, ho sempre del fuoco a portata di mano nella borsetta.
Faccio un paio di tiri, e la passo ad Alberta.
Mi rendo conto che forse non ha mai fumato, lo sta facendo per non sembrare una sprovveduta, per assecondarmi, il pensiero di stare con me le ha distrutto qualunque remora, la voglia di trasgredire repressa, sono anni che lo vorrebbe fare.
Aspira timorosa, ma qualche sigaretta ogni tanto la deve aver fumata, non tossisce, trattiene il fumo per il tempo dovuto.
Ce la passiamo in silenzio fino a quando non resta che il filtro di cartone.
La roba è davvero buona, non sono una gran fumatrice, ma la sento arrivare decisa, Alberta se è un tipo ricettivo, tra qualche minuto sarà di fuori come un balcone, prima che sia troppo tardi la devo far coricare.
Siamo venute con il Bulli, Mia ha detto che per un concerto anni sessanta, quello era il mezzo ideale.
La prendo per mano, mi guarda con un sorriso strano, di chi inizia a non capire cosa stia per succedere, o forse solo spera che succeda.
Facciamo pochi passi nel parcheggio, e ci troviamo di fronte al nostro eroe bianco e verde.
“ti piace?”
“lo so è il vostro, siete venute una volta al vivaio a prendere quel grosso vaso”.
“vieni che ci mettiamo comode, c’è un letto enorme in questo furgone”
Restiamo per qualche minuto sdraiate ad osservare il tetto colorato del Bulli, l’erba ora è salita potente, e con lei la mia voglia di assaggiare la fica di questa donna il cui pensiero mi tormenta da troppo tempo.
Alberta si alza di scatto,
“mi manca l’aria usciamo!”
Scappa fuori, la seguo, camminiamo per un viottolo in mezzo alla campagna, raggiungiamo una piccola costruzione di mattoni rossi, Alberta apre la porta, entriamo, sembra un vecchio magazzino in disuso.
Nella penombra scorgiamo una specie di vecchio divano, ci sediamo, le nostre bocche si incollano, una folle frenesia mi ha catturato, con gesti rapidi e risoluti le abbasso i jeans, glieli sfilo, la sdraio , un piede a terra, l’altro in cima allo schienale, ha le cosce burrose, le infilo una mano sotto al maglione, raggiungo quelle tette sorprendentemente sode, non ha il reggiseno, le infilo la lingua in bocca.
Vorrebbe toccarmi, ma le afferro i polsi, con la bocca scendo, mordicchio i capezzoli duri, il ventre che tradisce le sue primavere, mi avvento su quella fica depilata, profuma di gelsomino, caccia un grido, forse di piacere, forse di disperazione.
E’ notte fonda quando rincasiamo.
Siamo tornate giusto in tempo per gli applausi finali.
I pochi superstiti entusiasti, tranne il cow boy, che deve aver avuto la classica risposta di Mia alle avances maschili.
“scusa ma sono lesbica, non vado con gli uomini”.
Alberta ha uno sguardo tra lo sconvolto e lo stralunato, Mia la guarda e sghignazza,mi dà di gomito,
“era buona l’erba eh maialotta”
“insomma come vedi il suo sporco lavoro l’ha fatto”.
Salutiamo i due, il cow boy che non ha capito niente, Alberta che si è tolta lo sfizio di stare con una donna.
Mia si mette alla guida del Bulli, accende una canna e mi guarda sorniona, un po’ in tralice,
“mica l’avrete fatto qui sopra per caso”?
“no, siamo andate in una specie di tugurio qui vicino, lo sai che mi piacciono i posti un po’ sordidi”
“sei venuta”?
“No non mi sono fatta toccare, ho lasciato a te questa incombenza, come ti avevo assicurato”.
Poco avanti c’è uno spiazzo, Mia ferma il Bulli.
“Passa dietro che ti faccio quello che ti sei meritata”.
Non faccio in tempo a sdraiarmi che mi ritrovo senza calzoni e senza mutande, le mani di Mia strizzate sulle tette, il suo fiato sulla fica.
“Ho sentito il puzzo della sua patata sulla tua bocca, prima, quando mi sono avvicinata”
“Mentre te la lecco lo sai cosa devi fare”.
scritto il
2020-12-18
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