Mio suocero - 3 - Trovarsi sul poggiolo
di
zorrogatto
genere
dominazione
Tornando a casa ero turbata: ero delusa dal fatto che Gregorio, pur avendo notato la mia... non rigorosa mise, non avesse fatto un minimo movimento, detto una mezza parola o fatto un vago sorriso ed io.. mi trovavo con un'inaspettata voglia di essere vista... e desiderata...
Ma cosa stavo pensando? Io non ero una sciacquetta, ero una donna sposata! Sposata con il mio amato Marco... che era il figlio del dottor Paolo, quello col cazzo grosso...
Ma cosa stavo pensando? Non dovevo fare certi pensieri! Ieri era stato un.. un incidente, ma d'ora innanzi...
Riuscii a trovare un posto per parcheggiare, proprio davanti allo slargo dov'era la panchina, ovviamente monopolizzata dai due soliti vecchietti e scendendo, mi... scappò di non essere troppo cauta nel muovermi: quello che stava parlando all'altro, girato verso di me, si bloccò a metà di una parola e mi fissò le cosce, visibilmente emozionato; forse aveva intravisto il mio triangolino.
La cosa mi aveva dato una sferzata ai sensi e ci stavo riflettendo mentre, arrivata a casa, mi stavo togliendo le scarpe, la giacchina, la camicetta, la gonna... Ops! Ero nuda! Dovevo rivestirmi, mettermi qualcosa perché non volevo accettare l'imposizione di mio suocero e poi... e poi anche perché dovevo andare sul poggiolo a ritirare il bucato steso e mica ci potevo andare nuda, no??
Cosa aveva detto, il dottore? Ah sì: “Se dovesse suonare qualcuno alla porta, indosserai l'accappatoio, senza cintura e tenuto chiuso con la mano”.
Beh, visto che non aprivo la porta, magari la cintura potevo tenerla, anche se non annodata strettissima...
Così misi l'accappatoio... quello di Marco, che mi arrivava a metà coscia e con la conca andai sul poggiolo.
Mentre ritiravo il bucato, mi guardai in giro ed intravvidi un uomo, un po' all'interno di una finestra del piano più basso del palazzo di fronte, che mi guardava; da quel poco che potevo valutare era oltre i cinquanta, grasso, pelato, peloso a giudicare dal vello che spuntava dalla sua canottiera, con la barba da fare ed un toscanello tra le labbra tumide e stava più indietro rispetto al davanzale sperando che non lo vedessi.
Ma cosa si aspettava che facessi, visto che mi spiava? Che anziché far cadere i panni nella conca, ce li posassi? E magari, invece di accucciarmi flettendo le ginocchia, piegandomi a novanta gradi sulle gambe stabilmente divaricate, facendo risalire l'accappatoio e tenendo il sedere proprio nella sua direzione?
Sbirciavo per controllare ed era davvero un porco: non si perdeva nessun mio movimento!
Che maiale! Chissà cos'avrebbe fatto se mi si fosse sciolta il nodo della cintura e, mentre ero girata verso di lui, l'accappatoio si fosse aperto...
Mi accorsi che questi pensieri mi avevano eccitata moltissimo e quando accidentalmente l'accappatoio si aprì, vidi che mi guardava fisso e che si stava furiosamente masturbando!
Riaccostai i lembi, anche se con movimenti lenti, rifeci il nodo, raccolsi da terra la conca, girandomi come prima ed infine tornai i casa, turbata e con la voglia di toccarmi.
Avevo appena posato il bucato quando, prima che potessi fare alcunché, suonarono alla porta.
Mi diressi nell'ingresso, ma mi ricordai del divieto dell'uso della cintura, che sfilai e lasciai cadere in terra, prima di aprire.
«Ciao troia -salutò mio suocero, irrompendo in casa- ci hai messo un attimo ad aprire con l'accappatoio... lo avevi già addosso?» Chiese mentre ne scostava un lembo per verificare la mia totale nudità.
«Eh... sì: tornata da lavorare, mi son spogliata, ma poi mi son ricordata del bucato steso e sono andata a ritirarlo... e quindi mi son messa l'accappatoio...»
«Uhm... vedo la cintura lì in terra... -disse, indicandola con un movimento del capo- … hai allacciato la cintura per andare sul poggiolo?»
«Beh... sì... C'era un uomo che mi spiava... e credo che mi abbia vista, anche quando mi si è aperto l'accappatoio per un momento...»
Il dottor Paolo sembrava interessato: «Un uomo? Dove? Com'è? Cosa faceva?»
«Ma sì... un signore oltre i cinquanta... Abita nel palazzo di fronte, un piano più in basso... Mi guardava dalla cucina, ma al buio, un po' indietro per non farsi vedere, ma l'ho visto: grasso, peloso con la barba lunga, calvo, in canottiera... E... si stava... masturbando...» Dio che vergogna, ad aggiungere questo dettaglio... anche se mi sentivo sciogliere la topina.
Lui pensò qualche istante: «Vai punita, per aver usato la cintura: vammi a prendere una brocca d'acqua!»
Senza capire annuii e feci per togliermi l'accappatoio, ma lui mi bloccò con la mano e perciò lo tenni addosso, pur aperto. Andai ansiosamente in cucina, dove riempii una caraffa e presi anche un bicchiere, appoggiandoli su un vassoio.
Tornata in soggiorno, mio suocero afferrò il manico della brocca e mi scagliò l'acqua addosso. «Oh! Hai l'accappatoio tutto bagnato... -disse con tono sardonico- … ti toccherà andarlo a stendere sul balcone... Ah, quando sarai lì e te lo sarai tolto, magari strizzalo un po', prima di stenderlo; tutto con calma, questa è una punizione e se non mi soddisfacerà come farai, penserò a qualcosa di doloroso...»
Spaventata dalla prospettiva del dolore, eseguii come richiesto: andai fuori e, con l'accappatoio aperto, prima mi asciugai il viso e poi, me lo tolsi; prima di torcerlo per strizzarlo, ne usai la parte posteriore per tentare di asciugarmi un po' i capelli e mentre facevo ciò, spiavo la finestra del tipo, che era sempre in postazione: vidi che afferrava il cellulare e che parlava brevemente, indicandomi.
Torsi l'accappatoio e presi il mio tempo, mentre sentivo la fichetta che mi ribolliva, per sistemarlo sulla corda e vidi un altro uomo, segaligno, alto, anche lui a ridosso dei cinquanta che si affacciava da una finestra alla mia stessa altezza col cellulare in mano e, appena notatami, si ritraeva in modo da potermi osservare senza essere notato.
La scandalosa esibizione mi stava eccitando parossisticamente, mio malgrado, ma mi volsi verso mio suocero per avere un cenno di approvazione e poter rientrare.
Lui, che doveva aver guardato dalla finestra accanto alla balconata per vedere il calvo e che si era anche reso conto anche del segaligno alla nostra altezza, mi fece segno di rientrare, ma poi mi bloccò nel vano della portafinestra e, afferrandomi una ciocca dei capelli, si mise di profilo e mi fece inginocchiare per succhiarglielo.
«Dai puttana: facciamo divertire il nostro amico, così vede come sei brava a succhiare grossi cazzi! Dai, dacci dentro, pensa a quando lo racconterà al suo amico del piano di sotto, quanto si ecciteranno entrambi!»
Mi sentivo morire di vergogna, così tanto che ero un lago e inconsciamente provai a toccarmi. Lui mi stoppò, minacciando di scoparmi contro la ringhiera del poggiolo ed io scostai la mano, pur cercando di spingermelo in gola il più profondamente possibile.
Gettai una rapida occhiata sbieca e vidi che il tipo stava parlando al telefono, come se facesse la radiocronaca.
Il dottor Paolo si era reso conto della mia occhiata curiosa e allora lo sfilò e mi impose di prendere la cintura ancora in terra.
Come glie la porsi, mi disse di accostare i polsi e poi me li legò strettamente; poi mi riafferrò per i capelli e mi fece proseguire il pompino, fino a che sentii il suo arnese vibrare, pronto all'esplosione.
Lo tirò fuori, con la sinistra mi tirò in alto le braccia e con la destra lo usò come un idrante, impiastricciandomi tutto il viso ed anche un po' i capelli.
Un occasionale riflesso su un vetro mi dette l'idea di quanto la sua possente eiaculazione spiccasse sulla mia pelle ramata.
Sempre tenendomi con le braccia in alto, mi portò fuori e legò la cintura al filo per stendere e poi mi disse di allargare per bene i piedi, in mezzo ai quali mise due fioriere, condannandomi a stare con le gambe ben aperte, coi miei ricciolini bene in vista ed appesa al filo per stendere.
Vedevo il calvo del piano di sotto che aveva preso un paio di binocoli, per studiare la mia nudità (sicuramente vedeva con nitidezza gli schizzi del mio... padrone? -Sì, era il mio padrone, me ne rendevo conto in quel momento!- del mio padrone sul mio viso), mentre il segaligno trafficava con lo smartphone... oddio! Stava fotografandomi!
Dopo cinque minuti di pubblica gogna, quando ormai sentivo le mie secrezioni colarmi lungo i muscoli tesi delle cosce, il dottore decise che poteva bastare e mi tolse da quella posizione.
Prima di farmi varcare la portafinestra, mi impose di allargare “bene!” le gambe e mi ficcò dentro di colpo tre dita, che sciaguattavano mentre mi penetrava ripetutamente, per un'ultima vista da donare ai nostri spettatori.
Mi portò alla fine in soggiorno, mi sciolse le mani, mi impose di restare dritta in piedi e si sedette sul divano.
«Voglio farti diventare molto popolare, nel circondario. Da oggi, quando sei in casa, le tende e le tapparelle dovranno essere sempre aperte al massimo e il locale dove sarai, ovviamente nuda, dovrà essere sempre bene illuminato. Ripeti!»
Ed io, diligentemente: «In casa, sempre nuda e con tende e tapparelle aperte al massimo e la stanza dove sarò dovrà essere molto ben illuminata»
Fece un grugnito di approvazione e dalla tasca tolse un barattolo di plastica bianca, ne tolse tre pastiglie e mi disse di ingoiarle.
«Questi medicinali veterinari ti aiuteranno a risolvere alcune deficienze fisiche e caratteriali che hai.
Adesso... vuoi essere montata?»
Non mi aspettavo la domanda , ma annuii.
Mi diede una sculacciata e capii l'errore: «Sì, dottor Paolo: vorrei essere... montata da lei...»
Fece un sorriso cattivo: «Adesso non ne ho voglia, dopo averti sborrato in faccia... Vedremo domani... Ah, nel frattempo, guai a te se ti masturbi! Giurami che non lo farai, se non quando te lo ordinerò io!»
Qualunque cosa per assecondarlo! «Giuro! Giuro che non mi masturberò, se lei non mi ordinerà di farlo... padrone!» Ops, mi era scappato, ma lui parve contento.
«Bene! Alla fine abbiamo stabilito le gerarchie! Io sono il tuo padrone e tu sei...?»
«La sua... troia? La sua schiava?»
Si dette una manata sulle cosce «Sì, esatto! Sei la mia troia, la mia puttana, la mia cagna, la mia schiava.
Adesso vado, che ho cazzi miei da fare, ma un'ultima avvertenza: se qualcuno pretende qualcosa da te, sii accondiscendente e accontenta qualunque richiesta!»
E come il giorno prima, uscì senza un'altra parola.
Non avrei voluto accendere tutte le luci, man mano che imbruniva, ma un qualcosa dentro di me mi spingeva ad obbedire a quella scandalosa richiesta.
La mattina dopo mi svegliai dopo una notte agitata, con una disperata voglia di toccarmi, prima di andare a lavorare... Ma avevo giurato che non lo avrei fatto e quindi mi vestii, in una nuvola di eccitazione: azzardai degli zoccoletti tacco 9 ed una gonnellina elasticizzata ed una camicetta da portare sotto ad un gilet.
Mi guardai nello specchio prima di uscire e sì: ero davvero appetitosa.
Raggiunsi la mia auto e non mi preoccupai se avessi potuto dare spettacolo -anche se comunque non c'era nessuno nelle vicinanze- e raggiunsi la ditta.
Parcheggiai nell'area per le auto dei dipendenti ed affrontai la traversata del piazzale: tre camionisti stavano parlando accanto ad un mezzo con targa romena, ma si interruppero al mio passaggio ed urlarono qualcosa che non capii, ma mi venne naturale ancheggiare visibilmente, stupendomi io stessa del mio ardire.
Andai alla mia scrivania, sempre sola in stanza, ma con un'inaspettata eccitazione, che mi rendeva complicato il concentrarmi sul lavoro; ma poi, facendo appello alla mia autodisciplina, mi tuffai nel lavoro.
All'incirca alla stessa ora della mattina precedente, mi affacciai un attimo sul corridoio e vidi Gregorio, con l'immancabile Stefano, che andavano alla macchinetta.
Tornai alla scrivania a prendere la chiave magnetica (volevo proprio vedere se il bel Gregorio avrebbe fatto l'indifferente anche oggi, vestita così!), ma squillò il telefono: era qualche minuto prima dell'orario in cui c'era un tacito accordo, in ditta, di fare una pausacaffè e perciò risposi.
Finita l'inopportuna chiamata, mi catapultai fuori, ma vidi i due già là in fondo, davanti alla loro stanza e, francamente, non mi sembrava dignitoso inseguirli.
Così me ne andai alla macchinetta, da sola, mi presi un caffè e mi girai col bicchierino in mano verso la finestra, a contemplare estasiata un giovane camionista con un fisico da appassionato di palestra, facendo pensieri davvero poco dignitosi per una donna sposata.
«Cosa guardi?» Sussultai, richiamata dalle mie fantasie, dal tono imperioso.
Mi girai di scatto e urtai Stefania, che mi era venuta proprio dietro per abbaiarmi -carognamente!- la sua domanda nell'orecchio.
Nell'urto, uno schizzo di caffè cadde al suolo, ma... «Guarda cos'hai fatto, stupida! Mi hai macchiato le scarpe! Svelta, puliscimele, prima che mi restino macchiate...»
Ero confusa, non sapevo cosa fare, poi «Aspetta. Vado in ufficio a prendere i fazzolettini...»
Lei mi guardò, con occhi cattivi «E no, cretina: tempo che vai e vieni, le scarpe scamosciate assorbono il caffè. Dai, lecca via le macchie di caffè!»
«Ma... ma io...» Vidi la sua espressione adirata e... «Dai, va bene, levatele e passamele che le pulisco come vuoi tu...»
«E sì, che io adesso mi levo le scarpe per fare i tuoi comodi: ti voglio in ginocchio, china a leccarmele!»
Trasecolai, mentre però mi sentivo turbata, come se un qualcosa mi stringesse la gola: «Ma... qui? Nel corridoio?»
Stefania capì che mi ero arresa e... «Ti vergogni qui nel corridoio eh, stupida? Va bene, per questa volta andiamo lì nel ripostiglio, dai!»
E così entrammo nel bugigattolo e lei,tirandomi i capelli, mi fece inginocchiare, mi fece abbassare il capo fino al pavimento e poi mi mise la prima scarpa davanti alla bocca: «Avanti, lecca!» ed io, con una strana eccitazione, leccai la tomaia del suo decolté. Quando giudicò pulita la prima scarpa, mi propose la seconda ed io, ormai in uno stato di delirio erotico, mi avventai a slinguazzarla tutta.
«La scarpa va bene... -disse quasi a malincuore- … ma alcune gocce mi son finite sul piede, leccalo!»
Ed io, ormai soggiogata, le sfilai la scarpa e cominciai a lambirle il piede.
«Ho sentito una goccia colare dentro: è finita tra le dita, succhiamele!»
Ormai plagiata feci come la mia tiranna comandava.
Qualche lampo mi informò che l'altera Stefania aveva fotografato la mia prestazione e la cosa, al di là del disturbarmi, mi eccitò ancora di più.
Ma cosa stavo pensando? Io non ero una sciacquetta, ero una donna sposata! Sposata con il mio amato Marco... che era il figlio del dottor Paolo, quello col cazzo grosso...
Ma cosa stavo pensando? Non dovevo fare certi pensieri! Ieri era stato un.. un incidente, ma d'ora innanzi...
Riuscii a trovare un posto per parcheggiare, proprio davanti allo slargo dov'era la panchina, ovviamente monopolizzata dai due soliti vecchietti e scendendo, mi... scappò di non essere troppo cauta nel muovermi: quello che stava parlando all'altro, girato verso di me, si bloccò a metà di una parola e mi fissò le cosce, visibilmente emozionato; forse aveva intravisto il mio triangolino.
La cosa mi aveva dato una sferzata ai sensi e ci stavo riflettendo mentre, arrivata a casa, mi stavo togliendo le scarpe, la giacchina, la camicetta, la gonna... Ops! Ero nuda! Dovevo rivestirmi, mettermi qualcosa perché non volevo accettare l'imposizione di mio suocero e poi... e poi anche perché dovevo andare sul poggiolo a ritirare il bucato steso e mica ci potevo andare nuda, no??
Cosa aveva detto, il dottore? Ah sì: “Se dovesse suonare qualcuno alla porta, indosserai l'accappatoio, senza cintura e tenuto chiuso con la mano”.
Beh, visto che non aprivo la porta, magari la cintura potevo tenerla, anche se non annodata strettissima...
Così misi l'accappatoio... quello di Marco, che mi arrivava a metà coscia e con la conca andai sul poggiolo.
Mentre ritiravo il bucato, mi guardai in giro ed intravvidi un uomo, un po' all'interno di una finestra del piano più basso del palazzo di fronte, che mi guardava; da quel poco che potevo valutare era oltre i cinquanta, grasso, pelato, peloso a giudicare dal vello che spuntava dalla sua canottiera, con la barba da fare ed un toscanello tra le labbra tumide e stava più indietro rispetto al davanzale sperando che non lo vedessi.
Ma cosa si aspettava che facessi, visto che mi spiava? Che anziché far cadere i panni nella conca, ce li posassi? E magari, invece di accucciarmi flettendo le ginocchia, piegandomi a novanta gradi sulle gambe stabilmente divaricate, facendo risalire l'accappatoio e tenendo il sedere proprio nella sua direzione?
Sbirciavo per controllare ed era davvero un porco: non si perdeva nessun mio movimento!
Che maiale! Chissà cos'avrebbe fatto se mi si fosse sciolta il nodo della cintura e, mentre ero girata verso di lui, l'accappatoio si fosse aperto...
Mi accorsi che questi pensieri mi avevano eccitata moltissimo e quando accidentalmente l'accappatoio si aprì, vidi che mi guardava fisso e che si stava furiosamente masturbando!
Riaccostai i lembi, anche se con movimenti lenti, rifeci il nodo, raccolsi da terra la conca, girandomi come prima ed infine tornai i casa, turbata e con la voglia di toccarmi.
Avevo appena posato il bucato quando, prima che potessi fare alcunché, suonarono alla porta.
Mi diressi nell'ingresso, ma mi ricordai del divieto dell'uso della cintura, che sfilai e lasciai cadere in terra, prima di aprire.
«Ciao troia -salutò mio suocero, irrompendo in casa- ci hai messo un attimo ad aprire con l'accappatoio... lo avevi già addosso?» Chiese mentre ne scostava un lembo per verificare la mia totale nudità.
«Eh... sì: tornata da lavorare, mi son spogliata, ma poi mi son ricordata del bucato steso e sono andata a ritirarlo... e quindi mi son messa l'accappatoio...»
«Uhm... vedo la cintura lì in terra... -disse, indicandola con un movimento del capo- … hai allacciato la cintura per andare sul poggiolo?»
«Beh... sì... C'era un uomo che mi spiava... e credo che mi abbia vista, anche quando mi si è aperto l'accappatoio per un momento...»
Il dottor Paolo sembrava interessato: «Un uomo? Dove? Com'è? Cosa faceva?»
«Ma sì... un signore oltre i cinquanta... Abita nel palazzo di fronte, un piano più in basso... Mi guardava dalla cucina, ma al buio, un po' indietro per non farsi vedere, ma l'ho visto: grasso, peloso con la barba lunga, calvo, in canottiera... E... si stava... masturbando...» Dio che vergogna, ad aggiungere questo dettaglio... anche se mi sentivo sciogliere la topina.
Lui pensò qualche istante: «Vai punita, per aver usato la cintura: vammi a prendere una brocca d'acqua!»
Senza capire annuii e feci per togliermi l'accappatoio, ma lui mi bloccò con la mano e perciò lo tenni addosso, pur aperto. Andai ansiosamente in cucina, dove riempii una caraffa e presi anche un bicchiere, appoggiandoli su un vassoio.
Tornata in soggiorno, mio suocero afferrò il manico della brocca e mi scagliò l'acqua addosso. «Oh! Hai l'accappatoio tutto bagnato... -disse con tono sardonico- … ti toccherà andarlo a stendere sul balcone... Ah, quando sarai lì e te lo sarai tolto, magari strizzalo un po', prima di stenderlo; tutto con calma, questa è una punizione e se non mi soddisfacerà come farai, penserò a qualcosa di doloroso...»
Spaventata dalla prospettiva del dolore, eseguii come richiesto: andai fuori e, con l'accappatoio aperto, prima mi asciugai il viso e poi, me lo tolsi; prima di torcerlo per strizzarlo, ne usai la parte posteriore per tentare di asciugarmi un po' i capelli e mentre facevo ciò, spiavo la finestra del tipo, che era sempre in postazione: vidi che afferrava il cellulare e che parlava brevemente, indicandomi.
Torsi l'accappatoio e presi il mio tempo, mentre sentivo la fichetta che mi ribolliva, per sistemarlo sulla corda e vidi un altro uomo, segaligno, alto, anche lui a ridosso dei cinquanta che si affacciava da una finestra alla mia stessa altezza col cellulare in mano e, appena notatami, si ritraeva in modo da potermi osservare senza essere notato.
La scandalosa esibizione mi stava eccitando parossisticamente, mio malgrado, ma mi volsi verso mio suocero per avere un cenno di approvazione e poter rientrare.
Lui, che doveva aver guardato dalla finestra accanto alla balconata per vedere il calvo e che si era anche reso conto anche del segaligno alla nostra altezza, mi fece segno di rientrare, ma poi mi bloccò nel vano della portafinestra e, afferrandomi una ciocca dei capelli, si mise di profilo e mi fece inginocchiare per succhiarglielo.
«Dai puttana: facciamo divertire il nostro amico, così vede come sei brava a succhiare grossi cazzi! Dai, dacci dentro, pensa a quando lo racconterà al suo amico del piano di sotto, quanto si ecciteranno entrambi!»
Mi sentivo morire di vergogna, così tanto che ero un lago e inconsciamente provai a toccarmi. Lui mi stoppò, minacciando di scoparmi contro la ringhiera del poggiolo ed io scostai la mano, pur cercando di spingermelo in gola il più profondamente possibile.
Gettai una rapida occhiata sbieca e vidi che il tipo stava parlando al telefono, come se facesse la radiocronaca.
Il dottor Paolo si era reso conto della mia occhiata curiosa e allora lo sfilò e mi impose di prendere la cintura ancora in terra.
Come glie la porsi, mi disse di accostare i polsi e poi me li legò strettamente; poi mi riafferrò per i capelli e mi fece proseguire il pompino, fino a che sentii il suo arnese vibrare, pronto all'esplosione.
Lo tirò fuori, con la sinistra mi tirò in alto le braccia e con la destra lo usò come un idrante, impiastricciandomi tutto il viso ed anche un po' i capelli.
Un occasionale riflesso su un vetro mi dette l'idea di quanto la sua possente eiaculazione spiccasse sulla mia pelle ramata.
Sempre tenendomi con le braccia in alto, mi portò fuori e legò la cintura al filo per stendere e poi mi disse di allargare per bene i piedi, in mezzo ai quali mise due fioriere, condannandomi a stare con le gambe ben aperte, coi miei ricciolini bene in vista ed appesa al filo per stendere.
Vedevo il calvo del piano di sotto che aveva preso un paio di binocoli, per studiare la mia nudità (sicuramente vedeva con nitidezza gli schizzi del mio... padrone? -Sì, era il mio padrone, me ne rendevo conto in quel momento!- del mio padrone sul mio viso), mentre il segaligno trafficava con lo smartphone... oddio! Stava fotografandomi!
Dopo cinque minuti di pubblica gogna, quando ormai sentivo le mie secrezioni colarmi lungo i muscoli tesi delle cosce, il dottore decise che poteva bastare e mi tolse da quella posizione.
Prima di farmi varcare la portafinestra, mi impose di allargare “bene!” le gambe e mi ficcò dentro di colpo tre dita, che sciaguattavano mentre mi penetrava ripetutamente, per un'ultima vista da donare ai nostri spettatori.
Mi portò alla fine in soggiorno, mi sciolse le mani, mi impose di restare dritta in piedi e si sedette sul divano.
«Voglio farti diventare molto popolare, nel circondario. Da oggi, quando sei in casa, le tende e le tapparelle dovranno essere sempre aperte al massimo e il locale dove sarai, ovviamente nuda, dovrà essere sempre bene illuminato. Ripeti!»
Ed io, diligentemente: «In casa, sempre nuda e con tende e tapparelle aperte al massimo e la stanza dove sarò dovrà essere molto ben illuminata»
Fece un grugnito di approvazione e dalla tasca tolse un barattolo di plastica bianca, ne tolse tre pastiglie e mi disse di ingoiarle.
«Questi medicinali veterinari ti aiuteranno a risolvere alcune deficienze fisiche e caratteriali che hai.
Adesso... vuoi essere montata?»
Non mi aspettavo la domanda , ma annuii.
Mi diede una sculacciata e capii l'errore: «Sì, dottor Paolo: vorrei essere... montata da lei...»
Fece un sorriso cattivo: «Adesso non ne ho voglia, dopo averti sborrato in faccia... Vedremo domani... Ah, nel frattempo, guai a te se ti masturbi! Giurami che non lo farai, se non quando te lo ordinerò io!»
Qualunque cosa per assecondarlo! «Giuro! Giuro che non mi masturberò, se lei non mi ordinerà di farlo... padrone!» Ops, mi era scappato, ma lui parve contento.
«Bene! Alla fine abbiamo stabilito le gerarchie! Io sono il tuo padrone e tu sei...?»
«La sua... troia? La sua schiava?»
Si dette una manata sulle cosce «Sì, esatto! Sei la mia troia, la mia puttana, la mia cagna, la mia schiava.
Adesso vado, che ho cazzi miei da fare, ma un'ultima avvertenza: se qualcuno pretende qualcosa da te, sii accondiscendente e accontenta qualunque richiesta!»
E come il giorno prima, uscì senza un'altra parola.
Non avrei voluto accendere tutte le luci, man mano che imbruniva, ma un qualcosa dentro di me mi spingeva ad obbedire a quella scandalosa richiesta.
La mattina dopo mi svegliai dopo una notte agitata, con una disperata voglia di toccarmi, prima di andare a lavorare... Ma avevo giurato che non lo avrei fatto e quindi mi vestii, in una nuvola di eccitazione: azzardai degli zoccoletti tacco 9 ed una gonnellina elasticizzata ed una camicetta da portare sotto ad un gilet.
Mi guardai nello specchio prima di uscire e sì: ero davvero appetitosa.
Raggiunsi la mia auto e non mi preoccupai se avessi potuto dare spettacolo -anche se comunque non c'era nessuno nelle vicinanze- e raggiunsi la ditta.
Parcheggiai nell'area per le auto dei dipendenti ed affrontai la traversata del piazzale: tre camionisti stavano parlando accanto ad un mezzo con targa romena, ma si interruppero al mio passaggio ed urlarono qualcosa che non capii, ma mi venne naturale ancheggiare visibilmente, stupendomi io stessa del mio ardire.
Andai alla mia scrivania, sempre sola in stanza, ma con un'inaspettata eccitazione, che mi rendeva complicato il concentrarmi sul lavoro; ma poi, facendo appello alla mia autodisciplina, mi tuffai nel lavoro.
All'incirca alla stessa ora della mattina precedente, mi affacciai un attimo sul corridoio e vidi Gregorio, con l'immancabile Stefano, che andavano alla macchinetta.
Tornai alla scrivania a prendere la chiave magnetica (volevo proprio vedere se il bel Gregorio avrebbe fatto l'indifferente anche oggi, vestita così!), ma squillò il telefono: era qualche minuto prima dell'orario in cui c'era un tacito accordo, in ditta, di fare una pausacaffè e perciò risposi.
Finita l'inopportuna chiamata, mi catapultai fuori, ma vidi i due già là in fondo, davanti alla loro stanza e, francamente, non mi sembrava dignitoso inseguirli.
Così me ne andai alla macchinetta, da sola, mi presi un caffè e mi girai col bicchierino in mano verso la finestra, a contemplare estasiata un giovane camionista con un fisico da appassionato di palestra, facendo pensieri davvero poco dignitosi per una donna sposata.
«Cosa guardi?» Sussultai, richiamata dalle mie fantasie, dal tono imperioso.
Mi girai di scatto e urtai Stefania, che mi era venuta proprio dietro per abbaiarmi -carognamente!- la sua domanda nell'orecchio.
Nell'urto, uno schizzo di caffè cadde al suolo, ma... «Guarda cos'hai fatto, stupida! Mi hai macchiato le scarpe! Svelta, puliscimele, prima che mi restino macchiate...»
Ero confusa, non sapevo cosa fare, poi «Aspetta. Vado in ufficio a prendere i fazzolettini...»
Lei mi guardò, con occhi cattivi «E no, cretina: tempo che vai e vieni, le scarpe scamosciate assorbono il caffè. Dai, lecca via le macchie di caffè!»
«Ma... ma io...» Vidi la sua espressione adirata e... «Dai, va bene, levatele e passamele che le pulisco come vuoi tu...»
«E sì, che io adesso mi levo le scarpe per fare i tuoi comodi: ti voglio in ginocchio, china a leccarmele!»
Trasecolai, mentre però mi sentivo turbata, come se un qualcosa mi stringesse la gola: «Ma... qui? Nel corridoio?»
Stefania capì che mi ero arresa e... «Ti vergogni qui nel corridoio eh, stupida? Va bene, per questa volta andiamo lì nel ripostiglio, dai!»
E così entrammo nel bugigattolo e lei,tirandomi i capelli, mi fece inginocchiare, mi fece abbassare il capo fino al pavimento e poi mi mise la prima scarpa davanti alla bocca: «Avanti, lecca!» ed io, con una strana eccitazione, leccai la tomaia del suo decolté. Quando giudicò pulita la prima scarpa, mi propose la seconda ed io, ormai in uno stato di delirio erotico, mi avventai a slinguazzarla tutta.
«La scarpa va bene... -disse quasi a malincuore- … ma alcune gocce mi son finite sul piede, leccalo!»
Ed io, ormai soggiogata, le sfilai la scarpa e cominciai a lambirle il piede.
«Ho sentito una goccia colare dentro: è finita tra le dita, succhiamele!»
Ormai plagiata feci come la mia tiranna comandava.
Qualche lampo mi informò che l'altera Stefania aveva fotografato la mia prestazione e la cosa, al di là del disturbarmi, mi eccitò ancora di più.
2
voti
voti
valutazione
6
6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Mio suocero - 2 - Il Dottor Paoloracconto sucessivo
Mio suocero - 4 - Cominciare a lasciarsi andare
Commenti dei lettori al racconto erotico