Il secondo lavoro (parte 7)
di
zorrogatto
genere
corna
Passarono i giorni ed ormai sentivo frequentemente Armando, che mi aggiornava telefonicamente sui -praticamente nulli- sviluppi della storia tra Angela ed il capo.
Doveva aver capito, ormai, che la cosa mi intrigava difatti, pur non segnalandomi nulla di sostanzialmente nuovo, cominciava ad indulgere in piccanti descrizioni o riferendomi brani di conversazione dal quale era sempre più chiaro quanto fosse consenzientemente troia la mia donna.
Un giorno mi disse che era andato a fare un sopralluogo al cinema… lasciando la frase in sospeso e costringendomi quindi a chiedere: «E… cosa hai fatto?»
E lui, con tono estremamente normale, quasi annoiato, disse: «Nulla di particolare: mi son montato la tua donna insieme ad uno dei miei assistenti ed un altro e poi ho smontato l’attrezzatura, che mi serve per un altro lavoro»
La domanda, furiosamente, sgorgò da sola dalle mie labbra: «Come sarebbe, che hai smontato l’attrezzatura?»
Mi resi conto un lampo di aver fatto la domanda sbagliata e il tono beffardo della sua voce lo sottolineò: «Sai, caro: ormai abbiamo perfettamente capito quanto sia troia Angela e il materiale costa… Non preoccuparti, comunque: faremo sopralluoghi abbastanza spesso, io ed i miei ragazzi, così terremo d’occhio se ci saranno sviluppi…»
Ormai, oltre ad essere completamente sputtanati, anche l’ultima sottile, striminzita, patetica foglia di fico era caduta: entrambi sapevamo quanto la situazione mi intrigasse ed, a giudicare dalla totale disponibilità di Angela, anche lei era intrigata dalla situazione.
Quella stessa sera, quando rientrò, avevo una disperata voglia di fare l’amore con lei, di scoparla in bocca, fica e culo fino a sentirmi male, a rimanere stroncato sul suo corpo.
Avevo il cazzo durissimo -come lo avevo a vent’anni, con tanta voglia e poca fica!- e subito dopo cena glie lo appoggiai nel solco delle chiappe.
«No, amore, scusami… stasera non mi sento tanto bene» mi disse, dandomi un bacio.
Non riuscii a decidermi di approfittare del suo bellissimo ed invitante corpo e mi buttai sul divano, a rincoglionirmi con la tele, mentre lei se ne andava a letto a dormire.
Ovviamente, la tele aveva fatto il suo effetto ed ero crollato addormentato sul divano, svegliandomi nel cuore della notte dolorante ed infreddolito; mi ero trascinato fino al letto, per dormire ancora le pochissime ore che mi separavano dallo squillo della sveglia e poi, come uno zombie, me n’ero andato a lavorare.
Mattina solita, anche se la notte trascorsa in modo scomodo influiva sul mio umore, rendendomi meno disposto a prendere la vita con un sorriso.
Verso le dieci e trenta, ricevetti una telefonata di Giovanna, l’immarcescibile segretaria-del-direttore, dicendomi che l’ingegner Spadavecchia voleva parlarmi.
Ci misi qualche istante, a ricordare che l’ingegner Spadavecchia era il nuovo direttore, l’affascinate Lorella.
Presi la mia macchina di servizio e raggiunsi la palazzina della direzione.
L’ingegnere mi fece fare solo un paio di minuti di anticamera, ma appena uscì Lanzoni, un collega, mi chiamò con un sorriso nel suo ufficio.
Mi fece sedere su una poltroncina davanti alla sua scrivania ed io mi sedetti come mio solito (evitando di esprimere ansia stando sulla punta o eccessiva rilassatezza, stravaccandomi) e mi pose molte domande sulla linea, anche inaspettate!, dimostrando una padronanza dei termini e dei processi produttivi davvero notevole e, alla fine, mi chiese se avevo qualche suggerimento o proposta da fare.
Raccolsi un attimo le idee -per spiegare nel modo più conciso ed efficace un paio di cose che, secondo me, potevano migliorare l’efficienza e la sicurezza del mio reparto- ma contemporaneamente considerai, con un angolo della mente, che dovevo essere davvero stanco, ad averla trattata come UN ingegnere, anziché considerare che era anche una bella donna.
Feci, però, mentalmente le spallucce ed esposi il mio punto di vista, rispondendo poi a tutte le pertinenti domande del… direttore (avendo deciso di non variare il mio approccio molto professionale e tecnico con lei)
Alla fine, mi regalò un sorriso abbagliante e disse: «Bene, mi fa piacere scoprire di avere collaboratori decisamente all’altezza, come lei, con una mente acuta ed una vera passione per il lavoro che svolge.
Stia tranquillo che ne terrò conto: in questo stabilimento ci saranno dei cambiamenti e vedrò di trovarle un posto di maggiore responsabilità…»
Tutto mi sarei aspettato, da quell’incontro, meno che un così ampio apprezzamento e la promessa di un avanzamento di carriera, per cui rimasi lì come un deficiente, prima di ringraziarla; lo stupore, però, mi portò a non dimostrare esteriormente quanto apprezzassi tutto ciò, come mi resi conto, ripassando alla moviola mentale i miei gesti e mie parole.
Lei, dopo un breve istante di perplessità, sembrò comunque gradire e, dopo un altro ampio sorriso, cambiò posizione, assumendone una più rilassata, meno… da direttore.
«Sa… -mi disse- una cosa che ho apprezzato in lei è che, a differenza di molti suoi colleghi, lei mi ha considerato prima il direttore di stabilimento e solo dopo… e pochissimo, comunque, una donna.
Se sono arrivata nella mia posizione e sopratutto in un ambiente squisitamente maschile come la fabbrica, è ovviamente perché ho fama di essere una persona capace, prima di tutto e POI una donna; lei capirà bene che una donna, per emergere nel mondo del lavoro, deve sbattersi il doppio di un uomo e quindi, quando si arriva in certi ruoli rilevanti, la cosa più iritante è imbattersi in dei cascamorto.
Lei, lo ammetto, mi ha favorevolmente colpito anche per questo aspetto… un aspetto di serietà, professionalità… Dicono che sono abbastanza capace di valutare le persone ed in lei non leggo, come in altri che in questo ufficio non hanno fatto sfoggio del loro ridicolo machismo, una vena di disinteresse nei confronti delle donne…
Lei è sposato, suppongo… da molto?»
Il suo tono era morbido, rilassato, voleva fare conversazione con una persona, non con un sottoposto.
«Beh, vivo con una persona… da quattro anni, ormai»
Lei sembrò apprezzare il tono della mia risposta e sorrise.
«Immagino, allora, che siate una coppia felicissima! Se non mi ha parlato di figli, probabilmente non ne avete e quindi avete la massima libertà di disporre della vostra vita…
E… e questa persona, lavora?»
«Sì, sì, lavora… E' segretaria d’azienda e lavora nello studio di un professionista… solo che, per un problema del suo precedente datore di lavoro, ha dovuto chiudere ma l'ha raccomandata da un suo conoscente; però, essendo neo assunta e facendo part-time ed avendo il mutuo della casa da pagare, ha trovato un altro lavoro…»
Mi resi conto che stavo raccontando troppo e lasciai morire il discorso, ma lei mi incalzò: «Ah, davvero? E cos’altro fa?»
Detesto raccontar balle, sopratutto perché poi si è costretti a ricordarle ed a inventarne altre per sostenere la prima: «E’ cassiera nel cinema di un amico… in periferia!» precisai con una certa secchezza, in modo da farle capire che non gradivo approfondire l’argomento.
Lei probabilmente avvertì il limite che avevo posto: «Beh, allora le cose non vi vanno poi male… siete felici allora, suppongo…» «Ma sì!’» dissi, con meno cordialità di quanto era giusto aspettarsi.
Lei mi guardò con uno sguardo strano: vagamente torbido, come un pitone che puntasse ad un coniglio: «Sì, capisco… -Capiva? Capiva cosa??-... io non ho mai voluto crearmi una… famiglia, proprio per evitare che, dopo un certo periodo, la storia finisse…sulle secche, ecco!
Lei mi sembra una persona seria, quadrata, quindi immagino che se c’è qualche difficoltà, non viene da parte sua…»
Decisamente l’ingegner Spadavecchia aveva lasciato il posto a Lorella!
Anche se, stranamente, avvertivo come una vena di durezza ben nascosta in fondo, come ua doga di legno sotto ad un morbidissimo materasso.
«Beh, come lei senz’altro saprà -dissi, sorridendo in tono conciliante- quando una coppia ha qualche difficoltà, raramente le responsabilità stanno tutte da una parte sola…»
Lei rifletté un instante: ‘Beh, questa sua frase le fa onore, quantomeno… tanto più che lei non mi sembra proprio il tipo del “in questa casa i pantaloni li porto IO!’” sbaglio?»
Sorrisi, blando: «Sì, non fa parte del mio carattere…» ma volevo uscire dall’impantanamento dei miei cazzi personali e spostai il focus del discorso «… So che i miei uomini mi apprezzano perché mi considero un primus inter pares, non ‘il Capo’!
Vede? -dissi, tirando fuori dalla tasca sinistra dei pantaloni della tuta un paio di guanti da lavoro- se vedo un qualcosa di imprevisto da fare, dico ‘facciamo’, non ‘fate!’. Non mi è mai piaciuto, quando ero operaio, il capo che sa solo dare ordini e che ha i suoi amici: io parlo e scherzo con certi piuttosto che con altri ma poi, quando DEVO fare il capo, non guardo in faccia a nessuno e cerco di essere equanime… Preferisco avere una squadra, dove so che Tizio è più bravo a fare questo e Caio a fare quello; io non mi definisco ‘il capo’, ma il Coordinatore… e questa linea di condotta ho cercato di trasmetterla anche ai capisquadra, con evidenti risultati: abbiamo pochissimi infortuni, la produttività aumenta anno dopo anno, pochissima mutua e, in genere, pochi litigi’
L’ingegnere annuì, con un piccolo sorriso interno: ‘«Sì, mi sembra una sensata maniera di gestire una unità produttiva…
Va bene… adesso vada pure in reparto e faccia una cosa per me: mi prepari una valutazione scritta dei suoi immediati collaboratori e me la mandi entro oggi via fax»
Detto ciò, si alzò dalla scrivania, mi diede la mano -una bella stretta asciutta e ferma- e mi guardò uscire dal suo ufficio.
Tornai in reparto, feci un giro per accertarmi che tutto fosse tranquillo, poi mi chiusi nell’ufficietto a ‘fare i compiti’ per il direttore.
Doveva aver capito, ormai, che la cosa mi intrigava difatti, pur non segnalandomi nulla di sostanzialmente nuovo, cominciava ad indulgere in piccanti descrizioni o riferendomi brani di conversazione dal quale era sempre più chiaro quanto fosse consenzientemente troia la mia donna.
Un giorno mi disse che era andato a fare un sopralluogo al cinema… lasciando la frase in sospeso e costringendomi quindi a chiedere: «E… cosa hai fatto?»
E lui, con tono estremamente normale, quasi annoiato, disse: «Nulla di particolare: mi son montato la tua donna insieme ad uno dei miei assistenti ed un altro e poi ho smontato l’attrezzatura, che mi serve per un altro lavoro»
La domanda, furiosamente, sgorgò da sola dalle mie labbra: «Come sarebbe, che hai smontato l’attrezzatura?»
Mi resi conto un lampo di aver fatto la domanda sbagliata e il tono beffardo della sua voce lo sottolineò: «Sai, caro: ormai abbiamo perfettamente capito quanto sia troia Angela e il materiale costa… Non preoccuparti, comunque: faremo sopralluoghi abbastanza spesso, io ed i miei ragazzi, così terremo d’occhio se ci saranno sviluppi…»
Ormai, oltre ad essere completamente sputtanati, anche l’ultima sottile, striminzita, patetica foglia di fico era caduta: entrambi sapevamo quanto la situazione mi intrigasse ed, a giudicare dalla totale disponibilità di Angela, anche lei era intrigata dalla situazione.
Quella stessa sera, quando rientrò, avevo una disperata voglia di fare l’amore con lei, di scoparla in bocca, fica e culo fino a sentirmi male, a rimanere stroncato sul suo corpo.
Avevo il cazzo durissimo -come lo avevo a vent’anni, con tanta voglia e poca fica!- e subito dopo cena glie lo appoggiai nel solco delle chiappe.
«No, amore, scusami… stasera non mi sento tanto bene» mi disse, dandomi un bacio.
Non riuscii a decidermi di approfittare del suo bellissimo ed invitante corpo e mi buttai sul divano, a rincoglionirmi con la tele, mentre lei se ne andava a letto a dormire.
Ovviamente, la tele aveva fatto il suo effetto ed ero crollato addormentato sul divano, svegliandomi nel cuore della notte dolorante ed infreddolito; mi ero trascinato fino al letto, per dormire ancora le pochissime ore che mi separavano dallo squillo della sveglia e poi, come uno zombie, me n’ero andato a lavorare.
Mattina solita, anche se la notte trascorsa in modo scomodo influiva sul mio umore, rendendomi meno disposto a prendere la vita con un sorriso.
Verso le dieci e trenta, ricevetti una telefonata di Giovanna, l’immarcescibile segretaria-del-direttore, dicendomi che l’ingegner Spadavecchia voleva parlarmi.
Ci misi qualche istante, a ricordare che l’ingegner Spadavecchia era il nuovo direttore, l’affascinate Lorella.
Presi la mia macchina di servizio e raggiunsi la palazzina della direzione.
L’ingegnere mi fece fare solo un paio di minuti di anticamera, ma appena uscì Lanzoni, un collega, mi chiamò con un sorriso nel suo ufficio.
Mi fece sedere su una poltroncina davanti alla sua scrivania ed io mi sedetti come mio solito (evitando di esprimere ansia stando sulla punta o eccessiva rilassatezza, stravaccandomi) e mi pose molte domande sulla linea, anche inaspettate!, dimostrando una padronanza dei termini e dei processi produttivi davvero notevole e, alla fine, mi chiese se avevo qualche suggerimento o proposta da fare.
Raccolsi un attimo le idee -per spiegare nel modo più conciso ed efficace un paio di cose che, secondo me, potevano migliorare l’efficienza e la sicurezza del mio reparto- ma contemporaneamente considerai, con un angolo della mente, che dovevo essere davvero stanco, ad averla trattata come UN ingegnere, anziché considerare che era anche una bella donna.
Feci, però, mentalmente le spallucce ed esposi il mio punto di vista, rispondendo poi a tutte le pertinenti domande del… direttore (avendo deciso di non variare il mio approccio molto professionale e tecnico con lei)
Alla fine, mi regalò un sorriso abbagliante e disse: «Bene, mi fa piacere scoprire di avere collaboratori decisamente all’altezza, come lei, con una mente acuta ed una vera passione per il lavoro che svolge.
Stia tranquillo che ne terrò conto: in questo stabilimento ci saranno dei cambiamenti e vedrò di trovarle un posto di maggiore responsabilità…»
Tutto mi sarei aspettato, da quell’incontro, meno che un così ampio apprezzamento e la promessa di un avanzamento di carriera, per cui rimasi lì come un deficiente, prima di ringraziarla; lo stupore, però, mi portò a non dimostrare esteriormente quanto apprezzassi tutto ciò, come mi resi conto, ripassando alla moviola mentale i miei gesti e mie parole.
Lei, dopo un breve istante di perplessità, sembrò comunque gradire e, dopo un altro ampio sorriso, cambiò posizione, assumendone una più rilassata, meno… da direttore.
«Sa… -mi disse- una cosa che ho apprezzato in lei è che, a differenza di molti suoi colleghi, lei mi ha considerato prima il direttore di stabilimento e solo dopo… e pochissimo, comunque, una donna.
Se sono arrivata nella mia posizione e sopratutto in un ambiente squisitamente maschile come la fabbrica, è ovviamente perché ho fama di essere una persona capace, prima di tutto e POI una donna; lei capirà bene che una donna, per emergere nel mondo del lavoro, deve sbattersi il doppio di un uomo e quindi, quando si arriva in certi ruoli rilevanti, la cosa più iritante è imbattersi in dei cascamorto.
Lei, lo ammetto, mi ha favorevolmente colpito anche per questo aspetto… un aspetto di serietà, professionalità… Dicono che sono abbastanza capace di valutare le persone ed in lei non leggo, come in altri che in questo ufficio non hanno fatto sfoggio del loro ridicolo machismo, una vena di disinteresse nei confronti delle donne…
Lei è sposato, suppongo… da molto?»
Il suo tono era morbido, rilassato, voleva fare conversazione con una persona, non con un sottoposto.
«Beh, vivo con una persona… da quattro anni, ormai»
Lei sembrò apprezzare il tono della mia risposta e sorrise.
«Immagino, allora, che siate una coppia felicissima! Se non mi ha parlato di figli, probabilmente non ne avete e quindi avete la massima libertà di disporre della vostra vita…
E… e questa persona, lavora?»
«Sì, sì, lavora… E' segretaria d’azienda e lavora nello studio di un professionista… solo che, per un problema del suo precedente datore di lavoro, ha dovuto chiudere ma l'ha raccomandata da un suo conoscente; però, essendo neo assunta e facendo part-time ed avendo il mutuo della casa da pagare, ha trovato un altro lavoro…»
Mi resi conto che stavo raccontando troppo e lasciai morire il discorso, ma lei mi incalzò: «Ah, davvero? E cos’altro fa?»
Detesto raccontar balle, sopratutto perché poi si è costretti a ricordarle ed a inventarne altre per sostenere la prima: «E’ cassiera nel cinema di un amico… in periferia!» precisai con una certa secchezza, in modo da farle capire che non gradivo approfondire l’argomento.
Lei probabilmente avvertì il limite che avevo posto: «Beh, allora le cose non vi vanno poi male… siete felici allora, suppongo…» «Ma sì!’» dissi, con meno cordialità di quanto era giusto aspettarsi.
Lei mi guardò con uno sguardo strano: vagamente torbido, come un pitone che puntasse ad un coniglio: «Sì, capisco… -Capiva? Capiva cosa??-... io non ho mai voluto crearmi una… famiglia, proprio per evitare che, dopo un certo periodo, la storia finisse…sulle secche, ecco!
Lei mi sembra una persona seria, quadrata, quindi immagino che se c’è qualche difficoltà, non viene da parte sua…»
Decisamente l’ingegner Spadavecchia aveva lasciato il posto a Lorella!
Anche se, stranamente, avvertivo come una vena di durezza ben nascosta in fondo, come ua doga di legno sotto ad un morbidissimo materasso.
«Beh, come lei senz’altro saprà -dissi, sorridendo in tono conciliante- quando una coppia ha qualche difficoltà, raramente le responsabilità stanno tutte da una parte sola…»
Lei rifletté un instante: ‘Beh, questa sua frase le fa onore, quantomeno… tanto più che lei non mi sembra proprio il tipo del “in questa casa i pantaloni li porto IO!’” sbaglio?»
Sorrisi, blando: «Sì, non fa parte del mio carattere…» ma volevo uscire dall’impantanamento dei miei cazzi personali e spostai il focus del discorso «… So che i miei uomini mi apprezzano perché mi considero un primus inter pares, non ‘il Capo’!
Vede? -dissi, tirando fuori dalla tasca sinistra dei pantaloni della tuta un paio di guanti da lavoro- se vedo un qualcosa di imprevisto da fare, dico ‘facciamo’, non ‘fate!’. Non mi è mai piaciuto, quando ero operaio, il capo che sa solo dare ordini e che ha i suoi amici: io parlo e scherzo con certi piuttosto che con altri ma poi, quando DEVO fare il capo, non guardo in faccia a nessuno e cerco di essere equanime… Preferisco avere una squadra, dove so che Tizio è più bravo a fare questo e Caio a fare quello; io non mi definisco ‘il capo’, ma il Coordinatore… e questa linea di condotta ho cercato di trasmetterla anche ai capisquadra, con evidenti risultati: abbiamo pochissimi infortuni, la produttività aumenta anno dopo anno, pochissima mutua e, in genere, pochi litigi’
L’ingegnere annuì, con un piccolo sorriso interno: ‘«Sì, mi sembra una sensata maniera di gestire una unità produttiva…
Va bene… adesso vada pure in reparto e faccia una cosa per me: mi prepari una valutazione scritta dei suoi immediati collaboratori e me la mandi entro oggi via fax»
Detto ciò, si alzò dalla scrivania, mi diede la mano -una bella stretta asciutta e ferma- e mi guardò uscire dal suo ufficio.
Tornai in reparto, feci un giro per accertarmi che tutto fosse tranquillo, poi mi chiusi nell’ufficietto a ‘fare i compiti’ per il direttore.
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