IL Secondo lavoro (parte 5)
di
zorrogatto
genere
tradimenti
Dopo cinque giorni, non resistetti; presi il telefono e chiamai Armando: «Ciao… Allora? Novità?»
Mi propose di incontrarci in un bar per l’aperitivo, quella stessa sera. Ovviamente, accettai.
C’era un fastidioso venticello fresco e perciò potemmo sederci nei tavolini fuori senza essere alla portata di orecchie estranee.
Nonostante fossi ansioso di sapere, attesi fremente che, dopo averci portato le ordinazioni -due margarita, ormai diventati rituali- Armando cominciasse ad assaporare il suo e poi parlasse.
«Dunque… il giorno dopo che ci siamo visti, ho subito agito e, come ti avevo spiegato, mi sono introdotto, fingendomi un tecnico della società informatica, nell’ufficio dove lavora Angela.
Ho avuto la fortuna di entrare nel portone proprio mentre il suo capo stava uscendo, direi con due clienti, per andare al bar d’angolo.
Quindi, ho potuto tranquillamente non solo infestare l’ufficio e l’interfono di Angela, ma anche quello del suo capo.
Poi, ho cominciato l’ascolto, facendomi aiutare da due dei miei ragazzi»
Bevve, flemmaticamente, un sorso del cocktail, sgranocchiò qualcosa, masticò con cura e visibile piacere i tre ravioli che ci avevano portato come stuzzichini (direi anche godendosi la mia aria ansiosa e preoccupata) e poi, quietamente, proseguì.
«I rapporti tra di loro sono formali: lui le dà sempre del Lei: ‘Signora Angela per favore venga qui, faccia questo, mandi questo fax, scriva quella email’ eccetera.
Però.. però lui ha fatto qualche misteriosa allusione al cinema dove lei lavora, nel pomeriggio… allusioni che non sono riuscito a ben interpretare.
Così mi son preso la libertà di mandare uno dei miei ragazzi anche lì, a mettere cimici.
Solo che, da quanto ha appurato, Angela a volte lascia la cassa e va in galleria, così proprio oggi è tornato al cinema per installare una microcam ad alta sensibilità anche in sala.
Non so com’è andata questa installazione, perché il mio collaboratore non l’ho ancora visto…»
Io inghiotti a vuoto, ormai travolto dall’inarrestabile sputtanamento che avevo scatenato su di me e su Angela; decisi di bere l’amaro calice fino in fondo: «Ma… e col capo…?»
Mi guardò, con uno sguardo carico di compatimento, anche se una luce divertita gli brillava in fondo agli occhi: «Beh.. ii capo… diciamo che… che la mette… la mette sotto, ecco!»
«In che senso??»
«Nel senso che, alla fine della mattinata di lavoro, la chiama col dittafono e…» «E…?»
Sorseggiò il suo aperitivo, temporeggiando «E la prega di andare di là, nel suo ufficio…»
Non capivo: ‘Beh… ma è normale!’
Lui fece un sorriso indulgente, fintotriste: ‘«Poi, quando sono nel suo ufficio, le dice ‘Angela, si inginocchi!’ e lei esegue senza esitazione; lui se lo tira fuori e glie lo dà da succhiare; allora lei lo spompina finché lui non viene, tenendole la testa per farla ingoiare, poi la lascia andare, lei si rialza, si pulisce le labbra con un un kleenex, poi va nel bagno privato del capo, si ridà il rossetto e va via, salutandolo con soggezione»
Ero assolutamente stupefatto: pensavo che l'incontro al cinema potesse aver avuto un qualche strascico, mai e poi mai avrei immaginato che Angela, la MIA Angela, fosse in grado di degradarsi così col suo capo… e tradendomi poi così… anche col suo capo!
L’irritazione montò violentemente dentro di me, tanto che mi pervase tutto, provocandomi anche una potente erezione.
Cioè… in realtà l’erezione era dovuta ad un vortice di inaspettate sensazioni che stavo provando e che mi sconvolgevano, scompaginando completamente le mie certezze, le mie idee, le mie pulsioni.
Mi resi conto di essere come avvolto dallo sguardo di Armando, in un certo qual modo quasi protettivo, nei miei confronti e lo guardai: «Ma… così, per parlare… cosa pensi di Angela?»
Si prese qualche istante per decidere cosa rispondere: ‘Beh… è indubbiamente una… (mi stavo preparando a sentire una qualche crudissima e volgare espressione, ma…) ‘ una splendida donna, ecco!»
«Sì, che è bella lo so… -dissi, rassegnato-... lo capisco dagli sguardi degli altri, quando siamo in giro insieme e penso che molti se la vorrebbero fare…’» Ops!
«Altroché!» esclamò Armando, facendo per un attimo balenare un sorrisone dei suoi.
Lo guardai fisso, con una certa aria di complicità: «Te la vorresti fare anche tu? Parla sinceramente!»
«Beh… -capii che annaspava, in cerca della risposta ‘giusta’ da darmi- ‘ indubbiamente un pensierino varrebbe la pena di farcelo… ma poi dai! E’ la tua compagna! Non mi permetterei mai!!!» disse, sorridendo marpione come pochi.
Capii con nitidezza che, pur non volendo -per rispetto a me- creare l’occasione, se però questa si fosse presentata, non avrebbe esitato un secondo a montarmi la compagna.
Mi ascoltai, con stupore, mentre gli dicevo ciò che avrebbe fatto irrimediabilmente precipitare la situazione, condannandomi, oltre alle corna, anche ad il suo sicuro dileggio:
«Mi hai detto che, al cinema,lei lascia la cassa e va in galleria…» Annuì, pensosamente «… non capisco cosa possa andarci a fare… Ti dispiacerebbe appurare anche questo aspetto? Magari… sì, ecco... di persona?»
Lo sguardo gli si illuminò di un lampo di malizia: ‘Ma certo, se vuoi, per un amico farò anche questo, tranquillo!’
Non aveva forse ancora capito che io sapevo, ma evidentemente aveva scoperto abbastanza da voler proprio fare un sopralluogo in galleria di persona, alla faccia mia e vedere se era possibile fottere la donna del suo antico amico.
Decisi di fare la figura dell’ingenuo fessacchiotto e perciò lo ringraziai sentitamente di quanto avesse preso a cuore la cosa, avendo però capito, da quel certo luccichio dei suoi occhi, che aveva progetti di fornicazione a mie spese.
Passò qualche giorno e, stavolta, fu lui a chiamarmi per fissare un appuntamento al solito bar.
Superammo i riti dell’ordinazione e dell’arrivo delle bevande, poi non resistetti più, davanti al suo atteggiamento flemmatico e gli gettai uno sguardo inquisitorio: «Allora?»
Lui guadagnò qualche istante bevendo un sorso del suo drink, poi mi guardò con una vena di compatimento e -mi sembrava- di leggera vergogna: «Beh… tu mi hai detto di andare a fare un sopralluogo al cinema, ricordi?» Annuii: «Vai avanti!»
«Beh… ci sono stato.. volevo dire andato… al cinema…»
Provai una strana sensazione di divertimento nel vederlo imbarazzato, a narrare e perciò decisi di costringerlo a raccontare tutto: «Bene. Allora racconta… qualunque cosa, senza omettere nessun particolare; fai conto che io sono sia il compagno di Angela, ma solo una terza persona che, senza coinvolgimento emotivo, ti abbia dato l’incarico di fare questa inchiesta su di lei!»
Mi guardò sgranando gli occhi e inghiottendo visibilmente: «Come vuoi… Solo una domanda, anzi due, prima di cominciare; la prima è: vuoi che racconti prima il mio sopralluogo e dopo le risultanze della microcam o il contrario? E la seconda: posso parlare in modo esplicito?»
Risposi quasi subito: «Racconta come vuoi, anche in modo crudo: fa nulla! E prima dimmi del tuo… sopralluogo. Vai!»
Annuì, guardandomi con un’espressione strana, un misto di compatimento, vergogna, malevolenza e sollievo.
«Sono andato al cinema ieri pomeriggio, alle cinque in punto e sono entrato proprio mentre lasciava la cassa, facendosi sostituire da un ragazzotto brufoloso ed ho preso un biglietto di galleria.
Diciamo che sono entrato in sala circa un paio di minuti dopo di lei e l’ho vista sedere.
La galleria di quel cinema è divisa in quattro parti, dalla scala centrale e da un corridoio a metà altezza; si entra dal basso a sinistra, dando le spalle allo schermo ed in cima, sulla stessa parete c’è la scala dove, scendendo una decina di gradini che porta ai servizi.
Dicevo che lei si &è seduta… -aggrottò la fronte, come per ricordare meglio-... in una poltroncina del corridoio centrale, la quarta a partire dal centro.
In sala, a parte un numero imprecisato di persone in platea, c’erano tre uomini da soli, lì in galleria; mentre salivo la scala, dall’atrio alla galleria, ho usato il trucchetto di tenere chiuso un occhio in modo che, quando sono entrato nella sala abbastanza buia, almeno un occhio era già abituato alla poca luce e perciò ho subito potuto vedere nitidamente…»
Mi guardò, chiedendomi con lo sguardo se doveva proprio andare avanti.
Decisi di non aver pietà, né per lui, né per Angela, né -tantomeno- per me stesso.
«E cos’hai nitidamente visto?» Chiesi, in tono vagamente sarcastico.
Bevve un altro sorso del drink, prima di rispondere: «I tre uomini erano uno sulla sessantina e gli altri tra i trentacinque ed i quaranta; l’anziano era seduto in cima, a destra, uno degli altri due era accanto alla scala di sinistra, a metà del blocco superiore ed il terzo invece era seduto nel primo posto verso il centro della seconda fila del blocco in alto a destra.
Come lei si è seduta, quest’ultimo si è alzato ed è andato a sedersi alla sua sinistra, lasciando un posto libero.
L’anziano, invece, si è messo nella fila dietro di lei, tre posti verso sinistra e l’ultimo invece,dopo che gli altri due si erano seduti, subito a destra di lei.
Io mi ero seduto nella poltroncina in alto a sinistra del blocco accanto all’ingresso, ho negligentemente buttato il braccio sullo schienale del posto accanto al mio, in modo da poter comodamente tener d’occhio la situazione ed ho cominciato a far finta di seguire il film, anche se davo soventi occhiate dietro.
Il tipo accanto a lei ha subito provato a mettere una mano sul ginocchio di lei -che stava seduta composta, braccia sui braccioli, ginocchia accostate-, ma è trasalito quando un altro uomo -alto, sulla cinquantina- è entrato in sala, andandosi subito a sedere esattamente dietro a lei»
Capivo l’importanza dei dettagli, ma lo spinsi a proseguire.
«Beh, il tipo accanto le ha rimesso la mano sul ginocchio e poi èesubito risalito verso… ehm!» Travolsi la sua esitazione: «La fica?»
Mi guardò, grato: «Sì, fino alla fica… e mentre le prendeva il mento tra due dita e le faceva girare il capo per baciarla sulla bocca.
Quello dall’altra parte, allora, ha allungato la mano ed ha cominciato anche lui ad accarezzarle la coscia e poi, scalando di posto, ha cominciato a toccarle anche lui la fica, insieme all’altro, mentre il cinquantenne ha cominciato ad accarezzarle il collo, le spalle e poi, sbottonandole la camicetta, ha cominciato a palparle i seni ed a stringerle i capezzoli tra le dita…»
Mi propose di incontrarci in un bar per l’aperitivo, quella stessa sera. Ovviamente, accettai.
C’era un fastidioso venticello fresco e perciò potemmo sederci nei tavolini fuori senza essere alla portata di orecchie estranee.
Nonostante fossi ansioso di sapere, attesi fremente che, dopo averci portato le ordinazioni -due margarita, ormai diventati rituali- Armando cominciasse ad assaporare il suo e poi parlasse.
«Dunque… il giorno dopo che ci siamo visti, ho subito agito e, come ti avevo spiegato, mi sono introdotto, fingendomi un tecnico della società informatica, nell’ufficio dove lavora Angela.
Ho avuto la fortuna di entrare nel portone proprio mentre il suo capo stava uscendo, direi con due clienti, per andare al bar d’angolo.
Quindi, ho potuto tranquillamente non solo infestare l’ufficio e l’interfono di Angela, ma anche quello del suo capo.
Poi, ho cominciato l’ascolto, facendomi aiutare da due dei miei ragazzi»
Bevve, flemmaticamente, un sorso del cocktail, sgranocchiò qualcosa, masticò con cura e visibile piacere i tre ravioli che ci avevano portato come stuzzichini (direi anche godendosi la mia aria ansiosa e preoccupata) e poi, quietamente, proseguì.
«I rapporti tra di loro sono formali: lui le dà sempre del Lei: ‘Signora Angela per favore venga qui, faccia questo, mandi questo fax, scriva quella email’ eccetera.
Però.. però lui ha fatto qualche misteriosa allusione al cinema dove lei lavora, nel pomeriggio… allusioni che non sono riuscito a ben interpretare.
Così mi son preso la libertà di mandare uno dei miei ragazzi anche lì, a mettere cimici.
Solo che, da quanto ha appurato, Angela a volte lascia la cassa e va in galleria, così proprio oggi è tornato al cinema per installare una microcam ad alta sensibilità anche in sala.
Non so com’è andata questa installazione, perché il mio collaboratore non l’ho ancora visto…»
Io inghiotti a vuoto, ormai travolto dall’inarrestabile sputtanamento che avevo scatenato su di me e su Angela; decisi di bere l’amaro calice fino in fondo: «Ma… e col capo…?»
Mi guardò, con uno sguardo carico di compatimento, anche se una luce divertita gli brillava in fondo agli occhi: «Beh.. ii capo… diciamo che… che la mette… la mette sotto, ecco!»
«In che senso??»
«Nel senso che, alla fine della mattinata di lavoro, la chiama col dittafono e…» «E…?»
Sorseggiò il suo aperitivo, temporeggiando «E la prega di andare di là, nel suo ufficio…»
Non capivo: ‘Beh… ma è normale!’
Lui fece un sorriso indulgente, fintotriste: ‘«Poi, quando sono nel suo ufficio, le dice ‘Angela, si inginocchi!’ e lei esegue senza esitazione; lui se lo tira fuori e glie lo dà da succhiare; allora lei lo spompina finché lui non viene, tenendole la testa per farla ingoiare, poi la lascia andare, lei si rialza, si pulisce le labbra con un un kleenex, poi va nel bagno privato del capo, si ridà il rossetto e va via, salutandolo con soggezione»
Ero assolutamente stupefatto: pensavo che l'incontro al cinema potesse aver avuto un qualche strascico, mai e poi mai avrei immaginato che Angela, la MIA Angela, fosse in grado di degradarsi così col suo capo… e tradendomi poi così… anche col suo capo!
L’irritazione montò violentemente dentro di me, tanto che mi pervase tutto, provocandomi anche una potente erezione.
Cioè… in realtà l’erezione era dovuta ad un vortice di inaspettate sensazioni che stavo provando e che mi sconvolgevano, scompaginando completamente le mie certezze, le mie idee, le mie pulsioni.
Mi resi conto di essere come avvolto dallo sguardo di Armando, in un certo qual modo quasi protettivo, nei miei confronti e lo guardai: «Ma… così, per parlare… cosa pensi di Angela?»
Si prese qualche istante per decidere cosa rispondere: ‘Beh… è indubbiamente una… (mi stavo preparando a sentire una qualche crudissima e volgare espressione, ma…) ‘ una splendida donna, ecco!»
«Sì, che è bella lo so… -dissi, rassegnato-... lo capisco dagli sguardi degli altri, quando siamo in giro insieme e penso che molti se la vorrebbero fare…’» Ops!
«Altroché!» esclamò Armando, facendo per un attimo balenare un sorrisone dei suoi.
Lo guardai fisso, con una certa aria di complicità: «Te la vorresti fare anche tu? Parla sinceramente!»
«Beh… -capii che annaspava, in cerca della risposta ‘giusta’ da darmi- ‘ indubbiamente un pensierino varrebbe la pena di farcelo… ma poi dai! E’ la tua compagna! Non mi permetterei mai!!!» disse, sorridendo marpione come pochi.
Capii con nitidezza che, pur non volendo -per rispetto a me- creare l’occasione, se però questa si fosse presentata, non avrebbe esitato un secondo a montarmi la compagna.
Mi ascoltai, con stupore, mentre gli dicevo ciò che avrebbe fatto irrimediabilmente precipitare la situazione, condannandomi, oltre alle corna, anche ad il suo sicuro dileggio:
«Mi hai detto che, al cinema,lei lascia la cassa e va in galleria…» Annuì, pensosamente «… non capisco cosa possa andarci a fare… Ti dispiacerebbe appurare anche questo aspetto? Magari… sì, ecco... di persona?»
Lo sguardo gli si illuminò di un lampo di malizia: ‘Ma certo, se vuoi, per un amico farò anche questo, tranquillo!’
Non aveva forse ancora capito che io sapevo, ma evidentemente aveva scoperto abbastanza da voler proprio fare un sopralluogo in galleria di persona, alla faccia mia e vedere se era possibile fottere la donna del suo antico amico.
Decisi di fare la figura dell’ingenuo fessacchiotto e perciò lo ringraziai sentitamente di quanto avesse preso a cuore la cosa, avendo però capito, da quel certo luccichio dei suoi occhi, che aveva progetti di fornicazione a mie spese.
Passò qualche giorno e, stavolta, fu lui a chiamarmi per fissare un appuntamento al solito bar.
Superammo i riti dell’ordinazione e dell’arrivo delle bevande, poi non resistetti più, davanti al suo atteggiamento flemmatico e gli gettai uno sguardo inquisitorio: «Allora?»
Lui guadagnò qualche istante bevendo un sorso del suo drink, poi mi guardò con una vena di compatimento e -mi sembrava- di leggera vergogna: «Beh… tu mi hai detto di andare a fare un sopralluogo al cinema, ricordi?» Annuii: «Vai avanti!»
«Beh… ci sono stato.. volevo dire andato… al cinema…»
Provai una strana sensazione di divertimento nel vederlo imbarazzato, a narrare e perciò decisi di costringerlo a raccontare tutto: «Bene. Allora racconta… qualunque cosa, senza omettere nessun particolare; fai conto che io sono sia il compagno di Angela, ma solo una terza persona che, senza coinvolgimento emotivo, ti abbia dato l’incarico di fare questa inchiesta su di lei!»
Mi guardò sgranando gli occhi e inghiottendo visibilmente: «Come vuoi… Solo una domanda, anzi due, prima di cominciare; la prima è: vuoi che racconti prima il mio sopralluogo e dopo le risultanze della microcam o il contrario? E la seconda: posso parlare in modo esplicito?»
Risposi quasi subito: «Racconta come vuoi, anche in modo crudo: fa nulla! E prima dimmi del tuo… sopralluogo. Vai!»
Annuì, guardandomi con un’espressione strana, un misto di compatimento, vergogna, malevolenza e sollievo.
«Sono andato al cinema ieri pomeriggio, alle cinque in punto e sono entrato proprio mentre lasciava la cassa, facendosi sostituire da un ragazzotto brufoloso ed ho preso un biglietto di galleria.
Diciamo che sono entrato in sala circa un paio di minuti dopo di lei e l’ho vista sedere.
La galleria di quel cinema è divisa in quattro parti, dalla scala centrale e da un corridoio a metà altezza; si entra dal basso a sinistra, dando le spalle allo schermo ed in cima, sulla stessa parete c’è la scala dove, scendendo una decina di gradini che porta ai servizi.
Dicevo che lei si &è seduta… -aggrottò la fronte, come per ricordare meglio-... in una poltroncina del corridoio centrale, la quarta a partire dal centro.
In sala, a parte un numero imprecisato di persone in platea, c’erano tre uomini da soli, lì in galleria; mentre salivo la scala, dall’atrio alla galleria, ho usato il trucchetto di tenere chiuso un occhio in modo che, quando sono entrato nella sala abbastanza buia, almeno un occhio era già abituato alla poca luce e perciò ho subito potuto vedere nitidamente…»
Mi guardò, chiedendomi con lo sguardo se doveva proprio andare avanti.
Decisi di non aver pietà, né per lui, né per Angela, né -tantomeno- per me stesso.
«E cos’hai nitidamente visto?» Chiesi, in tono vagamente sarcastico.
Bevve un altro sorso del drink, prima di rispondere: «I tre uomini erano uno sulla sessantina e gli altri tra i trentacinque ed i quaranta; l’anziano era seduto in cima, a destra, uno degli altri due era accanto alla scala di sinistra, a metà del blocco superiore ed il terzo invece era seduto nel primo posto verso il centro della seconda fila del blocco in alto a destra.
Come lei si è seduta, quest’ultimo si è alzato ed è andato a sedersi alla sua sinistra, lasciando un posto libero.
L’anziano, invece, si è messo nella fila dietro di lei, tre posti verso sinistra e l’ultimo invece,dopo che gli altri due si erano seduti, subito a destra di lei.
Io mi ero seduto nella poltroncina in alto a sinistra del blocco accanto all’ingresso, ho negligentemente buttato il braccio sullo schienale del posto accanto al mio, in modo da poter comodamente tener d’occhio la situazione ed ho cominciato a far finta di seguire il film, anche se davo soventi occhiate dietro.
Il tipo accanto a lei ha subito provato a mettere una mano sul ginocchio di lei -che stava seduta composta, braccia sui braccioli, ginocchia accostate-, ma è trasalito quando un altro uomo -alto, sulla cinquantina- è entrato in sala, andandosi subito a sedere esattamente dietro a lei»
Capivo l’importanza dei dettagli, ma lo spinsi a proseguire.
«Beh, il tipo accanto le ha rimesso la mano sul ginocchio e poi èesubito risalito verso… ehm!» Travolsi la sua esitazione: «La fica?»
Mi guardò, grato: «Sì, fino alla fica… e mentre le prendeva il mento tra due dita e le faceva girare il capo per baciarla sulla bocca.
Quello dall’altra parte, allora, ha allungato la mano ed ha cominciato anche lui ad accarezzarle la coscia e poi, scalando di posto, ha cominciato a toccarle anche lui la fica, insieme all’altro, mentre il cinquantenne ha cominciato ad accarezzarle il collo, le spalle e poi, sbottonandole la camicetta, ha cominciato a palparle i seni ed a stringerle i capezzoli tra le dita…»
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