Il secondo lavoro (parte 4)
di
zorrogatto
genere
corna
Tre mattine dopo, dovetti andare in centro per fare diverse commissioni, per cui mi alzai praticamente insieme ad Angela.
Appena alzato, puntai verso il bagno ed aprii la porta; Angela era davanti alla specchiera e stava facendo scendere l’orlo del vestitino estivo che indossava, già truccata per andare al lavoro.
Mi sorrise, non mi baciò per non sbavare il rossetto e mi lasciò la stanza a disposizione, uscendo sculettando.
Le sorrisi ed incominciai a lavarmi il viso, ma poi la mia mente ripassò alla moviola la scena di quando avevo aperto e lei si stava sistemando l’abitino a fiori… eppure… ma sì: avrei giurato che, nel lampo del rapido movimento, le avevo visto il ciuffetto del pube!
Quindi, non aveva mutande!!
Ma come cazzo ci andava, in ufficio, a lavorare??
Anche questa volta, decisi di tenermi per me quest’altra scoperta (e più ci pensavo, più richiamavo alla mente l’immagine che avevo fissato nella mente, più ero certo che lei fosse nuda, sotto il vestito!), ma ovviamente si apriva un altro capitolo di domande…
Tra i vari giri, dovetti anche andare all’anagrafe per rinnovare la carta d’identità che stava per scadere; per cui mi feci le tradizionalmente orribili foto alla macchinetta e poi entrai nell’edificio, presi il numeretto e mi sedetti ad attendere con pazienza il mio turno.
Presi il giornale dalla tasca e cercai di dargli una scorsa, ma i pensieri su Angela mi turbinavano in mente… non nascondo che questi pensieri mi portavano ad immaginare situazioni e scene che indubbiamente mi avvolgevano nel caldo abbraccio dell’eccitazione.
Una potente pacca sulla spalla, mi fece sobbalzare, insieme ad un vocione che mi chiamava per cognome; mi girai per capire l’origine di questa specie di uragano che mi aveva investito e vidi un tipo ancora più alto e massiccio di me, che mostrava non meno di cinquanta denti nel sorriso più ampio che avessi mai visto.
Quel viso… quel viso mi diceva qualcosa… la mia mente lo affiancò ad un altro viso, senza i segni degli anni, senza quei baffoni alla Peppone, con una testata di capelli neri al posto del luccicante cranio glabro e… «Zamboni!!! Occazzo, proprio tu?»
Il mio mitico compagno di banco delle superiori, il sarcastico, acuto, curioso, brillante Zamboni… Armando Zamboni!
Mi alzai e ci abbracciammo, scambiandoci le solite banalità d’uso.
Q uasi subito venne il suo turno e mi lasciò dicendomi: «Non provare a sparire per altri vent’anni! Ci troviamo al bar qui accanto, appena abbiamo finito queste menate!» e fece partire una delle sue fragorose risate.
Così, con Armando, ci trovammo al bar, proprio lì accanto all’anagrafe.
Ci sedemmo ad un tavolino fuori e lui propose di prendere un aperitivo, vista l’ora; quando arrivò la ragazzotta a prendere le nostre ordinazioni, ordinai un analcolico alla frutta e lui scoppiò in una delle sue celebri risate. «Maddai!!! Quella è roba che beve mia madre!!! Dai, ordina qualcosa di serio!»
Leggermente contrariato, ordinai una pinha colada e lui chiese un margarita; cambiai la mia ordinazione e mi feci portare anch’io un margarita, sotto il caldo sguardo di approvazione dell’amico.
Mentre la cameriera portava i vari stuzzichini caldi e freddi e gli aperitivi, Armando mi interrogò sul cosa avevo combinato negli ultimi vent’anni.
Riassunsi le cose, gli parlai della fabbrica dove, partito dal livello più basso, ero diventato capoturno ed in odore di passare a vicecaporeparto, poi accennai alla convivenza con Angela e lui colse una certa venatura non serena nella mia voce tanto che mi chiese, sollecito «Cosa succede?»
Feci un gesto tipo “va tutto bene e non ho voglia di parlarne”, aggiunsi qualche dettaglio di poca importanza, risposi a qualche sua domanda fatta con complice malizia e poi dissi: «E tu, invece…?»
«Già: io…» e subito una potente risata.
Poi cominciò a raccontare che, subito dopo il diploma, si era iscritto a giurisprudenza ed aveva fatto domanda in polizia ed era entrato quasi subito.
Laureato, aveva fatto una insoddisfacente carriera per una quindicina d’anni e poi aveva dato le dimissioni, mettendosi a fare l’investigatore privato… «Ah!» esclamai.
Mi guardò con simpatia, mentre cominciavo a sorseggiare il secondo margarita e poi, col suo rassicurante tono di voce basso e carezzevole mi chiese: «Cosa c’è? Pensi di aver bisogno dei miei servigi?»
«Ma no, dai… dicevo così…»
Lui aggrottò le sopracciglia, poi mi sorrise e mi disse: «Ovviamente se non ne vuoi parlare, sei padronissimo, ma mi sembri una persona con un problema…
Qualche perplessità sulla tua compagna? Guarda che l’infedeltà coniugale è, se così possiamo dire, la mia specializzazione…»
Feci una smorfia ed un gesto di diniego, ma lui restò lì, pazientemente, ad aspettare; da sottile psicologo, lasciò che fosse la fiducia e l’amicizia che provavo per lui a far capitolare le mie difese.
Non dovette aspettare troppo, prima che la corazza del mio naturale riserbo cominciasse ad incrinarsi, complici anche i Margarita.
«E’ che… Ma sì, sai… proprio stamattina ho notato che Angela… sì, insomma: va a lavorare vestita in un modo che mi lascia… perplesso, ecco!»
Il suo amichevole sorriso comprensivo mi avvolse come un caldo plaid: «Vestita… uhmm… intendi dire… senza niente sotto?»
Annuii, mezzo sollevato dalla sua capacità di aver subito capito e mezzo depresso al ricordo del fatto e delle mie elucubrazioni al riguardo.
Lui annuì a sua volta e mi sorrise: «Beh, se te la senti di levarti i dubbi… e guarda che potrebbe non essere che un suo sfizio, ma potrebbe anche trattarsi di qualcosa di... più complesso! Sta a te decidere se tenerti i dubbi o avere certezze!
Dicevo: se vuoi fare chiarezza, non ci sono problemi: potrei metterle in ufficio delle cimici… scusa, intendevo dire dei microfoni e magari una microcamera per filmarla sul lavoro…»
Lo guardai col vago sorriso di chi si sente sul punto di essere salvato, ma subito mi rabbuiai.
Lui intuì: ‘Senti, se è l’aspetto economico che ti lascia dubbioso, non preoccuparti: siamo vecchi amici e semmai ti farò pagare solo le spese vive… e comunque, troveremo un modo per metterci d’accordo» disse, strizzandomi l’occhio.
Affrontai la cosa come un caso teorico e lui capì e fu pronto e soddisfacente a rispondermi ed a fugare i miei dubbi.
Mi spiegò che si sarebbe introdotto nell’ufficio deve lavorava Angela come un tecnico informatico, dopo aver staccato il collegamento internet, per ripristinare la connessione; mi disse che sarebbe riuscito a distrarre la mia compagna il tempo sufficiente per installare sia le cimici che le microcam… che avrebbe anche ‘infestato’ l’ufficio del capo, dopo che gli avevo detto che sospettavo che il capo potesse entrarci qualcosa (ovviamente, mi guardai bene dal raccontargli di quando il capo l’aveva sicuramente riconosciuta al cinema!), che l’indomani mi avrebbe dato un cellulare uguale a quello di Angela, con una cimice, da sostituire con quello della mia compagna, che comunque potevo chiamarlo quando volevo per sapere se aveva notizie e che, al massimo!, tempo una quindicina di giorni sarebbe stato in grado di farmi un rapporto completo.
Un po’ frastornato dai margarita (che alla fine erano diventati ben tre; mi sentivo ubriaco come un marinaio russo, mentre Armando invece sembrava che avesse bevuto acqua fresca: io non sono abituato a bere… e così tanto poi, mentre evidentemente lui era ben allenato…) lo salutai, rendendomi poi conto che mi ero ormai sputtanato, che avevo messo il mio antico compagno di scuola nella condizione di capire quanto la mia donna fosse troia.
Però la cosa, invece di irritarmi, stranamente mi dava un’euforia eccitata.
Avevo deciso di non far assolutamente capire ad Angela che sapessi qualcosa, perciò mi sforzai di essere ‘normale’, di comportarmi alla solita maniera; tuttavia il suo istinto femminile avvertiva che qualcosa di diverso c’era in me.
Mi chiese se fossi preoccupato e distratto per qualcosa ed io accennai a certi problemi e scazzi sul lavoro.
Decise di accettare la spiegazione e cominciò a fare la gattina; allora la tirai verso di me e la baciai con passione.
Lei rispose con entusiasmo e cominciammo a spogliarci reciprocamente, amoreggiando; ci baciammo ovunque, percorrendo la pelle dell’altro con polpastrelli, labbra e lingua e alla fine mi tuffai tra le sue cosce per leccarle la fica.
Lei smise di spompinarmi e divaricò al massimo le gambe, spingendomi poi la testa contro il suo pube, schiacciandomi il naso contro il suo monte di venere, per gustarsi al meglio il vorticare della mia lingua nella sua vagina e sul clitoride, che tenevo scappucciato con due dita.
Alla fine, mi implorò di scoparla, per cui le andai sopra e sprofondai nella sua accogliente e rovente fica.
Cominciai a fotterla variando la velocità, la profondità, il ritmo, l’angolazione dei miei affondi e la sentii arrivare al piacere diverse volte, mentre continuavo a prenderla.
Cambiammo posizione più volte, facendola venire sopra di me, poi prendendola da dietro mentre eravamo sdraiati sul fianco e per finire la pecorina, che adoro.
Mi sorpresi a valutare la capienza della sua fica (e del culo, quando glie lo misi, poco prima di sborrare), immaginando la schiera di cazzi che avevano percorso i due orifizi, negli ultimi giorni e scoprendo che mi piaceva scoparla più larga: anziché massaggiarmi, me lo sfiorava con le pareti della fica e lo sfintere e mi sembrava come… non so. Come scopare una nuvola… una nuvola appassionata e libidinosa.
Appena alzato, puntai verso il bagno ed aprii la porta; Angela era davanti alla specchiera e stava facendo scendere l’orlo del vestitino estivo che indossava, già truccata per andare al lavoro.
Mi sorrise, non mi baciò per non sbavare il rossetto e mi lasciò la stanza a disposizione, uscendo sculettando.
Le sorrisi ed incominciai a lavarmi il viso, ma poi la mia mente ripassò alla moviola la scena di quando avevo aperto e lei si stava sistemando l’abitino a fiori… eppure… ma sì: avrei giurato che, nel lampo del rapido movimento, le avevo visto il ciuffetto del pube!
Quindi, non aveva mutande!!
Ma come cazzo ci andava, in ufficio, a lavorare??
Anche questa volta, decisi di tenermi per me quest’altra scoperta (e più ci pensavo, più richiamavo alla mente l’immagine che avevo fissato nella mente, più ero certo che lei fosse nuda, sotto il vestito!), ma ovviamente si apriva un altro capitolo di domande…
Tra i vari giri, dovetti anche andare all’anagrafe per rinnovare la carta d’identità che stava per scadere; per cui mi feci le tradizionalmente orribili foto alla macchinetta e poi entrai nell’edificio, presi il numeretto e mi sedetti ad attendere con pazienza il mio turno.
Presi il giornale dalla tasca e cercai di dargli una scorsa, ma i pensieri su Angela mi turbinavano in mente… non nascondo che questi pensieri mi portavano ad immaginare situazioni e scene che indubbiamente mi avvolgevano nel caldo abbraccio dell’eccitazione.
Una potente pacca sulla spalla, mi fece sobbalzare, insieme ad un vocione che mi chiamava per cognome; mi girai per capire l’origine di questa specie di uragano che mi aveva investito e vidi un tipo ancora più alto e massiccio di me, che mostrava non meno di cinquanta denti nel sorriso più ampio che avessi mai visto.
Quel viso… quel viso mi diceva qualcosa… la mia mente lo affiancò ad un altro viso, senza i segni degli anni, senza quei baffoni alla Peppone, con una testata di capelli neri al posto del luccicante cranio glabro e… «Zamboni!!! Occazzo, proprio tu?»
Il mio mitico compagno di banco delle superiori, il sarcastico, acuto, curioso, brillante Zamboni… Armando Zamboni!
Mi alzai e ci abbracciammo, scambiandoci le solite banalità d’uso.
Q uasi subito venne il suo turno e mi lasciò dicendomi: «Non provare a sparire per altri vent’anni! Ci troviamo al bar qui accanto, appena abbiamo finito queste menate!» e fece partire una delle sue fragorose risate.
Così, con Armando, ci trovammo al bar, proprio lì accanto all’anagrafe.
Ci sedemmo ad un tavolino fuori e lui propose di prendere un aperitivo, vista l’ora; quando arrivò la ragazzotta a prendere le nostre ordinazioni, ordinai un analcolico alla frutta e lui scoppiò in una delle sue celebri risate. «Maddai!!! Quella è roba che beve mia madre!!! Dai, ordina qualcosa di serio!»
Leggermente contrariato, ordinai una pinha colada e lui chiese un margarita; cambiai la mia ordinazione e mi feci portare anch’io un margarita, sotto il caldo sguardo di approvazione dell’amico.
Mentre la cameriera portava i vari stuzzichini caldi e freddi e gli aperitivi, Armando mi interrogò sul cosa avevo combinato negli ultimi vent’anni.
Riassunsi le cose, gli parlai della fabbrica dove, partito dal livello più basso, ero diventato capoturno ed in odore di passare a vicecaporeparto, poi accennai alla convivenza con Angela e lui colse una certa venatura non serena nella mia voce tanto che mi chiese, sollecito «Cosa succede?»
Feci un gesto tipo “va tutto bene e non ho voglia di parlarne”, aggiunsi qualche dettaglio di poca importanza, risposi a qualche sua domanda fatta con complice malizia e poi dissi: «E tu, invece…?»
«Già: io…» e subito una potente risata.
Poi cominciò a raccontare che, subito dopo il diploma, si era iscritto a giurisprudenza ed aveva fatto domanda in polizia ed era entrato quasi subito.
Laureato, aveva fatto una insoddisfacente carriera per una quindicina d’anni e poi aveva dato le dimissioni, mettendosi a fare l’investigatore privato… «Ah!» esclamai.
Mi guardò con simpatia, mentre cominciavo a sorseggiare il secondo margarita e poi, col suo rassicurante tono di voce basso e carezzevole mi chiese: «Cosa c’è? Pensi di aver bisogno dei miei servigi?»
«Ma no, dai… dicevo così…»
Lui aggrottò le sopracciglia, poi mi sorrise e mi disse: «Ovviamente se non ne vuoi parlare, sei padronissimo, ma mi sembri una persona con un problema…
Qualche perplessità sulla tua compagna? Guarda che l’infedeltà coniugale è, se così possiamo dire, la mia specializzazione…»
Feci una smorfia ed un gesto di diniego, ma lui restò lì, pazientemente, ad aspettare; da sottile psicologo, lasciò che fosse la fiducia e l’amicizia che provavo per lui a far capitolare le mie difese.
Non dovette aspettare troppo, prima che la corazza del mio naturale riserbo cominciasse ad incrinarsi, complici anche i Margarita.
«E’ che… Ma sì, sai… proprio stamattina ho notato che Angela… sì, insomma: va a lavorare vestita in un modo che mi lascia… perplesso, ecco!»
Il suo amichevole sorriso comprensivo mi avvolse come un caldo plaid: «Vestita… uhmm… intendi dire… senza niente sotto?»
Annuii, mezzo sollevato dalla sua capacità di aver subito capito e mezzo depresso al ricordo del fatto e delle mie elucubrazioni al riguardo.
Lui annuì a sua volta e mi sorrise: «Beh, se te la senti di levarti i dubbi… e guarda che potrebbe non essere che un suo sfizio, ma potrebbe anche trattarsi di qualcosa di... più complesso! Sta a te decidere se tenerti i dubbi o avere certezze!
Dicevo: se vuoi fare chiarezza, non ci sono problemi: potrei metterle in ufficio delle cimici… scusa, intendevo dire dei microfoni e magari una microcamera per filmarla sul lavoro…»
Lo guardai col vago sorriso di chi si sente sul punto di essere salvato, ma subito mi rabbuiai.
Lui intuì: ‘Senti, se è l’aspetto economico che ti lascia dubbioso, non preoccuparti: siamo vecchi amici e semmai ti farò pagare solo le spese vive… e comunque, troveremo un modo per metterci d’accordo» disse, strizzandomi l’occhio.
Affrontai la cosa come un caso teorico e lui capì e fu pronto e soddisfacente a rispondermi ed a fugare i miei dubbi.
Mi spiegò che si sarebbe introdotto nell’ufficio deve lavorava Angela come un tecnico informatico, dopo aver staccato il collegamento internet, per ripristinare la connessione; mi disse che sarebbe riuscito a distrarre la mia compagna il tempo sufficiente per installare sia le cimici che le microcam… che avrebbe anche ‘infestato’ l’ufficio del capo, dopo che gli avevo detto che sospettavo che il capo potesse entrarci qualcosa (ovviamente, mi guardai bene dal raccontargli di quando il capo l’aveva sicuramente riconosciuta al cinema!), che l’indomani mi avrebbe dato un cellulare uguale a quello di Angela, con una cimice, da sostituire con quello della mia compagna, che comunque potevo chiamarlo quando volevo per sapere se aveva notizie e che, al massimo!, tempo una quindicina di giorni sarebbe stato in grado di farmi un rapporto completo.
Un po’ frastornato dai margarita (che alla fine erano diventati ben tre; mi sentivo ubriaco come un marinaio russo, mentre Armando invece sembrava che avesse bevuto acqua fresca: io non sono abituato a bere… e così tanto poi, mentre evidentemente lui era ben allenato…) lo salutai, rendendomi poi conto che mi ero ormai sputtanato, che avevo messo il mio antico compagno di scuola nella condizione di capire quanto la mia donna fosse troia.
Però la cosa, invece di irritarmi, stranamente mi dava un’euforia eccitata.
Avevo deciso di non far assolutamente capire ad Angela che sapessi qualcosa, perciò mi sforzai di essere ‘normale’, di comportarmi alla solita maniera; tuttavia il suo istinto femminile avvertiva che qualcosa di diverso c’era in me.
Mi chiese se fossi preoccupato e distratto per qualcosa ed io accennai a certi problemi e scazzi sul lavoro.
Decise di accettare la spiegazione e cominciò a fare la gattina; allora la tirai verso di me e la baciai con passione.
Lei rispose con entusiasmo e cominciammo a spogliarci reciprocamente, amoreggiando; ci baciammo ovunque, percorrendo la pelle dell’altro con polpastrelli, labbra e lingua e alla fine mi tuffai tra le sue cosce per leccarle la fica.
Lei smise di spompinarmi e divaricò al massimo le gambe, spingendomi poi la testa contro il suo pube, schiacciandomi il naso contro il suo monte di venere, per gustarsi al meglio il vorticare della mia lingua nella sua vagina e sul clitoride, che tenevo scappucciato con due dita.
Alla fine, mi implorò di scoparla, per cui le andai sopra e sprofondai nella sua accogliente e rovente fica.
Cominciai a fotterla variando la velocità, la profondità, il ritmo, l’angolazione dei miei affondi e la sentii arrivare al piacere diverse volte, mentre continuavo a prenderla.
Cambiammo posizione più volte, facendola venire sopra di me, poi prendendola da dietro mentre eravamo sdraiati sul fianco e per finire la pecorina, che adoro.
Mi sorpresi a valutare la capienza della sua fica (e del culo, quando glie lo misi, poco prima di sborrare), immaginando la schiera di cazzi che avevano percorso i due orifizi, negli ultimi giorni e scoprendo che mi piaceva scoparla più larga: anziché massaggiarmi, me lo sfiorava con le pareti della fica e lo sfintere e mi sembrava come… non so. Come scopare una nuvola… una nuvola appassionata e libidinosa.
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