No, dai, niente regali
di
RunningRiot
genere
etero
Entro in bagno per posare l'accappatoio e prendere la Biotherm. Lo becco con le mani, se non proprio nella marmellata, quasi.
- Ah-aaaah... ecco perché mi finisce sempre!
Mi guarda quasi attonito, ma non può avere dubbi su ciò che intendo dire. I miei occhi viaggiano tra la mia boccetta di olio per i capelli poggiata sul bordo della vasca e le sue dita che si stanno frizionando i capelli. C'è quasi una schiumetta. Guarda te sto coglione...
- Ma quanto cazzo te ne metti? Mica è balsamo! E poi si usa dopo!
- Ti giuro che è la prima volta! - protesta.
- Seeeee... lo sai quanto costa?
Lo guardo. Oltre all'acqua della doccia, gronda colpa. Aiutatemi a dire quanto è scemo.
Mi viene pure un po' da ridere a vederlo mentre si sciacqua le mani smadonnando "quanto cazzo unge sta roba". Mister goffaggine all'opera. "Se ce ne metti mezzo chilo...".
Non so se è per sviare la conversazione o perché ha davvero fame: "Ce li mangiamo subito?", mi fa. “Che fai, cambi argomento?”, rido. No, davvero, aiutatemi a dire quanto è scemo. Un bambino.
Comunque, quelli che dovremmo mangiare subito sono i bignè di San Giuseppe, sissignore. Quelli fritti, quelli raccomandati dall'Aice, l'Associazione Italiana per la Cirrosi Epatica. Strapieni, sul punto di esplodere per quanto sono ripieni di crema. E, insieme, anche un cannolo siciliano da fare a mezzi, strabordante pure quello di ricotta e pezzetti di cioccolato. Li abbiamo presi tornando da jogging.
Sapesse cosa mi era venuto in mente di fare con quella crema e con quella ricotta, altro che mangiare. Una sorpresa di San Valentino, diciamo, più che un regalo.
No, quelli abbiamo deciso di non farceli. Abbiamo anzi scherzato sulla allergia di entrambi per questa festa tutto sommato un po' ridicola. "Potresti regalarmi delle rose - gli avevo detto ridendo qualche giorno fa - e alla tua amante un sex toy... oppure viceversa, fa' tu...". Ammetto anche che per qualche secondo l'idea che potesse regalarmi un sex toy mi aveva sfiorata.
Comunque, dopo avere corso, adesso forse ci sta di mangiarceli quei dolci. Sì ok, gli zuccheri bisogna assumerli prima, semmai dopo si dovrebbero prendere le proteine. Lo so, lo sappiamo, non rompete il cazzo. Abbiamo fame adesso, ok? E poi, dopo la scena ridicola della doccia, certe idee sull'uso alternativo della crema magari le mettiamo in stand by per un po', che è meglio.
Sto quasi per rispondergli "sì, magari faccio anche un tè" e andare in cucina, quando per una serie di associazioni di idee - i cannoli, credo - mi si presenta il ricordo di questa estate in Sicilia. La seconda metà di agosto. All'inizio, per la verità, più che un ricordo è una nostalgia. Di quando sì, certo, ci stavamo attenti, ci sanificavamo le mani e ci facevamo prendere la temperatura all'ingresso dello stabilimento prima di toglierci la mascherina. Ma almeno non eravamo sotto assedio come adesso. E pensare che sembrava quasi finita.
- Ma ti ricordi a Marzamemi? - gli faccio.
E, credetemi, c’è davvero del rimpianto nella mia voce. Perché si stava così bene… Ero partita con un sacco di dubbi. Sì, eravamo già stati un po’ in vacanza, io e lui, a fine luglio. Ma con una coppia di amici. Per non parlare del fatto che in zona c’erano pure i genitori di Luca, anche se per fortuna non abitavano con noi e non hanno nemmeno rotto tanto il cazzo. In Sicilia invece eravamo da soli. Temevo di non reggere. E invece no, è andato tutto benissimo. Noi due siamo andati benissimo. Non era scontato.
Luca mi guarda e quasi subito la faccia gli si distende in un sorriso malinconico. "Sì, certo che mi ricordo", risponde. Sono quasi sicura che provi lo stesso attacco di nostalgia che provo io.
Lo guardo meglio e la memoria si fa più precisa, selettiva. Mi riporta indietro a una serata fantastica. Una serata in cui tornati dalla spiaggia al nostro agriturismo eravamo andati a correre, proprio come oggi. Ci eravamo docciati ed eravamo saliti sul tetto chiedendo di farci servire lì l'aperitivo. Avete presente quelle situazioni perfette? Il tramonto sul mare, la brezza leggera e il gin tonic tenendosi per mano... quelle cose lì, insomma. Beh, era proprio così. Lui era folgorante. Bello, abbronzato, atletico. Fasciato nella sua camicia di lino azzurra e nei suoi bermuda nocciola. L'odore fresco del bagnoschiuma ancora addosso. A guardarlo e a stargli vicino c'era da impazzire. E io non ero da meno. Ero un trionfo di chiffon bianco e celeste con la gonna lunga fino alle caviglie e le gambe in trasparenza, i capelli sciolti sulle spalle nude e appena arrossate dal sole, i braccialetti che scintillavano al polso. Quando mi cingeva la vita e io gli poggiavo la testa sulla spalla la gente non poteva fare a meno di guardarci, cazzo. Eravamo anche noi la perfezione, l'Ente del Turismo avrebbe dovuto pagarci.
E a cena non fu molto diverso. La ragazza che ci portava i piatti sotto l'enorme gazebo non poteva fare a meno di lanciargli occhiate. Strano, perché in quel posto gestito da sole donne avrei giurato che tra lei e quella che sembrava essere la padrona ci fosse una liaison. Non a caso fino alla sera prima guardava me. Ma non potevo darle torto. Luca era davvero bellissimo, da copertina, quasi il paradigma del maschio. Avrei potuto lanciarle un'occhiata che diceva "mi dispiace, ma questo perfetto esemplare è mio". Ma in realtà nemmeno mi dava fastidio che anche lei lo ammirasse, anzi ne ero persino un po' orgogliosa.
Il desiderio, lo ricordo bene, mi avvolse quando ci spostammo a mangiare dolci alla crema di ricotta e cioccolato e a bere rum sui divanetti. Discutemmo un po' su questa mania della pasticceria un po' fighetta, che ti porta a servire il cannolo "destrutturato". In parole povere, rotto, fatto a pezzi. A Luca non dispiaceva e onestamente per essere buono era buono. Ma per me il cannolo è cannolo, deve avere la forma di canna, sennò che cannolo è? "Pensa se ti destrutturassero il pisello", scherzai. Fumavo una sigaretta, ricordo benissimo anche questo, quando ringraziò ancora ridacchiando la cameriera che ci aveva portato il secondo giro di rum. Fighetti o no, negarsi quei piaceri del palato era impossibile. Altrettanto impossibile, per me, era respingere la consapevolezza di quanto volessi essere sua. Come non lo ero mai stata. E non sto parlando di sesso, sto parlando di qualcosa che sentivo dentro e che mi spingeva verso di lui. Un anno esatto dopo che ci eravamo messi insieme. Tra me e Luca molte cose hanno iniziato a cambiare da quella sera.
Risalimmo in camera, dove la temperatura era decisamente più calda. Il sole aveva arroventato il tetto sopra di noi per tutto il giorno ma decidemmo di non far partire l'aria condizionata e di lasciare la porta finestra spalancata. Anche la luce la tenemmo spenta, i raggi di luna entravano quasi direttamente in stanza ed erano più che sufficienti. Mi piacerebbe dire che fu una scelta romantica, in realtà lo facemmo per non fare entrare le zanzare. Tuttavia una certa atmosfera si era creata, impossibile negarlo.
Ci ritrovammo in piedi l'uno davanti all'altra. Togliersi i sandali fu facile, ancora più facile lasciar cadere il vestito spostando le spalline sottili. Molto, molto scenografico. Ma era così che l'avevo immaginato. Avrei desiderato essere completamente nuda, sotto. Purtroppo avevo le mutandine. Gli sbottonai con calma la bella camicia, lui mi lasciò fare con pazienza. Però i miei capezzoli erano già induriti, e con quelli gli accarezzai il petto. Dovetti dissuaderlo un paio di volte dal baciarmi e dal togliermi quell'insignificante pezzetto di raso che copriva a malapena il mio pube. Gli feci infilare le dita sotto l'elastico, però, e rimasi lì a guardarlo, con le mani appoggiate sulle sue spalle. Gli dissi solo "fai piano".
Venni così, dopo un po', fissandolo e strusciando la punta bianco-latte del mio seno sulla sua pelle color cuoio e sulla peluria che la adorna, mentre mi masturbava con dolcezza. Venni con un lunghissimo brivido, ansimando, affondandogli le unghie sulle spalle, lo sguardo un po' appannato almeno fino a quando non chiusi gli occhi per lasciarmi andare nelle onde.
Finalmente ci baciammo. In modo profondo ma lentamente, senza furia. Gli sbottonai i bermuda facendoli calare giù, poi fu la volta delle mutande. Non avrei nemmeno voluto, ma non potei fare a meno di guardare il suo cazzo svettante, di accarezzarlo, di accarezzare i testicoli prima di fargli cenno di andare sul letto, sfoderando uno dei sorrisi più eccitati che credo di avere mai avuto.
Era la prima volta che lo facevo con Luca. Mi ero sempre ostinatamente rifiutata, per una serie di motivi che ho già scritto e che non mi va di ripetere, ma che nella sostanza si riconducono a uno solo: sono una stronza e uno come lui non meriterei di vederlo nemmeno con il cannocchiale. Però non ero nervosa, tutt'altro. Mi sentivo leggera, quasi felice. E naturalmente desiderosa in modo straordinario di farmi possedere. Presi dalla borsa del mare il suo olio abbronzante (sì, è un po' un fanatico), poggiai il flacone sul comodino e mi sdraiai accanto al suo corpo. "Luca, sai cosa mi va?", gli sussurrai.
Come sempre, raccontare un ricordo prende un tempo infinitamente più lungo del ricordo stesso. Nella realtà è stato brevissimo, quasi un flash. Il tempo necessario, per lui, di ricominciare lo sciacquo.
Lo guardo mentre comincia a lavare via il disastro che ha combinato sui suoi capelli, mentre porta entrambe le braccia sopra la testa, mentre tende i suoi muscoli lunghi e tonici, l'addome piatto. Mi appare bellissimo.
Invece della crema per il corpo afferro il flacone dell'olio. Gli lancio un'occhiata senza dire niente, ma spero proprio che si capisca cosa intendo: "Poi vieni in camera? Magari i capelli te li asciughi dopo". Poggio l'olio sul comodino. Distratta da tutto il resto mi sono dimenticata di mettere l'accappatoio a posto. Me lo tolgo e lo lancio sulla poltrona. Mi stendo. In fondo, quelli che stanno insieme si fanno i regali a San Valentino, no? Vabbè Luca, sarà un po' una sorpresa. Non proprio una sorpresona, mi rendo conto. Ma a te, credimi, non dispiacerà e adesso va anche a me. In fin dei conti lo sai, sono una matta col botto. A volte anche di più.
Ah, dimenticavo. La ricotta del cannolo non era un granché, ma la crema dei bignè era buonissima.
- Ah-aaaah... ecco perché mi finisce sempre!
Mi guarda quasi attonito, ma non può avere dubbi su ciò che intendo dire. I miei occhi viaggiano tra la mia boccetta di olio per i capelli poggiata sul bordo della vasca e le sue dita che si stanno frizionando i capelli. C'è quasi una schiumetta. Guarda te sto coglione...
- Ma quanto cazzo te ne metti? Mica è balsamo! E poi si usa dopo!
- Ti giuro che è la prima volta! - protesta.
- Seeeee... lo sai quanto costa?
Lo guardo. Oltre all'acqua della doccia, gronda colpa. Aiutatemi a dire quanto è scemo.
Mi viene pure un po' da ridere a vederlo mentre si sciacqua le mani smadonnando "quanto cazzo unge sta roba". Mister goffaggine all'opera. "Se ce ne metti mezzo chilo...".
Non so se è per sviare la conversazione o perché ha davvero fame: "Ce li mangiamo subito?", mi fa. “Che fai, cambi argomento?”, rido. No, davvero, aiutatemi a dire quanto è scemo. Un bambino.
Comunque, quelli che dovremmo mangiare subito sono i bignè di San Giuseppe, sissignore. Quelli fritti, quelli raccomandati dall'Aice, l'Associazione Italiana per la Cirrosi Epatica. Strapieni, sul punto di esplodere per quanto sono ripieni di crema. E, insieme, anche un cannolo siciliano da fare a mezzi, strabordante pure quello di ricotta e pezzetti di cioccolato. Li abbiamo presi tornando da jogging.
Sapesse cosa mi era venuto in mente di fare con quella crema e con quella ricotta, altro che mangiare. Una sorpresa di San Valentino, diciamo, più che un regalo.
No, quelli abbiamo deciso di non farceli. Abbiamo anzi scherzato sulla allergia di entrambi per questa festa tutto sommato un po' ridicola. "Potresti regalarmi delle rose - gli avevo detto ridendo qualche giorno fa - e alla tua amante un sex toy... oppure viceversa, fa' tu...". Ammetto anche che per qualche secondo l'idea che potesse regalarmi un sex toy mi aveva sfiorata.
Comunque, dopo avere corso, adesso forse ci sta di mangiarceli quei dolci. Sì ok, gli zuccheri bisogna assumerli prima, semmai dopo si dovrebbero prendere le proteine. Lo so, lo sappiamo, non rompete il cazzo. Abbiamo fame adesso, ok? E poi, dopo la scena ridicola della doccia, certe idee sull'uso alternativo della crema magari le mettiamo in stand by per un po', che è meglio.
Sto quasi per rispondergli "sì, magari faccio anche un tè" e andare in cucina, quando per una serie di associazioni di idee - i cannoli, credo - mi si presenta il ricordo di questa estate in Sicilia. La seconda metà di agosto. All'inizio, per la verità, più che un ricordo è una nostalgia. Di quando sì, certo, ci stavamo attenti, ci sanificavamo le mani e ci facevamo prendere la temperatura all'ingresso dello stabilimento prima di toglierci la mascherina. Ma almeno non eravamo sotto assedio come adesso. E pensare che sembrava quasi finita.
- Ma ti ricordi a Marzamemi? - gli faccio.
E, credetemi, c’è davvero del rimpianto nella mia voce. Perché si stava così bene… Ero partita con un sacco di dubbi. Sì, eravamo già stati un po’ in vacanza, io e lui, a fine luglio. Ma con una coppia di amici. Per non parlare del fatto che in zona c’erano pure i genitori di Luca, anche se per fortuna non abitavano con noi e non hanno nemmeno rotto tanto il cazzo. In Sicilia invece eravamo da soli. Temevo di non reggere. E invece no, è andato tutto benissimo. Noi due siamo andati benissimo. Non era scontato.
Luca mi guarda e quasi subito la faccia gli si distende in un sorriso malinconico. "Sì, certo che mi ricordo", risponde. Sono quasi sicura che provi lo stesso attacco di nostalgia che provo io.
Lo guardo meglio e la memoria si fa più precisa, selettiva. Mi riporta indietro a una serata fantastica. Una serata in cui tornati dalla spiaggia al nostro agriturismo eravamo andati a correre, proprio come oggi. Ci eravamo docciati ed eravamo saliti sul tetto chiedendo di farci servire lì l'aperitivo. Avete presente quelle situazioni perfette? Il tramonto sul mare, la brezza leggera e il gin tonic tenendosi per mano... quelle cose lì, insomma. Beh, era proprio così. Lui era folgorante. Bello, abbronzato, atletico. Fasciato nella sua camicia di lino azzurra e nei suoi bermuda nocciola. L'odore fresco del bagnoschiuma ancora addosso. A guardarlo e a stargli vicino c'era da impazzire. E io non ero da meno. Ero un trionfo di chiffon bianco e celeste con la gonna lunga fino alle caviglie e le gambe in trasparenza, i capelli sciolti sulle spalle nude e appena arrossate dal sole, i braccialetti che scintillavano al polso. Quando mi cingeva la vita e io gli poggiavo la testa sulla spalla la gente non poteva fare a meno di guardarci, cazzo. Eravamo anche noi la perfezione, l'Ente del Turismo avrebbe dovuto pagarci.
E a cena non fu molto diverso. La ragazza che ci portava i piatti sotto l'enorme gazebo non poteva fare a meno di lanciargli occhiate. Strano, perché in quel posto gestito da sole donne avrei giurato che tra lei e quella che sembrava essere la padrona ci fosse una liaison. Non a caso fino alla sera prima guardava me. Ma non potevo darle torto. Luca era davvero bellissimo, da copertina, quasi il paradigma del maschio. Avrei potuto lanciarle un'occhiata che diceva "mi dispiace, ma questo perfetto esemplare è mio". Ma in realtà nemmeno mi dava fastidio che anche lei lo ammirasse, anzi ne ero persino un po' orgogliosa.
Il desiderio, lo ricordo bene, mi avvolse quando ci spostammo a mangiare dolci alla crema di ricotta e cioccolato e a bere rum sui divanetti. Discutemmo un po' su questa mania della pasticceria un po' fighetta, che ti porta a servire il cannolo "destrutturato". In parole povere, rotto, fatto a pezzi. A Luca non dispiaceva e onestamente per essere buono era buono. Ma per me il cannolo è cannolo, deve avere la forma di canna, sennò che cannolo è? "Pensa se ti destrutturassero il pisello", scherzai. Fumavo una sigaretta, ricordo benissimo anche questo, quando ringraziò ancora ridacchiando la cameriera che ci aveva portato il secondo giro di rum. Fighetti o no, negarsi quei piaceri del palato era impossibile. Altrettanto impossibile, per me, era respingere la consapevolezza di quanto volessi essere sua. Come non lo ero mai stata. E non sto parlando di sesso, sto parlando di qualcosa che sentivo dentro e che mi spingeva verso di lui. Un anno esatto dopo che ci eravamo messi insieme. Tra me e Luca molte cose hanno iniziato a cambiare da quella sera.
Risalimmo in camera, dove la temperatura era decisamente più calda. Il sole aveva arroventato il tetto sopra di noi per tutto il giorno ma decidemmo di non far partire l'aria condizionata e di lasciare la porta finestra spalancata. Anche la luce la tenemmo spenta, i raggi di luna entravano quasi direttamente in stanza ed erano più che sufficienti. Mi piacerebbe dire che fu una scelta romantica, in realtà lo facemmo per non fare entrare le zanzare. Tuttavia una certa atmosfera si era creata, impossibile negarlo.
Ci ritrovammo in piedi l'uno davanti all'altra. Togliersi i sandali fu facile, ancora più facile lasciar cadere il vestito spostando le spalline sottili. Molto, molto scenografico. Ma era così che l'avevo immaginato. Avrei desiderato essere completamente nuda, sotto. Purtroppo avevo le mutandine. Gli sbottonai con calma la bella camicia, lui mi lasciò fare con pazienza. Però i miei capezzoli erano già induriti, e con quelli gli accarezzai il petto. Dovetti dissuaderlo un paio di volte dal baciarmi e dal togliermi quell'insignificante pezzetto di raso che copriva a malapena il mio pube. Gli feci infilare le dita sotto l'elastico, però, e rimasi lì a guardarlo, con le mani appoggiate sulle sue spalle. Gli dissi solo "fai piano".
Venni così, dopo un po', fissandolo e strusciando la punta bianco-latte del mio seno sulla sua pelle color cuoio e sulla peluria che la adorna, mentre mi masturbava con dolcezza. Venni con un lunghissimo brivido, ansimando, affondandogli le unghie sulle spalle, lo sguardo un po' appannato almeno fino a quando non chiusi gli occhi per lasciarmi andare nelle onde.
Finalmente ci baciammo. In modo profondo ma lentamente, senza furia. Gli sbottonai i bermuda facendoli calare giù, poi fu la volta delle mutande. Non avrei nemmeno voluto, ma non potei fare a meno di guardare il suo cazzo svettante, di accarezzarlo, di accarezzare i testicoli prima di fargli cenno di andare sul letto, sfoderando uno dei sorrisi più eccitati che credo di avere mai avuto.
Era la prima volta che lo facevo con Luca. Mi ero sempre ostinatamente rifiutata, per una serie di motivi che ho già scritto e che non mi va di ripetere, ma che nella sostanza si riconducono a uno solo: sono una stronza e uno come lui non meriterei di vederlo nemmeno con il cannocchiale. Però non ero nervosa, tutt'altro. Mi sentivo leggera, quasi felice. E naturalmente desiderosa in modo straordinario di farmi possedere. Presi dalla borsa del mare il suo olio abbronzante (sì, è un po' un fanatico), poggiai il flacone sul comodino e mi sdraiai accanto al suo corpo. "Luca, sai cosa mi va?", gli sussurrai.
Come sempre, raccontare un ricordo prende un tempo infinitamente più lungo del ricordo stesso. Nella realtà è stato brevissimo, quasi un flash. Il tempo necessario, per lui, di ricominciare lo sciacquo.
Lo guardo mentre comincia a lavare via il disastro che ha combinato sui suoi capelli, mentre porta entrambe le braccia sopra la testa, mentre tende i suoi muscoli lunghi e tonici, l'addome piatto. Mi appare bellissimo.
Invece della crema per il corpo afferro il flacone dell'olio. Gli lancio un'occhiata senza dire niente, ma spero proprio che si capisca cosa intendo: "Poi vieni in camera? Magari i capelli te li asciughi dopo". Poggio l'olio sul comodino. Distratta da tutto il resto mi sono dimenticata di mettere l'accappatoio a posto. Me lo tolgo e lo lancio sulla poltrona. Mi stendo. In fondo, quelli che stanno insieme si fanno i regali a San Valentino, no? Vabbè Luca, sarà un po' una sorpresa. Non proprio una sorpresona, mi rendo conto. Ma a te, credimi, non dispiacerà e adesso va anche a me. In fin dei conti lo sai, sono una matta col botto. A volte anche di più.
Ah, dimenticavo. La ricotta del cannolo non era un granché, ma la crema dei bignè era buonissima.
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