Storie del sabato sera
di
Vandal
genere
pulp
Storie del sabato sera
I- Sul divano
Si viene a sedere accanto a me. Mentre guardo il TG, lei si accoccola accanto, fa quasi le fusa. Non vuole sesso, non in quel momento, ma qualcosa da trastullare.
Rimango lì, indifferente, mentre le notizie del Mondo scorrono sullo schermo: Covid, politica, arresti eccellenti, zone di guerra, disastri naturali, starlett e divi del cinema che sfilano sui red carpet, programmi TV.
Il braccio sinistro di lei mi passa sotto la schiena, la testa si appoggia alla spalla. Manca poco e la mano libera scende alla patta dei pantaloni, armeggia con la cerniera, mi tocca il sesso attraverso il tessuto dei boxer. Ride, in maniera quasi fanciullesca, mentre lo stuzzica e, il sangue vola giù, riempiendolo di voglia.
Ma so che devo rimanere fermo, non cedere, fingere indifferenza, guardare il deprimente TG. Eccolo che lo estrae e lo avvolge, incomincia ad accarezzarlo, stuzzicando con l’unghia del pollice la punta. Un brivido mi percuote e mi fa andare in blackout. Malefica ragazza. Questo gioco dura da due mesi. Non va oltre. Lei arriva, fa qualche moina, mi tocca il pacco, ci gioca un po’ e poi si alza e se ne va.
E’ un tacito accordo. Io ho trent’anni. Lei ne ha venti. Lei mi ha detto: “Tu mi piaci molto e vorrei fare sesso con te”
“Ok” ho detto io “Da me o da te?”
“Ti farò una richiesta strana. Fino a che non lo deciderò io, il nostro gioco sarà che io verrò da te quando sarai sul divano a guardarti la TV. Tu non farai nulla ma, io, userò il tuo gingillo e poi andrò via”
“Sì, è strana” ho annuito
“Ti va o non ti va?”
“Sarà sempre così?”
“Fino a che non lo decido io”
“Ok” meglio che niente, ho pensato
Cosa che fa anche quella sera. L’orgasmo è lì lì per scoppiare ma, non appena lei smette, l’idillio scompare e lui rimane nel suo torpore di dormiveglia. Lo faccio rimanere fuori, lì a prendere aria. Decido che il TG mi ha rotto. Spengo, rinfodero e mi alzo. Verso la finestra, oltre il vetro, la città di periferia con la sua misera solitudine. Qualcuno sta cantando un qualcosa di struggente in una lingua che mi sembra arabo.Forse una lamento funebre, forse una preghiera, forse una ninna nanna. Odore di kus kus che mi arriva alle narici. Nel palazzo di fronte, nascosti dietro una tenda, le sagome di un uomo e una donna stanno danzando la loro notte d’amore. L’invidio, la mano che corre al pacco, il pensiero di quelle lunghe masturbate e di nessuna scopata. Lui è turgido, gli scopro la testa. Guardo le sagome avvolte, Lui che l’abbraccia e la solleva, la poggia sul tavolo. Lo vedo muoversi e lei che si aggrappa alle sue spalle, la testa che scuote e i capelli che frustano l’aria.
Il tocco delicato di Anika, mi cinge da dietro, la mano sinistra che scende fino al mio sesso e mi aiuta a masturbarmi: “Fai il guardone ora?” mi sussurra lei. C’è quacosa di diverso. Mi basta una fuggevole occhiata: è nuda “Che ne dici?” mi aiuta a voltarmi verso di lei “Hai ancora qualcosa in canna?” Mi spoglia, quasi frenetica, slaccia cintura e calzoni, via i boxer. Nudo di fronte a lei. S’inginocchia e me lo ingoia. La scossa arriva ed esplode nel cervello. Si rialza in piedi, mi prende per mano “Vieni” Docile, la seguo.
II- Metro e graffiti
Zona Nord, linea verde. A quell’ora della notte, tre carrozze, cinque passeggeri. Mi sono trovato una carrozza dove non c’è nessuno. Fuori, il panorama scorre veloce, ad intermittenza. Fermata numero tre, stazione illuminata da una luce diafana, graffiti sui muri “Ada ti amo”, oppure “Voglio la tua figa”, oppure “Il nostro amore è una spruzzata di sperma sulle piastrelle”. Poetico.
Una ragazza di colore, sale sul vagone dove ci sono io. Magnifico, ho finito il mio viaggio in solitaria. La osservo senza essere insistente. Direi venticinque anni, capelli ricci e scuri, guance piene, cuffie nelle orecchie. Indossa un giubbotto di jeans verde militare, pieno di tasche e qualche spilla colorata sparse sul lato destro, come medaglie sul petto di un generale. Sotto una maglietta aderentissima che ne mette in risalto due bocce come meloni. Ha pantaloni verde mimetico e due pesanti anfibi ai piedi. Mi chiedo cosa stia ascoltando. Mi chiedo se sia una studentessa, o una lavoratrice, una prostituta. Mi chiedo cosa ci sia sotto quel mimetico militare e che corpo meraviglioso deve avere.
Terza fermata, le porte si aprono, nessuno scende, nessuno sale a bordo. Altre scritte, altri graffiti: “Ti amo, ti amo, ti amo”, oppure “Spalmami il tuo sperma sulla pelle, come se fossi una piastrella”. Il poeta di prima.
Via, ricomincio il viaggio. Ancora quattro fermate e poi sono a casa, nella noiosa periferia, dove il nulla galleggia insieme all’odore delle sigarette, al piscio dei cani e degli umani e il rombo degli aerei percuote l’asfalto sbrecciato dei palazzi. Vivo lì, tra tossici, prostitute di poco prezzo, piccoli criminali, gente che vive alla giornata. Io vivo nel mezzo, una sagoma che viaggia sull’ombra, in grado di camminare nelle due realtà.
“Ehi” e la ragazza con le cuffie “Tu sei quello che chiamano Vargas?”
“Chi lo vuole sapere?” chiedo
“Saphira” dice lei
“Cosa ti serve?”
“Voglio raggiungere il cielo. Mi han detto che sei bravo”
“Così dicono”
“Quanto costi?”
“Il primo giro lo offro io”
Altre fermate, la gente scende, nessuno sale. Lei è all’ultima fermata, insieme a me. Fianco a fianco, le nostre spalle che si sfiorano. Lei ha un brivido, io sorrido “Di dove sei Saphira?”
“Nigeria. Ma mio padre è italiano” le porte scorrono,noi usciamo. Lei si ferma davanti ad una parete intonsa. Da una tasca estrae una bomboletta spray e comincia a scrivere con della vernice blu e rossa. Mi soffermo a guardare “Il tuo sperma mi manderà in Paradiso, baby”. Ecco, trovato il mio poeta. Sorrido compiaciuto.
“Rimani vicino a me. Questi luoghi non sono per ragazze carine, specie di sera” le dico
“E per te lo è?”
“Io sono intoccabile” sorrido
III- Havon e Jessica
Mi appare nuda in tutto il suo splendore, una pantera dal manto nero sbucata dalla savana. Capelli lunghi e neri, fianchi stretti, corpo flessuoso, occhi come la notte che ci circonda. Oltre le tende accostate, la periferie nel quale viviamo e sprofondiamo ogni giorno. Qui, nella zona di frontiera, dove la Legge finisce e gli uomini hanno la pelle così dura da sembrare ferro.
Rientro che è già buio. Il negozio sotto casa ha già le serrande abbassate. Sopra di esse spruzzi di vernice nera e rossa. Qualcuno ha disegnato un cazzo che stilla sangue. Qualcun altro ha disegnato due serpenti intrecciati tra loro. Il simbolo dei Venom, una banda sudamericana che girovaga per strada, spaccia, fa prostituire, ruba.
Il loro capo è un tale Miguel Fuentes, un tizio dalla pelle che sembra caramello solido, coi baffi da Zorro e lo sguardo di Ted Bundy. Eccoli là che bivaccano davanti all’androne del loro palazzo, mentre fumano spinelli e si dividono le birra.. Loro sono una specie di Guardiani di questo quartiere. Nessuno spaccia e fa prostituire al di fuori di loro. Chiunque di altre bande che sconfina, non finisce bene.
LA donna nera di incredibile fascino sta ancheggiando verso di loro. So che si chiama Jahira ma, non so altro. Mi faccio gli affari miei. Miguel mi vede e mi grida “Hola Havon! I miei saluti alla signora!”
“Grazie” saluto “Buona noche” e mi affretto su per le scale sudice, sotto una luce tremolante che sciabola i gradini. Due bimbetti stanno giovando a carte. Più, sul pianerottolo, Jenny la tossica barcolla avanti e indietro farneticando qualcosa nel cellulare. Probabile stia parlando con Damo, il suo pappone che vive in fondo alla via. Mi chiedo in che punto dello spazio tempo questo quartiere è andato a fanculo in quella maniera. Mi chiedo se vent’anni prima, o trent’anni prima, era un quartiere tranquillo, abitato da gente normale e cordiale. O forse è nata così, dopo il cemento e i palazzi incompleti, inglobati anche gli spacciatori e le puttane.
Jessica nuda, meraviglioso intaglio di ebano e ossidiana, richiamo esotico della vasta Africa. Proviene da un piccolo villaggio alle falde del Kilimangiaro. Ha 32 anni e la sua pelle ha l’odore mistico di quelle terre lontane, cariche di mistero e di antiche tradizioni.
Il tempo di gettare le birre nel freezer e di correre in bagno. Doccia veloce e poi in cucina, nudo e gocciolante. L’abbraccio, la sollevo, lascio che sente il mio vigore premerle in ventre. Ho fame di lei, l’ho sognata tutto il giorno in quella dannata acciaieria in cui lavoro, con il caldo di una stella, le schegge incandescenti che piovono dall’aria, le bestemmie degli altri lavoratori. A pranzo un panino con prosciutto e lattuga. Nella testa sempre lei, nuda, flessibile, passionale.
L’appoggio sul tavolo che abbiamo in cucina, sullo spigolo e vicino al bordo. Entro di forza e mi avvinghio a lei, quasi in fusione, con le sue gambe allacciate dietro. “Mi sei mancata” le dico baciandola
“Anche tu” asseconda i miei movimenti, s’immola al mio membro turgido
Sono sicuro che, oltre le tendine abbassate, dall’altra parte della strada, nella finestra davanti alla nostra, il vicino guardone ci sta osservando facendosi una sega
IV- Jahira
Mi hanno appesa ad un gancio nello scantinato, i piedi che sfiorano il pavimento coperto di cocci e polvere. Mi hanno picchiata e violentata. Ora, appesa come un quarto di bue,schiaffeggiata e stuprata ancora.
Sto pregando che tutto finisca. Prego che quel Miguel arrivi da me e la faccia finita.
Ma Miguel è tornato sulla veranda a parlare coi suoi sgherri e ha lasciato un tizio dagli occhi iniettati di sangue e l’aria nervosa a sorvegliarmi. Il tizio è un magrebino, indossa pantaloni sudici sorretti da bretelle rosso ed è a torso nudo. Sotto l’ascella una fondina di cuoio logoro da cui spunta il calcio di un’automatica.
Mi chiamo Jahira e, fino a pochi minuti prima, ero uno sbirro che lavorava sotto copertura. Mio compito era quello di raccogliere abbastanza prove da inchiodare Miguel e la sua banda. Dovevo subodorare che qualcosa non andava. Quando Miguel mi ha chiamato nella palazzina dove lui ha il suo covo. Ho fatto in tempo ad avvertire i miei superiori che sarei andata ad incontrare il big boss. Non ho voluto microfoni, troppo rischio. Loro non erano d’accordo ma, la decisione era presa. Tre mesi di indagini e finalmente una svolta.
Ho incontrato Ferrei appena fuori dalla zona delle puttane, linea di confine tra realtà e irrealtà. Mi ha preso come cliente e mi ha portato nella zona delle puttane. Gli ho detto che non potevamo rimanere in auto e basta senza fare nulla. Damo ha occhi d’dappertutto e, probabilmente, se non ci comportavamo come cliente e puttana, avrebbe avvisato Miguel della stranezza. Prima ancora che protestasse, gli ho estratto il sesso e ho preso a succhiarglielo. I suoi baffoni alla Sam Elliot hanno preso a vibrare come banderuole all’aeroporto. Non se lo aspettava. Ho trovato gratificante fargli un pompino. Gli ho parlato di quello che avevo scoperto fino a quel momento e che Miguel mi aveva invitato nel suo castello.
Poi mi ero alzata, pulita la bocca e l’avevo salutato “Mi raccomando. Fatti una bella doccia, non vorrai che tua moglie scoprisse che ti ho fatto un pompino?” e me ne sono andata ancheggiando
E mi avevano inculato. In tutti i sensi. Ora, appesa come un quarto di bue, violata in ogni dove e sanguinante, attendo l’inevitabile. Che forse non arriverà.
Il tizio nervoso si volta verso l’ingresso. Un colpo di reni, alzo le gambe e gliele allaccio attorno al collo. Lui reagisce troppo lento e io stringo fino a che non sento un crac provenire dal suo collo.
Ancora un passo, riesco a liberarmi con un volteggio degno olimpionico. A terra, dolore dei cocci conficcati nei piedi, mi abbasso sul corpo inerte e gli sfilo la pistola.
Rumori di passi lungo il corridoio. Attorno a me finestre con le sbarre, una scala di cemento sul fondo. Scatto in quella direzione, prego Dio e altri spiriti affinché mi faccia uscire viva da quella situazione. Sono alla seconda rampa di scale quando sento l’urlo di allarme. Sono fottuta…
V-Vargas
La signora dei graffiti giace nuda davanti a me. Un corpo perfetto fatto di ebano, con tette grandi come meloni e un culo da perdersi al suo interno. A pancia in su, le gambe aperte, le braccia sopra la sua testa, gli occhi puntati su di me.
Nudo, naturalmente, la penetro con delicatezza e incomincio a muovermi in lei. Lei asseconda i miei movimenti, le tette che rimbalzano ad ogni colpo. Mi sento risucchiare da quelle ganasce così morbide e fresche. Ne anelo il succo, l’energia, la passione che ne scaturisce. Mi lascio fluire dentro di lei, mentre la mia mente prende forme alate e volteggia su immense foreste fatte di smeraldo, dove cascate altissime spumeggiano con gli angeli. La mia terra d’origine che si risveglia e si fonde con quella esotica di Saphira, le corse delle antilopi, i leoni nella savana, i giganteschi baobab,
Vedo un cielo azzurro e un corpo di serpente avvolto di piume. Vedo gigantesche costruzioni a forma di piramide che svettano verso il sole. Vedo pietre intrise di sangue e pozzi che sembrano precipitare sul fondo dell’abisso.
Saphira come ipnotizzata, catturata dalla riluce della mia pelle, la luce come l’arcobaleno che l’avvolge e ci fa scomparire. Ora siamo su una nuvola e consumiamo il nostro amore, ora siamo circondati dall’oro fuso su un letto di smeraldi.
Lei urla, ma non di terrore ma di piacere. E’ in estasi e chiama il mio nome.
La osservo spossata sulla pietra del marmo su cui l’ho adagiato. Marmo nero con venature rossastre. Sopra di noi un lucernario fatto di mille colori che riflette la luce della luna. La sua vagina sparge liquido come vernice. Io ne bagno le dita e lo spalmo sul suo corpo, come dicevano le scritte dei suoi graffiti “Come ti senti ora?” chiedo
“Sì, mi sento come se fossi volata in cielo a cavallo di un serpente arcobaleno”
Sorrido. Missione compiuta. Mi sdraio accanto a lei e mi ritrovo a fissare il lucernario “E’ stato un bene che ci siamo incontrati questa sera”
“Un bene per me, si certo” annuisce lei “Perché questo posto? Perché qui?”
“Un posto come un altro, non c’è altro modo” mi giro verso di lei ad accarezzarle i capezzoli ancora umidi di sperma, il mio sperma “Qui, nessuno può toccarci”
“Sei il Re del Barrio?”
“Qualcosa di più” sorrido le bacio una tetta, la succhio “E’ molto che cercavo una ragazza come te”
Poi, gli spari. Troppo vicini. E capisco che, presto, avrei avuto un altro tributo.
VI-Jahira
Due li ho presi. Un terzo è caduto a terra stecchito con un buco in fronte. Sono incazzati e mi stanno braccoando come un animale. Mi chiedo dove posso rifugiarmi. Chi può accogliere una donna di colore, nuda, sanguinante e armata di pistola?
BANG! Un proiettile mi fischia vicinissimo alla testa. Io sparo di riflesso, due volte. L’ombra armata barcolla e cade oltre la balaustra.
Loro sono ancora dietro, ansimano, mi danno la caccia. Bramano il mio sangue. Devo fuggire. Ma dove?
Un altro sparo, qualcosa che colpisce la balaustra vicino a me. Rumore di vetri infranti, qualcuno che urla. Cazzo. Corro giù per una scala arrugginita e prego che non ci sia nessuno ad aspettarmi giù
VII-Havon e Jessica
Orgasmo. Dolce e sublimo. Denso, sembra miele. Ridiamo insieme ogni volta che finiamo. Io rimango dentro ancora un po’. Sorrido, le scosto le ciocche di capelli ribelli che le si sono appiccicate sul viso. “Almeno una soddisfazione a fine giornata” dico
“Cosa faresti senza di me?”
“Non riesco a pensare qualcosa di diverso”
Spari. Troppo vicini. Diavolo di un Miguel. Da quando si è messo a fare il cowboy in questo quartiere?
Mi allontano da lei e mi avvicino cautamente alla finestra “Stai attento” mi raccomanda
Un altro sparo, più forte. Vedo una sagoma che precipita dalla balaustra del palazzo di fronte “MA che cazzo?..” una donna scura di pelle e completamente nuda, si affaccia al balcone con in mano una pistola “Jahira?”
Poi altri due spari e Jahira che corre giù per le scale arrugginite. Il vetro va in pezzi, un dolore acuto alla spalla, qualcosa di caldo che mi cola addosso, Jessica che urla di paura. Mi giro verso di lei. Io ho la spalla che sanguina, ma sembra un graffio. Jessica ha un fiore rosso sbocciato sul ventre, che si allarga in maniera allarmante “Cazzo, no” corro in suo soccorso “No” Il telefono, merda, il telefono
VIII-Aviel e Annika
Accidenti se ci sanno fare quei due. Non ho potuto fare a meno di fare una pausa e guardare fuori. Dalla camera da letto si vede meglio la loro stanza. Annika, nuda, arriva dietro e mi abbraccia “Sono incredibili. Hai mai pensato ad un incontro a quattro?”
“Un’orgia? Con loro?”
“Che ne sai? Magari ci stanno”
BANG! Rumori di spari. Ecco che Miguel e i suoi hanno dato libero sfogo ai loro istinti criminali. Chi diavolo è la loro preda. Qualcosa o qualcuno precipita dal tetto “Cazzo” poi altri spari e qualcuno che si mette a correre giù dalle scale. Qualcuno grida ma, proviene dal palazzo di fronte, dove ci sono i nostri vicini scopaioli
“Vieni via dalla finestra” mi tira Annika “Potrebbe entrare un proiettile vagante”
IX-Tra le ombre
Jahira entra in quella che sembra una chiesa. Un grande rosone sul soffitto. O un lucernario? Una ragazza dalla meravigliosa pelle d’ebano, giace nuda su quello che sembra un altare di marmo nero venato di rosso. A fianco dell’altare, un uomo alto, dalla pelle candida, completamente nudo, avvolto da un arcobaleno di colori che piovono dal tetto. L’uomo ha una bellezza sconvolgente, quasi divina. Jahira si avvicina a quella bizzarra apparizione come ipnotizzata, la pistola stretta in pugno ma abbandonata lungo i fianchi “Chi sei tu?” chiede
“Stavo per farti la stessa domanda” dice l’apparizione
“Vargas, che succede?” chiede la ragazza sull’altare
“Vargas? Sei tu VArgas di cui tutti parlano e che nessuno ricorda?”
“E tu sei quella che ha scatenato la furia omicida di Miguel Fuentes”
“Sei in combutta con lui?”
“No”
“Hai un telefono? Devo chiamare i miei superiori, delle ambulanze”
“Sei arrivata fino a qui. Come hai fatto?”
“Io, fuggivo dagli uomini di Fuentes e ho visto questa struttura..”
“Tu hai visto?” fa stupito Vargas “Interessante”
“Hai sentito quello che ho detto? Gli uomini di Fuentes…”
Vargas alza le braccia e il locale piomba nella più oscura tenebra.
Jahira si risveglia in mezzo ad uno sterrato, nuda, la pistola stretta ancora in pugno. Le sirene delle ambulanze e della polizia assorda l’aria di quell’area dismessa di periferia. Vicino a sé, una piuma dell’arcobaleno si è posata sul suo ventre “Ma che cazzo è successo?”
Epilogo
Saphira sulla metropolitana, osserva l’uomo seduto sul vagone. Poco prima era da solo. Lei è salita sul vagone e si è messa ad osservarlo mentre lui la osservava senza farsi notare. Saphira ha pensato che, forse, si stava facendo un film mentale sul suo corpo e su come l’avrebbe scopata. “Tu sei Vargas?”
Annika scivola dal letto e va a guardare Aviel seduto ancora sul divano. Al TG le solite cose. Annika si va ad accoccolare accanto ad Aviel, gli passa un braccio dietro la schiena e prende a menarglielo fino a farlo venire “Perché ho come l’impressione di essermi perso un pezzo?”
“Che intendi?”
“Non so. Era sabato sera. E ora è domenica. E, niente.. Ho un vuoto di memoria. Tu no?”
“Io so che, stanotte, è stata la più bella scopata che abbia mai fatto” sorride lei
Hanon si riscuote quando Jessica gli scuote il braccio. Sono seduti al tavolo, lei che indossa una tuta da ginnastica, lui dei jeans e una maglietta con macchie di nutella sopra “Che hai?”
“Io.. Non lo so”
“Non lo sai?”
“Eh, non so spiegarmelo. Ho fatto un sogno stranissimo e vivido”
“Com’era?”
“Mmm… Qualcuno si è messo a sparare sabato notte?”
“No, l’hai detto tu, era un sogno”
“Sì, un sogno” annuisce poco convinto Hanon
Jahira scuote la testa, non si capacita. Il suo collega la guarda come se fosse un alieno “Vi dico che, c’era. Ma poi non c’era più”
“Manuel Fuentes?”
“Lui e la chiesa e VArgas”
“Manuel Fuentes è stato ritrovato nella roggia Otranto sei ore fa. Smembrato”
“Cosa’ Ma no, non è possibile! Sei ore fa mi stava braccando per le vie del quartiere e.. Aveva scoperto che ero uno sbirro. Dannazione. Ne ho seccati tre di loro”
“Credo che tu sia confusa Jahira”
“Ti ho fatto un pompino”
Ferresi, visibilmente imbarazzato, tossicchia e guarda il suo collega che sta prendendo appunti “Credo che tu abbia subito un forte stress traumatico, Jahira”
“Ma che diavolo?”
Vargas contempla la ragazza nuda sull’altare “E ora che succederà?” chiede Saphira
“Ora me ne andrò via per un po’”
“Ma tu chi sei realmente?”
“Io sono Vargas” si stringe nelle spalle
=Fine=
I- Sul divano
Si viene a sedere accanto a me. Mentre guardo il TG, lei si accoccola accanto, fa quasi le fusa. Non vuole sesso, non in quel momento, ma qualcosa da trastullare.
Rimango lì, indifferente, mentre le notizie del Mondo scorrono sullo schermo: Covid, politica, arresti eccellenti, zone di guerra, disastri naturali, starlett e divi del cinema che sfilano sui red carpet, programmi TV.
Il braccio sinistro di lei mi passa sotto la schiena, la testa si appoggia alla spalla. Manca poco e la mano libera scende alla patta dei pantaloni, armeggia con la cerniera, mi tocca il sesso attraverso il tessuto dei boxer. Ride, in maniera quasi fanciullesca, mentre lo stuzzica e, il sangue vola giù, riempiendolo di voglia.
Ma so che devo rimanere fermo, non cedere, fingere indifferenza, guardare il deprimente TG. Eccolo che lo estrae e lo avvolge, incomincia ad accarezzarlo, stuzzicando con l’unghia del pollice la punta. Un brivido mi percuote e mi fa andare in blackout. Malefica ragazza. Questo gioco dura da due mesi. Non va oltre. Lei arriva, fa qualche moina, mi tocca il pacco, ci gioca un po’ e poi si alza e se ne va.
E’ un tacito accordo. Io ho trent’anni. Lei ne ha venti. Lei mi ha detto: “Tu mi piaci molto e vorrei fare sesso con te”
“Ok” ho detto io “Da me o da te?”
“Ti farò una richiesta strana. Fino a che non lo deciderò io, il nostro gioco sarà che io verrò da te quando sarai sul divano a guardarti la TV. Tu non farai nulla ma, io, userò il tuo gingillo e poi andrò via”
“Sì, è strana” ho annuito
“Ti va o non ti va?”
“Sarà sempre così?”
“Fino a che non lo decido io”
“Ok” meglio che niente, ho pensato
Cosa che fa anche quella sera. L’orgasmo è lì lì per scoppiare ma, non appena lei smette, l’idillio scompare e lui rimane nel suo torpore di dormiveglia. Lo faccio rimanere fuori, lì a prendere aria. Decido che il TG mi ha rotto. Spengo, rinfodero e mi alzo. Verso la finestra, oltre il vetro, la città di periferia con la sua misera solitudine. Qualcuno sta cantando un qualcosa di struggente in una lingua che mi sembra arabo.Forse una lamento funebre, forse una preghiera, forse una ninna nanna. Odore di kus kus che mi arriva alle narici. Nel palazzo di fronte, nascosti dietro una tenda, le sagome di un uomo e una donna stanno danzando la loro notte d’amore. L’invidio, la mano che corre al pacco, il pensiero di quelle lunghe masturbate e di nessuna scopata. Lui è turgido, gli scopro la testa. Guardo le sagome avvolte, Lui che l’abbraccia e la solleva, la poggia sul tavolo. Lo vedo muoversi e lei che si aggrappa alle sue spalle, la testa che scuote e i capelli che frustano l’aria.
Il tocco delicato di Anika, mi cinge da dietro, la mano sinistra che scende fino al mio sesso e mi aiuta a masturbarmi: “Fai il guardone ora?” mi sussurra lei. C’è quacosa di diverso. Mi basta una fuggevole occhiata: è nuda “Che ne dici?” mi aiuta a voltarmi verso di lei “Hai ancora qualcosa in canna?” Mi spoglia, quasi frenetica, slaccia cintura e calzoni, via i boxer. Nudo di fronte a lei. S’inginocchia e me lo ingoia. La scossa arriva ed esplode nel cervello. Si rialza in piedi, mi prende per mano “Vieni” Docile, la seguo.
II- Metro e graffiti
Zona Nord, linea verde. A quell’ora della notte, tre carrozze, cinque passeggeri. Mi sono trovato una carrozza dove non c’è nessuno. Fuori, il panorama scorre veloce, ad intermittenza. Fermata numero tre, stazione illuminata da una luce diafana, graffiti sui muri “Ada ti amo”, oppure “Voglio la tua figa”, oppure “Il nostro amore è una spruzzata di sperma sulle piastrelle”. Poetico.
Una ragazza di colore, sale sul vagone dove ci sono io. Magnifico, ho finito il mio viaggio in solitaria. La osservo senza essere insistente. Direi venticinque anni, capelli ricci e scuri, guance piene, cuffie nelle orecchie. Indossa un giubbotto di jeans verde militare, pieno di tasche e qualche spilla colorata sparse sul lato destro, come medaglie sul petto di un generale. Sotto una maglietta aderentissima che ne mette in risalto due bocce come meloni. Ha pantaloni verde mimetico e due pesanti anfibi ai piedi. Mi chiedo cosa stia ascoltando. Mi chiedo se sia una studentessa, o una lavoratrice, una prostituta. Mi chiedo cosa ci sia sotto quel mimetico militare e che corpo meraviglioso deve avere.
Terza fermata, le porte si aprono, nessuno scende, nessuno sale a bordo. Altre scritte, altri graffiti: “Ti amo, ti amo, ti amo”, oppure “Spalmami il tuo sperma sulla pelle, come se fossi una piastrella”. Il poeta di prima.
Via, ricomincio il viaggio. Ancora quattro fermate e poi sono a casa, nella noiosa periferia, dove il nulla galleggia insieme all’odore delle sigarette, al piscio dei cani e degli umani e il rombo degli aerei percuote l’asfalto sbrecciato dei palazzi. Vivo lì, tra tossici, prostitute di poco prezzo, piccoli criminali, gente che vive alla giornata. Io vivo nel mezzo, una sagoma che viaggia sull’ombra, in grado di camminare nelle due realtà.
“Ehi” e la ragazza con le cuffie “Tu sei quello che chiamano Vargas?”
“Chi lo vuole sapere?” chiedo
“Saphira” dice lei
“Cosa ti serve?”
“Voglio raggiungere il cielo. Mi han detto che sei bravo”
“Così dicono”
“Quanto costi?”
“Il primo giro lo offro io”
Altre fermate, la gente scende, nessuno sale. Lei è all’ultima fermata, insieme a me. Fianco a fianco, le nostre spalle che si sfiorano. Lei ha un brivido, io sorrido “Di dove sei Saphira?”
“Nigeria. Ma mio padre è italiano” le porte scorrono,noi usciamo. Lei si ferma davanti ad una parete intonsa. Da una tasca estrae una bomboletta spray e comincia a scrivere con della vernice blu e rossa. Mi soffermo a guardare “Il tuo sperma mi manderà in Paradiso, baby”. Ecco, trovato il mio poeta. Sorrido compiaciuto.
“Rimani vicino a me. Questi luoghi non sono per ragazze carine, specie di sera” le dico
“E per te lo è?”
“Io sono intoccabile” sorrido
III- Havon e Jessica
Mi appare nuda in tutto il suo splendore, una pantera dal manto nero sbucata dalla savana. Capelli lunghi e neri, fianchi stretti, corpo flessuoso, occhi come la notte che ci circonda. Oltre le tende accostate, la periferie nel quale viviamo e sprofondiamo ogni giorno. Qui, nella zona di frontiera, dove la Legge finisce e gli uomini hanno la pelle così dura da sembrare ferro.
Rientro che è già buio. Il negozio sotto casa ha già le serrande abbassate. Sopra di esse spruzzi di vernice nera e rossa. Qualcuno ha disegnato un cazzo che stilla sangue. Qualcun altro ha disegnato due serpenti intrecciati tra loro. Il simbolo dei Venom, una banda sudamericana che girovaga per strada, spaccia, fa prostituire, ruba.
Il loro capo è un tale Miguel Fuentes, un tizio dalla pelle che sembra caramello solido, coi baffi da Zorro e lo sguardo di Ted Bundy. Eccoli là che bivaccano davanti all’androne del loro palazzo, mentre fumano spinelli e si dividono le birra.. Loro sono una specie di Guardiani di questo quartiere. Nessuno spaccia e fa prostituire al di fuori di loro. Chiunque di altre bande che sconfina, non finisce bene.
LA donna nera di incredibile fascino sta ancheggiando verso di loro. So che si chiama Jahira ma, non so altro. Mi faccio gli affari miei. Miguel mi vede e mi grida “Hola Havon! I miei saluti alla signora!”
“Grazie” saluto “Buona noche” e mi affretto su per le scale sudice, sotto una luce tremolante che sciabola i gradini. Due bimbetti stanno giovando a carte. Più, sul pianerottolo, Jenny la tossica barcolla avanti e indietro farneticando qualcosa nel cellulare. Probabile stia parlando con Damo, il suo pappone che vive in fondo alla via. Mi chiedo in che punto dello spazio tempo questo quartiere è andato a fanculo in quella maniera. Mi chiedo se vent’anni prima, o trent’anni prima, era un quartiere tranquillo, abitato da gente normale e cordiale. O forse è nata così, dopo il cemento e i palazzi incompleti, inglobati anche gli spacciatori e le puttane.
Jessica nuda, meraviglioso intaglio di ebano e ossidiana, richiamo esotico della vasta Africa. Proviene da un piccolo villaggio alle falde del Kilimangiaro. Ha 32 anni e la sua pelle ha l’odore mistico di quelle terre lontane, cariche di mistero e di antiche tradizioni.
Il tempo di gettare le birre nel freezer e di correre in bagno. Doccia veloce e poi in cucina, nudo e gocciolante. L’abbraccio, la sollevo, lascio che sente il mio vigore premerle in ventre. Ho fame di lei, l’ho sognata tutto il giorno in quella dannata acciaieria in cui lavoro, con il caldo di una stella, le schegge incandescenti che piovono dall’aria, le bestemmie degli altri lavoratori. A pranzo un panino con prosciutto e lattuga. Nella testa sempre lei, nuda, flessibile, passionale.
L’appoggio sul tavolo che abbiamo in cucina, sullo spigolo e vicino al bordo. Entro di forza e mi avvinghio a lei, quasi in fusione, con le sue gambe allacciate dietro. “Mi sei mancata” le dico baciandola
“Anche tu” asseconda i miei movimenti, s’immola al mio membro turgido
Sono sicuro che, oltre le tendine abbassate, dall’altra parte della strada, nella finestra davanti alla nostra, il vicino guardone ci sta osservando facendosi una sega
IV- Jahira
Mi hanno appesa ad un gancio nello scantinato, i piedi che sfiorano il pavimento coperto di cocci e polvere. Mi hanno picchiata e violentata. Ora, appesa come un quarto di bue,schiaffeggiata e stuprata ancora.
Sto pregando che tutto finisca. Prego che quel Miguel arrivi da me e la faccia finita.
Ma Miguel è tornato sulla veranda a parlare coi suoi sgherri e ha lasciato un tizio dagli occhi iniettati di sangue e l’aria nervosa a sorvegliarmi. Il tizio è un magrebino, indossa pantaloni sudici sorretti da bretelle rosso ed è a torso nudo. Sotto l’ascella una fondina di cuoio logoro da cui spunta il calcio di un’automatica.
Mi chiamo Jahira e, fino a pochi minuti prima, ero uno sbirro che lavorava sotto copertura. Mio compito era quello di raccogliere abbastanza prove da inchiodare Miguel e la sua banda. Dovevo subodorare che qualcosa non andava. Quando Miguel mi ha chiamato nella palazzina dove lui ha il suo covo. Ho fatto in tempo ad avvertire i miei superiori che sarei andata ad incontrare il big boss. Non ho voluto microfoni, troppo rischio. Loro non erano d’accordo ma, la decisione era presa. Tre mesi di indagini e finalmente una svolta.
Ho incontrato Ferrei appena fuori dalla zona delle puttane, linea di confine tra realtà e irrealtà. Mi ha preso come cliente e mi ha portato nella zona delle puttane. Gli ho detto che non potevamo rimanere in auto e basta senza fare nulla. Damo ha occhi d’dappertutto e, probabilmente, se non ci comportavamo come cliente e puttana, avrebbe avvisato Miguel della stranezza. Prima ancora che protestasse, gli ho estratto il sesso e ho preso a succhiarglielo. I suoi baffoni alla Sam Elliot hanno preso a vibrare come banderuole all’aeroporto. Non se lo aspettava. Ho trovato gratificante fargli un pompino. Gli ho parlato di quello che avevo scoperto fino a quel momento e che Miguel mi aveva invitato nel suo castello.
Poi mi ero alzata, pulita la bocca e l’avevo salutato “Mi raccomando. Fatti una bella doccia, non vorrai che tua moglie scoprisse che ti ho fatto un pompino?” e me ne sono andata ancheggiando
E mi avevano inculato. In tutti i sensi. Ora, appesa come un quarto di bue, violata in ogni dove e sanguinante, attendo l’inevitabile. Che forse non arriverà.
Il tizio nervoso si volta verso l’ingresso. Un colpo di reni, alzo le gambe e gliele allaccio attorno al collo. Lui reagisce troppo lento e io stringo fino a che non sento un crac provenire dal suo collo.
Ancora un passo, riesco a liberarmi con un volteggio degno olimpionico. A terra, dolore dei cocci conficcati nei piedi, mi abbasso sul corpo inerte e gli sfilo la pistola.
Rumori di passi lungo il corridoio. Attorno a me finestre con le sbarre, una scala di cemento sul fondo. Scatto in quella direzione, prego Dio e altri spiriti affinché mi faccia uscire viva da quella situazione. Sono alla seconda rampa di scale quando sento l’urlo di allarme. Sono fottuta…
V-Vargas
La signora dei graffiti giace nuda davanti a me. Un corpo perfetto fatto di ebano, con tette grandi come meloni e un culo da perdersi al suo interno. A pancia in su, le gambe aperte, le braccia sopra la sua testa, gli occhi puntati su di me.
Nudo, naturalmente, la penetro con delicatezza e incomincio a muovermi in lei. Lei asseconda i miei movimenti, le tette che rimbalzano ad ogni colpo. Mi sento risucchiare da quelle ganasce così morbide e fresche. Ne anelo il succo, l’energia, la passione che ne scaturisce. Mi lascio fluire dentro di lei, mentre la mia mente prende forme alate e volteggia su immense foreste fatte di smeraldo, dove cascate altissime spumeggiano con gli angeli. La mia terra d’origine che si risveglia e si fonde con quella esotica di Saphira, le corse delle antilopi, i leoni nella savana, i giganteschi baobab,
Vedo un cielo azzurro e un corpo di serpente avvolto di piume. Vedo gigantesche costruzioni a forma di piramide che svettano verso il sole. Vedo pietre intrise di sangue e pozzi che sembrano precipitare sul fondo dell’abisso.
Saphira come ipnotizzata, catturata dalla riluce della mia pelle, la luce come l’arcobaleno che l’avvolge e ci fa scomparire. Ora siamo su una nuvola e consumiamo il nostro amore, ora siamo circondati dall’oro fuso su un letto di smeraldi.
Lei urla, ma non di terrore ma di piacere. E’ in estasi e chiama il mio nome.
La osservo spossata sulla pietra del marmo su cui l’ho adagiato. Marmo nero con venature rossastre. Sopra di noi un lucernario fatto di mille colori che riflette la luce della luna. La sua vagina sparge liquido come vernice. Io ne bagno le dita e lo spalmo sul suo corpo, come dicevano le scritte dei suoi graffiti “Come ti senti ora?” chiedo
“Sì, mi sento come se fossi volata in cielo a cavallo di un serpente arcobaleno”
Sorrido. Missione compiuta. Mi sdraio accanto a lei e mi ritrovo a fissare il lucernario “E’ stato un bene che ci siamo incontrati questa sera”
“Un bene per me, si certo” annuisce lei “Perché questo posto? Perché qui?”
“Un posto come un altro, non c’è altro modo” mi giro verso di lei ad accarezzarle i capezzoli ancora umidi di sperma, il mio sperma “Qui, nessuno può toccarci”
“Sei il Re del Barrio?”
“Qualcosa di più” sorrido le bacio una tetta, la succhio “E’ molto che cercavo una ragazza come te”
Poi, gli spari. Troppo vicini. E capisco che, presto, avrei avuto un altro tributo.
VI-Jahira
Due li ho presi. Un terzo è caduto a terra stecchito con un buco in fronte. Sono incazzati e mi stanno braccoando come un animale. Mi chiedo dove posso rifugiarmi. Chi può accogliere una donna di colore, nuda, sanguinante e armata di pistola?
BANG! Un proiettile mi fischia vicinissimo alla testa. Io sparo di riflesso, due volte. L’ombra armata barcolla e cade oltre la balaustra.
Loro sono ancora dietro, ansimano, mi danno la caccia. Bramano il mio sangue. Devo fuggire. Ma dove?
Un altro sparo, qualcosa che colpisce la balaustra vicino a me. Rumore di vetri infranti, qualcuno che urla. Cazzo. Corro giù per una scala arrugginita e prego che non ci sia nessuno ad aspettarmi giù
VII-Havon e Jessica
Orgasmo. Dolce e sublimo. Denso, sembra miele. Ridiamo insieme ogni volta che finiamo. Io rimango dentro ancora un po’. Sorrido, le scosto le ciocche di capelli ribelli che le si sono appiccicate sul viso. “Almeno una soddisfazione a fine giornata” dico
“Cosa faresti senza di me?”
“Non riesco a pensare qualcosa di diverso”
Spari. Troppo vicini. Diavolo di un Miguel. Da quando si è messo a fare il cowboy in questo quartiere?
Mi allontano da lei e mi avvicino cautamente alla finestra “Stai attento” mi raccomanda
Un altro sparo, più forte. Vedo una sagoma che precipita dalla balaustra del palazzo di fronte “MA che cazzo?..” una donna scura di pelle e completamente nuda, si affaccia al balcone con in mano una pistola “Jahira?”
Poi altri due spari e Jahira che corre giù per le scale arrugginite. Il vetro va in pezzi, un dolore acuto alla spalla, qualcosa di caldo che mi cola addosso, Jessica che urla di paura. Mi giro verso di lei. Io ho la spalla che sanguina, ma sembra un graffio. Jessica ha un fiore rosso sbocciato sul ventre, che si allarga in maniera allarmante “Cazzo, no” corro in suo soccorso “No” Il telefono, merda, il telefono
VIII-Aviel e Annika
Accidenti se ci sanno fare quei due. Non ho potuto fare a meno di fare una pausa e guardare fuori. Dalla camera da letto si vede meglio la loro stanza. Annika, nuda, arriva dietro e mi abbraccia “Sono incredibili. Hai mai pensato ad un incontro a quattro?”
“Un’orgia? Con loro?”
“Che ne sai? Magari ci stanno”
BANG! Rumori di spari. Ecco che Miguel e i suoi hanno dato libero sfogo ai loro istinti criminali. Chi diavolo è la loro preda. Qualcosa o qualcuno precipita dal tetto “Cazzo” poi altri spari e qualcuno che si mette a correre giù dalle scale. Qualcuno grida ma, proviene dal palazzo di fronte, dove ci sono i nostri vicini scopaioli
“Vieni via dalla finestra” mi tira Annika “Potrebbe entrare un proiettile vagante”
IX-Tra le ombre
Jahira entra in quella che sembra una chiesa. Un grande rosone sul soffitto. O un lucernario? Una ragazza dalla meravigliosa pelle d’ebano, giace nuda su quello che sembra un altare di marmo nero venato di rosso. A fianco dell’altare, un uomo alto, dalla pelle candida, completamente nudo, avvolto da un arcobaleno di colori che piovono dal tetto. L’uomo ha una bellezza sconvolgente, quasi divina. Jahira si avvicina a quella bizzarra apparizione come ipnotizzata, la pistola stretta in pugno ma abbandonata lungo i fianchi “Chi sei tu?” chiede
“Stavo per farti la stessa domanda” dice l’apparizione
“Vargas, che succede?” chiede la ragazza sull’altare
“Vargas? Sei tu VArgas di cui tutti parlano e che nessuno ricorda?”
“E tu sei quella che ha scatenato la furia omicida di Miguel Fuentes”
“Sei in combutta con lui?”
“No”
“Hai un telefono? Devo chiamare i miei superiori, delle ambulanze”
“Sei arrivata fino a qui. Come hai fatto?”
“Io, fuggivo dagli uomini di Fuentes e ho visto questa struttura..”
“Tu hai visto?” fa stupito Vargas “Interessante”
“Hai sentito quello che ho detto? Gli uomini di Fuentes…”
Vargas alza le braccia e il locale piomba nella più oscura tenebra.
Jahira si risveglia in mezzo ad uno sterrato, nuda, la pistola stretta ancora in pugno. Le sirene delle ambulanze e della polizia assorda l’aria di quell’area dismessa di periferia. Vicino a sé, una piuma dell’arcobaleno si è posata sul suo ventre “Ma che cazzo è successo?”
Epilogo
Saphira sulla metropolitana, osserva l’uomo seduto sul vagone. Poco prima era da solo. Lei è salita sul vagone e si è messa ad osservarlo mentre lui la osservava senza farsi notare. Saphira ha pensato che, forse, si stava facendo un film mentale sul suo corpo e su come l’avrebbe scopata. “Tu sei Vargas?”
Annika scivola dal letto e va a guardare Aviel seduto ancora sul divano. Al TG le solite cose. Annika si va ad accoccolare accanto ad Aviel, gli passa un braccio dietro la schiena e prende a menarglielo fino a farlo venire “Perché ho come l’impressione di essermi perso un pezzo?”
“Che intendi?”
“Non so. Era sabato sera. E ora è domenica. E, niente.. Ho un vuoto di memoria. Tu no?”
“Io so che, stanotte, è stata la più bella scopata che abbia mai fatto” sorride lei
Hanon si riscuote quando Jessica gli scuote il braccio. Sono seduti al tavolo, lei che indossa una tuta da ginnastica, lui dei jeans e una maglietta con macchie di nutella sopra “Che hai?”
“Io.. Non lo so”
“Non lo sai?”
“Eh, non so spiegarmelo. Ho fatto un sogno stranissimo e vivido”
“Com’era?”
“Mmm… Qualcuno si è messo a sparare sabato notte?”
“No, l’hai detto tu, era un sogno”
“Sì, un sogno” annuisce poco convinto Hanon
Jahira scuote la testa, non si capacita. Il suo collega la guarda come se fosse un alieno “Vi dico che, c’era. Ma poi non c’era più”
“Manuel Fuentes?”
“Lui e la chiesa e VArgas”
“Manuel Fuentes è stato ritrovato nella roggia Otranto sei ore fa. Smembrato”
“Cosa’ Ma no, non è possibile! Sei ore fa mi stava braccando per le vie del quartiere e.. Aveva scoperto che ero uno sbirro. Dannazione. Ne ho seccati tre di loro”
“Credo che tu sia confusa Jahira”
“Ti ho fatto un pompino”
Ferresi, visibilmente imbarazzato, tossicchia e guarda il suo collega che sta prendendo appunti “Credo che tu abbia subito un forte stress traumatico, Jahira”
“Ma che diavolo?”
Vargas contempla la ragazza nuda sull’altare “E ora che succederà?” chiede Saphira
“Ora me ne andrò via per un po’”
“Ma tu chi sei realmente?”
“Io sono Vargas” si stringe nelle spalle
=Fine=
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