Il prode cavaliere
di
Vandal
genere
poesie
Il prode cavaliere
Giunto alla fine di un cipresso caduto
Il fiero cavaliere poggia le sue membra
Stanco è del suo cammino
E ora ripone grato di quel riparo
Alta è la luna nel cielo brumoso
Nessuna nube ad offuscarne il volto.
Soffia leggero il sonno della sera
Dove i grilli son destano nel loro frinire
Miglia percorse a piedi
Nessuna cavalcatura a sostenerlo
Per compagna la sua sacra spada
Riposta in fodero di cuoio
Ancora qualche giorno prima della meta
La torre di Ovras lo attende
Il suo Signore lo ha mandato
Per la cerca del magico mantello
Seduto sul tronco caduto
Ove il muschio lo ha rivestito
Il prode schiarisce la mente
E cerca riposo per le sue ossa
Le acque di uno stagno lo attirano
Ora la corazza lui leva
Rimasto ignudo scivola in esso
In pugno la sua spada
Volto di luna si specchia
Alone d’argento si manifesta
Il cavaliere si lascia cullare
Mentre i grilli continuano a cantare
Poi un guizzo, un movimento
Tra l’argento della luna qualcosa in superficie
A debita distanza si mantiene
Come osservarlo per attaccarlo
Il prode stringe la lama dall’elsa
Sotto l’acqua lui sfila
Impercettibile il movimento
Come la placida polla in esso immerso
Quale pericolo si cela tra le acque?
Quale creatura pronto ad attaccare?
Lui che placido chiude gli occhi
E lascia i suoi sensi crescere a difesa
Una testa appare nell’acqua
Una donna di leggiadra bellezza
Ignuda si erge sulla sponda
Avvolta nella luce della luna piena
Una driade, ne è quasi certo
La spada sempre stretta nel suo pugno
Osserva la creatura a lui esposta
E attende
“Perdonate l’ardire mio signore
Ma volevo vedere da vicino colui che
Si era immerso così spavaldo
Nelle acque di questo lago”
“Spavaldo mi è dato dalla notte
E dal cantar dei grilli
Ho pensato che nessuno avrebbe avuto
Da che dubitare”
“Voi siete uno straniero, cavaliere?”
La voce di quella creatura così lieve
Sembra acqua che scorre da una sorgiva
“Sapreste che questo è luogo sacro”
“Perdonate il mio ardire, oh Signora
Non era mia intenzione recarvi danno
Od offesa alcuna”
E fa l’atto di allontanarsi
Ignudo esce dalle acque
Ma lo sguardo sempre fisso sull’apparizione
E la donna cupida lo osserva
E un brillio le arde negli occhi
Ma il cavaliere non avverte pericolo alcuno
E, mosso da caparbia cavalleria,
a lei si avvicina incurante
di coprire le sue pudenda
Ne lei lo fa, abbassando lo sguardo
Sul corpo tonico del prode cavaliere
La sua verga così eretta
Come ramo di quercia che lei custodisce
“Posso chiedere il vostro nome, mia signora?”
Chiede il cavaliere a lama riposta
“Naja di Quercia Acqua” si inchina
“Custode di questo specchio”
“Valerian di Rocca Bianca” si inchina il cavaliere
“In missione per il suo re. Vi porgo le mie scuse,
non era mia intesa violare questo luogo
senza il vostro consenso”
“Temo dovrò chiedervi pegno, ser VAlerian”
Si avvicina la Draide, i seni esposti, il fisico perfetto
Flessuosa come una canna di palude
La mano allungata verso di lui
E lui ammaliato, non si ritrae dal suo tocco
E si lascia avvicinare, la verga che si risveglia
Lui che brama la sua carne
Lui che ricorda di essere carne e sangue
Cede alle lusinghe il prode cavaliere
Il corpo nudo di lei lo avvolge
Lo possiede
Ora il prode ha la sua cavalcatura
Leggiadro cavalca la giumenta
E lei asseconda ogni movimento
La luna è sempre alta nel cielo
E i grilli continuano il loro canto
Poi sull’erba essi giacciono
Grati agli Dei che si siano incontrati
La luna a poco scompare
E il sonno lo afferra in un lampo
Giunta l’alba tinta d’oro
Il prode si risveglia ancora ignudo
La sua spada nel fodero riposa
E Naja sparita come nebbia al sole
Non tanto mistico è ora lo stagno
Riposa nel sole che lo riscalda
I suoi indumenti il cavaliere riveste
Il suo cammino ora riprende
Occhi di zaffiro sotto la superficie
Ne seguono l’andatura in allontanamento
Naja si tocca il ventre con un sospiro
L’erede sorgerà in un prossimo venturo
=FINE=
Giunto alla fine di un cipresso caduto
Il fiero cavaliere poggia le sue membra
Stanco è del suo cammino
E ora ripone grato di quel riparo
Alta è la luna nel cielo brumoso
Nessuna nube ad offuscarne il volto.
Soffia leggero il sonno della sera
Dove i grilli son destano nel loro frinire
Miglia percorse a piedi
Nessuna cavalcatura a sostenerlo
Per compagna la sua sacra spada
Riposta in fodero di cuoio
Ancora qualche giorno prima della meta
La torre di Ovras lo attende
Il suo Signore lo ha mandato
Per la cerca del magico mantello
Seduto sul tronco caduto
Ove il muschio lo ha rivestito
Il prode schiarisce la mente
E cerca riposo per le sue ossa
Le acque di uno stagno lo attirano
Ora la corazza lui leva
Rimasto ignudo scivola in esso
In pugno la sua spada
Volto di luna si specchia
Alone d’argento si manifesta
Il cavaliere si lascia cullare
Mentre i grilli continuano a cantare
Poi un guizzo, un movimento
Tra l’argento della luna qualcosa in superficie
A debita distanza si mantiene
Come osservarlo per attaccarlo
Il prode stringe la lama dall’elsa
Sotto l’acqua lui sfila
Impercettibile il movimento
Come la placida polla in esso immerso
Quale pericolo si cela tra le acque?
Quale creatura pronto ad attaccare?
Lui che placido chiude gli occhi
E lascia i suoi sensi crescere a difesa
Una testa appare nell’acqua
Una donna di leggiadra bellezza
Ignuda si erge sulla sponda
Avvolta nella luce della luna piena
Una driade, ne è quasi certo
La spada sempre stretta nel suo pugno
Osserva la creatura a lui esposta
E attende
“Perdonate l’ardire mio signore
Ma volevo vedere da vicino colui che
Si era immerso così spavaldo
Nelle acque di questo lago”
“Spavaldo mi è dato dalla notte
E dal cantar dei grilli
Ho pensato che nessuno avrebbe avuto
Da che dubitare”
“Voi siete uno straniero, cavaliere?”
La voce di quella creatura così lieve
Sembra acqua che scorre da una sorgiva
“Sapreste che questo è luogo sacro”
“Perdonate il mio ardire, oh Signora
Non era mia intenzione recarvi danno
Od offesa alcuna”
E fa l’atto di allontanarsi
Ignudo esce dalle acque
Ma lo sguardo sempre fisso sull’apparizione
E la donna cupida lo osserva
E un brillio le arde negli occhi
Ma il cavaliere non avverte pericolo alcuno
E, mosso da caparbia cavalleria,
a lei si avvicina incurante
di coprire le sue pudenda
Ne lei lo fa, abbassando lo sguardo
Sul corpo tonico del prode cavaliere
La sua verga così eretta
Come ramo di quercia che lei custodisce
“Posso chiedere il vostro nome, mia signora?”
Chiede il cavaliere a lama riposta
“Naja di Quercia Acqua” si inchina
“Custode di questo specchio”
“Valerian di Rocca Bianca” si inchina il cavaliere
“In missione per il suo re. Vi porgo le mie scuse,
non era mia intesa violare questo luogo
senza il vostro consenso”
“Temo dovrò chiedervi pegno, ser VAlerian”
Si avvicina la Draide, i seni esposti, il fisico perfetto
Flessuosa come una canna di palude
La mano allungata verso di lui
E lui ammaliato, non si ritrae dal suo tocco
E si lascia avvicinare, la verga che si risveglia
Lui che brama la sua carne
Lui che ricorda di essere carne e sangue
Cede alle lusinghe il prode cavaliere
Il corpo nudo di lei lo avvolge
Lo possiede
Ora il prode ha la sua cavalcatura
Leggiadro cavalca la giumenta
E lei asseconda ogni movimento
La luna è sempre alta nel cielo
E i grilli continuano il loro canto
Poi sull’erba essi giacciono
Grati agli Dei che si siano incontrati
La luna a poco scompare
E il sonno lo afferra in un lampo
Giunta l’alba tinta d’oro
Il prode si risveglia ancora ignudo
La sua spada nel fodero riposa
E Naja sparita come nebbia al sole
Non tanto mistico è ora lo stagno
Riposa nel sole che lo riscalda
I suoi indumenti il cavaliere riveste
Il suo cammino ora riprende
Occhi di zaffiro sotto la superficie
Ne seguono l’andatura in allontanamento
Naja si tocca il ventre con un sospiro
L’erede sorgerà in un prossimo venturo
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