L'eredità

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genere
tradimenti

L’eredità

La famiglia è una bella cosa, ma quando ci si mettono in mezzo gli interessi non c’è affetto o parentela che tenga. E mio padre, un brav’uomo morto prematuramente a 55 anni, si era dannato la vita a litigare con i familiari, e in primo luogo col fratello Antonio, sulla proprietà da dividere.
Al clima litigioso della mia famiglia sono rimasto estraneo da quando, iscrittomi all’università, mi sono allontanato dal paese, facendovi solo saltuariamente ritorno per le feste comandate. Ma ora, conseguita la laurea e impiantata la mia attività professionale di ingegnere, sono tornato e mi accingo a prendere possesso del terreno che mi è toccato in eredità da mio nonno, sul quale ho in animo di far eseguire una serie di lavori di ripristino e di valorizzazione.
Ma, tornato sui luoghi, ho constatato che proprio sul mio appezzamento di terra mio zio Antonio aveva depositato ogni genere di schifezza, rottami detriti rifiuti, nonché macchinari dismessi. Armato di buona volontà, mi sono recato a casa dallo zio e, con molto tatto e in tono assai rispettoso, l’ho messo a parte dei miei progetti pregandolo cortesemente di liberare il fondo. Era presente al colloquio sua moglie, zia Carmela, una donna sulla cinquantina, procace e bene in carne, che mi era sempre piaciuta per le sue forme prosperose e per la sua aria goduriosa e che da adolescente avevo sempre desiderato, sparandomi in suo onore centinaia di seghe.
Ma l’impatto con lo zio è devastante. Per tutta risposta al mio cortese invito lo zio mi notifica, senza mezzi termini, che lui quelle cose non le avrebbe tolte, anche perché non sapeva dove metterle, né si poteva sobbarcare nuovi oneri per affittare altri terreni. E, siccome io insistevo pazientemente a rappresentare le mie esigenze, quel cialtrone è diventato tanto insolente ed arrogante da dirmi che ero degno figlio di mio padre e mi ha congedato con un secco: “Togliti dai coglioni!”.
Esco da quella casa frastornato ed umiliato, ma intenzionato a non mollare, anzi a reagire adeguatamente alla prepotenza ed alla volgarità di una persona tanto sgradevole. Avevo ben compreso che da un mulo come quello non ci avrei cavato un ragno dal buco, perciò mi dirigo di volata da un mio amico avvocato che nel giro di pochi giorni gli fa recapitare una secca lettera di diffida a sgombrare entro 10 giorni il fondo assegnatomi per eredità, annunciando che in caso contrario ci avrei provveduto io mediante una ditta specializzata, addebitando a lui le spese e pretendendo un risarcimento per la rovina del fondo.
La lettera fa subito effetto, evidentemente gli avvocati fanno paura. Preoccupata della brutta piega che rischiava di prendere la faccenda, mi chiama qualche

giorno dopo zia Carmela, che con voce accalorata mi chiede un incontro di chiarimento, da tenere riservato, cioè all’insaputa del marito. Conoscendo la mia antica passione segreta per lei, la porcona viene a casa mia (o, meglio, di mio padre buonanima), vestita in maniera particolarmente provocante, mettendo in bella mostra due poppe spettacolari della 4^ misura, due cosce carnose ma ancora molto sode ed un culo largo e sporgente, che era tutto un invito. E’ chiaro che punta a rabbonirmi lusingandomi con argomenti extragiuridici.
Sedendosi di fronte e dischiudendo di continuo le cosce, zia Carmela si dice mortificata del litigio intervenuto con il marito, si lamenta del suo pessimo temperamento, ma mi scongiura di evitare un conflitto che avrebbe rovesciato sulla famiglia il discredito della gente. Propone alla fine di fare un sopralluogo sul posto per verificare l’entità delle cose da rimuovere e concordare una qualche soluzione bonaria.
Ci trasferiamo in campagna, parcheggiamo vicino ad una vecchia rimessa abbandonata. Appena fuori della macchina lei mi viene vicino, mi spinge dietro la porta sgangherata della rimessa, mi mette le braccia intorno al collo e, guardandomi lascivamente negli occhi, mi implora di trovare insieme una soluzione senza mettere in mezzo avvocati e carta bollata.
Faccio fatica a mantenere il controllo. Avevo tante volte sognato un momento come quello, la zia Carmela era lì tra le mia braccia e la pressione del suo seno portentoso sul mio petto eccitava le mie fantasie più libertine. Poi intuisco a volo che, con un po’ di cinismo, posso raggiungere l’utile e il dilettevole. Decido di approfittarne e, per farmi pregare ancora di più, le rispondo che purtroppo di soluzioni non ne vedevo.
Allora lei mi passa la sua lingua sulle labbra e mi prega di pensarci meglio. Al che replico che ho bisogno di tempo per pensarci, e lei mi sbottona la camicia e comincia a slinguazzare sul petto. E’ una porca che me lo fa rizzare come un toro. Le prendo una mano e la guido sul rigonfiamento dei pantaloni, lei ha un piccolo sussulto, ma comincia a massaggiarmi il pacco con decisione crescente.
L’eccitazione si fa irresistibile, premo sulle sue spalle e la faccio inginocchiare davanti a me, poi sbottono i pantaloni e le porgo il mio uccello inalberato all’altezza della bocca. Lei alza gli occhi come per verificare se è quello che le chiedevo di fare, le faccio cenno di procedere. Lei tira fuori la cappella e comincia a leccarla con molta calma e maestria, praticandomi un pompino da favola.
Sto per venirle in bocca, ma non voglio che finisca lì. La faccio rialzare, lei mi sorride e mi chiede se nel frattempo mi è venuta qualche idea. Dico che ci sto pensando, e inizio a sbottonarle la camicia. Lei comincia ad innervosirsi, mi dice che sto esagerando e mi invita a smetterla. A quel punto cambio registro e divento più brutale. La scuoto energicamente prendendola per le braccia e le dico di stare zitta: “Sei venuta da me vestita da puttana, sapendo che ho un debole per te. bene, allora fai la puttana!”.
Le escono due lacrime dagli occhi, non so se perché l’ho strattonata poco elegantemente o perché si sente umiliata; ma poi, con un gesto repentino di rabbia, quasi si strappa tutti i bottoni restanti della camicia e mette allo scoperto un bel reggiseno di pizzo bianco semitrasparente. Giacchè ci sono, insisto e le chiedo di farmi vedere anche le mutandine.
Si sfila la gonna senza battere ciglio e mette in mostra due belle coscione, delle bellissime mutandine di pizzo bianco come il reggiseno, dai cui bordi tracimano i peli neri della sua boscosissima ficona.
Mi guarda interrogativamente come per chiedermi se basta così. Le dico bruscamente di togliersi sia il reggiseno sia le mutandine. E’ confusa e sconcertata dal mio fare sbrigativo, ma non fa obiezioni quando la faccio sdraiare su un giaciglio di fortuna, le allargo le cosce e inizio a leccarle la fica, proprio come avevo tante volte sognato di fare.
Il mio lavoro di lingua la fa sciogliere completamente, ora non si lamenta più, gode ad alta voce e, quando mi rimetto su per far assaggiare il cazzo imbizzarrito alla sua fica ormai bollente e bagnatissima, si apre tutta e mi tira a sé afferrandomi dalle natiche. Scopiamo su una catasta di tavole di legno come due animali in calore, ma, quando sento che si approssima il momento fatale, tiro fuori l’uccello e glielo indirizzo in faccia sborrando copiosamente tra la bocca, le guance e gli occhi.
E’ fatta. Era da almeno dieci anni che sognavo un momento così. Ci rivestiamo, lei si ripulisce, poi ci rimettiamo in macchina.
Appena ripartiti mi investe con una certa grinta:
“Allora figlio di puttana, ti sei tolto lo sfizio? ti è piaciuta la zia eh? ma allora, la ritiri quella lettera?”
Ero soddisfatto della scopata e stavo quasi per rassicurarla, poi ripensandoci le rispondo rilanciando: “E a te è piaciuto, vacca?”
Mi risponde di sì e aggiunge che, se necessario, l’avrebbe rifatto con piacere. Colgo la palla al balzo e le dico che, per trovare le soluzioni, è utile rivedersi, magari a casa sua. Mi sorride amara, con gli occhi mi dice che sono un bastardo, ma mi dà appuntamento al giorno dopo, nel pomeriggio, quando il marito non c’è.
L’indomani mi ripresento puntualissimo alla sua porta, ma questa volta la trovo ben più consenziente del giorno prima.
Mi accoglie con indosso l’intimo di pizzo nero e, per compiacermi, mi dice che l’aveva acquistato la mattina proprio in vista del nostro incontro pomeridiano. Non ci perdiamo in preliminari, ci fiondiamo sul suo lettone e ci restiamo due-tre ore, facendo l’amore in tutte le posizioni e senza interruzioni. E’ una troia super, calda e porca, che ci prende tanto gusto che, da quel giorno, la fica me la offre a prescindere dal contenzioso sull’eredità.
Naturalmente, ho ritirato il mandato all’avvocato ed ho rinviato a tempi migliori i miei progetti di ripristino dei quel terreno, ma ho regolato i conti con quel cialtrone di zio Antonio prendendomi anche gli interessi, giacchè per un paio d’anni mi incontro regolarmente con la zia due-tre volte a settimana e insieme gli piantiamo in testa un bosco di corna.
Finchè un giorno mi viene in testa un’altra idea, anche questa per unire l’utile e il dilettevole, cioè per perfezionare la mia vendetta verso lo zio aumentando il mio godimento: dopo la moglie, voglio prendermi anche la figlia, mia cugina Rosaria, una biondina di 22 anni, un corpo sinuoso, un bel seno pieno, occhi verdi.
Decido di fotografare le mie scopate con la zia e realizzo servizi fantastici, poi sviluppo le foto più riuscite e le consegno a mia cugina in una busta. La ragazza cade nel panico, le lascio le foto e qualche giorno per riflettere.
Dopo qualche giorno sono ricontattato da Rosaria, che cerca di capire quali siano le mie intenzioni. Mi dice di venire a casa sua alle 18, perché a quell’ora i genitori sono fuori. Non uso mezzi termini e le dico cinicamente che la madre non mi basta più, anzi che sento voglia di una fica più fresca. Mia cugina, che stupida non è, capisce bene a cosa io stia alludendo, per prima cosa strappa le foto, poi mi sputa in faccia: “Ovviamente ne avrai fatte a bizzeffe di queste foto, vero maiale? E che vuoi farne? Le consegni a mio padre?”
Le dico che non ne ho altre e che non ho bisogno di tenerle da parte, anche perché con la madre faccio l’amore con grande assiduità. Rosaria ribatte che sono uno stronzo ed un meschino, e torna a chiedermi cosa voglio. Le rispendo senza mezzi termini: “E’ molto semplice, voglio fare l’amore con te!”
Lei sorride gelida e mi dice a denti stretti:
“E con mia madre? Dopo la lascerai in pace?”
Le rispondo di sì senza incertezze, pur sapendo di mentire, perché non sono io, è la madre a non voler interrompere la tresca.
La ragazza è sveglia e abbastanza disinvolta, non fa la finta ingenua. Quando mi avvicino a lei e comincio con un bel bacio sulle labbra, risponde subito mulinando la lingua; senza dirci nulla, ci spogliamo sincronicamente, la prendo in braccio, la metto seduta sulla scrivania della sua cameretta, le sfilo le mutandine e parto con una bella leccata di fica. E’ rasata, ha appena un ciuffetto lineare, ma è godibilissima. Poi la faccio scendere e inginocchiare e le metto l’uccello già fremente dinanzi alla bocca. Mi dice con una vocina innocente: “No, Franco, non l’ho mai fatto!”
Mi viene spontaneo ribatterle sarcasticamente:
“Ma come? Hai in casa una maestra di pompini e non sai come si fa?”
La ragazza si immusonisce e serra le labbra. La cosa mi fa innervosire, la prendo per la testa e le ficco a forza l’arnese nelle fauci, che piano piano si aprono e cominciano a muoversi al ritmo delle mie pompate. Non so se prima mia cugina mentiva, ma si vede che è di buona scuola, perché succhia e lecca come se lo avesse fatto sa sempre.
Soddisfatto di quella preparazione, la faccio alzare e mettere a pecorina appoggiata alla scrivania, apro con due dita la figa già umida e con un colpo secco introduco il mio uccello.
Rosaria geme, il mio cazzo è troppo grande o troppo frenetico, le chiedo quanti cazzi ha ospitato sinora, mi risponde che l’ha fatto solo con uno e che, essendo la prima volta, è stato un mezzo disastro. Le dico che stavolta scoprirà quanto sia bello scopare. E difatti facciamo l’amore con grande trasporto e, per comodità, ci stendiamo sul suo lettino. Al momento di eiaculare, lo tiro fuori e sborro in abbondanza sul suo corpo. Lei si alza prontamente e va in bagno per ripulirsi con una doccia veloce. Ne approfitto per sgattaiolare nella camera dei genitori, che ben conosco, e per infilarmi tutto nudo e con l’uccello ancora gocciolante di sperma sotto le coperte del lettone.
Mentre Rosaria si attarda sotto la doccia, all’improvviso rientra in casa la madre che, ignara della mia presenza, viene dritto nella sua camera per spogliarsi. Quando mi vede nel suo letto ha come un urlo di spavento e di rabbia, capisce al volo che c’è di mezzo sua figlia, si catapulta sul letto, toglie le coperte e scopre il mio uccello un po’ smosciato e ancora umido. Grida come un’ossessa:
“Sei un maiale! Non ti basta la madre. Ora anche la figlia. Dio, che vergogna!”
Cerco di riportarla alla ragione e di spiegarle le cose, ma la zia è una furia e, quando attratta dalle voci sopraggiunge in camera anche mia cugina, il bailamme è totale. Mi rivesto alla chetichella e le lascio che ancora blaterano bestemmie contro di me rinfacciandosi le peggiori ingiurie anche tra di loro.
Il giorno dopo, con una faccia tosta, facendo finta di nulla, torno alla solita ora per l’appuntamento consueto con mia zia, ma la trovo rabbuiata e depressa. Le faccio qualche moina per addolcirla, ma si sottrae esclamando:
“Lasciami stare, non mi toccare, vai da quella puttanella, io sono vecchia e non ti piaccio più”.
Zia Carmela era una donna in crisi. Con me aveva cominciato per evitare un contenzioso, aveva continuato per porcaggine, ma col tempo si era innamorata di me, che la facevo godere e sentire più giovane. Cerco di consolarla e rassicurarla. Con le lacrime agli occhi mi racconta del rapporto fallimentare con il marito, mi confida che non lo sopporta più e mi comunica che, incoraggiata dal bel rapporto con me, ha pensato di lasciarlo, di separarsi.
Accolgo la notizia con grande soddisfazione, sarebbe il compimento della mia vendetta ai danni di quello stronzo che aveva avvelenato l’esistenza al mio povero papà. Quel giorno non facciamo l’amore, preferisco farla sfogare e incoraggiarla sulla decisione che è andata maturando.
Dopo quattro o cinque mesi zia Carmela e zio Antonio si separano effettivamente e lei e la figlia vanno a vivere insieme in una casa di campagna proprio vicino al terreno che avevo avuto in eredità e che era all’origine del litigio con lo zio.
Naturalmente ora sono suo ospite fisso, non solo al pomeriggio, ma spesso anche a cena e molto spesso resto a dormire da lei. Ora sono io l’uomo di casa e sono riuscito anche a vincere ogni conflittualità tra madre e figlia. Benché Rosaria sia fidanzata, me la ripasso regolarmente a letto senza farne mistero alla madre che ha capito che, grazie alla figlia, consolida il mio stesso legame con lei. Anzi, abbiamo cominciato, con godimento generale, a scopare in tre e non c’è cosa più arrapante di questo intreccio edipico e lesbico insieme.
E lo zio Antonio? Lo zio ha avuto quel che si merita, la sua massima sconfitta è proprio nel dover assistere impotente al sodalizio che io ho stretto con la moglie e con la figlia. Per la mia manìa dello foto ho ritratto scene infuocate di sesso, in cui siamo ben riconoscibili io, la moglie e la figlia, e gliele ho spedito in busta chiusa, con una scritta a pennarello:
“Per farti compagnia nelle tue seghe!”.
Per completare l’opera ho ridato il mandato all’avvocato per entrare nel pieno possesso della mia eredità e ho fatto condannare lo zio a ripulire il terreno e a pagarmi i danni arrecati per il suo mancato utilizzo.
Da un po’ di tempo abbiamo perso ogni notizia di lui. Si dice che, per la vergogna, ha lasciato il paese e se n’è andato non so dove. Intanto io mi godo le sue donne, che sono diventate le mie. E con loro ho progettato anche di allietare la casa con un pargoletto.
Lo farò con Rosaria, che è più giovane. Così ha deciso zia Carmela, che però ha subito precisato:
“Ciò non significa che ho deciso di fare la nonna, a letto continuerai a dormire con me, sia chiaro!”
scritto il
2012-04-14
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