Un insuccesso?
di
Run Like Hell
genere
trio
Ho conosciuto la mia compagna Monica che era davvero molto pudica.
All’inizio le mie fantasie erotiche non facevano per niente breccia nel suo modo di intendere il sesso.
Ho dovuto avere molta pazienza e molto tatto per smuovere una spregiudicatezza che c’era, ma se ne stava ben nascosta per non so quale motivo.
Eppure, proprio in quell’inizio di rapporto che non lasciava alcuna possibilità di uscire dal modo più casto di fare l’amore, uno spiraglio si aprì e mi fece ben sperare in uno sviluppo maggiore.
In settimana eravamo lontani per motivi di lavoro.
Lei gestiva un ristorantino in una località turistica e io passavo la maggior parte del tempo in aereo o in treno o in auto a girare tutta l’Italia, oppure rimanevo in sede centrale a Milano.
Ci sentivamo ovviamente tantissimo e ci raccontavamo cosa ci accadeva attorno.
Con lei, oltre ad altre 4 persone, lavorava un giovanissimo chef, Federico, di una ventina di anni, con cui aveva stretto una buona amicizia (lei viaggiava giù per i 40). Lavoravano praticamente tutti i giorni insieme e si concedevano pure qualche aperitivo oppure, nelle serata libera, un cinema. Una semplice amicizia, niente di più.
Poi, piano piano, Monica mi confessò che sentiva una certa attrazione per il giovanotto, ma solo semplice, forte simpatia, e addirittura lo chiamava, scherzando, Cicciobello. A me la cosa non preoccupava neanche un po’, era impossibile che potesse avere alcun tipo di sentimento diverso dalla simpatia ma non esclusi, da subito, che potesse avere attrazione fisica.
Dai e dai, insisti insisti, provoca e provoca, Monica confessò che sì un qualche pensierino un po’ meno che casto lo aveva ogni tanto.
Io non faticavo a capire che c’era anche l’atmosfera del locale, del cibo, del vino, era infatti soprattutto un’enoteca, a favorire certi pensieri. La cucina poi un ambiente molto piccolo, dove i corpi spesso erano costretti a sfiorarsi. Se aggiungiamo che io non mostravo alcun disappunto, anzi incoraggiavo in qualche modo questo tipo di relazione in una complicità che sarebbe poi diventata il segno distintivo e nel tempo fortificante al massimo nel nostro rapporto, la cosa diventò una specie di gioco divertente e intrigante.
A sera io le inviavo qualche messaggio per chiederle se il giovanotto avesse fatto qualche avance, se fosse successo qualcosa di particolare, per proporle di diventare lei un po’ più audace. Ripeto era divertente, intrigante e cominciò a diventare ben presto eccitante.
Lei mi diceva che quando si salutavano avevano preso l’abitudine di abbracciarsi baciandosi sulle guance e che lei poggiava sempre più la pancia sul pacco del ragazzo. E mi diceva pure che era diverso dal mio, sapendo entrambi che la diversità evidentemente stava nella dimensione notevole del giovanotto.
Io facevo finta di rimproverarla, lei si scherniva, rideva e diceva che era solo per curiosità.
Certe sere mi raccontava che si erano un po’ strusciati nella piccola cucina finché un pomeriggio mi scrisse un messaggio in cui diceva che Federico l’aveva colta alle spalle all’improvviso e le aveva stampato un bacio sul collo. Fin qui quasi tutto nella norma e nel preventivabile. Il punto era che lei aveva immediatamente avuto la pelle d’oca per tutto il corpo! Mica poco. Pelle d’oca è un modo elegante per dire che si era eccitata. Ma non aveva reagito, era rimasta lì molto piacevolmente sorpresa ma incapace di fare nulla.
Io, continuando nella provocazione, dissi che avrebbe dovuto reagire infilandogli la lingua in bocca. Era tutto tra il serio e lo scherzo, a lei la cosa non era così chiara, ma non per questo cambiò atteggiamento. Continuammo a giocarci su. Per qualche giorno nulla di nuovo accadeva. Federico aveva osato e poi si era bloccato. Forse, intimidito, aspettava un segno di incoraggiamento maggiore che non arrivava.
Ne parlavamo e io allora dissi a Monica che avrebbe dovuto fare qualcosa se non di diretto, tipo saltargli addosso, di allusivo. E allora la convinsi che avrebbe dovuto portare con sè una camicetta particolarmente trasparente da indossare rigorosamente con il reggiseno, era pur sempre un locale pubblico.
Una sera che io ero lì lo fece non sapendo perché e io, in serata, passai presto dal locale per mangiare qualcosa. Le dissi che a chiusura locale avrebbe fatto in modo di mandar via tutti gli altri per rimanere sola con il ragazzo e aiutarlo a rimettere in ordine la cucina (era incombenza di lui ed era l’attività che prendeva più tempo, quindi era sempre l’ultimo ad uscire) e che avrebbe dovuto togliere il reggiseno per praticamente mostrare il seno nella trasparenza assoluta della camicetta. Lei rise, si schermì, disse sei pazzo, non lo faccio, ma sapevo che l’avrebbe fatto.
E infatti lo fece. Per dimostrarmelo chiese proprio a Federico di scattarle una foto che mi inviò. Fosse stata a seno nudo sarebbe stata meno eccitante.
Ora il finale più naturale sarebbe quello di una scopata selvaggia su un tavolo del ristorante.
Ma il finale reale fu…niente… non successe niente; rimasero ancora un po’ lì, nello spazio angusto di una cucina che non poteva che far respirare aria afrodisiaca e il ragazzo non osò fare niente e Monica non seppe o non volle saltargli addosso.
Uscì dal locale, io l’aspettavo fuori in macchina, con un umore che era tra il deluso e il nervoso. Si era sentita rifiutata, non capiva di sbagliarsi di grosso.
Ne parlammo molto. Quando eravamo lucidi lei nicchiava e non si diceva certa che avrebbe davvero consumato l’amplesso. Quando ne parlavamo facendo l’amore invece ammetteva eccome che le sarebbe piaciuto essere presa e sbattuta a gambe aperte su un tavolo in sala.
Il racconto è finito. Niente di che, lo so, niente di così erotico, però per noi fu molto coinvolgente e soprattutto fu un episodio che rinsaldò molto la nostra complicità e la fiducia di dirci sempre e comunque, vicendevolmente, ogni verità
All’inizio le mie fantasie erotiche non facevano per niente breccia nel suo modo di intendere il sesso.
Ho dovuto avere molta pazienza e molto tatto per smuovere una spregiudicatezza che c’era, ma se ne stava ben nascosta per non so quale motivo.
Eppure, proprio in quell’inizio di rapporto che non lasciava alcuna possibilità di uscire dal modo più casto di fare l’amore, uno spiraglio si aprì e mi fece ben sperare in uno sviluppo maggiore.
In settimana eravamo lontani per motivi di lavoro.
Lei gestiva un ristorantino in una località turistica e io passavo la maggior parte del tempo in aereo o in treno o in auto a girare tutta l’Italia, oppure rimanevo in sede centrale a Milano.
Ci sentivamo ovviamente tantissimo e ci raccontavamo cosa ci accadeva attorno.
Con lei, oltre ad altre 4 persone, lavorava un giovanissimo chef, Federico, di una ventina di anni, con cui aveva stretto una buona amicizia (lei viaggiava giù per i 40). Lavoravano praticamente tutti i giorni insieme e si concedevano pure qualche aperitivo oppure, nelle serata libera, un cinema. Una semplice amicizia, niente di più.
Poi, piano piano, Monica mi confessò che sentiva una certa attrazione per il giovanotto, ma solo semplice, forte simpatia, e addirittura lo chiamava, scherzando, Cicciobello. A me la cosa non preoccupava neanche un po’, era impossibile che potesse avere alcun tipo di sentimento diverso dalla simpatia ma non esclusi, da subito, che potesse avere attrazione fisica.
Dai e dai, insisti insisti, provoca e provoca, Monica confessò che sì un qualche pensierino un po’ meno che casto lo aveva ogni tanto.
Io non faticavo a capire che c’era anche l’atmosfera del locale, del cibo, del vino, era infatti soprattutto un’enoteca, a favorire certi pensieri. La cucina poi un ambiente molto piccolo, dove i corpi spesso erano costretti a sfiorarsi. Se aggiungiamo che io non mostravo alcun disappunto, anzi incoraggiavo in qualche modo questo tipo di relazione in una complicità che sarebbe poi diventata il segno distintivo e nel tempo fortificante al massimo nel nostro rapporto, la cosa diventò una specie di gioco divertente e intrigante.
A sera io le inviavo qualche messaggio per chiederle se il giovanotto avesse fatto qualche avance, se fosse successo qualcosa di particolare, per proporle di diventare lei un po’ più audace. Ripeto era divertente, intrigante e cominciò a diventare ben presto eccitante.
Lei mi diceva che quando si salutavano avevano preso l’abitudine di abbracciarsi baciandosi sulle guance e che lei poggiava sempre più la pancia sul pacco del ragazzo. E mi diceva pure che era diverso dal mio, sapendo entrambi che la diversità evidentemente stava nella dimensione notevole del giovanotto.
Io facevo finta di rimproverarla, lei si scherniva, rideva e diceva che era solo per curiosità.
Certe sere mi raccontava che si erano un po’ strusciati nella piccola cucina finché un pomeriggio mi scrisse un messaggio in cui diceva che Federico l’aveva colta alle spalle all’improvviso e le aveva stampato un bacio sul collo. Fin qui quasi tutto nella norma e nel preventivabile. Il punto era che lei aveva immediatamente avuto la pelle d’oca per tutto il corpo! Mica poco. Pelle d’oca è un modo elegante per dire che si era eccitata. Ma non aveva reagito, era rimasta lì molto piacevolmente sorpresa ma incapace di fare nulla.
Io, continuando nella provocazione, dissi che avrebbe dovuto reagire infilandogli la lingua in bocca. Era tutto tra il serio e lo scherzo, a lei la cosa non era così chiara, ma non per questo cambiò atteggiamento. Continuammo a giocarci su. Per qualche giorno nulla di nuovo accadeva. Federico aveva osato e poi si era bloccato. Forse, intimidito, aspettava un segno di incoraggiamento maggiore che non arrivava.
Ne parlavamo e io allora dissi a Monica che avrebbe dovuto fare qualcosa se non di diretto, tipo saltargli addosso, di allusivo. E allora la convinsi che avrebbe dovuto portare con sè una camicetta particolarmente trasparente da indossare rigorosamente con il reggiseno, era pur sempre un locale pubblico.
Una sera che io ero lì lo fece non sapendo perché e io, in serata, passai presto dal locale per mangiare qualcosa. Le dissi che a chiusura locale avrebbe fatto in modo di mandar via tutti gli altri per rimanere sola con il ragazzo e aiutarlo a rimettere in ordine la cucina (era incombenza di lui ed era l’attività che prendeva più tempo, quindi era sempre l’ultimo ad uscire) e che avrebbe dovuto togliere il reggiseno per praticamente mostrare il seno nella trasparenza assoluta della camicetta. Lei rise, si schermì, disse sei pazzo, non lo faccio, ma sapevo che l’avrebbe fatto.
E infatti lo fece. Per dimostrarmelo chiese proprio a Federico di scattarle una foto che mi inviò. Fosse stata a seno nudo sarebbe stata meno eccitante.
Ora il finale più naturale sarebbe quello di una scopata selvaggia su un tavolo del ristorante.
Ma il finale reale fu…niente… non successe niente; rimasero ancora un po’ lì, nello spazio angusto di una cucina che non poteva che far respirare aria afrodisiaca e il ragazzo non osò fare niente e Monica non seppe o non volle saltargli addosso.
Uscì dal locale, io l’aspettavo fuori in macchina, con un umore che era tra il deluso e il nervoso. Si era sentita rifiutata, non capiva di sbagliarsi di grosso.
Ne parlammo molto. Quando eravamo lucidi lei nicchiava e non si diceva certa che avrebbe davvero consumato l’amplesso. Quando ne parlavamo facendo l’amore invece ammetteva eccome che le sarebbe piaciuto essere presa e sbattuta a gambe aperte su un tavolo in sala.
Il racconto è finito. Niente di che, lo so, niente di così erotico, però per noi fu molto coinvolgente e soprattutto fu un episodio che rinsaldò molto la nostra complicità e la fiducia di dirci sempre e comunque, vicendevolmente, ogni verità
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